Re: Come se ne viene fuori ?
Inviato: 27/11/2013, 0:26
Sfascisti - 18
I giorni della confusione - 4
Se cade Roma che succede?
http://www.youtube.com/watch?v=X86iPAiM9yg
l’Unità 26.11.13
Roma, rischio default
Marino: «È il conto di Alemanno»
Il sindaco: «Rissa causata da chi ha lasciato il buco»
Marchini scatena l’ostruzionismo
di Jolanda Bufalini
ROMA Il sindaco Ignazio Marino, in visita al cantiere della Nuvola di Fuksas, rigira il caschetto bianco fra le mani: «Me lo porto in Aula», medita, con riferimento al clima di domenica sera, quando in Campidoglio si è aperta la discussione sul bilancio 2013. Strumento di programmazione della spesa che il predecessore Gianni Alemanno avrebbe dovuto far approvare un anno fa. Fischi, botte, ostruzionismo, l’opposizione di centrodestra ha considerato (non si sa bene perché) offensiva la convocazione di domenica sera, coadiuvata dal gruppo di Marchini che ha depositato 100.000 ordini del giorno con il dichiarato intento di portare la capitale al commissariamento. Così, mentre l’ex presidente dell’aula Giulio Cesare, Marco Pomarici, dirigeva le cacofoniche grida dal pubblico, un altro pasdaran, il fascistissimo
Dario Rossin, si precipitava al banco della presidenza, colpendo con il gomito la testa del primo cittadino, nell’intento di strappare il microfono al presidente. Un fallo «non volontario», si è scusato ieri. «Danno derivante da altro reato» reciterebbe il codice, perché effettivamente, ammesso che il Rossin non si sia accorto di aver colpito il sindaco, la furia con cui si è scagliato non era involontaria e, anzi, è proseguita con un ceffone a freddo contro il capogruppo di Sel Gianluca Peciola, il quale orgogliosamente è rimasto fermo «come un budda».
Dario Rossin è quello dei manifesti elettorali con la frase di Wojtyla, «semo romani damose da fà» subito corretta nel web da un più appropriato «semo coatti». Non è la prima volta che, come si dice a Roma, si è fatto «riconoscere»: contro Alemanno, durante la vicenda della vendita di Acea, rovesciò la scrivania delle stenografe. Poi è passato dalla Destra (Polverini l’aveva nominato, in quota Storace, al vertice dell’istituto Arturo Carlo Jemolo) a Fli e al sostegno dell’ex sindaco, con argomenti di difficile comprensione come questi: «Le forme democratiche di un'eventuale scelta, adottate invece dalla formazione politica alla quale si vorrebbe aprire, non sono state seguite». La sceneggiata sul bilancio pare sia originata da una nuova esigenza di visibilità legata alle spaccature del centrodestra, con la nascita annunciata ieri del gruppo di Forza Italia capitolino.
Purtroppo, la situazione a Roma, se non è seria è molto grave. Il bilancio deve essere approvato per legge entro il 30 novembre, pena il commissariamento e, ieri sera, ordini del giorno ed emendamenti avevano raggiunto quota 160.000, la previsione è che oggi saranno 200.000. Per quanto la discussione generale si concluda questa sera, e le votazioni inizino mercoledì, è fisicamente impossibile, se le cose restano come sono, approvare il bilancio dentro la scadenza. «Complimenti! è la reazione del sindaco Stiamo cercando di riparare al danno del disavanzo di quasi 1 miliardo di euro che coloro che ieri hanno alzato le mani fisicamente in aula, hanno causato». E ha ribadito: «Con serietà e rigore, cercheremo di chiudere il bilancio dell'amministrazione precedente e soprattutto di disegnare il bilancio del 2014 che è quello del rilancio di Roma».
Si sta parlando di soldi già spesi nel primo semestre dell’anno da Alemanno. Per questo appare incomprensibile lo scatenamento di Alfio Marchini e il numero abnorme di emendamenti presentato dalla sua lista. Il sindaco lo punzecchia sulle torri dell’Eur, ormai scheletri stile Beirut, che incombono sul nuovo centro congressi di Fuksas. Marchini nega di essere parte in causa. Però c’è chi ricorda il suo antico legame con Caltagirone. L’estremismo del rampollo «calce e martello» (Alemanno è più cauto e ha espresso solidarietà al sindaco) potrebbe trovare spiegazione nelle tensioni sui cantieri della linea C della metro o quelle su Acea.
«Il miliardario che siede in consiglio non si preoccupa del default? si scandalizza Gianluca Peciola Cioè di 23.000 dipendenti che si troverebbero nella situazione di quelli di Washington quando Obama è stato paralizzato dai Tea Party». Il Pil della Capitale, reagisce Fabrizio Panecaldo, portavoce di maggioranza, è il 7% di quello nazionale, se salta il bilancio il primo effetto «sarebbe un abbassamento del rating, anche il governo nazionale è molto preoccupato». In più, friggono le partecipate come Atac, dove, con il taglio prospettato di altri 100 milioni di euro, si teme per la continuità aziendale.
Lionello Cosentino, segretario del Pd romano, considera «inaccettabile la violenza contro una giunta appena insediata. Si è scatenata una rissa senza argomenti di merito, il consiglio deve poter esercitare il diritto-dovere del voto». Con Marino, con il quale Cosentino si è incontrato ieri sera, sono allo studio gli strumenti. Compresa l’inammissibilità degli emendamenti ripetitivi.
il Fatto 26.11.13
Bernoccoli, guanti e mattoni: Roma sgonfia la bici di Marino
Colpito durante l’ultimo consiglio
Il trattamento che la città sta riservando al “marziano” alle prese con i buchi di bilancio, gli squali e le opere incompute
di Antonello Caporale
“Ho un bernoccolo in testa”. E ha quasi sorriso. Questa forma espressiva conduce Ignazio Marino a resistere ai più feroci trattamenti che Roma, la città di cui è sindaco, gli sta riservando. La gomitata che il consigliere comunale dei Fratelli d’Italia ha sganciato (senza alcuna intenzionalità, come ha poi chiarito) nell’aula Giulio Cesare sul tetto della città, nella fattispecie la testa di Ignazio, è il segno che la Capitale promuove nella continuità il libero confronto delle idee. Se si parla di soldi, palazzi e poltrone si tratta con i guantoni. È successo con Alemanno e prima con Veltroni e ancor prima con Rutelli, e con ogni risma di giunta capitolina, ogni fascia tricolore. Loro, più navigati, hanno schivato, lui da inesperto ciclista della politica s’è trovato il bernoccolo alla prima conta del potere. Più di 850 milioni di euro di debiti, soldi già spesi da chi c’era e che lui si trova a rendicontare. Non aveva compreso, o ha capito male, oppure ha capito tardi che Roma è la capitale dell’ostruzione, in senso proprio e metaforico. Gli sono cascati addosso solo dal gruppo capitanato da Alfio Marchini, costruttore di famiglia di antico lignaggio e di vaste relazioni, 150 mila emendamenti, un mare in cui annegare tutti.
A ROMA l’ostruzionismo non è solo consentito dai regolamenti comunali, ma favorito, incoraggiato, sostenuto. E allora Marino, sorridendo, ha riunito la giunta e ha detto: “Bisogna cambiare passo”. E si è diretto, nella coerenza della sua proiezione visiva, (perciò disteso, ben rasato, col nodo della cravatta perfetto), a salutare la Nuvola di Fuksas, qui siamo all’architettura concettuale, che Roma inaugura ogni anno, nell’attesa che si completi. I lavori singhiozzano e giustamente si sincronizzano con l’indole cittadina al dubbio permanente, al-l’incompiutezza come segno dell’imperfezione umana. È una sorta di allineamento astrale, una condizione necessaria, A Roma ogni prova da completare è una fatica primordiale, ogni consegna dei lavori una ipotesi allo studio, ogni promessa un debito incagliato. Marino col bisturi in mano aveva promesso che no, lui avrebbe inciso e si sarebbe voltato pagina. “Mi sento un marziano. Una definizione che mi si addice”, aveva chiarito agli infedeli perchè fosse chiaro progetto e proposito. Invece, e purtroppo, ogni giorno un guaio. Ha pensato di chiudere i Fori Imperiali, e i commercianti riuniti tra via Labicana e via Merulana, le strade angolari al-l’area interessata alla chiusura, hanno inscenato drammatici sit-in con cartelli apocalittici: “Non vogliamo morire tra i veleni”. Non è stato conveniente cambiare le abitudini e i sensi di marcia. E Ignazio l’ha capito dopo, sempre dopo. Infatti alle proteste è seguito un micro piano di adeguamento della viabilità cittadina. E sempre biciclettando Marino è incappato nei tunnel delle varianti della Metro C, il più grande cantiere italiano, e anche il più buio, il più denso di inghippi e di inguacchi. Il luogo di coagulo del potere eletto della città: le imprese edili, i grandi palazzinari. Senza garbo, o forse senza misura, o anche, e soprattutto, senza ponderazione, la giunta del chirurgo ha preteso di rivedere ogni virgola del progetto e ogni centesimo del suo costo, che era intanto lievitato di alcune centinaia di milioni di euro. Risultato: l’associazione degli appaltatori ha bloccato i lavori, gli operai hanno bloccato la città. E un fiume di inchiostro ha colorato la faccia del sindaco per merito anzitutto del Messaggero, il giornale storico della Capitale, guarda caso di proprietà di Caltagirone, il dominus delle opere, pubbliche e private. Risultato? La Giunta ha corretto gli intendimenti, le varianti sono state accolte, i soldi in qualche modo sganciati. Marino ha capito dopo, tardi e male. E, sorridendo, ha ricevuto l’ingegner Caltagirone nel suo studio. Pace fatta. Ci mette tutto l’impegno che può. Arriva ogni mattina prima delle otto al Campidoglio e indossa i guanti da chirurgo. É così pignolo che non dosa la fatica: con la stessa determinazione duetta su un avverbio, i suoi assistenti hanno dovuto provare lo stupore di vederlo all’opera con la correzione di un comunicato stampa, e sul piano regolatore. “Alla fine della giornata sei stanco morto ma non hai prodotto niente”, confessa uno di loro. “Ignazio è scrupolosissimo, si documenta su tutto. Ma per me la sua destinazione più giusta era il ministero della Salute. Lì sarebbe stato un campione”, dice Felice Casson, suo amico e collega di banco senatoriale. “Che sia onesto non lo discuto, ma che sia ambizioso oltre forse ogni misura è una percezione che si fa più forte ogni giorno che passa”, garantisce Alemanno. É un po’ Forrest Gump e un po’ carogna? “Più carogna che altro”. Questo è il resoconto di un vigile urbano che ciondola nella sala Giulio Cesare. Anche coi pizzardoni, gli storici e dibattuti vigili urbani di Roma che il sindaco vorrebbe rimandare in strada a conquistare la gloria, la questione si è fatta complicata e a tratti così buffa da apparire una piece teatrale.
L’AMORE di Marino verso i curricula, la sua fede incrollabile nel merito (cosa in sé straordinaria se riferita al corso delle nomine italiane) è stata tale che un impappinamento generale ha condotto lo staff a promuovere al comando dei vigili un carabiniere che, in base ai suoi titoli, non aveva i meriti pretesi. E dunque: annuncio, proteste, scuse. Marino, sorridendo, si è ricreduto. É stato scelto un poliziotto e speriamo che se la cavi. Qui dunque la domanda da girare al Pd, il partito che l’ha candidato e poi – vedendolo all’opera – se ne è pentito: è davvero un Forrest Gump o un simulatore professionista? Sorride per inconcludenza o per strategia? Francesco D’Ausilio, quarantenne capogruppo al Comune: “È un uomo che ha rotto l’equilibrio e il patto tra generone e popolo che i suoi predecessori avevano costruito. Per governare Roma devi però trovare una relazione con la città e anche con chi la rappresenta. Io dico sempre ad Ignazio: il potere ce l’hai, adesso trova una grande idea sulla quale organizzare il consenso”.
Corriere 26.11.13
In coda e senza soldi: la Capitale dello scontento
Cortei non autorizzati, cantieri fermi, gomitate in consiglio
Venti giorni fa un incontro segreto Marino-Caltagirone
di Goffredo Buccini
La maionese è impazzita. «Magari! Vorrebbe dire che si muove... qua stamo tutti incartati!». Il poliziotto allarga le braccia, davanti alle transenne che sbarrano anche il tratto di solito non proibito dei Fori Imperiali, tra clacson e imprecazioni. «C’è una manifestazione improvvisata. Provi un po’ a parcheggiare là», indica. E là è un groviglio di moto e scooter davanti ai cancelli del Palatino, sotto gli occhi di turisti allibiti e finti centurioni indifferenti.
Mezzogiorno. In duecento, forse trecento accorsi qui da tutta Italia invocano il metodo Stamina, innalzano striscioni (Vite a tempo ) e rabbie anche legittime: paralizzando il cuore di Roma, senza autorizzazione, com’è ovvio. Confusi tra i malati campani, con le stesse maglie nere della manifestazione ma molta legittimazione in meno, tifosi della Nocerina e della Salernitana, teste calde che vogliono arrivare alla chetichella sotto Montecitorio a fare ammuina (ne identificheranno una ventina). Cinquecento metri più su, i senzacasa occupano un pezzo di piazza Santi Apostoli. Una fila di autobus di linea e pullman turistici è ferma per tre ore da piazza Venezia a piazza Colonna e oltre. Via Cavour è un serpente di macchine fino alla Stazione. Sembra una vecchia domenica di austerity, il centro della capitale, in questa bolla di immobilità rancorosa. Invece è un lunedì, e non un «lunedì nero», come piace ai titolisti. È un dannato lunedì quasi di routine, perché a Roma si scaricano ormai senza preavviso tensioni e umori di un Paese sempre più teso e di malumore.
Alemanno non se ne faceva una ragione, e aveva pensato — tra molti sberleffi — di mettere addirittura una tassa sui cortei. Che non erano colpa sua, almeno quelli. Come non sono colpa di Ignazio Marino, il nuovo contestatissimo sindaco, eletto dal Pd: un genovese di madre svizzera con lunga esperienza da chirurgo in America, non proprio un prodigio di sintonia con l’anima buiaccara di Rugantino e i motti di Pasquino. Come direbbe Guccini, il cuore è di simboli pieno. Il simbolo della Roma mariniana, e del suo ripiegarsi sui propri guai, sta in questa marmellata di lamiere immote, di appuntamenti saltati, di lavori impossibili: capitale stracotta, nazione in ginocchio; Roma incarna più che mai, in peggio, la povera Italia dei nostri giorni. Questo lunedì non è colpa di Marino, ripetiamolo.
E però Marino ha un sesto senso per stare nel posto sbagliato al momento sbagliato (era a Cracovia mentre gli antagonisti assaltavano i Palazzi romani: per una visita ad Auschwitz sacrosanta ma infelice nella tempistica). Sicché adesso, mentre i romani boccheggiano nel caos del centro, lui è all’Eur, a concionare sulla Nuvola di Fuksas, «nuovo punto di forza dello skyline cittadino». Peccato che la struttura («l’edificio inesistente più famoso del mondo dopo la torre di Babele», scriveva ieri Giuseppe Pullara sul Corriere romano), costata finora 200 milioni per soli tre quarti, avrebbe bisogno, per essere completata dopo sei anni (!) di 170 milioni che, valli a trovare, di questi tempi. Sulla Nuvola e dintorni duellano acidi a distanza il sindaco e il suo maggiore avversario, Alfio Marchini, famiglia dei costruttori «rossi» di Botteghe Oscure, molto appoggiato in campagna elettorale dall’imprenditore più potente e ricco di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone. «Sarà un omonimo, non quello di Amo Roma , chi ha lasciato questa visione tipo Beirut all’Eur», sibila Ignazio, alludendo agli scheletri delle Torri ex Finanze, ancora lì in brutta vista. «Non posseggo le Torri delle ex Finanze», fa sapere Alfio: «Il sindaco è inadeguato e superficiale. E, da permaloso, confonde questioni politiche con squallidi attacchi personali».
Il clima politico è questo. Il deficit di 867 milioni di euro (ereditato e denunciato) non aiuta. Per uscire dall’angolo, tre settimane fa, Marino ha invitato in gran segreto al Campidoglio proprio Caltagirone. Per dare un’idea dei rapporti tra i due, avvelenati anche dalle tensioni sull’Acea, basta un titolo del Foglio: «L’Ingegnere e il Marziano. Quer pasticciaccio brutto tra il Messaggero e il sindaco di Roma ». Mesi di attacchi, attribuiti alla volontà dell’editore (non molto generosamente verso l’autonomia dei colleghi del maggior quotidiano romano). Poi l’incontro: un’ora tesa, nell’ufficio con vista sui Fori. «Andato male», dicono voci vicine a Marino. Il sindaco sperava di parlare di metro C, «che è strategica». Tradotto: altra grana infinita, tre miliardi e mezzo per 30 stazioni, tremila posti di lavoro a rischio ora che i soldi mancano, gli stipendi ballano e il capolinea ipotizzato si sposta indietro allo spostarsi in giù del budget. Il 12 novembre i lavoratori hanno, tanto per cambiare, bloccato centro storico e dintorni.
Marino dà una forte sensazione di solitudine anche ai suoi: «Stiamo sfidando i poteri forti della città, costruttori, editori, imprenditori», proclama, saltato l’abboccamento con Caltagirone. Poi saltano le sedute di consiglio comunale perché la giunta produce poco. Dicono sia in freddo persino con Bettini (saluti formali alla festa di compleanno di Goffredo, un tempo appuntamento imperdibile della Roma potentona ). Dicono anche che l’eterno kingmaker si sfoghi ogni tanto: «Se non mi chiama lui, dovrei chiamarlo io?». Chissà. Di sicuro, da qualche giorno, Marino convoca i suoi assessori più importanti come martiri perseguitati, in colloqui più o meno catacombali in cui invoca un secondo tempo, un 2014 che mandi «forti segnali alla città». Ma è una parola.
Joyce diceva che i romani campano mostrando ai turisti il cadavere della nonna in cantina. Ora non ci sono nemmeno più i soldi per scenderci, in cantina. Il bilancio impossibile (tardivamente preventivo, ossia del 2013) va approvato entro il 30 novembre. L’opposizione (Marchini soprattutto) gli ha scaricato sopra 130 mila emendamenti: «Meglio il default e il commissario piuttosto che questo sindaco». Maurizio Gasparri gongola: «Marino ha fallito, la chiuda qui». In consiglio comunale, all’esordio della maratona proprio per l’approvazione del bilancio, l’altra sera sono volati gli schiaffi, il sindaco ha rimediato una gomitata in testa da Dario Rossin, Fratelli d’Italia. «Gomitata non involontaria », sostiene adesso, con un contorcimento lessicale che la dice lunga sulla sua capacità di parlare dritto al cuore della gente. Rossin s’era scusato. Ora dice: «Ho rivisto il filmato, Marino è un simulatore». Peggio del peggior Cristiano Ronaldo, insomma.
La verità è che, per rimettere insieme la città in pezzi com’è, occorrerebbe carisma. Molti dubitano che ne abbia, con quell’aria da giovane marmotta stralunata e una certa tendenza a sbagliare le scelte-chiave, assessori e comandanti dei vigili compresi.
«Ma io lo difendo», dice Lionello Cosentino, neosegretario del Pd romano: «C’è una sproporzione tra la guerra che gli fanno in consiglio e i pochi mesi di governo della città. Dico: 130 mila emendamenti su un bilancio previsionale, cioè già speso... non mi tornano, è una farsa. Certo, i problemi di Roma ci sono e grossi. Ma la crisi delle grandi città non è da mettere sulle spalle di Ignazio». Cosentino fa il suo mestiere, da politico navigato. Secondo alcuni maligni, sarebbe una specie di tutore che il partito avrebbe messo accanto al sindaco, per un ultimo salvataggio. Chissà.
Di sicuro le grane si susseguono. Quasi tutte le istituzioni culturali romane ballano coi vertici sotto rinnovo (l’assessore Flavia Barca è alquanto sulla graticola). Ieri sera in una riunione infinita si è riusciti a scacciare lo spettro dello sciopero al teatro dell’Opera per la prima dell’Ernani, un ceffone mondiale all’immagine della città. Scricchiola persino la Camera di commercio, che con Andrea Modello fu volano del Modello Roma, e che ancora ha soldi in cassa ma è paralizzata dal lungo dimissionamento del presidente Cremonesi. Insomma, i Fori pedonalizzati da Ignazio il ciclista rischiano a questo punto, nella migliore delle ipotesi, di passare come un’operazione di pura immagine all’insediamento; nel peggiore, di finire come il lungomare «liberato» di Giggino de Magistris, l’icona del disastro... Marchini rilancia: «Nel 2014 avremo un miliardo di disavanzo. Rischiamo di finire come la Grecia. Marino ha fatto promesse elettorali su beni non reali, ora squarci il velo di ipocrisia sul default». Nella lunga sera delle trattive per l’Ernani, il centro si blocca di nuovo. Stavolta è Putin, con un sobrio corteo imperiale di una trentina di macchine. Il nostro governo pare sogni di rifilargli una parte delle grane nazionali dell’Ilva. Tutti fermi, aspettando. I pullman coraggiosamente scoperti tengono in ostaggio turisti americani ormai rassegnati. Sulla fiancata la scritta in inglese recita: tour raccontato, ci prendiamo cura di te. Ciao Roma .
I giorni della confusione - 4
Se cade Roma che succede?
http://www.youtube.com/watch?v=X86iPAiM9yg
l’Unità 26.11.13
Roma, rischio default
Marino: «È il conto di Alemanno»
Il sindaco: «Rissa causata da chi ha lasciato il buco»
Marchini scatena l’ostruzionismo
di Jolanda Bufalini
ROMA Il sindaco Ignazio Marino, in visita al cantiere della Nuvola di Fuksas, rigira il caschetto bianco fra le mani: «Me lo porto in Aula», medita, con riferimento al clima di domenica sera, quando in Campidoglio si è aperta la discussione sul bilancio 2013. Strumento di programmazione della spesa che il predecessore Gianni Alemanno avrebbe dovuto far approvare un anno fa. Fischi, botte, ostruzionismo, l’opposizione di centrodestra ha considerato (non si sa bene perché) offensiva la convocazione di domenica sera, coadiuvata dal gruppo di Marchini che ha depositato 100.000 ordini del giorno con il dichiarato intento di portare la capitale al commissariamento. Così, mentre l’ex presidente dell’aula Giulio Cesare, Marco Pomarici, dirigeva le cacofoniche grida dal pubblico, un altro pasdaran, il fascistissimo
Dario Rossin, si precipitava al banco della presidenza, colpendo con il gomito la testa del primo cittadino, nell’intento di strappare il microfono al presidente. Un fallo «non volontario», si è scusato ieri. «Danno derivante da altro reato» reciterebbe il codice, perché effettivamente, ammesso che il Rossin non si sia accorto di aver colpito il sindaco, la furia con cui si è scagliato non era involontaria e, anzi, è proseguita con un ceffone a freddo contro il capogruppo di Sel Gianluca Peciola, il quale orgogliosamente è rimasto fermo «come un budda».
Dario Rossin è quello dei manifesti elettorali con la frase di Wojtyla, «semo romani damose da fà» subito corretta nel web da un più appropriato «semo coatti». Non è la prima volta che, come si dice a Roma, si è fatto «riconoscere»: contro Alemanno, durante la vicenda della vendita di Acea, rovesciò la scrivania delle stenografe. Poi è passato dalla Destra (Polverini l’aveva nominato, in quota Storace, al vertice dell’istituto Arturo Carlo Jemolo) a Fli e al sostegno dell’ex sindaco, con argomenti di difficile comprensione come questi: «Le forme democratiche di un'eventuale scelta, adottate invece dalla formazione politica alla quale si vorrebbe aprire, non sono state seguite». La sceneggiata sul bilancio pare sia originata da una nuova esigenza di visibilità legata alle spaccature del centrodestra, con la nascita annunciata ieri del gruppo di Forza Italia capitolino.
Purtroppo, la situazione a Roma, se non è seria è molto grave. Il bilancio deve essere approvato per legge entro il 30 novembre, pena il commissariamento e, ieri sera, ordini del giorno ed emendamenti avevano raggiunto quota 160.000, la previsione è che oggi saranno 200.000. Per quanto la discussione generale si concluda questa sera, e le votazioni inizino mercoledì, è fisicamente impossibile, se le cose restano come sono, approvare il bilancio dentro la scadenza. «Complimenti! è la reazione del sindaco Stiamo cercando di riparare al danno del disavanzo di quasi 1 miliardo di euro che coloro che ieri hanno alzato le mani fisicamente in aula, hanno causato». E ha ribadito: «Con serietà e rigore, cercheremo di chiudere il bilancio dell'amministrazione precedente e soprattutto di disegnare il bilancio del 2014 che è quello del rilancio di Roma».
Si sta parlando di soldi già spesi nel primo semestre dell’anno da Alemanno. Per questo appare incomprensibile lo scatenamento di Alfio Marchini e il numero abnorme di emendamenti presentato dalla sua lista. Il sindaco lo punzecchia sulle torri dell’Eur, ormai scheletri stile Beirut, che incombono sul nuovo centro congressi di Fuksas. Marchini nega di essere parte in causa. Però c’è chi ricorda il suo antico legame con Caltagirone. L’estremismo del rampollo «calce e martello» (Alemanno è più cauto e ha espresso solidarietà al sindaco) potrebbe trovare spiegazione nelle tensioni sui cantieri della linea C della metro o quelle su Acea.
«Il miliardario che siede in consiglio non si preoccupa del default? si scandalizza Gianluca Peciola Cioè di 23.000 dipendenti che si troverebbero nella situazione di quelli di Washington quando Obama è stato paralizzato dai Tea Party». Il Pil della Capitale, reagisce Fabrizio Panecaldo, portavoce di maggioranza, è il 7% di quello nazionale, se salta il bilancio il primo effetto «sarebbe un abbassamento del rating, anche il governo nazionale è molto preoccupato». In più, friggono le partecipate come Atac, dove, con il taglio prospettato di altri 100 milioni di euro, si teme per la continuità aziendale.
Lionello Cosentino, segretario del Pd romano, considera «inaccettabile la violenza contro una giunta appena insediata. Si è scatenata una rissa senza argomenti di merito, il consiglio deve poter esercitare il diritto-dovere del voto». Con Marino, con il quale Cosentino si è incontrato ieri sera, sono allo studio gli strumenti. Compresa l’inammissibilità degli emendamenti ripetitivi.
il Fatto 26.11.13
Bernoccoli, guanti e mattoni: Roma sgonfia la bici di Marino
Colpito durante l’ultimo consiglio
Il trattamento che la città sta riservando al “marziano” alle prese con i buchi di bilancio, gli squali e le opere incompute
di Antonello Caporale
“Ho un bernoccolo in testa”. E ha quasi sorriso. Questa forma espressiva conduce Ignazio Marino a resistere ai più feroci trattamenti che Roma, la città di cui è sindaco, gli sta riservando. La gomitata che il consigliere comunale dei Fratelli d’Italia ha sganciato (senza alcuna intenzionalità, come ha poi chiarito) nell’aula Giulio Cesare sul tetto della città, nella fattispecie la testa di Ignazio, è il segno che la Capitale promuove nella continuità il libero confronto delle idee. Se si parla di soldi, palazzi e poltrone si tratta con i guantoni. È successo con Alemanno e prima con Veltroni e ancor prima con Rutelli, e con ogni risma di giunta capitolina, ogni fascia tricolore. Loro, più navigati, hanno schivato, lui da inesperto ciclista della politica s’è trovato il bernoccolo alla prima conta del potere. Più di 850 milioni di euro di debiti, soldi già spesi da chi c’era e che lui si trova a rendicontare. Non aveva compreso, o ha capito male, oppure ha capito tardi che Roma è la capitale dell’ostruzione, in senso proprio e metaforico. Gli sono cascati addosso solo dal gruppo capitanato da Alfio Marchini, costruttore di famiglia di antico lignaggio e di vaste relazioni, 150 mila emendamenti, un mare in cui annegare tutti.
A ROMA l’ostruzionismo non è solo consentito dai regolamenti comunali, ma favorito, incoraggiato, sostenuto. E allora Marino, sorridendo, ha riunito la giunta e ha detto: “Bisogna cambiare passo”. E si è diretto, nella coerenza della sua proiezione visiva, (perciò disteso, ben rasato, col nodo della cravatta perfetto), a salutare la Nuvola di Fuksas, qui siamo all’architettura concettuale, che Roma inaugura ogni anno, nell’attesa che si completi. I lavori singhiozzano e giustamente si sincronizzano con l’indole cittadina al dubbio permanente, al-l’incompiutezza come segno dell’imperfezione umana. È una sorta di allineamento astrale, una condizione necessaria, A Roma ogni prova da completare è una fatica primordiale, ogni consegna dei lavori una ipotesi allo studio, ogni promessa un debito incagliato. Marino col bisturi in mano aveva promesso che no, lui avrebbe inciso e si sarebbe voltato pagina. “Mi sento un marziano. Una definizione che mi si addice”, aveva chiarito agli infedeli perchè fosse chiaro progetto e proposito. Invece, e purtroppo, ogni giorno un guaio. Ha pensato di chiudere i Fori Imperiali, e i commercianti riuniti tra via Labicana e via Merulana, le strade angolari al-l’area interessata alla chiusura, hanno inscenato drammatici sit-in con cartelli apocalittici: “Non vogliamo morire tra i veleni”. Non è stato conveniente cambiare le abitudini e i sensi di marcia. E Ignazio l’ha capito dopo, sempre dopo. Infatti alle proteste è seguito un micro piano di adeguamento della viabilità cittadina. E sempre biciclettando Marino è incappato nei tunnel delle varianti della Metro C, il più grande cantiere italiano, e anche il più buio, il più denso di inghippi e di inguacchi. Il luogo di coagulo del potere eletto della città: le imprese edili, i grandi palazzinari. Senza garbo, o forse senza misura, o anche, e soprattutto, senza ponderazione, la giunta del chirurgo ha preteso di rivedere ogni virgola del progetto e ogni centesimo del suo costo, che era intanto lievitato di alcune centinaia di milioni di euro. Risultato: l’associazione degli appaltatori ha bloccato i lavori, gli operai hanno bloccato la città. E un fiume di inchiostro ha colorato la faccia del sindaco per merito anzitutto del Messaggero, il giornale storico della Capitale, guarda caso di proprietà di Caltagirone, il dominus delle opere, pubbliche e private. Risultato? La Giunta ha corretto gli intendimenti, le varianti sono state accolte, i soldi in qualche modo sganciati. Marino ha capito dopo, tardi e male. E, sorridendo, ha ricevuto l’ingegner Caltagirone nel suo studio. Pace fatta. Ci mette tutto l’impegno che può. Arriva ogni mattina prima delle otto al Campidoglio e indossa i guanti da chirurgo. É così pignolo che non dosa la fatica: con la stessa determinazione duetta su un avverbio, i suoi assistenti hanno dovuto provare lo stupore di vederlo all’opera con la correzione di un comunicato stampa, e sul piano regolatore. “Alla fine della giornata sei stanco morto ma non hai prodotto niente”, confessa uno di loro. “Ignazio è scrupolosissimo, si documenta su tutto. Ma per me la sua destinazione più giusta era il ministero della Salute. Lì sarebbe stato un campione”, dice Felice Casson, suo amico e collega di banco senatoriale. “Che sia onesto non lo discuto, ma che sia ambizioso oltre forse ogni misura è una percezione che si fa più forte ogni giorno che passa”, garantisce Alemanno. É un po’ Forrest Gump e un po’ carogna? “Più carogna che altro”. Questo è il resoconto di un vigile urbano che ciondola nella sala Giulio Cesare. Anche coi pizzardoni, gli storici e dibattuti vigili urbani di Roma che il sindaco vorrebbe rimandare in strada a conquistare la gloria, la questione si è fatta complicata e a tratti così buffa da apparire una piece teatrale.
L’AMORE di Marino verso i curricula, la sua fede incrollabile nel merito (cosa in sé straordinaria se riferita al corso delle nomine italiane) è stata tale che un impappinamento generale ha condotto lo staff a promuovere al comando dei vigili un carabiniere che, in base ai suoi titoli, non aveva i meriti pretesi. E dunque: annuncio, proteste, scuse. Marino, sorridendo, si è ricreduto. É stato scelto un poliziotto e speriamo che se la cavi. Qui dunque la domanda da girare al Pd, il partito che l’ha candidato e poi – vedendolo all’opera – se ne è pentito: è davvero un Forrest Gump o un simulatore professionista? Sorride per inconcludenza o per strategia? Francesco D’Ausilio, quarantenne capogruppo al Comune: “È un uomo che ha rotto l’equilibrio e il patto tra generone e popolo che i suoi predecessori avevano costruito. Per governare Roma devi però trovare una relazione con la città e anche con chi la rappresenta. Io dico sempre ad Ignazio: il potere ce l’hai, adesso trova una grande idea sulla quale organizzare il consenso”.
Corriere 26.11.13
In coda e senza soldi: la Capitale dello scontento
Cortei non autorizzati, cantieri fermi, gomitate in consiglio
Venti giorni fa un incontro segreto Marino-Caltagirone
di Goffredo Buccini
La maionese è impazzita. «Magari! Vorrebbe dire che si muove... qua stamo tutti incartati!». Il poliziotto allarga le braccia, davanti alle transenne che sbarrano anche il tratto di solito non proibito dei Fori Imperiali, tra clacson e imprecazioni. «C’è una manifestazione improvvisata. Provi un po’ a parcheggiare là», indica. E là è un groviglio di moto e scooter davanti ai cancelli del Palatino, sotto gli occhi di turisti allibiti e finti centurioni indifferenti.
Mezzogiorno. In duecento, forse trecento accorsi qui da tutta Italia invocano il metodo Stamina, innalzano striscioni (Vite a tempo ) e rabbie anche legittime: paralizzando il cuore di Roma, senza autorizzazione, com’è ovvio. Confusi tra i malati campani, con le stesse maglie nere della manifestazione ma molta legittimazione in meno, tifosi della Nocerina e della Salernitana, teste calde che vogliono arrivare alla chetichella sotto Montecitorio a fare ammuina (ne identificheranno una ventina). Cinquecento metri più su, i senzacasa occupano un pezzo di piazza Santi Apostoli. Una fila di autobus di linea e pullman turistici è ferma per tre ore da piazza Venezia a piazza Colonna e oltre. Via Cavour è un serpente di macchine fino alla Stazione. Sembra una vecchia domenica di austerity, il centro della capitale, in questa bolla di immobilità rancorosa. Invece è un lunedì, e non un «lunedì nero», come piace ai titolisti. È un dannato lunedì quasi di routine, perché a Roma si scaricano ormai senza preavviso tensioni e umori di un Paese sempre più teso e di malumore.
Alemanno non se ne faceva una ragione, e aveva pensato — tra molti sberleffi — di mettere addirittura una tassa sui cortei. Che non erano colpa sua, almeno quelli. Come non sono colpa di Ignazio Marino, il nuovo contestatissimo sindaco, eletto dal Pd: un genovese di madre svizzera con lunga esperienza da chirurgo in America, non proprio un prodigio di sintonia con l’anima buiaccara di Rugantino e i motti di Pasquino. Come direbbe Guccini, il cuore è di simboli pieno. Il simbolo della Roma mariniana, e del suo ripiegarsi sui propri guai, sta in questa marmellata di lamiere immote, di appuntamenti saltati, di lavori impossibili: capitale stracotta, nazione in ginocchio; Roma incarna più che mai, in peggio, la povera Italia dei nostri giorni. Questo lunedì non è colpa di Marino, ripetiamolo.
E però Marino ha un sesto senso per stare nel posto sbagliato al momento sbagliato (era a Cracovia mentre gli antagonisti assaltavano i Palazzi romani: per una visita ad Auschwitz sacrosanta ma infelice nella tempistica). Sicché adesso, mentre i romani boccheggiano nel caos del centro, lui è all’Eur, a concionare sulla Nuvola di Fuksas, «nuovo punto di forza dello skyline cittadino». Peccato che la struttura («l’edificio inesistente più famoso del mondo dopo la torre di Babele», scriveva ieri Giuseppe Pullara sul Corriere romano), costata finora 200 milioni per soli tre quarti, avrebbe bisogno, per essere completata dopo sei anni (!) di 170 milioni che, valli a trovare, di questi tempi. Sulla Nuvola e dintorni duellano acidi a distanza il sindaco e il suo maggiore avversario, Alfio Marchini, famiglia dei costruttori «rossi» di Botteghe Oscure, molto appoggiato in campagna elettorale dall’imprenditore più potente e ricco di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone. «Sarà un omonimo, non quello di Amo Roma , chi ha lasciato questa visione tipo Beirut all’Eur», sibila Ignazio, alludendo agli scheletri delle Torri ex Finanze, ancora lì in brutta vista. «Non posseggo le Torri delle ex Finanze», fa sapere Alfio: «Il sindaco è inadeguato e superficiale. E, da permaloso, confonde questioni politiche con squallidi attacchi personali».
Il clima politico è questo. Il deficit di 867 milioni di euro (ereditato e denunciato) non aiuta. Per uscire dall’angolo, tre settimane fa, Marino ha invitato in gran segreto al Campidoglio proprio Caltagirone. Per dare un’idea dei rapporti tra i due, avvelenati anche dalle tensioni sull’Acea, basta un titolo del Foglio: «L’Ingegnere e il Marziano. Quer pasticciaccio brutto tra il Messaggero e il sindaco di Roma ». Mesi di attacchi, attribuiti alla volontà dell’editore (non molto generosamente verso l’autonomia dei colleghi del maggior quotidiano romano). Poi l’incontro: un’ora tesa, nell’ufficio con vista sui Fori. «Andato male», dicono voci vicine a Marino. Il sindaco sperava di parlare di metro C, «che è strategica». Tradotto: altra grana infinita, tre miliardi e mezzo per 30 stazioni, tremila posti di lavoro a rischio ora che i soldi mancano, gli stipendi ballano e il capolinea ipotizzato si sposta indietro allo spostarsi in giù del budget. Il 12 novembre i lavoratori hanno, tanto per cambiare, bloccato centro storico e dintorni.
Marino dà una forte sensazione di solitudine anche ai suoi: «Stiamo sfidando i poteri forti della città, costruttori, editori, imprenditori», proclama, saltato l’abboccamento con Caltagirone. Poi saltano le sedute di consiglio comunale perché la giunta produce poco. Dicono sia in freddo persino con Bettini (saluti formali alla festa di compleanno di Goffredo, un tempo appuntamento imperdibile della Roma potentona ). Dicono anche che l’eterno kingmaker si sfoghi ogni tanto: «Se non mi chiama lui, dovrei chiamarlo io?». Chissà. Di sicuro, da qualche giorno, Marino convoca i suoi assessori più importanti come martiri perseguitati, in colloqui più o meno catacombali in cui invoca un secondo tempo, un 2014 che mandi «forti segnali alla città». Ma è una parola.
Joyce diceva che i romani campano mostrando ai turisti il cadavere della nonna in cantina. Ora non ci sono nemmeno più i soldi per scenderci, in cantina. Il bilancio impossibile (tardivamente preventivo, ossia del 2013) va approvato entro il 30 novembre. L’opposizione (Marchini soprattutto) gli ha scaricato sopra 130 mila emendamenti: «Meglio il default e il commissario piuttosto che questo sindaco». Maurizio Gasparri gongola: «Marino ha fallito, la chiuda qui». In consiglio comunale, all’esordio della maratona proprio per l’approvazione del bilancio, l’altra sera sono volati gli schiaffi, il sindaco ha rimediato una gomitata in testa da Dario Rossin, Fratelli d’Italia. «Gomitata non involontaria », sostiene adesso, con un contorcimento lessicale che la dice lunga sulla sua capacità di parlare dritto al cuore della gente. Rossin s’era scusato. Ora dice: «Ho rivisto il filmato, Marino è un simulatore». Peggio del peggior Cristiano Ronaldo, insomma.
La verità è che, per rimettere insieme la città in pezzi com’è, occorrerebbe carisma. Molti dubitano che ne abbia, con quell’aria da giovane marmotta stralunata e una certa tendenza a sbagliare le scelte-chiave, assessori e comandanti dei vigili compresi.
«Ma io lo difendo», dice Lionello Cosentino, neosegretario del Pd romano: «C’è una sproporzione tra la guerra che gli fanno in consiglio e i pochi mesi di governo della città. Dico: 130 mila emendamenti su un bilancio previsionale, cioè già speso... non mi tornano, è una farsa. Certo, i problemi di Roma ci sono e grossi. Ma la crisi delle grandi città non è da mettere sulle spalle di Ignazio». Cosentino fa il suo mestiere, da politico navigato. Secondo alcuni maligni, sarebbe una specie di tutore che il partito avrebbe messo accanto al sindaco, per un ultimo salvataggio. Chissà.
Di sicuro le grane si susseguono. Quasi tutte le istituzioni culturali romane ballano coi vertici sotto rinnovo (l’assessore Flavia Barca è alquanto sulla graticola). Ieri sera in una riunione infinita si è riusciti a scacciare lo spettro dello sciopero al teatro dell’Opera per la prima dell’Ernani, un ceffone mondiale all’immagine della città. Scricchiola persino la Camera di commercio, che con Andrea Modello fu volano del Modello Roma, e che ancora ha soldi in cassa ma è paralizzata dal lungo dimissionamento del presidente Cremonesi. Insomma, i Fori pedonalizzati da Ignazio il ciclista rischiano a questo punto, nella migliore delle ipotesi, di passare come un’operazione di pura immagine all’insediamento; nel peggiore, di finire come il lungomare «liberato» di Giggino de Magistris, l’icona del disastro... Marchini rilancia: «Nel 2014 avremo un miliardo di disavanzo. Rischiamo di finire come la Grecia. Marino ha fatto promesse elettorali su beni non reali, ora squarci il velo di ipocrisia sul default». Nella lunga sera delle trattive per l’Ernani, il centro si blocca di nuovo. Stavolta è Putin, con un sobrio corteo imperiale di una trentina di macchine. Il nostro governo pare sogni di rifilargli una parte delle grane nazionali dell’Ilva. Tutti fermi, aspettando. I pullman coraggiosamente scoperti tengono in ostaggio turisti americani ormai rassegnati. Sulla fiancata la scritta in inglese recita: tour raccontato, ci prendiamo cura di te. Ciao Roma .