mariok ha scritto:Non capisco come si faccia a prescindere da un dato ormai eclatante: quello della crisi profonda (a livello ormai comatoso) della sinistra italiana.
E meno ancora capisco la meraviglia di vedere riflesso questo dato di fatto anche nella nostra piccola comunità.
E quando parlo di crisi, non mi riferisco solo alla classe dirigente. Quella è ormai definitivamente scomparsa. Ma è anche la base in una crisi profonda.
I dati elettorali ci dicono che essa ormai si è rifugiata nel M5S. Le altre formazioni sono ormai scomparse.
Ebbene, basta farsi un giro per i commenti del blog di Grillo, per rendersi conto di come si sia ridotta culturalmente e politicamente questa sinistra.
Qui da noi c'è molto sbandamento. C'è anche l'incapacità di venirne in qualche modo a capo. Ma almeno non ci sono urla, anatemi, tutte le piacevolezze che sembrano essere l'unica abilità rimasta al "popolo" della sinistra (quelli che sembrano avere qualcosa da dire).
A completare il quadro, c'è qua e là qualche gruppetto di nostalgici, come quelli che incontri fra i seguaci di vecchi professori come Ginsborg, che si parlano addosso sui bei tempi che furono (quelli dei mitici partiti di massa, quando anche la chiesa era la chiesa) e che quando sono al massimo della loro capacità di elaborazione arrivano niente meno a sparare qualche pillola neo-keynesiana a buon mercato.
Quanto al PD, è il facile bersaglio cui addebitare tutte le colpe. Persino Ingroia, l'ultimo arrivato che ha imparato subito la lezione, arriva a sostenere che il suo flop è colpa del PD.
L'unico che ha avuto la lucidità ed il coraggio di mettersi in gioco per contestare nei fatti un gruppo dirigente ormai incapace di esprimere altro che la sua autoconservazione (problema che non riguarda solo il PD, ma tutta la sinistra) è stato bollato come il liberista, quinta colonna del caimano, a cui contrapporre niente po' po' di meno che il genuino "profumo di sinistra" esalato da Bersani e Vendola.
Ha ragione Amalia: ma di che vogliamo parlare? Di come è bello guardarsi allo specchio e dirsi: io sì che sono un figo di sinistra, io sì che ho preso posizione, mi schiero, so da che parte stare, mentre gli altri sono tutti poveri imbecilli che non hanno capito nulla?
No grazie. Ognuno può fare quello che più gli piace, compreso sfogare le proprie giuste frustrazioni prendendosela con gli altri.
Io preferisco stare con un gruppo di amici nel quale si cerca modestamente di aiutarsi reciprocamente a capirci qualcosa, senza verità rivelate o spocchiose certezze.
L'unico che ha avuto la lucidità ed il coraggio di mettersi in gioco per contestare nei fatti un gruppo dirigente ormai incapace di esprimere altro che la sua autoconservazione (problema che non riguarda solo il PD, ma tutta la sinistra) è stato bollato come il liberista, quinta colonna del caimano, a cui contrapporre niente po' po' di meno che il genuino "profumo di sinistra" esalato da Bersani e Vendola.
In questi giorni è interessante osservare in generale, a tutti i livelli, l’abbaglio generale sulla figura di Renzi.
Siamo in quella fase mista di nostalgia e rivendicazione per una sconfitta subita, che si porta abitualmente alla superficie quando l’avversario non brilla per capacità, quando se ne presenta l’occasione.
Renzi, avrebbe portato un po’ di voti in più, mi è stato risposto questa mattina dal mio dirimpettaio del tavolo della sala lettura dei quotidiani.
Ma è portare un po’ di voti in più il problema centrale della società italiana in questa fase transitoria?
Ha dichiarato il direttore di Rai 4 che Renzi è un Berlusconi crepuscolare che è uscito alla fine del berlusconismo.
Basta la sacrosanta voglia di cambiare per non cadere dalla padella alla brace?
Dal punto di vista strategico sul tema conquista del potere Renzi ha cannato in pieno.
E questo desta immediate preoccupazioni, sulle capacità oggettive dell’ipotetica futura conduzione del Pd da parte di Renzi, ma più che altro sulla guida del Paese nei giorni più tragici del dopoguerra.
Tutto è cominciato con San Bettino martire, il prepotente capo di quel Partito Socialista Italiano, molto simile ai socialisti alla Mussolini.
Senza nessuna preparazione ministeriale, non ha mai guidato un dicastero, si è improvvisato capo del governo. Questo perché, per indole, appartiene a quella categoria di uomini, che vogliono solo comandare senza mai dover sottostare al comando di altri.
Dopo di lui, ne è arrivato un altro. L’ometto di Hardcore. Da queste parti il comportamento dell’ometto era noto perché qualcuno ha lavorato come dirigente nelle sue aziende.
L’ometto in azienda era un duce.
Un duce che si circondava solo di yesman. Chi osava contraddirlo, veniva gentilmente pregato di passare alla cassa per un anticipo sul dovuto, in attesa di conti precisi più avanti. E dopo la cassa, la porta e il cancello dell’azienda.
Questa sua mentalità strutturata, l’ha portata anche in politica convinto che potesse dominare alla stessa maniera come ha fatto per decenni nelle sue aziende.
Infatti ci è riuscito quasi totalmente all’interno del suo partito. Un po’ meno con gli alleati.
Con Bossi usava il metodo del bastone e la carota. Ed avendolo sottomesso pagandogli i debiti dell’inesperienza leghista nel gestire una banca, se lo è legato a sé a vita, malgrado Bossi ogni tanto fosse intenzionato a scalciare.
Il problema sorge con Casini e Fini, dopo il ritorno al potere nel 2001.
Pensava di trattarli come trattava i suoi dipendenti, dimenticando che erano i capi di partiti alleati. Non erano di certo dei domestici Scilipoti e Razzi, messi regolarmente a libro paga.
Sul finire del 2007, decide di farli fuori appropriandosi dei rispettivi partiti, e Casini intuisce e fugge, mentre Fini che intendeva giocarsi la carriera accetta. Ma lo sopporta fino al famoso: “Che fai,….mi cacci?”
Alfano verrà usato come un normale cameriere per tutto il 2012, per i suoi giochi di potere.
Lui è fatto così. E’ un duce. L’amico Confalonieri lo chiama il Ceauşescu buono.
Ma è con questa mentalità ducesca, che senza esperienza alcuna di politica, se non quella sentita dire, scende in campo e mira direttamente a guidare il Paese.
“Ho fatto il capo delle mie aziende, posso fare tranquillamente anche il capo dell’Italia.” Era quella la sua velleitaria pretesa.
Chi da queste parti conosceva le sue imprese nel costruire l’impero del biscione, e sapeva cosa era la politica, da subito ha bocciato la candidatura del nuovo prepotente di turno. Gran bauscia tutto fumo e niente arrosto.
Per molti italiani ci sono voluti 18 anni per capire chi fosse. E non si trattava solo della categoria di italiani elencata dal linguista Tullio De Mauro: Ci stavano fior di laureati, alcuni noti dalla politica come Casini e Monti, che raccontano la solita palla: “Credevo che volesse fare la rivoluzione liberale”.
Già, come dicono da queste parti: “ Se mio nonno in carriola avesse avuto le ruote, avrebbe potuto fare il tram”.
Qualcuno è disposto a credere a questa panzana? E allora perché a questa panzana no e al pirla sì???
Poi c’è stato il terzo superman. Di quelli che non hanno esperienza ministeriale e s’insediano direttamente a Palazzo Chigi. Il duca conte Dalemoni.
E noi dopo le esperienze negative di questi tre “superuomini” del ghe pensi mi facile, dovevamo mettere in mano l’Italia a questo ragazzetto presuntuoso, che privo di esperienza della politica romana, di quella ministeriale e diplomatica avrebbe dovuto guidare il Paese nella fase più difficile della sua storia repubblicana, solo per soddisfare le sue ambizioni di potere, tagliando fuori tutti i concorrenti della scalata usando furbescamente per calcolo il cortocircuito delle primarie?
Se avesse avuto un minimo di intelligenza politica avrebbe avuto la partita facile da giocare. Invece, divorato dall’ambizione di arrivare al top in tempi rapidi attraversando la via dei campi anziché seguire il percorso di gara, non ha vinto perché non ha convinto.
Ma poi siamo sicuri che Renzi non abbia vinto la sua gara personale, quella vera?
Renzi sapeva benissimo che non avrebbe avuto possibilità di vittoria perché gli sarebbe stato scagliato addosso tutto l’apparato del partito.
Renzi sapeva benissimo che sei mesi dopo il difficile accordo raggiunto tra i 25 notabili a capo delle tribù piddine, durato mesi e mesi, per stabilire l’organigramma della spartizione delle poltrone e del capobranco che li avrebbe guidati nella campagna elettorale, non avrebbero permesso a nessuno, ma proprio nessuno di mandare all’aria quella difficile intesa. Meno che meno ad un ragazzino presuntuoso dalla scalata del potere facile.
Quando Bersani esce nero dall’accordo dell’organigramma e ha bisogno di ripetere l’esperienza Prodi, l’inventore delle primarie, che ha acquisito l’investitura popolare come antidoto allo strapotere delle tribù, e mette in gioco la sua candidatura, lo fa dietro un rischio calcolato.
Però il suo obiettivo Renzi l’ha raggiunto comunque. L’esser preso sottobraccio da Bersani per il fatidico: “A fra’,….che te se serve?”. “Vedi figliolo, se stai buono questo domani potrà essere tutto tuo.”
Così il Renzino, d’un colpo, s’è fatto fuori tutti i concorrenti d’allevamento quarantenni che da anni bazzicano intorno al Nazareno in attesa del loro turno di salire.