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UncleTom
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Editoriale
venerdì 29/09/2017



Falso e falsetto

di Marco Travaglio | 29 settembre 2017




| 
Sbagliano Beppe Grillo e Virginia Raggi a cantare vittoria per la conclusione dell’indagine sulla sindaca di Roma. Il falso ideologico, per cui i pm chiedono al Gup di rinviarla a giudizio, non è un reato bagatellare, tantomeno per un’esponente del Movimento 5Stelle che fa della trasparenza una bandiera. Si può capire invece il sollievo di Raggi e M5S per la caduta degli altri reati, ben più gravi, che le venivano addossati in partenza. Senza contare quelli che si erano inventati i giornaloni (corruzione, riciclaggio, tesoretti occulti, voti comprati per “scalare” il M5S e via vaneggiando sulle polizze di Salvatore Romeo, fin da subito definite dai pm “penalmente irrilevanti”), per dipingerla come una corrotta matricolata. All’inizio delle indagini, era accusata di cinque reati: abuso d’ufficio per la nomina di Romeo a capo-segreteria; abuso d’ufficio per la nomina di Carla Raineri a capo di gabinetto; rivelazione di segreto sul presunto dossier contro Marcello De Vito, suo rivale alle Comunarie; abuso d’ufficio e falso per la nomina di Renato Marra a capo dell’ufficio Turismo del Comune. Dei primi quattro è stata chiesta l’archiviazione ed è rimasto l’ultimo: il meno infamante, perché non riguarda abusi di potere o favoritismi, né tantomeno storie di soldi e mazzette fabbricate ad arte dai giornaloni. Riguarda una dichiarazione resa dalla sindaca all’Anticorruzione comunale nel dicembre 2016 sulla promozione del dirigente dei vigili Renato Marra, fratello del capo del Personale Raffaele.

Quest’ultimo – secondo la sindaca – non entrò in conflitto d’interessi perché ebbe un ruolo “di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali” e “di mero carattere compilativo”, anche perché l’art 38 del Regolamento comunale assegna quelle nomine all’esclusiva discrezionalità del sindaco. E infatti fu la Raggi, su richiesta dell’assessore al Commercio Adriano Meloni, a decidere. La Procura, sulle prime, riteneva che il conflitto d’interessi (e dunque l’abuso d’ufficio) ci fosse: dalle chat risulta che Marra si attivò con l’assessore e il delegato della sindaca per spingere il fratello. Il che convinse i pm che la Raggi sapesse tutto e avesse mentito all’Anticorruzione per coprire l’abuso di Marra. Ora però l’abuso rimane solo per Marra e cade per la Raggi: per i pm, la sindaca nella nomina non commise illeciti, ignorando i conflitti d’interessi in cui si era cacciato Marra alle sue spalle. Infatti chiedono di archiviarle l’abuso e processarla “solo” per falso (la presunta bugia all’Anticorruzione).

Falso peraltro depurato dell’iniziale aggravante di aver voluto coprire l’abuso (che non c’è più). Ora starà a loro dimostrare al Gup l’intenzione di commettere il reato (il dolo): cioè che la Raggi consapevolmente mentì sul ruolo di Raffaele Marra. E non sarà facile. Se infatti i pm sostengono che la sindaca non sapeva che Marra agiva in conflitto d’interessi e perciò non fu sua complice nel presunto abuso, come potranno dimostrare che raccontò scientemente frottole all’Anticorruzione, negando le pressioni di Marra non su di lei, ma sui suoi collaboratori e sul suo assessore (che fra l’altro ha confermato ai pm di avere chiesto lui la nomina di Renato Marra)? E perché mai l’avrebbe fatto? Il processo è aperto a tutti gli esiti, perché si gioca sul filo delle interpretazioni e delle consapevolezze: nemmeno le copiose chat di Marra indicano chiaramente chi abbia detto cosa e a chi. Manca la “pistola fumante”, cioè la prova che la sindaca sapesse che Marra si attivava (con altri) per sponsorizzare il fratello. Anzi, potrebbe addirittura esistere qualche prova del contrario: come l’sms inviato dalla Raggi a Raffaele per chiedere conto di quanto scrivevano i giornali e non le era stato comunicato, e cioè che nel nuovo incarico il fratello Renato avrebbe avuto un aumento di stipendio che lei non aveva mai avallato. Il classico caso di processo indiziario, dove solo il giudice, cucendo frasi e fatti col filo della logica, dovrà riempire i buchi probatori dell’accusa. Solo a fine processo, con la sentenza definitiva, si potrà sapere se la sindaca mentì sapendo di mentire, o più semplicemente disse quanto le risultava allora di una delle centinaia di nomine passate sul suo tavolo.

Al momento, dunque, ancora nessun fatto sicuro. E nulla di infamante che imponga sanzioni disciplinari o dimissioni (diversamente dal sindaco M5S di Bagheria, che dovrebbe dimettersi solo per quel che ha detto nelle intercettazioni e nelle dichiarazioni di autodifesa). Naturalmente ieri la notizia della Raggi imputata per falso ideologico ha avuto, nei tg e sui siti dei giornali, cento volte più risalto di quella del sindaco Pd di Milano Beppe Sala imputato la settimana scorsa per falso materiale e ideologico. Eppure lì il reato è un po’ più grave e i fatti, di cui i giudici dovranno valutare la rilevanza penale, sono già assodati perché stampati nero su bianco: i documenti del più grande appalto di Expo (quello da 272 milioni per la “piastra” dei padiglioni, ritenuto truccato dagli inquirenti), furono indubitabilmente retrodatati di 13 giorni dall’allora Ad e commissario straordinario, per sostituire in corsa due commissari incompatibili e sanare ex post l’atto illegittimo. Ieri, al presunto falso della Raggi, il Tg1 delle 13.30 ha dedicato un titolo di apertura e un servizio di 2 minuti e 24 secondi. Otto giorni fa, sul presunto falso di Sala, zero tituli, ma solo una notizietta da studio di 21 secondi. Eppure non risulta che il reato falso sia stato depenalizzato a Milano ed equiparato all’omicidio a Roma. Dunque, per i presunti falsi di Raggi e Sala bisogna attendere le sentenze. Per i falsi del Tg1, invece, basta accendere la tv. E vomitare.
UncleTom
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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Il punto di vista di Alberto Bagnai.






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Bagnai: il grillismo è una religione, funzionale al potere Ue
Scritto il 13/10/17 • nella Categoria: idee Condividi


Elaborare il lutto, dopo aver scoperto di aver votato ancora una volta per il partito sbagliato?

Impossibile, purtroppo: non ce la faranno, ad ammettere l’errore.

Lo sostiene l’economista Alberto Bagnai, a proposito della delusione che starebbe invadendo milioni di elettori del Movimento 5 Stelle, inizialmente entusiasti del giustizialismo moralista grillino.

«Quella dei 5 Stelle è una religione», dichiara Bagnai, a colloquio con Claudio Messora su “ByoBlu”.

Ammette Bagnai: «Io stesso scelsi i 5 Stelle, nel 2013, ma in modo strumentale: volevo votare contro Bersani, specie dopo l’appello pubblico di Eugenio Scalfari che chiedeva di boicottare Grillo».

Autocritico, l’economista di “Goofynomics”, anche sul sistema elettorale maggioritario: «All’epoca votai a favore, ma oggi me ne pento e anzi me ne vergogno: anziché l’alternanza destra-sinistra, il maggioritario ci ha offerto solo una scelta tra due destre, e soprattutto ci costringe a poter votare solo “contro”», cioè a scegliere il (presunto) meno peggio, come appunto il Movimento 5 Stelle alle politiche del 2013, quelle “non vinte” dal Pd bersaniano.

Salvo poi verificare che i grillini non hanno fatto assolutamente nulla, a parte canalizzare il dissenso, addormentandolo su binari innocui per il grande potere finanziario.

«Intendiamoci, so benissimo che tra i 5 Stelle esistono persone ottime, e anche politici che hanno cercato onestamente di darsi da fare», puntualizza Bagnai, che è tra gli economisti italiani che guidano con decisione il fronte anti-euro.

Ma la sua analisi politica è netta: scagliandosi contro un bersaglio apparente ed economicamente irrilevante, “la casta”, cioè la politica tout-court e quindi lo Stato, i grillini – secondo Bagnai, docente universitario di economia della globalizzazione – non hanno fatto altro che assecondare i dogmi-cardine del neoliberismo oligarchico, il cui avversario potenziale è appunto lo Stato, se “impugnato” come strumento democratico contro i poteri forti.

I 5 Stelle (in altri tempi molto vociferi su temi come la medicina alternativa) non hanno battuto ciglio di fronte alla mostruosa campagna sui vaccini obbligatori promossa dal governo Gentiloni attraverso Beatrice Lorenzin.

Ma Bagnai sottolinea soprattutto la farsa tragicomica dei 5 Stelle a Strasburgo, con il tentativo (poi anche pateticamente abortito) di traslocare tra i “falchi” pro-euro dell’Alde, il gruppo centrista ultra-europeista in cui è rappresentato Mario Monti.

Grillo ha gettato la maschera?

Quand’anche, il popolo dei VaffaDay non lo ammetterà facilmente, sostiene Bagnai.

«In realtà – dichiara il professore – il grillismo è una religione, che predica l’odio contro lo Stato».

E da una religione non è facile smarcarsi, con l’abiura.

«Stessa musica per gli esponenti di Sinistra Italiana: capiscono perfettamente che razza di trappola sia l’euro, ma – avendo sostenuto per anni l’euro-sistema, non hanno il coraggio di ammettere apertamente il loro errore».

La riflessione offerta su “ByoBlu”, peraltro datata, fotografa comunque in modo mestissimo lo scenario politico italiano: di fatto (forse, con la sola eccezione della Lega di Salvini) l’offerta non offre nessuna vera alternativa alla completa sudditanza rispetto al potere di Bruxelles, che ha creato deliberatamente la crisi nella quale l’Italia si sta dibattendo da anni.

I grillini?

Da dividere in due: una base quasi fanatizzata “religiosamente”, disponibile a migliorare l’Italia ma frenata da un vertice che ha rivelato la vera natura di “gatekeeper” del movimento, semplice camera di sfogo della rabbia sociale, ben attento a non disturbare mai il manovratore, sulle cose che contano.

Ma la disillusione – l’amara ammissione dell’equivoco – costerà dolore e richiederà tempo, dice Bagnai: per questo, ancora per un po’, l’inutile Movimento 5 Stelle ingombrerà la scena politica italiana.
iospero
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da iospero »

FattoQuotidiano.it / Politica
Legge elettorale, Civati: “Il Pd non si è accorto, ma ha fatto un regalo di Natale anticipato ai 5 Stelle”.

Vedremo già i sondaggi lunedì prossimo che dovrebbero portare il M5S oltre al 30%.

Tutto si può dire del M5S nel bene e nel male, quello che alla fine resta però è la possibilità data ai cittadini di farsi sentire con i referendum senza quorum che loro rendono possibili quando amministrano.
Se si avvererà quanto afferma cIVATI un governo di minoranza potrebbe funzionare per fare cose condivise che trovano il sostegno dell'opinione pubblica.
Resta da vedere la squadra di governo che presenteranno e le loro competenze che vedremo prima delle elezoni .
iospero
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da iospero »

Resta da vedere la squadra di governo che presenteranno e le loro competenze che vedremo prima delle elezoni .

Credo che questa sarà la mossa vincente del M5S se le persone scelte saranno veramente competenti e affidabili. In qls caso resta il fatto che il centrodestra l'abbiamo già sperimentato e abbiamo visto con quali disastrose conseguenze, lo stesso Berlusca chiedeva il 51% per govrnare visto che la coalizione lo bloccava, quindi un M5S al 30% e una sinistra a guida Grasso con il 10% ha buone possibilità di superare il centrodestra. Le prime avvisaglie si vedono già a Ostia , dove dovendo scegliere la Sinistra invita a votare per il M5S.

cielo 70
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da cielo 70 »

A prescindere da come non stanno governando bene le città dove hanno i sindaci, ho avuto modo di vedere come considerano i partiti di sinistra, dallo streaming con Bersani (ma anche Civati non l'hanno accolto bene) al tono astioso che hanno sempre i loro parlamentari, come se fossero gli unici depositari del bene in contrapposizione a quelli che c'erano prima.
UncleTom
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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LA GUERRA PER IL POTERE DEL QUARTO LIVELLO, QUELLO NAZIONALE


18 nov 2017 14:08
“HO QUERELATO BERLUSCONI”

- DI BATTISTA SFODERA I TITOLI ACCADEMICI: “L’EX PREMIER DICE CHE SONO IGNORANTE MA IO HO QUASI DUE LAUREE E UN MASTER. GLI HO CHIESTO 100MILA EURO MA MI ACCONTENTO DI UNA LETTERA DI SCUSE…”- VIDEO

-
da il Fattoquotidiano Manolo Lanaro




Alessandro Di Battista, intervenuto sul palco di Ostia per sostenere la candidata M5S per la presidenza del X Municipio, Giuliana Di Pillo, annuncia: “Berlusconi ha detto che non sono laureato. Io ho quasi due lauree ed un master in tutela internazionale dei diritti umani e l’ho querelato. Gli ho chiesto centomila euro ma mi accontento di una lettera di scuse dove dice ‘Di Battista vanta dei titoli accademici di tutto riguardo. Mi basta questo. Sarebbe fantastico”.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 161106.htm
^^^^^^^^

Dalla Berluconaja Gazieta

poco fa
195
Fassino incontra Pisapia:
"Contro destra e grillini"

Lucio Di Marzo


Nuova gaffe di Di Maio: "La Russia è nel Mediterraneo"

Il gaffeur Di Maio è inciampato ancora nella geografia: "Siamo un Paese alleato degli Stati Uniti, ma interlocutore dell'Occidente con tanti Paesi del Mediterraneo come la Russia"
Chiara Sarra - Gio, 16/11/2017 - 17:31
UncleTom
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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QUANDO LE DEMOCRAZIE SONO ALLA FINE, SUCCEDONO QUESTE COSE





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Giulietto Chiesa: così Beppe Grillo ha ingannato gli italiani
Scritto il 06/12/17 • nella Categoria: idee
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Avevo creduto alle promesse di Grillo, ma mi ero sbagliato: che se ne rendano conto o meno, i grillini non hanno nessuna possibilità di cambiare l’Italia. E nemmeno nessuna intenzione di farlo, stando a come si comportano i leader: nessuna proposta vera su niente di importante, né la crisi economica né quella geopolitica. «Fanno le pulci alle spese dei parlamentari, ma tacciono sui fiumi di soldi che spendiamo per la difesa militare: 60 milioni di euro al giorno, contro i 44 di finanziamento pubblico a cui i parlamentari grillini hanno rinunciato, dal 2013». Parola di Giulietto Chiesa, direttore di “Pandora Tv” e promotore – con Antonio Igroia – del progetto “Lista del Popolo”, definito anche “La Mossa del Cavallo”. In sintesi: «Metà degli italiani non vanno più a votare, l’altra metà votano per partiti in cui non credono più, in gran parte, e intanto l’Italia va a rotoli: quindi che facciamo, stiamo a guardare?». Chiesa punta su una lista che si rivolga all’oceano dell’astensionismo, per portare in Parlamento un nucleo di opposizione radicale al mainstream politico: «Fra cinque anni sarà tardi, perché i cartelli bancari avranno finito di privatizzare il paese e per l’Italia non ci sarà più niente da fare», dice, ai microfoni di “Border Nights”.
A motivare Chiesa rispetto al progetto elettorale con Igroia, anche la cocente delusione rappresentata dai 5 Stelle: «Li ho votati, sperando che la loro spallata sarebbe stata molto utile, ma poi alla spallata non è seguita un’azione». Beppe Grillo? «Mi aveva telefonato, promettendomi che ci saremmo risentiti, per parlare di contenuti. Invece è sparito». Peccato, si rammarica il giornalista, autore di saggi come “La guerra infinita”, sul terrorismo “false flag” dell’11 Settembre. Giulietto Chiesa è tra quanti avevano sperato che, dopo i “vaffa” iniziali, i grillini potessero accettare di crescere e confrontarsi con altri interlocutori sui temi più decisivi. Errore: continuano a ripetere che non faranno alleanze con nessuno. «Hanno ottenuto un grande risultato, dovuto alla genialità spettacolare di Beppe Grillo», ammette. Ma poi, aggiunge, «sostanzialmente hanno ingannato milioni di persone, perché non si può cambiare l’Italia con il 25%». Onestamente: è impensabile cambiare un paese complesso come l’Italia rappresentando solo un elettore su quattro. Si erano illusi di poter conquistare il 51% per cento? «Qualcuno ha addirittura scritto, stupidamente, che tutti si dovrebbero iscrivere al M5S». Altra sciocchezza: «Nel paese ci sono sensibilità diverse, esperienze, storie. Non puoi chiedere alla gente di cancellare il proprio passato. Non esiste una maggioranza della totalità».
Nel frattempo, aggiunge Chiesa, «i leader sono andati dietro a Grillo, il deus ex machina che li aveva portati, tra virgolette, al potere. Hanno creduto che, essendo entrati in Parlamento, fossero entrati nel potere: e ci sono stati comodi». Volevano moralizzare il paese? «Ma la moralizzazione che avevano concepito, adesso si vede con tutta chiarezza: era la lotta contro i politici. Sembravano (e sembrano) non rendersi conto che i politici sono solo dei maggiordomi. E’ un errore di analisi», sottolinea Chiesa. «I veri guastatori della democrazia sono state le banche, i grandi imprenditori che hanno venduto le loro imprese all’estero». Un nome su tutti, la Fiat. «Come mai non si parla mai dei grandi imprenditori ladri? Come mai non si parla dei politici che, insieme a loro, hanno cambiato le leggi dello Stato? Non le hanno mica fatte i politici: le hanno fatte i ricchi banchieri che hanno deciso chi doveva scrivere quelle leggi». Giulietto Chiesa non ha mai smesso di parlare con gli elettori grillini, anche su Facebook. «Qualcuno mi ha detto: ma perché non ti iscrivi al M5S? Io ci ho persino provato, ma sono stato respinto: perché ero troppo ingombrante, per questi signori, a cominciare da Beppe Grillo, e a quel punto ho cominciato a pensare che non era un uomo sincero. E adesso lo penso con cognizione di causa».
Racconta Chiesa: «A Grillo ho offerto aiuto. Gratis, senza nessun impegno. Gli ho offerto documenti, analisi. Una volta mi telefonò, ero a Mosca, mi ringraziava per aver invitato a votare 5 Stelle in Sicilia. Mi disse: forse dovremmo parlarci. E io: bene, lo farò molto volentieri, al mio rientro in Italia. Mai più sentito». Aggiunge Giulietto Chiesa: «Io sono stato espulso, virtualmente, probabilmente perché sapevano che si sarebbero trovati in grave difficoltà a rispondere a mie obiezioni, che erano tutte amichevoli». Assicura: «Non ho niente contro il Movimento 5 Stelle. Anzi, al contrario: penso che in gran parte sia composto da persone arrabbiate, che non hanno il quadro della situazione ma sono arrabbiate, come milioni di italiani. E io sono arrabbiato esattamente come loro, ma ho capito che senza una linea politica chiara, senza aver individuato il nemico, non si vince. Ecco la differenza». In altre parole: inutile sparare sui politici, meglio individuare i veri “mandanti”. E magari, fare proposte concrete: «Il loro programma 2018 è inconsistente, pari a quello del 2013. Nessun impegno sostanziale sull’economia, sull’Europa, sulla Nato».
C’è chi sospetta che i 5 Stelle non siano nient’altro che “gatekeeper”, specchietti per allodole. Missione: deviare l’indignazione popolare verso binari non pericolosi per il potere. Giulietto Chiesa non lo crede: «Ho l’impressione che all’inizio non ci fosse nessun disegno. Credo che né Grillo né gli altri avessero qualche secondo fine. Semplicemente, non essendo in politica, hanno saputo percepire gli umori popolari, e li hanno interpretati. Un fatto spontaneo, quindi, senza un disegno per imbrigliare la spinta popolare». Del resto, qualcosa del genere è avvenuto un po’ in tutta Europa: «Chi ha capito al volo la sfiducia verso i partiti tradizionali ha raccolto questa protesta». Poi, ovvio, i poteri forti hanno strumenti formidabili per imbrigliarla: «Riescono a corrompere, distorcere, inquinare la spinta del nemico. Quindi qualcuno adesso può benissimo aver pensato a questa forza nuova, che però è molto primitiva, non conosce la situazione, non ha esperienza. Qualcuno quindi può aver pensato: ok, dirottiamola su fenomeni secondari. Così il nemico è diventato la classe politica, tutto il resto non è stato visto».
Secondo Giulietto Chiesa, «l’Italia è ridotta a colonia dell’America», al guinzaglio della Nato che minaccia la pace in mezzo mondo. «Ma se tu non ti poni il problema di chi è il padrone che ti ha colonizzato, come diavolo puoi pensare di rivoltare l’Italia come un calzino?». I grillini, insiste Chiesa, si sono scatenati contro il finanziamento pubblico ai partiti, rinunciando finora a 44 milioni di euro. «Ma 44 milioni fanno ridere: la nostra difesa militare ci costa 60 milioni di euro al giorno». Grillo dispone di 170, tra deputati e senatori, che si limitano a fare le pulci al conti dei parlamentari: il problema della spesa militare Nato «dovrebbero sollevarlo in Parlamento e gridarlo ai quattro venti», dice Chiesa. «Almeno, quei 44 milioni dovrebbero usarli fare una televisione, che lo dica tutti i giorni dove finiscono quei soldi. Allora sì, ci sarebbe stato un rilancio del movimento: e invece, su queste questioni, silenzio». A quattro anni dalle elezioni 2013, «il Movimento 5 Stelle non solo non dice “uscire dalla Nato”, ma dice “ci voglio rimanere, nella Nato”». E il suo nuovo leader, Di Maio, «va negli Stati Uniti per dire agli americani: state tranquilli, noi non metteremo in discussione il nostro essere una vostra colonia». E allora, conclude Chiesa, «è la fine del Movimento 5 Stelle, e mi dispiace». Può anche darsi che vadano bene, a queste elezioni, «e io glielo auguro». Ma non hanno più nessuna chance di salvare l’Italia.
UncleTom
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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Il caso
Così Acea è diventata il poltronificio del Movimento 5 Stelle

La ex municipalizzata di Roma è stata colonizzata dai grillini. Che non si sono limitati al tradizionale spoil system dei partiti, ma hanno fatt tabula rasa per assumere solo fedelissimi
di Susanna Turco
10 gennaio 2018
Così Acea è diventata il poltronificio del Movimento 5 Stelle Virginia Raggi
Raccontano strabuzzando gli occhi che, al confronto, il noto Manuale tipizzato dal democristiano Massimiliano Cencelli sia persino troppo raffinato. Dicono che quel che sta accadendo in Acea, scatola nera del potere romano, non l’hanno mai visto in decenni di potere di destra e di sinistra: e sì che chi naviga in queste acque è abituato a vederne di tutti i colori.

Insomma nella Capitale il paradosso grillino è il seguente: dopo aver urlato alla discontinuità e al rifondiamo tutto, giunti al potere i Cinque stelle hanno in effetti compiuto davvero una impresa diversa dal solito. Trasformare lo spoil system nel tabula rasa system. Via tutti, largo ai fedelissimi, trasformando così, nel giro di pochi mesi, la società quotata in borsa della quale il Comune ha il 51 per cento (Gaz de France il 23, Caltagirone il 5 e via dettagliando) in una specie di feudo esclusivo, ancorché occupato tutt’altro che da neofiti del potere. E se come usava dire Luigi Di Maio già all’epoca della vittoria, Roma anticipa ciò che accadrà al livello nazionale, tenersi forte.

All’Acea, alla faccia delle attente procedure di selezione, si va allegri di cooptazione e epurazione grilline, naturalmente entrambe con le dovute eleganze (chi arriva, proviene dai soliti poltronifici), con parcheggi e stanzini più o meno metaforici per i dipendenti improvvisamente fuori linea o, per dirla con chi sa stare a tavola, “preparati, ma troppo attivi” (tra gli stanzinati c’è pure il fratello di un noto attore vicino alla destra, non siamo mica a un pranzo di gala). Con una velocità di esecuzione soprattutto nelle nomine che, dicono, dipenda pure dal timore di veder anzitempo tramontare la stella della sindaca Virginia Raggi, peraltro chiamata giusto il 9 in Tribunale anche lei per questioni di nomine.

In attesa di veder realizzato il pur ambizioso piano industriale appena presentato (3 miliardi di euro di investimenti in quattro anni) dal nuovo management formato dal presidente Luca Lanzalone e dall’ad Stefano Donnarumma, scorrazzano così per la multiutility di acqua e luce nuove figure di comprovata fede. Otto in più solo nella comunicazione, per dire.

Prima fra tutte Massimiliano Paolucci, ex relazioni esterne a Condotte spa, prima ancora Telecom e Aeroporti di Roma (dove ha conosciuto Donnarumma), si dice legato a Fabrizio Palenzona, che è riuscito – segno di indubbio potere – a riassumere in sé le deleghe alle relazioni esterne e quelle agli affari istituzionali, prima separate: non è un caso che nei corridoi di Acea si usi ormai soprannominare l’intera azienda “Paolucci spa” a significare la carta bianca di cui dispone. In prima fila, e in ottimi rapporti con lui, ci sono infatti Giuseppe Gola, ex Enel, Wind e altre di telecomunicazioni, che è arrivato dopo l’estate alla guida di Amministrazione, Finanza e controllo, previa defenestrazione del predecessore dopo soli 18 mesi; il Ceo Office Massimiliano Garri, ex Bip e Deloitte consulting; Michele Grassi, che viene da Enel e adesso è responsabile Commerciale e trading AceaEnergia; quello che è il vero nuovo capo delle risorse umane, Pierluigi Palmigiani, per far posto al quale è stato gentilmente messo da parte il predecessore, peraltro fratello del medico personale di Berlusconi (non siamo a un pranzo di gala).

Molti ingressi come si diceva nello specifico della comunicazione, dove messi da parte i tre che c’erano, ne sono arrivati sei – dirigenti esclusi. Tutti inquadrati, per lo meno come quadri o super quadri e, nel caso dei consulenti, prossimi all’assunzione o garantiti con stipendi equiparati (complessivamente una media di settanta mila euro all’anno, giusto per dare l’idea). Tutti personaggi che vengono da mondi noti. Vi è chi lavorava alla segreteria tecnica dell’ex assessore Colomban e di Romeo, chi stava con Paolucci già in Condotte, chi proviene da Telecom o da Alitalia, chi era direttore generale di Assoelettrica e ha collaborato con il management Acea ai tempi di Alemanno. Insomma la solita trasversalità, solo molto più feroce.
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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Il M5S è un esperimento creato in...

Corsa alle urne
Il M5S è un esperimento creato in laboratorio
Già negli anni Novanta Gianroberto Casaleggio testava come manipolare il consenso con un team ristretto della sua azienda informatica. Dalla nascita del blog al primo Vaffa day. Sino alla normalizzazione dell'èra Di Maio
di Susanna Turco
08 gennaio 2018

Il M5S è un esperimento creato in laboratorio Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo
Il Movimento cinque stelle è un Esperimento. O almeno nasce così. Un Esperimento di ingegneria sociale che ha inizio molti anni prima di diventare una realtà, pubblica, votabile, addirittura in lizza per il governo del Paese. Un Esperimento che alla fine - proprio mentre il suo inventore si ammala e muore - riesce nel capolavoro di addensare la frustrazione e la rabbia del popolo con gli interessi (non sempre limpidi) di alcuni gruppi di potere, diventando la principale rivoluzione politica di questi anni. Un esperimento che forse è sfuggito di mano (lo scopriremo presto) a chi ne ha preso le redini, ma nel quale di partenza e per principio tutto è fungibile, tutto può essere sostituito, brillare per un minuto come il centro del mondo ed essere estromesso un minuto dopo, senza sosta e senza una vera costruzione. «Al minimo dubbio, nessun dubbio», era uno dei motti col quale Casaleggio senior ha sempre fatto fuori chi non lo convinceva più. Perché nel Movimento è la forma - e non il contenuto - ad essere la sostanza. Non importa davvero il “chi parla”, non importa davvero il “che cosa si sostiene”. È il “come”, la formula vincente, la rivoluzione.

Adesso che i Cinque stelle dell’era Luigi Di Maio cambiano regole, statuto, codice etico e si preparano alla corsa verso le elezioni con strumenti da partito classico (c’è persino il tesoriere, si tradisce infine la famosa formula «non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro») e norme che consentono di riaprire alla famosa società civile, il libro “L’Esperimento. Inchiesta sul Movimento 5 stelle”, scritto da Jacopo Iacoboni, giornalista de la Stampa tra i primi a raccontare - in maniera via via più critica - il mondo del Vaffa e le sue evoluzioni, soccorre in libreria (esce il prossimo 11 gennaio per Laterza) con questa interpretazione a mostrare in controluce su quali architravi si regga e grazie a quali meccanismi funzioni l’edificio grillino, che molto e minuziosamente viene descritto, da giornali e tv, ma spesso più frainteso che compreso.

L’Esperimento smonta in radice l’idea che il M5S sia un partito. Non è un partito, almeno in origine, ma uno strumento: mima il partito, i suoi meccanismi, le sue figure. Basti pensare un momento ai suoi personaggi più noti: non solo Luigi di Maio, ma anche Alessandro Di Battista, Paola Taverna, Barbara Lezzi, Roberta Lombardi, e via declinando l’avvocato, l’impegnato, il fessacchiotto, ciascuno precisamente aderente a un canone , ciascuno somigliante a qualcuno che già esiste, come in una commedia dell’arte; c’è persino giusto per fare un esempio la figura del perfetto antagonista, Roberto Fico, che si presta a solleticare le simpatie di una certa sinistra senza tuttavia fare mai la mossa decisiva. Oppure si può ragionare su quante volte abbia cambiato posizione, M5S, dall’atteggiamento verso la Russia a quello nei confronti delle unioni civili. Come un liquido che prenda la forma del contenitore in cui sta, M5S è uno strumento che può essere governato verso qualsiasi scopo e direzione: che adesso sia quella di Luigi Di Maio da Pomigliano D’Arco è un puro accidente (o forse la scalata che ne precede la fine?).

Per arrivare a raccontare tutto questo, l’Esperimento ricostruisce il suo vero inizio. Quando Gianroberto Casaleggio era un giovane manager alla guida della WebEgg, una piccola azienda di sviluppo tecnologico e consulenza informatica, e tra i settecento impiegati mise su un team ristretto di lavoro per sperimentare tecniche di formazione e distribuzione del consenso. Siamo nel 1997-1998, il Paleolitico per quel che riguarda lo sviluppo delle reti. In Webegg il team di lavoro ristretto sul forum del network interno è costituito solo da cinque persone. Iacoboni ne rintraccia uno, Carlo Baffé, e si fa raccontare come funzionava.

«Ci vedevamo in una riunione ristretta per decidere “cosa lanciare sulla Intranet”, per usare un’espressione di Roberto», racconta Baffé, allora giovanissimo ingegnere. Un banale forum aziendale, all’inizio, per discutere apertamente di qualsiasi argomento. A un certo punto «si iniziò a usare il forum per far passare certe posizioni di Roberto come se fossero frutto di una discussione democratica. Il metodo, organizzato in queste riunioni, era il seguente: un membro del gruppo funzionale Intranet lancia la discussione su un tema, un altro membro risponde con una posizione contrastante, poi altri due membri prendono le parti del primo. Un po’ alla volta i normali dipendenti prendevano le parti del primo, e si creava quella che Roberto chiamava la “valanga del consenso”». Ogni tanto venivano inseriti nel forum rotture, o rumori di fondo, o distorsioni pilotate dell’opinione – testate sia sui punti di vista sostenuti dall’iniziatore della discussione, sia su quelli che lo avversavano in maniera più critica. «Il giochino era molto divertente all’inizio – può immaginarsi per un under trenta ritrovarsi a pianificare azioni di questo tipo e vedere che funzionano», racconta ancora Baffé: «Ma poi mi resi conto che non era altro che un esperimento di ingegneria sociale per capire quali fossero i metodi più efficaci per manipolare le opinioni e creare il consenso. Con una discussione apparentemente democratica». Ma i cui confini sono stabiliti dall’alto, a priori, invisibili.

Siamo anni luce prima del blog, del Vaffa day, della Casaleggio Associati. Eppure i meccanismi ci sono, c’è già quasi tutto. Persino già affissi i comandamenti casaleggiani. «Assenza di competitività interna», dove pare di sentir risuonare l’ambivalente «l’uno vale uno» del Movimento. «Teamwork», cioè il dettato a lavorare per temi e piccole cellule: l’idea stessa dei futuri meetup Cinque stelle. Oppure «il divertimento come forza creativa», autentico motto precursore dell’incontro tra Casaleggio e «il suo influencer numero uno», vale a dire Beppe Grillo.

È in effetti l’ingresso in scena del comico genovese, a metà anni Duemila, ad accendere la miccia necessaria a far sì che dalla Casaleggio Associati, che ha ereditato tutti i saperi della WebEgg, nascano il blog, i meet up, insomma il Movimento. Non è però un caso che nel libro venga chiamato il «paziente zero dei Cinque stelle», il primo sul quale l’Esperimento funziona.

E adesso che tornano a rincorrersi voci su un prossimo addio del frontman, è particolarmente interessante l’interpretazione proposta: Grillo come «asset del blog», elemento interno all’amalgama, più Pinocchio che Mangiafuoco, di certo spesso non autore materiale dei post che compaiono sul blog che pure porta il suo nome. «Grillo incredibilmente lascia fare anche quando poco o nulla sa di ciò che viene scritto», racconta Iacoboni. Come quella volta dei vergognosi attacchi sessisti alla presidente della Camera Laura Boldrini. All’epoca Gianroberto Casaleggio parlando coi suoi collaboratori ammise l’errore: «Oggi abbiamo sbagliato ma il risultato che ne è venuto fuori ci dice che la rete è dalla nostra parte. È la rete che decide la reputazione delle persone. Per il futuro dobbiamo essere in grado di canalizzare questo sentimento senza apparire direttamente, governandolo».

A leggerlo con il segno del poi, una specie di manifesto.
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iospero
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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L'età adulta del movimento
Alla Fabbrica delle idee di Pescara spazio alla dichiarazione spot per i tg, le riunioni semi-carbonare del 2013 sono un ricordo
20/01/2018 20:35 CET | Aggiornato 27 minuti fa

La mutazione genetica si coglie fin dal mattino. Viene annunciato un punto stampa. I giornalisti accorrono al secondo piano dell'Aurum, la splendida ex distilleria di Pescara riconvertita a centro congressi dove il Movimento 5 stelle ha organizzato la sua tre giorni di formazione pre-elettorale.

Arriva Davide Casaleggio, si accendono le telecamere, la ressa delle grandi occasioni. "Posso andare?", domanda. Ancora qualche spintone, poi l'assenso. "In questi giorni discutiamo uno dei programmi più innovativi creati in Italia, partecipato direttamente dai cittadini e votato sulla piattaforma Rousseau da più di un milione di persone su ventidue ambiti tematici". Un momento di pausa per rendere agevole il lavoro dei montatori. Poi ringrazia e se ne va, nonostante qualche blanda protesta è un po' di borbottii: e le domande?

Un dettaglio di quaranta secondi in una lunga giornata di sole - e a tratti di noia - che è un piccolo grande paradigma del cambiamento che ha portato i "fantastici ragazzi" del 2013 a diventare, sia pur con fatica e a costo di qualche scivolone, un pezzo di classe dirigente del paese.

Perché la dichiarazione spot, quella a uso e consumo dei Tg della sera, è stata una pratica a lungo duramente contestata a Montecitorio e dintorni dei deputati 5 stelle. E perché cinque anni fa, nella penombra di un hotel a due passi dalla stazione Termini di Roma, per carpire qualche parola di Casaleggio (padre) occorse aspettare qualche giorno e un paio di incauti resoconti dei cittadini portavoce ai meetup locali.

La rivoluzione ha lasciato il passo all'adeguamento al mezzo, ma per cercare di dominarlo, provando a essere ogni giorno un passo più in là rispetto al precedente.

Tutto nella "Fabbrica delle idee" di Pescara parla di questo. Tre giorni in cui gli eletti uscenti di ogni ordine e grado hanno tenuto vere e proprie lezioni ex cathedra a attivisti e neo-candidati bisognosi di know-how. "Sono rimasto stupito dalle tantissime domande, molte anche fuori tema, ma che dimostrano la grande voglia di preparazione", dice Francesco D'Uva, che ha parlato di università. La collega Giulia Sarti racconta del timore che è stato costitutivo delle origini del Movimento: "Io ho parlato di giustizia, e avevo paura di una raffica di domande complottarde, dietrologiche. Invece la gente stava sul pezzo". Addio scie chimiche, in soffitta gli spauracchi di Bildeberg e Trilateral.

Distanze siderali dalle riunioni semi-carbonare in hotel delle borgate di Roma nel 2013. Improvvisazione al comando, la costante di un seminterrato illuminato male, un servizio d'ordine messo in piedi a fatica da un pugno di attivisti, due facenti funzione da ufficio stampa che a domanda puntualmente rispondevano non so, non ho sentito, ero distratto. Gli eletti del boom dello Tsunami Tour schiavi della dicotomia di chi da un lato teneva i giornalisti dietro una vetrata, smartphone in mano per riprendere creature quasi mitologiche da esporre al pubblico ludibrio della fan base sui social, e dall'altro, causa la scarsa o nulla conoscenza reciproca, veniva puntualmente infiltrato dal "nemico" con il taccuino in mano.

Una vita fa. Nel centro congressi pescarese si viene accolti da gentili hostess che coadiuvano il servizio d'ordine, la batteria di addetti stampa con anni di esperienza fra Parlamento e gestione di grandi eventi è schierata al gran completo. La formazione delle nuove leve è cruciale per un partito che, pur non ammettendo di essere tale, prova a crescere per esperienza e competenze organizzando una formazione interna da fare invidia alle gioiose macchina da guerra che furono.

I deputati sciamano per i corridoi, si intrattengono a parlare con i cronisti. Come darà l'annuncio delle candidature ufficiali domani Di Maio? C'è chi fa ipotesi, c'è chi scherza, come Sergio Battelli: "Li radunerà tutti nel piazzale e lui farà pollice verso agli esclusi". Non si sottrae nemmeno Max Bugani, tra i sodali più stretti di Casaleggio e del candidato premier: "I notai sono al lavoro, domani nel tardo pomeriggio ci consegneranno la lista. Non sarà uno show, ma non diremo nemmeno andate a leggerli online, qualcosa faremo". Niente a che vedere con le origini. Celebre un episodio del 2013, quando un drappello di senatori toscani spiegò di andare a fare un giro per vedere Roma e inscenò un curioso depistaggio con un pugno di cronisti sulle loro tracce. Andavano a incontrare Grillo.

Cinque anni dopo gli arrivi delle star sono scadenzati e ne viene data evidenza pubblica: Di Battista arriva a quell'ora, Di Maio domani a quell'altra. Dai seminterrati, le moquette, la tappezzeria di pesante broccato, all'arioso secondo piano di un modernissimo centro congressi, sale con vetrate luminosissime che si affacciano sul clemente tempo abruzzese, porte chiuse solo per non congestionare gli spazi, perché i giornalisti possono tranquillamente affacciarsi allo streaming sul web.

Una rivoluzione copernicana di chi sa che probabilmente ha ancora lacune importanti per un'eventuale sfida di governo, ma che vuole far di tutto per colmarle. Abbattuto totalmente l'aspetto spettacolare, le intemerate del fondatore. Beppe Grillo non c'è, la tre giorni di "Frattocchie" stellate è organizzata a uso e consumo interno, unica eccezione una piccola sala stampa in un foyer. Alessandro Di Battista viene aspettato dagli obiettivi, invocato come una sorta di antidoto per una giornata che altrimenti scivolerebbe via piatta. Ma la sostanza è altrove, sotto la pelle di quegli splendidi ragazzi che dopo cinque anni sono diventati un po' più uomini.

Il filo rosso che unisce passato e presente è l'idiosincrasia dei vertici per la parola alleanze e la corsa a indovinare, oggi come allora, se qualcosa di diverso invece potrebbe accadere. Dal "se vi alleate me ne vado dal Movimento" targato Gianroberto Casaleggio del 2013 al "Panda carnivoro" Made in Grillo di oggi. Eletti ed eligendi, qualunque sia il loro grado di autorevolezza e visibilità, come un tempo tengono le bocche cucite. È tutto un "non so", "il tema non si pone", "si vedrà dopo le elezioni". Sentite Emilio Carelli, che da queste parti è un neofita ma che con le alchimie e gli scenari politici ha una certa dimestichezza data da anni di esperienza sul campo: "Questo lo dovete chiedere a Di Maio, decideremo la sera delle elezioni".

Una fonte di primo piano spiega che tra i vertici l'amara consapevolezza che "arriveremo prima lista con una legge elettorale che premia le coalizioni" limita molto i margini di manovra e, di conseguenza, il dibattito interno. Ma la volontà di arrivare preparati a un eventuale appuntamento con il destino è comunque il vero motore immobile del Villaggio Rousseau.

Quello, insieme alla consapevolezza che, con tutti i suoi limiti, il Movimento ha dato rappresentanza a una vasta parte di elettorato italiano, e con questo fatto deve fari i conti ogni giorno. A due passi dall'Aurum passeggia il senatore Luigi Morra. Lo ferma un uomo, visibilmente commosso. Gli indica la moglie: "Grazie al fondo per il microcredito a cui devolvete gli stipendi mia moglie ha potuto aprire un'impresa di pulizie". Lei gli passa il bigliettino da visita. Ci sono una scopa e un'aspirapolvere incrociate. Dietro, una stella, uguale a una di quelle che campeggia nel simbolo della creatura di Grillo. Il senatore si gira. Sorprendentemente cita Aldo Moro: "Il paese rinascerà quando sorgerà una nuova era dei doveri".

Tutto cambia, anche i vecchi leader democristiani possono diventare, all'occorrenza, fonte d'ispirazione. Tutto muta. Tranne la ieraticità di Casaleggio - il figlio (quasi) come il padre - chiuso per ore in una stanzetta del piano terra, in costante contatto con i suoi a Milano. Strappargli mezza battuta è impossibile. Forse verrà anche quel momento, con il tempo. Ma non è questo il giorno. Dopotutto, per parafrasare una canzone che fu anche un'epoca, "video killer the web star".
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