Come se ne viene fuori ?

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camillobenso
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STABILITÀ, REGALO ALLE BANCHE RISCHIO STANGATA SULLE ACCISE

(Marco Palombi).
18/10/2013 di triskel182


PER ABOLIRE LA SECONDA RATA IMU L’ESECUTIVO È PRONTO A RIVALUTARE LE QUOTE DI BANKITALIA, UN BALSAMO PER I CONTI DEI GRANDI GRUPPI IN DIFFICOLTÀ.

È un work in progress ”. Fonti di governo riassumono così la manovra approvata, in tutta fretta, poco prima della mezzanotte di lunedì: “Abbiamo dato l’impostazione, il resto dovremo per forza farlo in Parlamento”. Praticamente il ddl Stabilità è ancora una bozza: le coperture traballano e la maggior parte, scommettono a palazzo Chigi, verranno trovate nelle prossime settimane. Poi, anche se non sembra aver creato particolari problemi nella maggioranza, c’è una cosa che ancora manca: l’abolizione della seconda rata dell’Imu sulla prima casa, quella di dicembre, che vale 2,4 miliardi. “Non c’è – conferma un dirigente del Pd – L’idea è fare un decreto a fine novembre”. Insomma, mancano due miliardi e mezzo per l’anno in corso, mentre l’intervento sul cuneo fiscale nel 2014 s’è rivelato una cosetta da 10 euro al mese che in molti casi sarà completamente riassorbito dal taglio da mezzo miliardo su detrazioni e deduzioni. E allora? Sotto con la creatività: la copertura della seconda rata Imu dovrebbe arrivare dalla rivalutazione delle quote della Banca d’Italia, i soldi per aumentare l’intervento sul cuneo nel 2014 dal concordato fiscale con la Svizzera.

Bankitalia e “l’associazione a delinquere”

L’ha chiamata così Tito Boeri in un pezzo su lavoce.info per indicare la convergenza di interessi tra le banche che devono rafforzare i loro pencolanti requisiti patrimoniali e la politica in cerca di soldi facili. Nella parte della vittima, come spesso capita, l’interesse generale e la razionalità. Riassunto: la nostra banca centrale è al 94 e dispari per cento di proprietà delle ex banche pubbliche (Bnl, Intesa, Unicredit, etc). Il capitale è diviso in trecentomila quote dal valore simbolico di 156 mila euro. L’ideona – assai sponsorizzata da Renato Brunetta e che ora viene studiata da una commissione di Bankitalia – è che aumentando quel valore si otterrebbero due risultati: patrimonio per le banche, entrate per lo Stato dalla tassazione della plusvalenza. Problema: questa operazione o non servirà a niente o sarà dannosa. Intanto stabilire il valore della Banca d’Italia è difficile: seguendo “parametri oggettivi”, ha spiegato Boeri, si arriva alla cifra di un miliardo circa, il che comporterebbe poche decine di milioni di euro di introiti per l’erario. Se, con Brunetta, immaginiamo invece un incasso di cinque miliardi, visto che l’aliquota è al 20 per cento, le quote andranno valutate 26 miliardi di euro. Anche tralasciando il fatto che poi, volendo riportare la banca in mano pubblica, bisognerebbe spendere un pacco di soldi, c’è un altro problema: finora Bankitalia ha distribuito “dividendi” per 45 milioni l’anno circa in virtù del suo basso valore, con la nuova quotazione passerebbero a circa un miliardo. Gli istituti di credito, insomma, guadagnerebbero patrimonio e in capo a pochi anni comincerebbero persino a guadagnarci: il governo, però, avrebbe i soldi per abolire la rata di dicembre dell’Imu. Non è, peraltro, l’unica buona notizia per le banche contenuta nella legge di stabilità: c’è già la deduzione dei crediti deteriorati in cinque anni anziché diciotto e pure il permesso a Cassa depositi e prestiti di intervenire anche sulle grandi imprese e non solo sulle Pmi (si tratta di fornire “garanzie” alle banche, che così potrebbero fare nuovo credito o, più probabilmente, ristrutturare il vecchio).

Accise, coperture ballerine e Bruxelles

Aspettando notizie sul concordato fiscale con la Svizzera – “poche settimane” – che consenta di sgravare davvero i redditi da lavoro e le tasse sulle imprese (almeno per quelle che assumono, cioè quelle che esportano, le aziende in crisi dal governo Letta non avranno niente), c’è il problema che le cifre della manovra “work in progress” per il momento ballano in maniera preoccupante: entrate una tantum come la rivalutazione dei cespiti dovrebbero coprire spese strutturali, tagli non ancora definiti uscite già ben individuate, dismissioni destinate per legge al taglio del debito messe a coprire il deficit. Ovviamente la commissione Ue – che con le nuove regole sulla sessione di bilancio europea ha poteri vastissimi – guarda con sospetto a questo tipo di operazioni e, per tranquillizzarla, il governo ha messo lì la solita “clausola di salvaguardia”: se il bilancio non va come previsto e la spending review non funziona, aumenteranno le accise (benzina o sigarette) e ci sarà un taglio progressivo di agevolazioni, deduzioni e detrazioni fiscali. Una mazzata da dieci miliardi a regime, cioè nel 2016. Se vi ricorda qualcosa è perché lo fece già Tremonti e ora l’Iva è al 22 per cento.

Da Il Fatto Quotidiano del 18/10/2013.
camillobenso
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STRACCI! SCHIAFFI! SPUTI! (MA MODERATI) - CASINI: “MONTI UN DILETTANTE, PENSAVA DI ESSERE ALL’UNIVERSITÀ DOVE LUI INSEGNA E GLI ALTRI FANNO LE DOMANDE” - MONTI: “PROFESSIONISTI DELLO SLALOM”


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Interviste incrociate di odio e delegittimazione - “Mauro e Casini vogliono snaturare Scelta Civica, una politica GPS, dei posizionamenti” - Pierfurby e Rigor Montis litigano sull’appartenenza al PPE, l’imbarco di berluscones pentiti, e il voto sulla decadenza di B., su cui Casini non ha ancora deciso…


1. "NOI CON SILVIO? MARIO È RIDICOLO E LA POLITICA NON È L'UNIVERSITÀ"
Alberto D'Argenio per "la Repubblica"


Presidente Casini, cos'è successo con Monti?

«Io e altri undici senatori abbiamo chiesto una verifica politica perché da giorni si moltiplicavano le critiche di Scelta Civica al governo quando il nostro ruolo principale deve essere quello di stabilizzarlo e aiutarlo. Prendo atto che, di fronte a questa richiesta, Monti ha preferito dimettersi per l'impossibilità di conciliare le posizioni all'interno del suo partito. Ma la politica non è l'università dove il professore insegna e gli altri al massimo fanno domande; la politica significa ragionare con tutti e arrivare a una sintesi».

È pentito dell'alleanza con Monti?

«Ho sostenuto con convinzione il suo governo e trovo triste che oggi nessuno riconosca più a Monti i suoi meriti. Certo questa esperienza politica non ha funzionato. Fin dalla campagna elettorale si è colto un disagio nell'abbinare tanto dilettantismo al nostro professionismo politico. Consiglio di vedere i resoconti parlamentari per capire quale di queste due categorie funzioni meglio».

E ora qual è l'orizzonte dell'Udc e di Casini?

«Sono convinto che se facciamo finta di non vedere che il bipolarismo sbracato e primitivo è stato messo in discussione da Grillo non cogliamo l'essenza della sfida che abbiamo di fronte. In tutta Europa i populisti stanno crescendo, ma se in Germania si fermano al 5%, in Italia con Grillo sono arrivati al 25%. Per sconfiggere il populismo serve una democrazia dell'alternanza basata su chi si riconosce nel Partito socialista europeo e chi si riconosce nel Partito popolare europeo».

Con chi lo farebbe questo Ppe italiano?

«Con un centrodestra che metta al bando il populismo, che non abbia atteggiamenti strumentali e demagogici. Negli Stati Uniti i Tea Party hanno distrutto i repubblicani; è esattamente quello che stanno facendo tanti falchi nel Pdl. Io non so se il Ppe italiano nascerà, ma già il fatto che nel centrodestra sia in corso un dibattito è positivo». Parla dei falchi: emarginati loro sareste disposti ad allearvi con un Pdl ancora dominato dal Cavaliere? «Chi dice che andiamo da Berlusconi è ridicolo. Io Silvio l'ho contestato quando aveva il vento in poppa, non debbo più dimostrare nulla a nessuno. Questa idea non è all'ordine del giorno».

Dunque l'interlocutore è Alfano?

«Gli interlocutori sono tanti, non solo in casa del Pdl. Esistono personalità come Mauro, Olivero, Dellai, Riccardi, espressione del popolarismo migliore con anime e sensibilità diverse. Ciò che va messo al bando è il bipolarismo primitivo fondato sulla delegittimazione reciproca. Bisogna dire grazie al governo Letta che lavora per la pacificazione. Ormai Berlusconi è un argomento di comodo che viene evocato quando si è a corto di argomenti. Chissà com'è contento Silvio a vedere quanti prigionieri è riuscito a fare».

Ma con Alfano ci parlerà solo se romperà con Berlusconi uscendo dal Pdl?

«Lei mi vuol far alzare dei muri, non abbatterli...».

Nell'immediato cosa farete? Ci saranno gruppi parlamentari cattolici distinti da quelli montiani?

«I gruppi li abbiamo già, vi è un'area molto ampia nel gruppo al Senato che vuole una politica di serietà e non ha paura del dibattito interno. Li si sono abbattuti i muri e siamo impegnati a costruire un'idea del futuro nella politica italiana».

Il rapporto con Monti nell'ottica del Ppe è recuperabile?

«Stimavo Monti e lo stimo ancora, sono convinto che porterà un ottimo contributo ai lavori del Senato».

Il Ppe lo dovete comunque fare con i berlusconiani: sulla decadenza del Cavaliere come voterà?

«Di certo non mi trincererò dietro al voto segreto, aspetto le conclusioni della giunta e le discuterò in aula. Spiegherò agli italiani come intendo votare».

Ma al momento qual è il suo orientamento?

«Mi auguro che Berlusconi capisca che per salvaguardare la dignità del suo percorso politico sottoporsi al voto del Senato è un errore. Mi auguro che questo voto proprio non ci sia, lo spero soprattutto per lui».


2. HO IMBARCATO SPECIALISTI DI SLALOM SENZA ME BERLUSCONI SAREBBE SUL COLLE»
Aldo Cazzullo per il "Corriere della Sera"

Presidente Monti, che cos'è successo? Un fulmine a ciel sereno? Perché queste sue dimissioni improvvise?

«Non è stato un fulmine a ciel sereno. Il cielo non era sereno affatto. Può diventarlo ora. Serviva una ventata che spazzasse via la nebbia, al cui riparo undici senatori, più un senatore al governo, operavano per uno snaturamento di Scelta civica. In particolare due capitani di lungo corso: il senatore Pier Ferdinando Casini e il ministro Mario Mauro, più altri improbabili compagni di viaggio».

Cosa intende per snaturamento?

«Casini e Mauro furono tra coloro che più mi sollecitarono, un anno fa, perché accettassi di guidare una nuova formazione politica, intitolata all'agenda Monti. Scelta civica è stata la prima formazione politica, già in campagna elettorale, a sostenere la necessità di una grande coalizione. Il Pdl se ne è convinto solo dopo il voto, il Pd ha impiegato altri due mesetti. Noi sapevamo che per fare le riforme occorrono spalle larghe: se non è fondato su una seria cooperazione tra i maggiori partiti, un governo non riesce ad andare contro gli interessi costituiti, che bloccano il cambiamento. Noi pensiamo - e dico noi perché negli organi direttivi di Scelta civica questa idea è sempre prevalsa - che il nostro ruolo sia pungolare il governo, per dare più forza al presidente del Consiglio affinché tenga saldamente il timone, senza soggiacere alle pressioni elettoralistiche dei partiti più grandi».

Si riferisce all'abolizione dell'Imu?

«Quello è stato, purtroppo, un ottimo esempio. Il governo si è piegato, in quel caso, al volere del Pdl e ciò ha molto ridotto i margini di manovra della legge di stabilità, sulla quale abbiamo espresso una posizione in parte critica. Mauro, Casini e i loro seguaci (la cui familiarità con le strategie economiche non era finora risultata evidente) sostengono invece che non bisogna recare il minimo disturbo al manovratore, come se - malgrado i quotidiani diktat del Pdl e del Pd al governo - Scelta civica, ed essa sola, dovesse restare supina, rinunciare ad esercitare quello stimolo alle riforme per il quale siamo nati.

Tra l'altro, questa visione contrasta con la linea dello stesso premier Letta, che nel discorso del 2 ottobre per la fiducia si è detto anch'egli convinto della necessità di un contratto di coalizione, come noi sosteniamo da tempo. Per questo lunedì gli abbiamo mandato una bozza, che abbiamo reso pubblica. Vedremo ora come Letta intenderà muoversi».

Tutto qui il contrasto con Mauro e Casini?

«È un contrasto non da poco, c'è tutta la differenza tra una politica dei contenuti, l'unica che interessa a noi, e una politica tipo GPS, cioè dei posizionamenti, degli schieramenti, l'unica che forse interessa ad altri, sopraffini professionisti della politica. Ma Mauro e Casini paiono molto attivi su un secondo snaturamento di Scelta civica, dissolvere il nostro movimento in un nuovo soggetto "moderato", aperto a quanto pare anche al Pdl, senza badare troppo se questo si sia veramente emendato di quelle personalità, di quei valori e di quelle linee politiche che sono molto diverse da quelle su cui si è costituita Scelta civica. Noi siamo nati per unire un'anima liberale e un'anima popolare, ma in una prospettiva di serio riformismo orientato all'Europa».

Scusi, ma l'approdo che lei ha in mente, cioè il Ppe, il Partito popolare europeo, non è lo stesso dei «capitani di lungo corso»?

«In un colloquio con il presidente del Ppe Wilfried Martens poco prima che morisse, ho chiarito che io stavo portando Scelta civica nel suo partito, superando le perplessità di chi tra noi guardava all'Alde, l'Alleanza dei liberaldemocratici guidata da Guy Verhofstadt: una posizione che, se si badasse alla possibilità di incarichi di prestigio nelle istituzioni europee, sarebbe stata la più conveniente, visto che l'Alde sarà l'ago della bilancia a Strasburgo. Dicendo che avrei proposto a Scelta civica di aderire al Ppe, i nostri "capitani di lungo corso" hanno visto svanire l'alibi decoroso, di poter presentare una loro dipartita dai valori di Scelta civica come unico modo per andare nei Popolari».

Così Mauro e Casini l'hanno messa in minoranza.

«No di certo. Le nostre posizioni sull'identità e il ruolo di Scelta civica sono maggioritarie. Ma mi è perso necessario dare la massima evidenza, e subito, a questa piccola e insidiosa sedizione, per tutelare quanti sono venuti in Scelta civica con entusiasmo per contribuire a trasformare i contenuti e lo stile della politica italiana. E per esortarli a mobilitarsi. Tocca a loro, ora, unirsi e affermare la loro leadership».

Ma se la sua linea dovesse prevalere lei potrebbe tornare alla guida del partito?

«No. Questo no. Ma da senatore a vita, con maggiore libertà e distacco, mi propongo di essere attivo come prima, e magari con un'influenza non minore, per affermare la visione, i valori, lo stile di governo che Scelta civica vuole promuovere».

È pentito di avere imbarcato Mauro e Casini?

«Non mi sembra prioritario indugiare sui pentimenti. Certo, ho pensato che se alcuni insistevano tanto perché io mi impegnassi in politica, fosse perché vedevano un'esigenza di cambiamento, più che un interesse di collocamento. Chissà. Mauro da capogruppo al Senato è andato, con il suo collega alla Camera Dellai, a trattare per la composizione del governo - di cui non mi sono occupato -, e ne è uscito ministro della Difesa.».

Di lei dicono che sia un dilettante della politica.

«Se i professionisti sono gli specialisti di slalom, allora mi considero un dilettante. A quanto pare, nessuno di questi professionisti provetti era disponibile nel novembre 2011 per prendere decisioni difficili, per fare le cose rinviate da troppo tempo».

Cosa pensa di Enrico Letta?

«Quando gli consegnai la campanella, al momento del passaggio delle consegne, gli dissi che se avessi potuto scegliere un successore sarebbe stato lui: un uomo giovane, di molta esperienza, di cultura europea, che sa le lingue ed è capace di rappresentare l'Italia con dignità. Però le larghe intese sono una condizione necessaria ma non sufficiente per fare le riforme. Il premier dovrebbe predisporre misure che diano qualche insoddisfazione politica alla destra e qualche insoddisfazione politica alla sinistra , dovrebbe fare scelte che scontentino le constituency della destra, quelle della sinistra e quelle del centro, se le avesse. Il rischio è che l'attuale grande coalizione bilanci i benefici politici per la destra e i benefici politici per la sinistra. Sono dispiaciuto che, forse per ingraziarsi il Pdl e Berlusconi che minacciava la crisi per le sue questioni giudiziarie, il governo abbia, in particolare sull'Imu, realizzato il programma elettorale del Pdl».

Non le è piaciuta la legge di Stabilità?

«Non è che se ne sappia molto. Sono soddisfatto che si siano rispettati i vincoli europei. Ma si doveva abbassare di più la pressione fiscale, ora che la fase d'emergenza è superata. E si doveva cominciare diminuendo le tasse sul lavoro, poi l'Iva, infine le imposte sulla casa. Invece, obbedendo a un diktat, i primi due obiettivi, che sono i più importanti per la crescita, sono stati penalizzati».

Voterà sì o no alla decadenza di Berlusconi?

«Leggerò la relazione che sarà presentata dalla commissione elezioni del Senato. Si voterà sull'applicazione di una legge, non su una persona. È una legge che porta la mia firma, oltre a quella dei ministri Severino, Cancellieri e Patroni Griffi. La considero una legge costituzionale, che non necessita di ulteriori verifiche. A questa legge mi atterrò».

I «capitani di lungo corso» le hanno detto che voteranno - o le sembrano intenzionati a votare - contro la decadenza di Berlusconi?

«Non ne ho la minima idea. Nel partito non ne abbiamo discusso. Immagino che non l'abbia fatto neppure il ministro Mauro, con il presidente Berlusconi e il segretario Alfano, suoi ospiti a colazione al circolo ufficiali del Ministero della Difesa».

Chi guiderà Scelta civica dopo di lei?

«C'è il vicepresidente vicario Bombassei. C'è uno statuto che fissa le regole per scegliere il nuovo leader. Non è un partito personale. Subito dopo le elezioni abbiamo tolto il mio nome dal logo, ora si chiama solo Scelta civica per l'Italia. Una dizione molto significativa, credo».

Non sarà un partito personale, ma tutti lo consideravano il partito di Monti. Sopravviverà alle sue dimissioni?

«Certo. Così funziona la vita delle istituzioni e della politica».

Non è pentito di essere «salito in politica»? Se potesse tornare indietro lo rifarebbe?

«Certo che lo rifarei. Non sono affatto pentito. Sapevo che sarebbe stato costoso sul piano personale sacrificare quella cosa impalpabile ma importante che è la terzietà, su cui avevo impostato tutta la mia vita. Ne ho pagato un prezzo forse ancora maggiore di quello che mi aspettavo. Ma in 50 giorni, non so come, senza organizzazione, abbiamo preso oltre tre milioni di voti, in maggioranza di centrodestra. Senza di noi, il Pdl avrebbe la maggioranza alla Camera e al Senato, Berlusconi sarebbe diventato a sua scelta presidente della Repubblica o presidente del consiglio, e avrebbe deciso da chi sarebbe stata occupata l'altra posizione. Scelta civica ha contribuito a costruire la grande coalizione, a ristabilire quel rispetto per la politica europea e per il bilancio pubblico che nella campagna elettorale era stato gettato alle ortiche. Senza di noi, il corso della storia italiana sarebbe stato leggermente diverso».


3. SCELTA CIVICA IN BILICO. IL CASO DECADENZA
Dino Martirano per il "Corriere della Sera"

Ora si tratta di capire se Scelta civica riuscirà a sopravvivere dopo lo strappo del suo fondatore. L'addio alla leadership attiva da parte del professor Mario Monti, in polemica con gli «scissionisti» guidati dal ministro della Difesa Mario Mauro e spalleggiati da Pier Ferdinando Casini (Udc), ha terremotato il partito che alle scorse politiche aveva raccolto quasi 3 milioni di voti.

La botta per i «montiani» è stata forte. Ma i motivi del dissenso interno sono altrettanto forti e lo ha ribadito lo stesso Casini che ieri ha avuto modo di incrociare Monti alla commemorazione per Wilfried Martens, il padre del Partito popolare europeo: «No, sulla decadenza di Berlusconi non ho ancora deciso. Non è vero che ho contrattato con Berlusconi, non ho parlato con lui e non gli parlerò. Sarà un voto che appartiene alla mia coscienza e basta. Al momento giusto lo dirò».

Ecco, proprio le voci su uno smottamento dei centristi verso il voto contrario alla decadenza di Silvio Berlusconi sarebbero all'origine dello strappo di Monti. Poi, l'ipotesi di cedere alle richieste del Pdl sull'Imu prima casa anche nel 2014 e la prospettiva di un'alleanza elettorale con il centrodestra hanno chiuso il cerchio. Ma Casini, ora, non vuole vestire i panni del grande cospiratore che ha ordito la trama con Mauro (legato a Comunione e liberazione), con il ministro Maurizio Lupi (anche lui ciellino ma del Pdl) e con alcune sfere ecclesiastiche: «Le accuse di Monti nei miei confronti sono semplicemente ridicole.

Monti sa cosa significa governare questo Paese quando c'è una maggioranza litigiosa. Questo atteggiamento rissoso anche da parte di Monti sull'azione dell'esecutivo, questi continui distinguo non sono accettabili». E Monti deve ritirare le dimissioni? «Non gli chiederò di ritirale perché non mi riguarda... In ogni caso non può seminare zizzania, deve collaborare».

È questo il clima, dunque, in cui al centro sta avvenendo la conta tra filo Scelta civica (Monti) e filo Ppe (Casini, Mauro, Olivero). A Palazzo Madama i 12 senatori guidati da Mauro e Casini potrebbero confluire in un nuovo gruppo dei «popolari». Alla Camera (7 deputati dell'Udc su un gruppo di 47 quasi tutti montiani) l'operazione è più difficile: «Vorrei sperare che non ci sia la necessità di creare gruppi diversi perché l'Italia ha bisogno di stabilità e sarebbe un paradosso se Scelta civica fosse all'origine dell'instabilità», dice il capogruppo Lorenzo Dellai.

E anche il deputato Andrea Romano è ottimista sulla tenuta dei gruppi: «Credo che molti dei colleghi del Senato non saranno disposti a seguire Mario Mauro in questa avventura. Hanno firmato quel documento in buona fede, senza calcolare le conseguenze». I «lealisti» fanno sentire la loro voce soprattutto dal territorio: dal Veneto, dalla Campania, dalla Toscana giurano fedeltà al professore.

Per questo il ministro Mauro ci tiene a precisare che non ha alcuna intenzione di far confluire il suo drappello di senatori nel Pdl: «Chi spera di trasformare la mia lealtà al governo e alle ragioni della grande coalizione in una operazione pro Berlusconi fa un atto vile, degno della peggiore propaganda fascista». Ma ieri il «mattinale» confezionato a uso interno per il Pdl esibiva un titolo: «Addio Monti. Il fallimento del Grossen Rosikonen».

E in questi giorni di movimento al centro, torna la voce di Corrado Passera che il progetto di Scelta civica ha visto con sospetto fin dall'inizio: «Temevo che finisse così, per cui con grande sofferenza, ai tempi, dissi di no. Perché in quel progetto è mancato il coraggio delle proposte radicali». Per questo l'ex ministro dello Sviluppo non perde l'occasione per rilanciare il suo schema e la sua squadra: che in realtà è una «rete di eccellenze» per scrivere un programma di governo basato sulle migliori esperienze dell'impresa, dell'università, del welfare, della giustizia: «C'è un grande lavoro per rimettere in moto questo Paese».
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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L'I have a dream, di Gramellini (considerazione finale, ultime due righe)


La mossa del cavallo

(Massimo Gramellini).
19/10/2013 di triskel182


Visti da lontano dobbiamo fare una certa impressione: un Paese in mutande, e non per metafora, che la sera combatte l’ansia appassionandosi al romanzo sceneggiato di un plutocrate ottantenne (in questi giorni è in cartellone l’acclamata sottotrama saffica, protagoniste una bulgara e una napoletana).

Visti da vicino, anzi da dentro, abbiamo una spiegazione che però non è una giustificazione: il desiderio di distrarsi è tipico dei depressi e la realtà procura tali bordate di angoscia che si preferisce guardare altrove.

Persino l’indignazione si esercita meglio, se la si applica a un argomento piccante e grottesco.

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Provate a sorridere con il ministro del Welfare, che ammette come fra qualche anno potrebbero non esserci più soldi per le pensioni.
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Provate a ricaricarvi con un governo frigido, che attira il plauso dei potenti stranieri e il magone dei contribuenti italiani.

Il saggio del Quirinale sostiene che il coraggio è cosa diversa dall’incoscienza.

Ha ragione.

Eppure oggi l’unica alternativa alla scelta perdente tra rimozione e rassegnazione (all’ordinaria amministrazione) consiste nel lasciarsi invadere da un pizzico di follia.

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Il declino economico rappresenta l’effetto, non la causa, di un declino psicologico che avanza da decenni.

Siamo così avviliti che pur di non pensarci ci aggrappiamo ai pettegolezzi d’alcova su un vecchio o ai rimpianti per un passato che non tornerà.

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Non è più il tempo degli esecutori, questo, ma dei creatori.

Alla vita pubblica, forse anche a tante vite private, servirebbe un gesto di rottura, un cambio di abitudini, una mossa del cavallo in grado di restituire significato alla parola futuro.

Da La Stampa del 19/10/2013.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Il quaderno delle buone intenzioni.

Quando un direttore esordisce fa sempre un quaderno delle buone intenzioni.

L’accenno che quel giornale fu fondato da “un certo Antonio Gramsci”, novant’anni fa è uno stridente riferimento.

L’Unità per anni è stata il punto di riferimento della sinistra.

In questi ultimi anni, con Europa è il punto di riferimento della nuova Democrazia cristiana.

Riuscirà Luca Landò a riportarla a sinistra???

Ho forti dubbi, perché gli ordini che arrivano dai Palazzi non sono certo di sinistra.




l'Unità 19.10.13
L’editoriale

Vent’anni dopo: l’Italia che vuole cambiare
Per raddrizzare il Paese non bastano «le menti migliori della nostra generazione»: ci vuole il contributo di tutti
L’Unità si occuperà sempre di difendere e proteggere i diritti civili riconosciuti e quelli ancora da conquistare
Dobbiamo ricominciare a parlare dell’Italia e degli italiani. E proporre e imporre altri temi e altre priorità

di Luca Landò


L’ANNO PROSSIMO QUESTO GIORNALE COMPIRÀ 90 ANNI: A FONDARLO IL 12 FEBBRAIO 1924 FU UN CERTO ANTONIO GRAMSCI. Il 9 ottobre scorso sono passati 50 anni dal Vajont: prima della tragedia un solo giornale e una sola giornalista denunciarono con insistenza i rischi legati alla costruzione di quella gigantesca diga. Quel giornale era l’Unità e quella giornalista era Tina Merlin. Se andate sul sito dell’Unità e cercate nell’archivio storico vi appariranno delle pagine scritte a mano: sì, negli anni della clandestinità, quando era impossibile trovare una tipografia, l’Unità veniva fatta anche così, a mano.
Mi fermo qui perché il messaggio è chiaro. Il giornale che avete, che abbiamo davanti è un pezzo di storia di questo Paese. Ed è una storia importante, perché è la storia della sinistra e dei diritti, è la storia delle ingiustizie e delle lotte, è la storia del lavoro. Ed è la storia degli italiani. Quelli che in questo Paese hanno sempre creduto, anche quando credere era davvero dura. E quelli che ci credono ancora, anche adesso che la crisi divora la vita e non solo gli stipendi.

Se parlo dell’Unità e del suo passato è perché negli ultimi vent’anni l’Italia si è occupata di tutto tranne che di se stessa. Il Paese, la politica, le istituzioni persino, sono entrate in uno stato di trance dove la realtà dei fatti ha lasciato il posto alla finzione e all’illusione. Anziché dedicarsi agli italiani e ai loro problemi, questo Paese ha cominciato a parlare delle faccende di un uomo solo. Una follia, evidentemente. Ma una follia che stiamo pagando due volte.
La prima, perché quell’uomo è ancora lì, disposto a trascinare il Paese ancora più fondo nella speranza di evitare le conseguenze di una vicenda giudiziaria personale che riguarda solo lui e non il Paese. La seconda perché non è vero, come dicono, che l’Italia è in queste condizioni per il peso insostenibile della crisi internazionale e globale che tutti riguarda e tutti accomuna. Ci sono Paesi, entrati nella palude come noi, che sono riusciti a emergere con forza e slancio. Perché loro sì e noi no? E perché noi siamo ancora qui a discutere dello 0,1% del Pil e non del nostro futuro? Ecco la domanda, le domande, che la politica, tutta la politica, dovrebbe porsi con urgenza prioritaria, come le raccomandate.

La risposta è complessa, ma parte del problema sta proprio in quella lunga ipnosi che, in un modo o nell’altro, ha coinvolto tutti. È mancata un’altra Tina Merlin che ci svegliasse con le sue urla, che gridasse per tempo e con forza che un altro monte stava per crollare nel bacino dell’Italia.
Ora siamo a un bivio e tocca solo a noi scegliere: vogliamo uscire dal lungo letargo o vogliamo continuare a occuparci di affidi, di giunte e di pene accessorie? È vero, finché la destra non sarà davvero in grado di scegliere un altro leader e un altro orizzonte, che guardi all’Europa anziché ad Arcore, sarà impossibile non parlare di quell’uomo condannato per frode al fisco. Il punto è che rispondere alle minacce che il cavaliere rivolge alla stabilità del Paese, con conseguenze economiche e sociali devastanti per tutti, è sì necessario e indispensabile ma non è sufficiente. Dobbiamo fare di più.

Dobbiamo ricominciare a parlare dell’Italia e degli italiani. E proporre, suggerire, imporre altri temi e altre priorità. «Vaste programme», diceva De Gaulle, soprattutto dopo vent’anni di talk show fotocopia, con gli stessi invitati, gli stessi argomenti, le stesse domande. Dal ponte sullo stretto (ve lo ricordate?) alla legge elettorale ne è passata di acqua, ma il meccanismo è sempre quello: si parla si discute si litiga, ma intanto non succede nulla. Che nel caso del Ponte è un bene, nel caso del Porcellum un male. Dal primo gennaio a oggi questo giornale (come tutti gli altri) ha pubblicato 471 articoli in cui si parlava di riforma elettorale, quasi due volte al giorno come le pillole. Non è stata una nostra fissazione: un giornale racconta e resoconta quello di cui si parla. Ma il punto è proprio questo: di cosa si parla e quanto si parla in Italia? Perché parlare non vuol dire cambiare. E perché c’è una clessidra per ogni cosa. Anche per questo c’è bisogno di una voce che, come quella del capitano De Falco, emerga dal coro con uno stentoreo: «Fate quella legge, caXXo!».

Un giornale di sinistra come l’Unità starà dalla parte di chi vuole cambiare. Di chi vuole uscire dalla crisi investendo e costruendo, non tagliando e bloccando. Di chi vuole che la lotta all'evasione (120 miliardi l’anno, teniamola a mente questa cifra) sia una priorità di governo, non una frase da pronunciare in campagna elettorale. Di chi vuole che la disoccupazione giovanile diventi l’ossessione dell'intero Parlamento e non solo di genitori e famiglie. Di chi vuole che l’innovazione non sia il titolo di un convegno ma un programma di sviluppo: nell’Europa della banda larga e dei servizi su Internet, della efficienza digitale e della burocrazia annientata dalla rete, c’è un Paese, il nostro, dove duemila Comuni (uno su quattro) non sono nemmeno connessi. Poco tempo fa abbiamo pubblicato la lettera di due giovani informatici che hanno messo in piedi una piccola società di software e lavorano in rete con un’azienda di Silicon Valley, in California. Miracoli del mondo globale e digitale, si dirà. Peccato che i due vivano in Basilicata e per collegarsi debbano fare ogni giorno 40 chilometri in macchina per raggiungere la connessione più vicina. È questa l’agenda digitale di cui sentiamo dire da dieci anni? È questo il Paese che dovrebbe attirare investimenti stranieri?
L’Italia ha necessità, urgente, di tornare a crescere, ma per farlo deve cambiare passo, mentalità, priorità. Deve ripartire dal lavoro, quello che c’è e che va difeso, e quello che non c’è ancora perché va costruito, creato, inventato. Ma il punto è questo: ci sono oggi le condizioni per costruire, creare, inventare?

Per cambiare il Paese non bastano più «le migliori menti della nostra generazione», abbiamo bisogno di tutte le menti e tutte le generazioni. Quelle che ci hanno preceduto e quelle che stanno arrivando. Tra le firme più pungenti e illuminanti di questo giornale ci sono quelle di Alfredo Reichlin ed Emanuele Macaluso, classi di ferro ’25 e ’24. Nello stesso tempo, un Paese che non apre le porte ai giovani è un Paese debole e malato, prima ancora che un Paese sbagliato. Nella sala comandi che ha gestito la rotazione della Concordia c’erano giovani ingegneri di 26, 27 e 28 anni: uno era inglese, una tedesca e un altro belga. Tra gli italiani solo uno era sotto i 40 anni, tra gli stranieri solo due sopra i 30. Eccola la questione generazionale: non una sfida tra vecchi e giovani, ma un Paese che sappia mettere al posto giusto le persone giuste. Compresi quei laureati che ogni anno se ne vanno all' estero. Non è una questione affettiva, è un danno economico: dall'asilo al dottorato la formazione di un ricercatore costa all' Italia 124.000 euro. Negli ultimi dieci anni ne sono volati via 68.000, un esercito di ricercatori salito su un aereo per non tornare più: fanno 8,5 miliardi di euro senza contare quello che porteranno in termini di intelligenza e creatività. Produciamo menti e le regaliamo all’estero: è questa la famosa competitività? Quand’è che cominceremo a pensare a noi stessi?

Un ultimo punto. Come dicevo all’inizio, l’Unità non è solo un giornale: è un giornale di sinistra. Questo significa accogliere, difendere, ricordare quei valori che ci dividono dalla destra e dal mondo, solo in apparenza incolore, dell’antipolitica. Significa non cedere mai, nemmeno in tempo di crisi, sul fronte dei diritti civili, quelli riconosciuti da proteggere e difendere, e quelli ancora da elaborare e conquistare. Significa pretendere una legge, vera, sul conflitto di interessi, perché la libertà e la pluralità dell’informazione sono valori, questi sì, non negoziabili. E perché non è accettabile, dopo quello che abbiamo visto e subito in questi anni, che un altro grande editore di giornali e tv possa «scendere» in politica mantenendo il controllo di quei giornali e quelle tv: non accade in nessun Paese civile, non dovrà più accadere nemmeno qui. Significa chiedere l’abolizione della Bossi-Fini e del reato di clandestinità, perché non è così che si affronta e gestisce l'emergenza immigrazione, come la tragedia di Lampedusa ha dimostrato nel più drammatico possibile. Significa chiedere uguali diritti per tutte le coppie e tutti i conviventi, a cominciare dalle coppie gay come avviene in Francia, Portogallo, Spagna ma anche in Sudafrica, Nuova Zelanda e persino Uruguay. Significa discutere di fecondazione assistita e delle disposizioni di fine vita, serenamente e senza pregiudizi, come avviene da tempo in quasi tutti i Paesi d’Europa. Significa pretendere che un Paese civile rifiuti l’inaccettabile tortura che obbliga un detenuto a vivere in una cella di tre metri per quattro con altre quattro persone come accade ogni giorno nelle patrie galere. Di questo, anche di questo, dovrebbe occuparsi un giornale di sinistra come l’Unità, unendo il rigore delle notizie alla passione dell'impegno. Già, informazione e passione: ecco in due parole cosa è l’Unità.

PS
L’editore mi ha dato l’incarico di dirigere questo giornale e naturalmente lo ringrazio. È la prima volta, in Italia ma non solo, che al direttore internet di un quotidiano viene chiesto di dirigere anche l’edizione regina, cioè il giornale di carta: di solito succede il contrario. Segno dei tempi, forse. Sicuramente è il segno del cambiamento che l’Unità metterà in atto nelle prossime settimane, creando una redazione unica per la carta e per l’online, con l’obbiettivo di proporre ai lettori un modo nuovo, più moderno di vivere l’informazione.
Ricevo il testimone da Claudio Sardo che ha diretto il giornale con grande professionalità e che ringrazio davvero per il senso di amicizia che ha saputo trasmettere, non solo a me, ma a tutta la redazione. I suoi editoriali e le sue analisi politiche continueranno ad essere un punto di forza di questo giornale.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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il Fatto 19.10.13

Schiaffi e insulti fra Monti e Casini in gioco i voti per salvare il Caimano
Con Scelta Civica spaccata ora salvare B. è possibile
Verso il voto sulla decadenza: 12 senatori nel nuovo gruppo vicino al Pdl


di Sara Nicoli


Ieri è arrivato a gamba tesa anche Pier Ferdinando Casini, finito nella lista nera di Mario Monti dopo la sua decisione di dimettersi da presidente di Scelta Civica, decisione ribadita anche ieri come “irrevocabile”. “Prima mi chiedeva posti – ha sibilato l’ex leader di Scelta Civica – ora mi accoltella”. L’ormai ex alleato ha sferrato un attacco durissimo all’ex premier sostenendo che “le accuse nei miei confronti sono semplicemente ridicole”. Di più. Casini si è spinto fino a definire quello di Monti un “atteggiamento rissoso sull'azione dell'esecutivo” perché “questi continui distinguo, non sono accettabili”. Presa di distanza anche sulle dimissioni: “Non gli chiederò di ritirarle perché questo non mi riguarda”.
ALTRO CHE SOBRIETÀ. Non poteva finire peggio. Persino Corrado Passera, ieri, ha martellato Monti: “Scelta Civica mancava di radicalità, temevo che il progetto potesse finire così, ecco perché dissi no”. Il senatore a vita rimasto solo? L’immagine è quella. Mentre ribolle il terreno del centro politico che proprio oggi vedrà quella che sembra la nascita di un nuovo partito popolare: si parte dal Veneto “bianco” e da Villa Maschio, a Villafranca Padovana (Pd). A parlare di “Il Partito Popolare e il futuro dei moderati” ci saranno il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa, Gaetano Quagliariello, Mario Mauro e Flavio Zanonato. La vecchia balena bianca, sembra proprio lì lì per risorgere. Tolto di mezzo un ingombrante Monti, che voleva fare di Scelta Civica il “suo personale” partito di sponda europea (questo, almeno, a sentire alcuni dei suoi detrattori), ora il primo passo sarà la creazione di un gruppo autonomo al Senato, composto da circa 12 dei 20 senatori ex Sc e che avrà la parola “popolare” nel nome: si tratta di Albertini, Casini, De Poli, Di Biagio, Di Maggio, D'Onghia, Marino, Mauro, Merloni, Oli-vero, Romano e Rossi. Ne resterebbero dunque fuori sette, con i 'lealisti montiani' in minoranza. Diverso il discorso alla Camera, dove tra i 47 deputati i montiani sono al momento la maggioranza. Ma in parallelo a quanto sta avvenendo, al Senato potrebbe anche a Montecitorio staccarsi da Sc e creare una componente autonoma. Il tutto, comunque, accadrà lunedì, a partire da Palazzo Madama dove – a questo punto – il pallottoliere sulla salvezza di Berlusconi potrebbe rimettersi in moto, complice il voto segreto.

IL PDL, PER QUANTO devastato dall’imminente scissione, si terrà unito nel nome della salvaguardia del “Padre Nobile”, la Lega non mancherà all’appello, mentre i 5 Stelle e il gruppo misto saranno compatti per il no. Poi, però, ci sarà il Gal, che potrebbe scegliere di votare contro la decadenza e il Pd. Che nel segreto dell’urna – è noto – potrebbe anche non tenere; nel partito, le spinte verso le elezioni a marzo sono forti e un voto per Silvio renderebbe la situazione ancor più fragile nella maggioranza che sostiene Letta. Dunque, i voti dei prossimi “popolari” serviranno. E molto. L’aveva capito, d’altra parte, anche Monti che nel pranzo che Mario Mauro ha consumato mercoledì scorso al circolo ufficiali di Roma, con Angelino Alfano e Berlusconi, non si è parlato di manovra economica. Ma di un’altra manovra, quella della fondazione di un partito centrista, cui Mauro vorrebbe dare la leadership al segretario del Pdl, ma anche una sorta di garanzia che un gruppo di senatori, gli ex Sc, potrebbero, nel segreto del-l’urna, fargli sponda nel giorno più importante. Il clima lo chiarisce Casini che, a proposito della decadenza, dice: “Non ho ancora deciso. Non è vero che ho contrattato con Berlusconi, non ho parlato con lui e non gli parlerò. Sará un voto che appartiene alla mia coscienza e basta. Al momento giusto lo dirò”.

Il partito centrista che verrà, composto per lo più da alfaniani di complemento, da ex democristiani di sempre e forse persino da qualche centrista del Pd costretto ai margini in caso di vittoria di Matteo Renzi (come Beppe Fioroni), si avvia a diventare una sorta di succursale del berlusconismo in salsa Dc che in prima battuta si muoverà, però, su un unico binario definito: salvare il Cavaliere al Senato. Poi verrà il resto.
La diaspora degli ex Sc, comunque, non sarà completa. Alcuni resteranno fedeli a senatore a vita. A partire da Ilaria Borletti Buitoni; la sottosegretaria ieri se l’è presa con Mauro, che “ha usato Scelta Civica per un altro progetto che non è Scelta Civica”. L’ultima resa dei conti martedì, durante il comitato di presidenza di Sc. Dove quelle che si conteranno saranno soprattutto le sedie vuote.

il Fatto 19.10.13

DC si nasce
Mario Mauro, il cinismo del ciellino che tradisce due volte
Scaricò il Cavaliere pensando a Bruxelles, ma dopo il flop dei montiani torna indietro


di Mar. Pal.

Come tutti i mistici, Mario Mauro – come quel Padre Pio, per dire, che ne segnò la nascita a San Giovanni Rotondo 52 anni fa – è un uomo assai pragmatico. Così descrisse la sua adolescenza foggiana, sul Giornale, Giancarlo Perna: “Sermoneggiava nel cortile o all’uscita di scuola di complessi ideali comunitari e religiosi e la sola cosa che gli uditori capivano è che avrebbe fatto strada”. Spiritualità e carriera, religione e affari, il perfetto ciel-lino – con 35 interventi in 15 anni è tra i politici più presenti al Festival di Rimini – è pragmatico sempre.

Pugliese di nascita ma lombardo d’elezione, conosce Roberto Formigoni negli anni dell’università a Milano e di lì i due saranno sempre vicini. Anche ora che non sembra, si muovono in sincrono: verso il centro dal mondo berlusconiano il Celeste, verso destra il ministro della Difesa in ritorno dai lidi montiani dopo il tradimento del Cavaliere nel 2012.

Il luogo d’appuntamento è quel luogo dell’anima che si chiama Partito popolare europeo: una Democrazia cristiana 2.0 buona per i tempi non lontani in cui Silvio Berlusconi sarà solo un ricordo e che il nostro ha cominciato a sognare mentre curava i rapporti a Strasburgo del Caro Leader.

C’è il problema che, per ereditarne i voti, bisogna trattar bene l’anziano vicino all’addio, farlo sentire amato, accompagnarlo a un dignitoso trapasso politico: il ministro montiano – che aveva definito “deriva populista” e “tragico errore” la ricandidatura del povero Silvio giusto otto mesi fa – adesso vuole ricongiungersi con l’amico Formigoni e gli altri democristiani del Pdl sotto l’egida di un Cavaliere rassegnato alla pensione. Se quello si presenta, infatti, addio “Popolari” e addio Ppe: ai suoi amici di Bruxelles, che gli avevano “consigliato” l’avventura montiana, non interessa certo l’ennesimo partitino di centro.

E così il nostro, che è uomo riservato ma pragmatico, per la causa si sottopone a lunghissimi e noiosi pranzi con Silvio e il capo congiurato Alfano; per questo s’acconcia a fare gruppo pure con gli avanzi Dc della Prima Repubblica tipo Casini.

Politicamente, Mauro, è un conservatore tendente al reazionario: gran laudatore della Thatcher delle Falkland, nemico di ogni giurisdizione gay friendly, s’è battuto come un leone per le radici cristiane dell’Europa e sostiene che la bandiera Ue sia un simbolo cristiano (“il blu è il manto del colore della notte di Maria e le 12 stelle sono la corona dell’apocalisse”, misticamente interpreta).

Gli è piaciuta assai la nuova Costituzione ungherese (“un testo all’avanguardia”), la stessa bocciata dal Consiglio d’Europa come “autoritaria” e “antidemocratica”. Cose che capitano, e d’altronde un certo entusiasmo per l’armi e l’ordine, aiuta in un ministro della Difesa.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Verso l’abisso. Stiamo andando verso l’abisso alla velocità della luce.

A D’Alema bisogna tagliarli le palle e cucirgli la bocca con il fil di ferro.

Da IFQ di ieri:

Lui e D’Alema, lo sponsor numero uno, non si risparmiano però le stoccate al sindaco di Firenze. Comincia il Lìder Maximo: “'Non condivido l'idea che si possa fare il segretario di un grande partito facendo il sindaco di Firenze e venendo un giorno alla settimana a Roma, come se fosse un hobby”. E poi ritorna sulla tesi che porta avanti da mesi: Matteo “è inadatto a fare il segretario”, sarebbe un “ottimo candidato alla guida del centrosinistra”, complementare a Cuperlo.

Solo due giorni fa, su questa pagina (se non ruota per il completamento), avevo segnalato:
Oggetto del messaggio: Re: Come se ne viene fuori ?
Inviato: 18/10/2013, 20:35


Renzi con la politica c’entra ben poco, come molti in questi anni.

L’importante è che limiti la sua sfera d’azione al solo PDc. Che non abbia mai la possibilità di arrivare a Palazzo Chigi.



Per una mera questione di conflitto d’interessi, il duca conte leader Maximo, non vuole che si annullino i suoi interessi nella bottega : Nuovo Partito Democratico cristiano.

Ergo, per i merloni giganti doc, s’affretta ad affermare:

Matteo “è inadatto a fare il segretario”, sarebbe un “ottimo candidato alla guida del centrosinistra”


Per carità di Dio, auguriamoci che i desiderata del duca conte non si realizzino mai.

Solo una decina di minuti fa, ad Ominibus è stato fatto notare che la solita affermazione populista al fine di parlare al pancino e grattarglielo per benino dopo aver lisciato il pelo ai suoi fans, facendogli sapere che lui, Matteuccio caro, in busta paga non avrebbe messo solo 14 euro in più, ma bensì 100 euroni pesanti pesanti.

Al che è partita subito l’inevitabile domanda alla sparata berluscogrillina: “Ma con quale copertura?”

Il giovane prode renzino, presente in studio, tal Carbone se non erro, si è subito affrettato a far saper che Super Matteuccio, aveva già pensato alla copertura.

Vendere le case popolari agli inquilini.

Al che la Mascali ha subito fatto notare che quelli i soldi non ce l’hanno.

Ribatte Carboni:

“ Si può fare con una garanzia ai mutui da parte delle Poste”.

Non si finanzia Alitalia, e si finanziano i mutui.

Questi sono marziani, impregnati di un grande populismo solo per arrivare al potere.

Nessuno darebbe mai mutui a chi abita nelle case popolari, perché rientrano nella fascia degli 8 milioni di povertà.

Spesso sono disoccupati e con redditi bassi.

Non sanno come sopravvivere e DEVONO PURE ESSERE COSTRETTI A COMPRARSI LA CASA SOLO PERCHE’ IL RENZINO SE NE E’ INVENTATA UNA DELLE SUE PER ABBINDOLARE I MERLI GIGANTI DI QUESTO PAESE???

Altro che Grillo e Berlusconi!!!!

Via uno sotto l’altro.

Matteuccio dovrebbe vincere le primarie senza fatica con quegli avversari che si ritrova, rimanga quindi nel PDc a far danni.

Non ci si metta anche lui ad affondare il Paese.

Quelli che si sono adesso bastano e avanzano.
Amadeus

Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da Amadeus »

http://www.huffingtonpost.it/2013/10/19 ... _ref=italy


Massimo D'Alema sosterrà, soprattutto a livello internazionale, la richiesta avanzata dall'Associazione nazionale Città del tartufo alll'Unesco per il riconoscimento della cultura tartufigena come patrimonio immateriale dell'umanità. Lo stesso ex presidente del consiglio ha confermato il proprio impegno in questo senso stamani a Pietralunga, dove si sta svolgendo la 26ma mostra-mercato nazionale del tartufo e della patata bianca.

8-) :mrgreen:
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

Messaggio da camillobenso »

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20 OTT 2013 16:12
FACCIAMO QUATTRO ZOMBI IN PARLAMENTO - POMICINO: “TORNERANNO DEMOCRISTIANI E SOCIALISTI”
Secondo ‘o Ministro, in Italia si ricomporranno le famiglie politiche europee: democristiani, socialisti, liberali, ambientalisti - “Negli altri paesi ci sono ancora, noi abbiamo adottato un modello insostenibile: leader e cortigiani. Ma un partito popolare con Mauro, i ciellini e il Cav sarebbe un intruglio” - “Letta erede di Andreatta, Alfano di Forlani. E basta coi tecnici, hanno fallito”…


Annalisa Cuzzocrea per "la Repubblica"

«La politica ci mette un po' di tempo, ma si vendica di chi l'offende». Non solo crede che la balena bianca stia tornando, Paolo Cirino Pomicino, ma è convinto che pian piano - dopo un ventennio di leaderismi e oligarchie - riemergeranno tutte «le grandi famiglie politiche europee »: il socialismo democratico, l'ambientalismo, i liberali.
«Quelle che negli altri Paesi continuavano a operare, mentre da noi il pensiero politico scompariva e prendeva piede una classe dirigente di stampo cortigiano».

Col leader al centro, e i seguaci pronti ad appendere al chiodo la loro storia pur di seguirlo, nel caso del centrodestra di Silvio Berlusconi.

O con un'oligarchia egemone e sorda dalla parte opposta. «Siamo davanti a un processo di scomposizione e ricomposizione del sistema», dice colui che negli anni ‘80 veniva chiamato semplicemente O' ministro, uno degli esponenti più importanti e ascoltati della fu Democrazia Cristiana.

«La crepa aperta nel Pdl non potrà che divaricarsi. Ci vorranno sei mesi o due anni, ma la rottura è inevitabile.

Così come quando Renzi vincerà la segreteria del Pd sarà difficile per la tradizione socialista di stampo europeo restarci dentro». Il sindaco di Firenze, sostiene, «non è stato democristiano per una mera questione d'età, ma è figlio del cattolicesimo democratico». Quindi sarà così il prossimo futuro, «con Renzi, Letta, Alfano e Tabacci da una parte; Cuperlo, Bersani e Vendola dall'altra». Certo, potranno collaborare.

Come avviene in Europa e come avvenne in passato da noi: «Nel '76-'79 - ai tempi di Bresnev e Carter-facemmo l'intesa tra due grandi partiti riuscendo a battere terrorismo e inflazione a due cifre». E il debito? «Fu di gran lunga inferiore a quello generato negli ultimi 20 anni».

In Enrico Letta, l'ex ministro vede rivivere «la tradizione molto seria di Nino Andreatta e dei suoi maestri. Angelino Alfano è invece l'erede di una dc più prudente, alla Forlani». Quanto a Renzi, «deve guardarsi da se stesso, non cedere alla concezione leaderistica che pure lo attrae: ci riporterebbe in casa il veleno instillato 20 anni fa». Perché una cosa è chiara: «Il cattolicesimo politico non può rinascere con Berlusconi e gli uomini della destra. Un partito popolare con Mauro, i ciellini e il Cavaliere sarebbe solo una parodia della vecchia Dc. Un imbroglio, anzi, un intruglio».

Il primo guasto da sanare sarà l'affidamento dell'economia ai tecnici. «Da Ciampi a Saccomanni, siamo l'unico paese che in 21 anni - a parte la breve parentesi di Amato - ha sottratto la propria economia alla politica. È stato un male». Ricorda Guido Carli: «Il governo dei tecnici o è un'illusione o è un'eversione, aveva detto. Quando Andreotti lo chiamò per guidare il Tesoro accettò a patto che alle Finanze e al Bilancio ci fossero due politici. Così andammo io e Formica. Conosceva i limiti della sua tecnicalità».

A differenza di Monti? «Il professore è un tecnico di valore che ha immaginato, dopo 10 anni di commissione europea, di trasformarsi in leader. Ma la politica è una professionalità che non si scopre a 70 anni. Senza offesa per nessuno ».
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Tg7 - ore 20,00


Alfano chiede al PDc di rivedere le sue posizioni sulla legge Severino.

E' pur vero che 'o ministro valuta tra i sei mesi e due anni prima che la Balena bianca torni a funzionare a pieno regime, ma andando avanti di questo passo il sistema muore.

Siamo ritornati come i gamberi indietro di un mese.
camillobenso
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Re: Come se ne viene fuori ?

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Dal Tg3 – ore 19,00


La bella figheira, Matteuccio, copia Grillo. Ha sempre bisogno di mettersi in mostra per acchiappare voti.

Oggi, si è messo a pulire una piazza della città con altri.

Il messaggio per niente subliminale è evidente: “ Vedete quanto sono democratico, vengo pure a spazzà in piazza”.

“Votatemi, votate un sindaco “”democratico”” dalla parte della sgente,…dalla parte vostra”

Poi ad inchiappettarvi sci penso dopo.

E’ un dna tutto italiano. Prima o poi ritorna.


Grillo ha copiato questo:

Immagine

Mentre Matteuccio ha copiato questo:

Immagine-Immagine-Immagine

Ma qualcuno ci vede De Gasperi, Togliatti, Moro, Nenni, Andreotti, Fanfani, Spadolini, Berlinguer, Prodi, con la ramazza in mano per qualche ora facendo il cinema solo per far credere di essere democratici per raccattare voti???

Un altro servizio del Tg3 ha mostrato la piazza dei manifestanti di Roma intervistandone qualcuno.

<<Io sono qua perché vivo in mezzo alla strada perché sto aspettando la casa popolare>> ha risposto un manifestante.

E questo sarebbe un futuro inquilino a cui la banca dovrebbe concedere un mutuo garantito dalle Sup Poste italiane???

Stamani ne ho parlato con un amico che nelle case popolari ci ha abitato 20 anni.

Già allora le difficoltà per pagare l’affitto erano altissime, tanto che il Comune spesso doveva rinunciarci.

Adesso poi, mi ha fatto notare, sono abitate sempre in maggior numero da extracomunitari.

Se il sindaco di Firenze fosse al corrente di questa realtà, frequentandola, certe castronerie marziane potrebbe anche evitarle.
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