Il "nuovo" governo Renzi
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
patrizia • 25 minuti fa
Più che al furto siamo allo sberleffo! non sarà mica a causa della paventata responsabilità civile dei giudici
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MASTRUCATO • 25 minuti fa
2 PDINI indagati fanno una prova .....
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umbertoc omin • 27 minuti fa
Ho capito bene? 4.000 e 5.500 Euro in due anni? Se fossero davvero dei ladri avrebbero arraffato di più. E c'è pure chi ci perde del tempo per sparare sentenze? Ma fatemi un piacere ...
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patrizia • 29 minuti fa
Praticamente dei ladri di merendine!
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patrizia • 29 minuti fa
Contestati quattromila euro in diciannove mesi? Roba da matti! Meno di quello che si magna la Bulgarelli a nostre spese in tre mesi!
Ma all' on. Bulgarelli nessuno dice di non abbuffarsi, in fondo sempre dei nostri soldi!
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pipaluce • 30 minuti fa
Poveri..SOLO 5k euro..
Non ci sono i prezzolati pidd1ni che scrivono " invece di indagare loro perché non indagano chi ruba milioni " ???
Occhio però..magari salgono su per l'albero della gerarchia di partito..chi lo sa : D
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Alcofibras pipaluce • 23 minuti fa
Infatti siete indagati pure voi
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arcocielo • 30 minuti fa
ma poverini guadagnavano così poco !
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Più che al furto siamo allo sberleffo! non sarà mica a causa della paventata responsabilità civile dei giudici
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MASTRUCATO • 25 minuti fa
2 PDINI indagati fanno una prova .....
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umbertoc omin • 27 minuti fa
Ho capito bene? 4.000 e 5.500 Euro in due anni? Se fossero davvero dei ladri avrebbero arraffato di più. E c'è pure chi ci perde del tempo per sparare sentenze? Ma fatemi un piacere ...
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patrizia • 29 minuti fa
Praticamente dei ladri di merendine!
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patrizia • 29 minuti fa
Contestati quattromila euro in diciannove mesi? Roba da matti! Meno di quello che si magna la Bulgarelli a nostre spese in tre mesi!
Ma all' on. Bulgarelli nessuno dice di non abbuffarsi, in fondo sempre dei nostri soldi!
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pipaluce • 30 minuti fa
Poveri..SOLO 5k euro..
Non ci sono i prezzolati pidd1ni che scrivono " invece di indagare loro perché non indagano chi ruba milioni " ???
Occhio però..magari salgono su per l'albero della gerarchia di partito..chi lo sa : D
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Alcofibras pipaluce • 23 minuti fa
Infatti siete indagati pure voi
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arcocielo • 30 minuti fa
ma poverini guadagnavano così poco !
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
SPESE PAZZE.
10/09/2014 di triskel182
10/09/2014 di triskel182
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
il Fatto 10.9.14
Primarie Pd, tutti indagati. Emilia Romagna nel caos
I due candidati renziani, Richetti e Bonaccini, finiscono nell’inchiesta sulle spese pazze in Regione
Il primo si ritira, il secondo resiste. Il premier (sotto tono) tace e da Vespa ammette che l’economia non è ripartita. Poi congeda Cottarelli
di Luca De Carolis
Un altro diluvio nella terra rossa, dove il partito è quasi tutto. (ci vorrebbe Alberto Sordi per definire l'Emilia Romagna terra rossa ai giorni nostri - ndt)Il caos nel campo renziano, con un candidato, Richetti, uscito dalla pista e un altro, Bonaccini, con un piede mezzo e fuori. Dall’Emilia Romagna dove domenica Matteo Renzi si era autocelebrato con camicia bianca e tortellini in brodo, piovono pietre sul Pd. Quelli che erano i due principali candidati alle primarie per le Regionali del 28 settembre, i renziani Matteo Richetti e Stefano Bonaccini, sono indagati per peculato nell’inchiesta della Procura di Bologna sulle spese pazze in Regione, assieme ad altri sei ex consiglieri del Pd. Un altro terremoto giudiziario per i Dem, che nel luglio scorso avevano perso il governatore Vasco Errani, dimessosi dopo la condanna in appello a un anno di carcere per falso ideologico.
UNA ROGNA gigantesca per Renzi, che ora pensa di lanciare Delrio come candidato unico, azzerando le primarie. Ma che deve fare i conti con i bersaniani, che vogliono puntare di nuovo su Daniele Manca, il sindaco di Imola uscito dalla corsa vista la folla di renziani in campo. La certezza è che Richetti si è ritirato già nella tarda mattinata di ieri, quando la notizia ha cominciato a circolare. Il segretario regionale Bonaccini, della cui iscrizione si è appreso in serata, formalmente è ancora in campo. Ieri sera ha parlato all’Ansa: “Ho appreso che la procura sta svolgendo accertamenti anche sul mio conto e ho già comunicato di essere formalmente a disposizione per chiarire ogni eventuale addebito.
Confido di poter dare ogni chiarimento”. Il segretario vorrebbe resistere. Ma pare impossibile che possa restare in corsa, a fronte del ritiro di Richetti e di un’inchiesta che vede indagati altri sei ex consiglieri dem (almeno per ora). Tutti coinvolti nell’inchiesta partita nell’ottobre 2012, che un anno dopo aveva portato agli avvisi di garanzia per tutti i nove capigruppo dei partiti presenti in Regione. Accusati di peculato per spese ingiustificate, almeno a detta dei pm: da romanzi a fiori, fino a profumi, gioielli, forni a microonde e perfino aspirine. I beni più svariati, per cui avevano chiesto e ottenuto rimborsi con soldi pubblici. Ora nella vicenda compaiono anche Richetti e Bonaccini. Dell’iscrizione hanno saputo poche ore fa, dopo aver chiesto formalmente alla procura tramite i propri legali se fossero sul registro degli indagati. Risposta affermativa, e il copione delle primarie dem è stato stravolto. Si è fatto da parte Richetti, il renziano doc che il 27 agosto si era lanciato contro il parere del partito e di Renzi che volevano un candidato unitario, Manca., vicinissimo a Errani. Il ritiro lo ha comunicato con un messaggio: “Tra ieri notte e stamattina dovuto prendere una decisione, di quelle che non ci dormi. Mi fermo qui, ci sono cose di fronte alle quali ci si ferma”. Nessun cenno all’avviso di garanzia, di cui si è appreso poco dopo. “La rinuncia non è affatto legata all’indagine” assicura il suo avvocato, Gino Bottiglioni. Ma l’inchiesta ha pesato come una montagna sul deputato, che lascia anche per problemi personali. E non solo. Raccontano che lamentasse l’isolamento da parte dell’apparato di partito, che lo percepiva come un corpo estraneo. Apparato più vicino a Bonaccini, ex bersaniano. Ma le novità dalla procura potrebbero travolgere anche il segretario, ieri pomeriggio rinchiusosi nel silenzio dopo aver cancellato un impegno pubblico a Reggio Emilia. Neppure una sillaba, ma un gesto simbolico: il cambio della copertina della sua pagina Facebook, dovehapostatounlink che rimandava al suo sito in allestimento, con scritta: “Il futuro cambia, cambiamo il futuro. Stefano Bonaccini Presidente”. Come a dire, io non mi sposto.
MA LA REALTÀ racconta del caos nel partito, con l’ennesimo candidato renziano Roberto Balzani che ha già presentato le firme per le primarie (il termine ultimo è domani). E di un’area Civati che ragiona se presentare un candidato nuovo di zecca. Soprattutto, prefigura una nuova mossa di Renzi, che per ripartire pensa di azzerare tutto, lanciando come candidato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Il salvatore della patria perfetto: ex sindaco di Reggio Emilia, gradito a tutte le aree. Che con il premier è in rotta da tempo. Potrebbe essere una via d’uscita per entrambi, rottamatore ed ex sindaco. Ma prima bisogna fare i conti con i bersaniani, che ora reclamano Manca, l’ex candidato unitario che Renzi non aveva saputo imporre. Una trattativa che si incrocerà con la complicata partita della segreteria unitaria. Mentre pare residuale l’ipotesi del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. A margine, la rabbia dell’ex assessore regionale Mezzetti (Sel): “La procura dica chi vuole come presidente”.
(ha collaborato David Marceddu)
Primarie Pd, tutti indagati. Emilia Romagna nel caos
I due candidati renziani, Richetti e Bonaccini, finiscono nell’inchiesta sulle spese pazze in Regione
Il primo si ritira, il secondo resiste. Il premier (sotto tono) tace e da Vespa ammette che l’economia non è ripartita. Poi congeda Cottarelli
di Luca De Carolis
Un altro diluvio nella terra rossa, dove il partito è quasi tutto. (ci vorrebbe Alberto Sordi per definire l'Emilia Romagna terra rossa ai giorni nostri - ndt)Il caos nel campo renziano, con un candidato, Richetti, uscito dalla pista e un altro, Bonaccini, con un piede mezzo e fuori. Dall’Emilia Romagna dove domenica Matteo Renzi si era autocelebrato con camicia bianca e tortellini in brodo, piovono pietre sul Pd. Quelli che erano i due principali candidati alle primarie per le Regionali del 28 settembre, i renziani Matteo Richetti e Stefano Bonaccini, sono indagati per peculato nell’inchiesta della Procura di Bologna sulle spese pazze in Regione, assieme ad altri sei ex consiglieri del Pd. Un altro terremoto giudiziario per i Dem, che nel luglio scorso avevano perso il governatore Vasco Errani, dimessosi dopo la condanna in appello a un anno di carcere per falso ideologico.
UNA ROGNA gigantesca per Renzi, che ora pensa di lanciare Delrio come candidato unico, azzerando le primarie. Ma che deve fare i conti con i bersaniani, che vogliono puntare di nuovo su Daniele Manca, il sindaco di Imola uscito dalla corsa vista la folla di renziani in campo. La certezza è che Richetti si è ritirato già nella tarda mattinata di ieri, quando la notizia ha cominciato a circolare. Il segretario regionale Bonaccini, della cui iscrizione si è appreso in serata, formalmente è ancora in campo. Ieri sera ha parlato all’Ansa: “Ho appreso che la procura sta svolgendo accertamenti anche sul mio conto e ho già comunicato di essere formalmente a disposizione per chiarire ogni eventuale addebito.
Confido di poter dare ogni chiarimento”. Il segretario vorrebbe resistere. Ma pare impossibile che possa restare in corsa, a fronte del ritiro di Richetti e di un’inchiesta che vede indagati altri sei ex consiglieri dem (almeno per ora). Tutti coinvolti nell’inchiesta partita nell’ottobre 2012, che un anno dopo aveva portato agli avvisi di garanzia per tutti i nove capigruppo dei partiti presenti in Regione. Accusati di peculato per spese ingiustificate, almeno a detta dei pm: da romanzi a fiori, fino a profumi, gioielli, forni a microonde e perfino aspirine. I beni più svariati, per cui avevano chiesto e ottenuto rimborsi con soldi pubblici. Ora nella vicenda compaiono anche Richetti e Bonaccini. Dell’iscrizione hanno saputo poche ore fa, dopo aver chiesto formalmente alla procura tramite i propri legali se fossero sul registro degli indagati. Risposta affermativa, e il copione delle primarie dem è stato stravolto. Si è fatto da parte Richetti, il renziano doc che il 27 agosto si era lanciato contro il parere del partito e di Renzi che volevano un candidato unitario, Manca., vicinissimo a Errani. Il ritiro lo ha comunicato con un messaggio: “Tra ieri notte e stamattina dovuto prendere una decisione, di quelle che non ci dormi. Mi fermo qui, ci sono cose di fronte alle quali ci si ferma”. Nessun cenno all’avviso di garanzia, di cui si è appreso poco dopo. “La rinuncia non è affatto legata all’indagine” assicura il suo avvocato, Gino Bottiglioni. Ma l’inchiesta ha pesato come una montagna sul deputato, che lascia anche per problemi personali. E non solo. Raccontano che lamentasse l’isolamento da parte dell’apparato di partito, che lo percepiva come un corpo estraneo. Apparato più vicino a Bonaccini, ex bersaniano. Ma le novità dalla procura potrebbero travolgere anche il segretario, ieri pomeriggio rinchiusosi nel silenzio dopo aver cancellato un impegno pubblico a Reggio Emilia. Neppure una sillaba, ma un gesto simbolico: il cambio della copertina della sua pagina Facebook, dovehapostatounlink che rimandava al suo sito in allestimento, con scritta: “Il futuro cambia, cambiamo il futuro. Stefano Bonaccini Presidente”. Come a dire, io non mi sposto.
MA LA REALTÀ racconta del caos nel partito, con l’ennesimo candidato renziano Roberto Balzani che ha già presentato le firme per le primarie (il termine ultimo è domani). E di un’area Civati che ragiona se presentare un candidato nuovo di zecca. Soprattutto, prefigura una nuova mossa di Renzi, che per ripartire pensa di azzerare tutto, lanciando come candidato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Il salvatore della patria perfetto: ex sindaco di Reggio Emilia, gradito a tutte le aree. Che con il premier è in rotta da tempo. Potrebbe essere una via d’uscita per entrambi, rottamatore ed ex sindaco. Ma prima bisogna fare i conti con i bersaniani, che ora reclamano Manca, l’ex candidato unitario che Renzi non aveva saputo imporre. Una trattativa che si incrocerà con la complicata partita della segreteria unitaria. Mentre pare residuale l’ipotesi del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. A margine, la rabbia dell’ex assessore regionale Mezzetti (Sel): “La procura dica chi vuole come presidente”.
(ha collaborato David Marceddu)
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
il Fatto 10.9.14
“Regionali che?” Renzi da Vespa fa scena muta
Sul caso del giorno neanche una parola
Il premier però fa sapere che resterà alla guida del Pd
di Wanda Marra
Nessuno glielo chiede e lui non dice una parola. Mentre la partita per la presidenza dell’Emilia Romagna precipita nel caos più assoluto, il premier, nel salotto di Bruno Vespa, che lo ospita per una prima in grande stile, si guarda bene da affrontare il tema. Un silenzio che salta doppiamente agli occhi visto che il conduttore gli serve un piatto di tortellini. “Faremo il patto del tortellino in Europa”, aveva scherzato il segretario-premier, circondato dai giovani leader del Pse domenica alla Festa dell’Unità di Bologna. Una bella appropriazione del simbolo emilian-bersaniano. Ma evidentemente la situazione in quella Regione gli è del tutto sfuggita di mano. Prima, con il tentativo (fallito) di trovare una “soluzione unitaria” sul nome di Daniele Manca, il sindaco di Imola, voluto da Errani. Ora, con i due candidati di punta alle primarie, Matteo Richetti e Stefano Bonaccini indagati, il primo ritirato, e il secondo decisamente in bilico. “Presidente, con Richetti e Bonaccini indagati cosa succederà per le primarie in Emilia-Romagna? ”, gli chiedono i cronisti all’uscita dallo studio di Vespa. “Buon lavoro”. Nessuna risposta.
A Porta a Porta il premier appare stanco, decisamente meno brillante del solito. Si inceppa sui tecnicismi, come quando cerca di spiegare il pagamento dello stato dei debiti della Pa. I fronti aperti sono tanti, e su tutti i piani. Non si fa mancare le promesse: “Penso e credo che nella legge di stabilità avremo un’ulteriore diminuzione delle tasse sul lavoro. Ci sono varie ipotesi sui modi e la finanziamo con la riduzione della spesa”. In effetti, lo stesso ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan sabato scorso alla festa del Pd di Bologna aveva parlato della possibilità di ridurre le tasse per le imprese, l’obiettivo cui sono finalizzati i tagli nei ministeri.
MA INTANTO lo Sblocca Italia non è ancora arrivato al Quirinale. E sono passati dieci giorni dal Cdm che lo ha teoricamente licenziato. E ancora, sugli statali: “I denari per risolvere gli sblocchi dei salari e gli scatti, secondo i ministri già possono essere trovati". Annuncio quest’ultimo decisamente in contrasto con quanto dichiarato dal ministro per la Pa, Madia, che si era presa l’onere di far sapere del blocco agli stipendi degli statali. A proposito di pubbliche sconfessioni.
E AL COLLE non ci è arrivato nemmeno il decreto sulla giustizia civile. A via Arenula erano certi che sarebbe stato sul tavolo del Colle già lunedì. Ma l’Anm è sul piede di guerra, la quadra non si trova. Problemi, uno dopo l’altro. Non manca l’ammissione sul Pil: “Quest’anno balleremo intorno allo zero”. La ripresa non c’è, la versione ufficiale dalle parti di Palazzo Chigi è che dipende da condizioni pregresse. Ma a Renzi tocca rispondere alla critica: “Mi accusano di essere troppo sorridente. Dietro questo sorriso c’è tanta voglia di faticare e lavorare”. Non si risparmia le battute e gli affondi neanche questa volta Renzi. Arrivano “i professionisti della tartina”. “C’è un sacco di gente che in 20 anni ha fatto tanti convegni, io li chiamo i professionisti della tartina, che dicono l’Italia non ce la fa e poi va in vacanza in Australia”. Però, nel frattempo, anche le riforme sono di là da venire. Se è per l’Italicum in Senato, non è ancora stato incardinato neanche in Commissione Affari costituzionali. Alla Camera l’approdo in Aula delle riforme arriverà non prima di 60 giorni, a occhio e croce. Anche lì, c’è prima la Commissione. Si tratta a 360 gradi, con i bersaniani (e le minoranze in senso ampio) sul piede di guerra per un posto in segreteria. E pronti al ricatto su tutto (dall’Emilia, alle riforme, passando per l’economia). Per dirla con Miguel Gotor: “Noi ci stiamo a fare una segreteria unitaria, ma se c’è una vera condizione per lavorare insieme. Per ora non sembra così”. Ha un bel dire Lorenzo Guerini che “ci sono le condizioni per una segreteria unitaria”. Per adesso, la situazione è in stallo. Direzione domani, con Renzi che comunque non ha nessuna intenzione di fare passi indietro nè per quel che lo riguarda: (“Dimettermi da segretario? Non ci penso proprio”), né sulle questioni in campo. In questo clima non manca neanche la battuta sul governo salta agli occhi: “Quanto durerà? Certo meno di Porta a porta”. Rimpasto in vista, modalità e nomi nel caos più totale.
“Regionali che?” Renzi da Vespa fa scena muta
Sul caso del giorno neanche una parola
Il premier però fa sapere che resterà alla guida del Pd
di Wanda Marra
Nessuno glielo chiede e lui non dice una parola. Mentre la partita per la presidenza dell’Emilia Romagna precipita nel caos più assoluto, il premier, nel salotto di Bruno Vespa, che lo ospita per una prima in grande stile, si guarda bene da affrontare il tema. Un silenzio che salta doppiamente agli occhi visto che il conduttore gli serve un piatto di tortellini. “Faremo il patto del tortellino in Europa”, aveva scherzato il segretario-premier, circondato dai giovani leader del Pse domenica alla Festa dell’Unità di Bologna. Una bella appropriazione del simbolo emilian-bersaniano. Ma evidentemente la situazione in quella Regione gli è del tutto sfuggita di mano. Prima, con il tentativo (fallito) di trovare una “soluzione unitaria” sul nome di Daniele Manca, il sindaco di Imola, voluto da Errani. Ora, con i due candidati di punta alle primarie, Matteo Richetti e Stefano Bonaccini indagati, il primo ritirato, e il secondo decisamente in bilico. “Presidente, con Richetti e Bonaccini indagati cosa succederà per le primarie in Emilia-Romagna? ”, gli chiedono i cronisti all’uscita dallo studio di Vespa. “Buon lavoro”. Nessuna risposta.
A Porta a Porta il premier appare stanco, decisamente meno brillante del solito. Si inceppa sui tecnicismi, come quando cerca di spiegare il pagamento dello stato dei debiti della Pa. I fronti aperti sono tanti, e su tutti i piani. Non si fa mancare le promesse: “Penso e credo che nella legge di stabilità avremo un’ulteriore diminuzione delle tasse sul lavoro. Ci sono varie ipotesi sui modi e la finanziamo con la riduzione della spesa”. In effetti, lo stesso ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan sabato scorso alla festa del Pd di Bologna aveva parlato della possibilità di ridurre le tasse per le imprese, l’obiettivo cui sono finalizzati i tagli nei ministeri.
MA INTANTO lo Sblocca Italia non è ancora arrivato al Quirinale. E sono passati dieci giorni dal Cdm che lo ha teoricamente licenziato. E ancora, sugli statali: “I denari per risolvere gli sblocchi dei salari e gli scatti, secondo i ministri già possono essere trovati". Annuncio quest’ultimo decisamente in contrasto con quanto dichiarato dal ministro per la Pa, Madia, che si era presa l’onere di far sapere del blocco agli stipendi degli statali. A proposito di pubbliche sconfessioni.
E AL COLLE non ci è arrivato nemmeno il decreto sulla giustizia civile. A via Arenula erano certi che sarebbe stato sul tavolo del Colle già lunedì. Ma l’Anm è sul piede di guerra, la quadra non si trova. Problemi, uno dopo l’altro. Non manca l’ammissione sul Pil: “Quest’anno balleremo intorno allo zero”. La ripresa non c’è, la versione ufficiale dalle parti di Palazzo Chigi è che dipende da condizioni pregresse. Ma a Renzi tocca rispondere alla critica: “Mi accusano di essere troppo sorridente. Dietro questo sorriso c’è tanta voglia di faticare e lavorare”. Non si risparmia le battute e gli affondi neanche questa volta Renzi. Arrivano “i professionisti della tartina”. “C’è un sacco di gente che in 20 anni ha fatto tanti convegni, io li chiamo i professionisti della tartina, che dicono l’Italia non ce la fa e poi va in vacanza in Australia”. Però, nel frattempo, anche le riforme sono di là da venire. Se è per l’Italicum in Senato, non è ancora stato incardinato neanche in Commissione Affari costituzionali. Alla Camera l’approdo in Aula delle riforme arriverà non prima di 60 giorni, a occhio e croce. Anche lì, c’è prima la Commissione. Si tratta a 360 gradi, con i bersaniani (e le minoranze in senso ampio) sul piede di guerra per un posto in segreteria. E pronti al ricatto su tutto (dall’Emilia, alle riforme, passando per l’economia). Per dirla con Miguel Gotor: “Noi ci stiamo a fare una segreteria unitaria, ma se c’è una vera condizione per lavorare insieme. Per ora non sembra così”. Ha un bel dire Lorenzo Guerini che “ci sono le condizioni per una segreteria unitaria”. Per adesso, la situazione è in stallo. Direzione domani, con Renzi che comunque non ha nessuna intenzione di fare passi indietro nè per quel che lo riguarda: (“Dimettermi da segretario? Non ci penso proprio”), né sulle questioni in campo. In questo clima non manca neanche la battuta sul governo salta agli occhi: “Quanto durerà? Certo meno di Porta a porta”. Rimpasto in vista, modalità e nomi nel caos più totale.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Corriere 10.9.14
Dimissioni e indagini per il Pd emiliano
L’incapacità di affrontare Primarie vere
di Armando Nanni
Quello che sta succedendo in Emilia-Romagna, con le presunte primarie per la scelta del candidato alla presidenza della Regione (la poltrona che per 15 anni è stata di Vasco Errani), ci mostra un Partito democratico molto diverso da quello mediatico, giovane e in maniche di camicia che abbiamo visto anche domenica con il Renzi della Festa dell’Unità. Il candidato più «renziano», Matteo Richetti, lunedì sera ha deciso di ritirarsi e ieri mattina lo ha annunciato non senza far capire che quella scelta «in nome dell’unità» era frutto anche di un «invito arrivato da più parti». Quindi campo libero a Stefano Bonaccini, il renziano della seconda ora più vicino alle tradizioni della Ditta, ovvero Errani e Bersani. Proprio il Bersani che domenica alla Festa dell’Unità aveva fatto presagire sorprese. E proprio l’Errani (dimessosi dopo una condanna) per il quale Renzi domenica si è speso in grandi elogi.
Poi il neoritirato Richetti ammette ieri di essere indagato nell’inchiesta che da due anni setaccia le spese dei consiglieri regionali. Il suo avvocato specifica che con lui ci sono altri sette indagati del Pd. Quindi il pensiero corre anche al rivale Bonaccini, quello che piace ai vecchi notabili del partito e, in definitiva, a Renzi. E così è: a sera arriva la notizia che anche Bonaccini è indagato (ma, per ora, non si ritira).
Che i consiglieri del Pd non fossero estranei, anzi, all’inchiesta in corso (già è indagato il capogruppo in Regione) era scontato. Meno scontato il concatenarsi di queste notizie in una giornata iniziata con un ritiro probabilmente imposto dall’alto. Il problema non è la procura, non sono i tempi dell’inchiesta: il problema è tutto interno al Pd emiliano-romagnolo e alla cronica incapacità di affidarsi a primarie vere. Ammesso che a questo punto si facciano davvero. Perché, c’è da scommettere, la vecchia Ditta da oggi tornerà a far parlare di briscoloni: un Delrio da allontanare da Roma, un Bersani da rimettere in gioco, un Poletti da revisionare e così via. Se queste primarie si faranno saranno svuotate di ogni valore, un voto inutile.
Dimissioni e indagini per il Pd emiliano
L’incapacità di affrontare Primarie vere
di Armando Nanni
Quello che sta succedendo in Emilia-Romagna, con le presunte primarie per la scelta del candidato alla presidenza della Regione (la poltrona che per 15 anni è stata di Vasco Errani), ci mostra un Partito democratico molto diverso da quello mediatico, giovane e in maniche di camicia che abbiamo visto anche domenica con il Renzi della Festa dell’Unità. Il candidato più «renziano», Matteo Richetti, lunedì sera ha deciso di ritirarsi e ieri mattina lo ha annunciato non senza far capire che quella scelta «in nome dell’unità» era frutto anche di un «invito arrivato da più parti». Quindi campo libero a Stefano Bonaccini, il renziano della seconda ora più vicino alle tradizioni della Ditta, ovvero Errani e Bersani. Proprio il Bersani che domenica alla Festa dell’Unità aveva fatto presagire sorprese. E proprio l’Errani (dimessosi dopo una condanna) per il quale Renzi domenica si è speso in grandi elogi.
Poi il neoritirato Richetti ammette ieri di essere indagato nell’inchiesta che da due anni setaccia le spese dei consiglieri regionali. Il suo avvocato specifica che con lui ci sono altri sette indagati del Pd. Quindi il pensiero corre anche al rivale Bonaccini, quello che piace ai vecchi notabili del partito e, in definitiva, a Renzi. E così è: a sera arriva la notizia che anche Bonaccini è indagato (ma, per ora, non si ritira).
Che i consiglieri del Pd non fossero estranei, anzi, all’inchiesta in corso (già è indagato il capogruppo in Regione) era scontato. Meno scontato il concatenarsi di queste notizie in una giornata iniziata con un ritiro probabilmente imposto dall’alto. Il problema non è la procura, non sono i tempi dell’inchiesta: il problema è tutto interno al Pd emiliano-romagnolo e alla cronica incapacità di affidarsi a primarie vere. Ammesso che a questo punto si facciano davvero. Perché, c’è da scommettere, la vecchia Ditta da oggi tornerà a far parlare di briscoloni: un Delrio da allontanare da Roma, un Bersani da rimettere in gioco, un Poletti da revisionare e così via. Se queste primarie si faranno saranno svuotate di ogni valore, un voto inutile.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Selfie mad man (Marco Travaglio).
10/09/2014 di triskel182
Renzi che mangia il gelato. Renzi che si tira una secchiata d’acqua in testa. Renzi che brandisce una sciabola. Renzi che gioca a tennis. Renzi che va in bici. Renzi che inaugura cantieri immaginari col caschetto giallo. Renzi con la faccia da budino (immagine raccapricciante subito ritirata). Renzi che riceve Cottarelli dopo aver tagliato il tagliatore di sprechi al posto degli sprechi. Fra i tanti selfie con cui ammorba il paesaggio italiano (si attendono con ansia quelli di Renzi a cavallo, Renzi al balcone e Renzi che trebbia il grano a torso nudo), il presidente del Consiglio dimentica curiosamente i due più interessanti: Renzi che incontra il pregiudicato Berlusconi nella sede del Pd o a Palazzo Chigi (in Parlamento l’interdetto non può metter piede) e Renzi che sigla con il delinquente il Patto del Nazareno, magari con una zoomata sul testo dell’ignoto papello. Di queste scene-madre che inquinano da sei mesi la politica italiana all’insaputa degl’italiani, manca purtroppo qualunque documentazione visiva e cartacea.
Ci si accontenta dei risultati, che comunque dicono già molto. La “riforma della giustizia”, che insieme agli affari tv è da 20 anni l’unica bussola di B., si divide in due parti: le norme che dovrebbero sveltire le cause civili entrano in vigore subito, per decreto, perché B. non ha processi civili in corso (ne aveva in passato, glieli comprava Previti ); quelle sul processo penale, invece, non entreranno mai in vigore, ma per infinocchiare la gente il cosiddetto ministro Orlando le scrive lo stesso, sotto forma di disegni di legge che poi la maggioranza in Parlamento si incaricherà di insabbiare, perché B. e diversi esponenti del Ncd hanno vari processi penali e prevedono di incrementarli quanto prima. Nessuna urgenza per il falso in bilancio cancellato nel 2001, l’autoriciclaggio (imposto dalla convenzione di Strasburgo del 1999) e la prescrizione (che falcidia 150 mila processi all’anno e che l’Europa ci intima di bloccare da tempo immemorabile). In compenso c’è la massima urgenza di punire i giudici e di accorciare quelle che i somari chiamano le loro “ferie”: tanto per dimostrare che, se i processi sono lenti, è colpa delle toghe che non lavorano, fanno la bella vita e vanno in vacanza un mese e mezzo. La verità è che le ferie dei magistrati non coincidono affatto con il “periodo feriale”, che è solo una “sospensione dei termini processuali” e riguarda più gli avvocati che le toghe. Come B. ben sa, essendo stato condannato il 1° agosto 2013 dalla sezione feriale della Cassazione, non è vero che i magistrati chiudono bottega dal 31 luglio al 15 settembre. Giudici e pm non lavorano soltanto in ufficio (molti non ce l’hanno neppure): ma anche e soprattutto da casa, a studiare atti e a scrivere motivazioni. Le loro ferie durano massimo un mese, sempreché ne usufruiscano, come per tutti i dipendenti pubblici: i primi 15 giorni sono dedicati al deposito delle motivazioni dei propri provvedimenti o dei ricorsi a quelli altrui. La sospensione dei termini vale per gli avvocati e i loro clienti: non per i magistrati, che devono sempre depositare gli atti nei tempi stabiliti. Sennò il detenuto viene scarcerato per decorrenza dei termini e la colpa ricade su di loro. Secondo le statistiche del Cepej-Consiglio d’Europa, quei fannulloni dei magistrati italiani nel 2010 hanno definito 2.834.000 cause civili (i loro colleghi francesi 1.793.000 e i tedeschi 1.586.000) e 1.288.000 processi penali (600 mila in Francia e 804 mila in Germania), risultando primi in Europa nella classifica della produttività sul penale e secondi sul civile (alle spalle dei giudici russi, molto più numerosi dei nostri). Se davvero volesse sveltire i processi, il governo – oltre a sbaraccare le procedure più bizantine del mondo – dovrebbe riempire i vuoti d’organico che, solo per il personale di cancelleria, ammontano a 8.221 posti scoperti su un totale teorico di 44.110 (il 18,64%). Ma sappiamo benissimo che l’obiettivo non è questo: è quello immortalato nel selfie che non vedremo mai.
Da Il Fatto Quotidiano del 10/09/2014.
10/09/2014 di triskel182
Renzi che mangia il gelato. Renzi che si tira una secchiata d’acqua in testa. Renzi che brandisce una sciabola. Renzi che gioca a tennis. Renzi che va in bici. Renzi che inaugura cantieri immaginari col caschetto giallo. Renzi con la faccia da budino (immagine raccapricciante subito ritirata). Renzi che riceve Cottarelli dopo aver tagliato il tagliatore di sprechi al posto degli sprechi. Fra i tanti selfie con cui ammorba il paesaggio italiano (si attendono con ansia quelli di Renzi a cavallo, Renzi al balcone e Renzi che trebbia il grano a torso nudo), il presidente del Consiglio dimentica curiosamente i due più interessanti: Renzi che incontra il pregiudicato Berlusconi nella sede del Pd o a Palazzo Chigi (in Parlamento l’interdetto non può metter piede) e Renzi che sigla con il delinquente il Patto del Nazareno, magari con una zoomata sul testo dell’ignoto papello. Di queste scene-madre che inquinano da sei mesi la politica italiana all’insaputa degl’italiani, manca purtroppo qualunque documentazione visiva e cartacea.
Ci si accontenta dei risultati, che comunque dicono già molto. La “riforma della giustizia”, che insieme agli affari tv è da 20 anni l’unica bussola di B., si divide in due parti: le norme che dovrebbero sveltire le cause civili entrano in vigore subito, per decreto, perché B. non ha processi civili in corso (ne aveva in passato, glieli comprava Previti ); quelle sul processo penale, invece, non entreranno mai in vigore, ma per infinocchiare la gente il cosiddetto ministro Orlando le scrive lo stesso, sotto forma di disegni di legge che poi la maggioranza in Parlamento si incaricherà di insabbiare, perché B. e diversi esponenti del Ncd hanno vari processi penali e prevedono di incrementarli quanto prima. Nessuna urgenza per il falso in bilancio cancellato nel 2001, l’autoriciclaggio (imposto dalla convenzione di Strasburgo del 1999) e la prescrizione (che falcidia 150 mila processi all’anno e che l’Europa ci intima di bloccare da tempo immemorabile). In compenso c’è la massima urgenza di punire i giudici e di accorciare quelle che i somari chiamano le loro “ferie”: tanto per dimostrare che, se i processi sono lenti, è colpa delle toghe che non lavorano, fanno la bella vita e vanno in vacanza un mese e mezzo. La verità è che le ferie dei magistrati non coincidono affatto con il “periodo feriale”, che è solo una “sospensione dei termini processuali” e riguarda più gli avvocati che le toghe. Come B. ben sa, essendo stato condannato il 1° agosto 2013 dalla sezione feriale della Cassazione, non è vero che i magistrati chiudono bottega dal 31 luglio al 15 settembre. Giudici e pm non lavorano soltanto in ufficio (molti non ce l’hanno neppure): ma anche e soprattutto da casa, a studiare atti e a scrivere motivazioni. Le loro ferie durano massimo un mese, sempreché ne usufruiscano, come per tutti i dipendenti pubblici: i primi 15 giorni sono dedicati al deposito delle motivazioni dei propri provvedimenti o dei ricorsi a quelli altrui. La sospensione dei termini vale per gli avvocati e i loro clienti: non per i magistrati, che devono sempre depositare gli atti nei tempi stabiliti. Sennò il detenuto viene scarcerato per decorrenza dei termini e la colpa ricade su di loro. Secondo le statistiche del Cepej-Consiglio d’Europa, quei fannulloni dei magistrati italiani nel 2010 hanno definito 2.834.000 cause civili (i loro colleghi francesi 1.793.000 e i tedeschi 1.586.000) e 1.288.000 processi penali (600 mila in Francia e 804 mila in Germania), risultando primi in Europa nella classifica della produttività sul penale e secondi sul civile (alle spalle dei giudici russi, molto più numerosi dei nostri). Se davvero volesse sveltire i processi, il governo – oltre a sbaraccare le procedure più bizantine del mondo – dovrebbe riempire i vuoti d’organico che, solo per il personale di cancelleria, ammontano a 8.221 posti scoperti su un totale teorico di 44.110 (il 18,64%). Ma sappiamo benissimo che l’obiettivo non è questo: è quello immortalato nel selfie che non vedremo mai.
Da Il Fatto Quotidiano del 10/09/2014.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Eni, Claudio Descalzi indagato per corruzione. Pm: “Mega tangente in Nigeria”
Il nuovo amministratore delegato sarebbe sotto inchiesta a Milano in relazione a una concessione petrolifera. La notizia è riportata dal Corriere della Sera. Oltre a Descalzi sarebbero coinvolti anche il nuovo capo della Divisione esplorazioni, Roberto Casula, Paolo Scaroni e Luigi Bisignani
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 11 settembre 2014Commenti (248)
Il nuovo amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, è indagato dalla Procura di Milano per corruzione internazionale. Secondo il Corriere della Sera, Descalzi sarebbe sotto inchiesta in relazione a una concessione petrolifera in Nigeria, per la quale sarebbe stata pagata una mega tangente di cui oggi la Corte di Londra avrebbe effettuato un sequestro preventivo per 190 milioni di dollari.
Insieme all’amministratore delegato sarebbero indagati il nuovo capo della Divisione esplorazioni, Roberto Casula, Paolo Scaroni e Luigi Bisignani. L’autorità giudiziaria inglese, su richiesta della Procura di Milano, ha sequestrato a un intermediario nigeriano due depositi anglo-svizzeri da 110 e 80 milioni di dollari, un quinto di quello che nel 2011 Eni avrebbe pagato (con Paolo Scaroni amministratore e Descalzi a capo della divisione Oil) al governo nigeriano per la concessione del campo di esplorazione petrolifera Opl-245 della società Malabu.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... a/1117294/
Il nuovo amministratore delegato sarebbe sotto inchiesta a Milano in relazione a una concessione petrolifera. La notizia è riportata dal Corriere della Sera. Oltre a Descalzi sarebbero coinvolti anche il nuovo capo della Divisione esplorazioni, Roberto Casula, Paolo Scaroni e Luigi Bisignani
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 11 settembre 2014Commenti (248)
Il nuovo amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, è indagato dalla Procura di Milano per corruzione internazionale. Secondo il Corriere della Sera, Descalzi sarebbe sotto inchiesta in relazione a una concessione petrolifera in Nigeria, per la quale sarebbe stata pagata una mega tangente di cui oggi la Corte di Londra avrebbe effettuato un sequestro preventivo per 190 milioni di dollari.
Insieme all’amministratore delegato sarebbero indagati il nuovo capo della Divisione esplorazioni, Roberto Casula, Paolo Scaroni e Luigi Bisignani. L’autorità giudiziaria inglese, su richiesta della Procura di Milano, ha sequestrato a un intermediario nigeriano due depositi anglo-svizzeri da 110 e 80 milioni di dollari, un quinto di quello che nel 2011 Eni avrebbe pagato (con Paolo Scaroni amministratore e Descalzi a capo della divisione Oil) al governo nigeriano per la concessione del campo di esplorazione petrolifera Opl-245 della società Malabu.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... a/1117294/
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
11 SET 2014 15:43
ANCHE SAVIANO HA CAPITO CHE RENZI E’ SOLO UN BLUFF - “LA SOLITA COMMEDIA ALL’ITALIANA. A BREVE SARÀ COSTRETTO A PRESENTARSI AL PAESE IN GINOCCHIO E TESTA BASSA”
Lo scrittore stronca il governo di Pittibimbo, uno che “il giorno in cui si annunciava la deflazione, ha teatralmente mangiato il gelato. Presto finiranno gli annunci e resterà un vuoto di parole, finalmente rappresentativo del disastro” - E la “rivoluzione” nella scuola, per Saviano vuol dire solo tagli...
Da http://espresso.repubblica.it/
Roberto Saviano nella sua rubrica L'Antitaliano, sul numero dell'Espresso in edicola da venerdì 12, critica duramente Matteo Renzi e il suo stile di governo.
Così scrive Saviano: «Si pensava che con l’uscita di scena di Silvio Berlusconi, quell’eterno rinvio ai tipici personaggi della commedia all’italiana fosse esaurito. Si sperava che il pagliaccio e l’abile battutista con responsabilità di governo avessero lasciato il terreno a una generazione di persone serie, in grado di cogliere la gravità delle situazioni e dunque capace di lavorare con discrezione a soluzioni anche dolorose, ma di largo respiro».
E invece questa speranza, questo sogno, rischia di essersi già infranto. Secondo lo scrittore, sarebbe necessaria per esempio un'azione per riportare in Italia i cervelli in fuga all'estero, per “recuperare” una generazione che ha investito sulla formazione e ora si trova senza lavoro o “in esilio”. Ci vuole un investimento forte sul capitale umano. E invece dobbiamo rassegnarci all'idea che ogni Governo si senta in obbligo di annunciare una “rivoluzione” nel mondo della scuola».
Annunci di rivoluzioni che servono solo a mascherare nuovi tagli.
Ci vorrebbe serietà, capacità di dire la verità al paese e di guardare al futuro.
«Ci si aspetterebbe umiltà, silenzio, riservatezza: esistere solo quando si è al lavoro, rifuggendo ogni futilità».
E conclude: «se il giorno in cui si è ufficializzata la deflazione che ha portato l’economia italiana al 1959 il nostro Premier ha teatralmente mangiato il gelato, forse a breve sarà costretto a presentarsi al Paese in ginocchio e con la testa bassa, in un vuoto di parole, finalmente rappresentativo del disastro».
ANCHE SAVIANO HA CAPITO CHE RENZI E’ SOLO UN BLUFF - “LA SOLITA COMMEDIA ALL’ITALIANA. A BREVE SARÀ COSTRETTO A PRESENTARSI AL PAESE IN GINOCCHIO E TESTA BASSA”
Lo scrittore stronca il governo di Pittibimbo, uno che “il giorno in cui si annunciava la deflazione, ha teatralmente mangiato il gelato. Presto finiranno gli annunci e resterà un vuoto di parole, finalmente rappresentativo del disastro” - E la “rivoluzione” nella scuola, per Saviano vuol dire solo tagli...
Da http://espresso.repubblica.it/
Roberto Saviano nella sua rubrica L'Antitaliano, sul numero dell'Espresso in edicola da venerdì 12, critica duramente Matteo Renzi e il suo stile di governo.
Così scrive Saviano: «Si pensava che con l’uscita di scena di Silvio Berlusconi, quell’eterno rinvio ai tipici personaggi della commedia all’italiana fosse esaurito. Si sperava che il pagliaccio e l’abile battutista con responsabilità di governo avessero lasciato il terreno a una generazione di persone serie, in grado di cogliere la gravità delle situazioni e dunque capace di lavorare con discrezione a soluzioni anche dolorose, ma di largo respiro».
E invece questa speranza, questo sogno, rischia di essersi già infranto. Secondo lo scrittore, sarebbe necessaria per esempio un'azione per riportare in Italia i cervelli in fuga all'estero, per “recuperare” una generazione che ha investito sulla formazione e ora si trova senza lavoro o “in esilio”. Ci vuole un investimento forte sul capitale umano. E invece dobbiamo rassegnarci all'idea che ogni Governo si senta in obbligo di annunciare una “rivoluzione” nel mondo della scuola».
Annunci di rivoluzioni che servono solo a mascherare nuovi tagli.
Ci vorrebbe serietà, capacità di dire la verità al paese e di guardare al futuro.
«Ci si aspetterebbe umiltà, silenzio, riservatezza: esistere solo quando si è al lavoro, rifuggendo ogni futilità».
E conclude: «se il giorno in cui si è ufficializzata la deflazione che ha portato l’economia italiana al 1959 il nostro Premier ha teatralmente mangiato il gelato, forse a breve sarà costretto a presentarsi al Paese in ginocchio e con la testa bassa, in un vuoto di parole, finalmente rappresentativo del disastro».
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
Governo Renzi: una Fiducia dopo l’altra, è record
Con il Governo Renzi il tasso di Fiducia per leggi approvato è schizzato allo stelle. Se prima il record era di Monti (45,13%), con l’ex Sindaco di Firenze arriviamo al 75%. 18 mozioni di fiducia su 24 leggi approvate.
Per approvare Leggi particolarmente dibattute il Governo può ricorrere allo strumento della fiducia. In questo modo serra i ranghi della maggioranza ma al tempo stesso riduce lo spazio di confronto e intervento del Parlamento. Uno strumento che nasce con l’idea di rafforzare l’esecutivo in momenti di “turbolenza”, che sta però occupando sempre più tempo nell’agenda parlamentare.
Negli ultimi anni, infatti, è aumentato notevolmente il rapporto fra le fiducie e le Leggi approvate. Un altro indice del progressivo spostamento di poteri dal Parlamento al Governo. Non solo la maggior parte della produzione legislativa è di origine governativa, ma lo spazio nell’agenda politica per la discussione si sta riducendo sempre di più.
Spazio che generalmente era lasciato al confronto alla Camera e al Senato, che ora è occupato da mozioni di fiducia che spesso e volentieri riducono la possibilità di costruire un dibattito politico. Il trend è iniziato sotto il terzo Governo Berlusconi: 153 leggi approvate con 23 voti di fiducia (15,03%).
La storia recente ha visto però un ulteriore “abuso” di questo strumento sotto il Governo Monti, dove il tasso era salito al 45,13%: 113 leggi approvate in via definitiva, con 51 voti di fiducia. Record stracciato dall’attuale Esecutivo Renzi che in poco più di sei mesi, ha approvato 24 leggi facendo votare al Parlamento 18 volta la fiducia. Un tasso di fiducia per legge approvate che è schizzato al 75%.
È senz'altro indicativo di una situazione: più che anomala è ...patologica!
Con il Governo Renzi il tasso di Fiducia per leggi approvato è schizzato allo stelle. Se prima il record era di Monti (45,13%), con l’ex Sindaco di Firenze arriviamo al 75%. 18 mozioni di fiducia su 24 leggi approvate.
Per approvare Leggi particolarmente dibattute il Governo può ricorrere allo strumento della fiducia. In questo modo serra i ranghi della maggioranza ma al tempo stesso riduce lo spazio di confronto e intervento del Parlamento. Uno strumento che nasce con l’idea di rafforzare l’esecutivo in momenti di “turbolenza”, che sta però occupando sempre più tempo nell’agenda parlamentare.
Negli ultimi anni, infatti, è aumentato notevolmente il rapporto fra le fiducie e le Leggi approvate. Un altro indice del progressivo spostamento di poteri dal Parlamento al Governo. Non solo la maggior parte della produzione legislativa è di origine governativa, ma lo spazio nell’agenda politica per la discussione si sta riducendo sempre di più.
Spazio che generalmente era lasciato al confronto alla Camera e al Senato, che ora è occupato da mozioni di fiducia che spesso e volentieri riducono la possibilità di costruire un dibattito politico. Il trend è iniziato sotto il terzo Governo Berlusconi: 153 leggi approvate con 23 voti di fiducia (15,03%).
La storia recente ha visto però un ulteriore “abuso” di questo strumento sotto il Governo Monti, dove il tasso era salito al 45,13%: 113 leggi approvate in via definitiva, con 51 voti di fiducia. Record stracciato dall’attuale Esecutivo Renzi che in poco più di sei mesi, ha approvato 24 leggi facendo votare al Parlamento 18 volta la fiducia. Un tasso di fiducia per legge approvate che è schizzato al 75%.
È senz'altro indicativo di una situazione: più che anomala è ...patologica!
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Re: Il "nuovo" governo Renzi
il Fatto 11.9.14
Sindrome emiliana, Renzi costretto a congelare tutto
Si cerca una soluzione per la presidenza e la direzione slitta a martedì
di Wanda Marra
Ufficialmente la direzione è stata rimandata perché la segreteria non è pronta. Ma la realtà è che si deve risolvere la questione dell’Emilia Romagna. Qualcosa Matteo dovrà dire sull’azione della Procura di Bologna e sulle primarie”. Ragiona così un renziano a Montecitorio. Ma l’impressione che ci sia una gran confusione generale è diffusa. La direzione prevista per oggi slitta a martedì. L’accordo con i bersaniani non è ancora chiuso, ma soprattutto Renzi ha preso tempo per valutare come risolvere la questione della presidenza dell’Emilia Romagna, dopo il ritiro dalle primarie di Matteo Richetti (“per evitare strumentalizzazioni”, come ha spiegato lui in un videomessaggio) e la ferma intenzione di Stefano Bonaccini di andare avanti (“Sono onesto”). I due sono entrambi indagati (9.500 euro in due). Intenzione di arrivare in fondo anche quella di Roberto Balzani, l’ex sindaco di Forlì, l’altro candidato in campo. La soluzione Bonaccini, però, non convince fino in fondo nessuno. Tant’ è vero che Renzi non gli ha ancora detto nulla di chiaro.
NEL BALLETTO dei possibili nomi autorevoli e insindacabili usciti nelle ultime ore (da Bersani a Prodi passando per Poletti) l’unico che sembra realistico è quello di Graziano Delrio, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. In molti l’hanno contattato anche nelle ultime ore: lui continua a dire di no. Ma se glielo chiedesse Renzi, invocandolo come salvatore della patria, potrebbe anche cambiare idea. Lo farà? Difficile dirlo adesso. Da una parte, potrebbe spingere in questa direzione l’idea di liberare il suo posto a Palazzo Chigi. I rapporti tra i due si sono complicati, ma non ancora del tutto deteriorati. “Lotti sottosegretario alla Presidenza del Consiglio? Di fatto già lo fa”, commenta un renziano. Dall’altra, però, Delrio rappresenta una garanzia, di cui il premier ha bisogno a Roma.
Per quel che riguarda l’Emilia, poi, l ’ultima parola spetta soprattutto a Pier Luigi Bersani e a Vasco Errani, che per evitare di cedere il potere in quella Regione sono pronti a minacciare qualsiasi cosa. “La via d’uscita da questa situazione? Io avevo individuato quella di entrata”, commenta l’ex segretario Pd. Ovvero Daniele Manca, sindaco di Imola, che potrebbe essere ripescato in extremis. Per quanto anche lui rischi di finire nell’indagine sui consiglieri regionali, come spiegano alcuni deputati emiliani. E allora? Allora, si torna a Bonaccini, che alla “ditta” non è sgradito e che dai renziani è più digeribile di Manca. A molti non è sfuggito il suo bacio a Errani domenica, alla Festa dell’Unità di Bologna, proprio al momento in cui Renzi gli ribadiva dal palco la sua “incommensurabile stima”, provocandone la commozione.
Le dichiarazioni ufficiali sono prudenti. Se è per Guerini, “Bonaccini deciderà cosa fare” e “nessuno ha annullato le primarie”. Mentre i vertici dem spiegano di aver dato mandato agli emiliani di trovare una soluzione.
A Roma, dunque, si prende tempo. E non solo su questo. A proposito di tempo, “ce ne vorranno di votazioni per arrivare a eleggere i giudici della Consulta e del Csm”, spiega il capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza, alla fine dell’Assemblea dei gruppi convocati sul tema. Chi c’era racconta di una riunione gelida, di un malcontento generale, di franchi tiratori in arrivo. “Il clima ricordava la riunione che doveva portare il Pd a votare Franco Marini alla Presidenza della Repubblica”. Quello fu l’inizio della fine per Bersani. Stavolta probabilmente andrà in maniera diversa, nonostante gli interventi applauditi di Walter Tocci e Franco Monaco, che lamentavano l’assenza di nomi di garanzia tra quelli indicati. Ma l’asse con i bersaniani c’è e quello con Forza Italia regge (“le larghe intese sono già di fatto”, per dirla con qualche renziano critico). L’indicazione di Giovanni Legnini, sottosegretario all’Economia, alla vicepresidenza del Csm va bene ai primi, e dovrebbe aiutare la pratica della segreteria. Per la minoranza, dovrebbero entrare Enzo Amendola, Micaela Campana e Andrea Giorgis. Ma gli incarichi di peso (vicesegreteria, Organizzazione, Enti locali) resterebbero ai renziani.
NEL FRATTEMPO, il premier si prepara a un rimpasto di fatto: in uscita, appunto, Legnini, sottosegretario all’Editoria, Roberto Reggi, sottosegretario alla Scuola nominato a capo dell’Agenzia del Demanio, la Mogherini in partenza per il ministro degli Esteri europei. E poi, Delrio. Tra i ministri in possibile uscita ce ne sono altri, la Giannini e la Lanzetta per iniziare. Tutto in bilico, per ora.
Corriere 11.9.14
Il Pd si è «incartato» e non sa come uscirne
Stallo pd, Renzi rinvia le nomine
Slitta la direzione sui nuovi equilibri in segreteria
E il leader (per ora) va avanti sulla strada delle primarie
di Monica Guerzoni
ROMA — Il Pd si è «incartato» e non sa come uscirne. Lo ammettono i parlamentari che sciamano tra l’Aula e la buvette di Montecitorio, angosciati per gli incerti sviluppi dell’inchiesta bolognese. Le primarie si faranno o verranno azzerate? Davvero Bonaccini può restare in campo, dopo che l’indagine sulle «spese pazze» ha investito anche lui? Renzi calerà dall’alto il «briscolone» Delrio, o la «briscoletta» Poletti? Né l’uno, né l’altro, per adesso: Palazzo Chigi non sembra intenzionato a buttare una carta sul tavolo, sottosegretario o ministro che sia.
In Emilia-Romagna il partito è nel caos. «Una Regione governata dalle procure» azzarda Stefano Menichini su Europa in difesa del Pd. I problemi del territorio fanno tremare il Nazareno, che impone una pausa di riflessione. La direzione è rinviata da oggi a martedì e quindi salta, per ora, anche la nuova segreteria. Renzi l’avrebbe voluta unitaria, ma l’accordo non c’è e la parola d’ordine è stata derubricata a «plurale». Roberto Speranza, che ieri sera ha riunito i suoi in un hotel del centro, vuole tenersi (almeno in parte) le mani libere. Amendola, Leva, Campana o chi per loro entreranno nel «team» del leader del partito e però non avranno ruoli di grande visibilità. Questa l’intesa dimezzata che si va profilando, mentre Bologna insegna che urgono decisioni per raddrizzare il timone del partito. Lo dicono tutti, oppositori interni e renziani della prima ora. Tanto che il premier avrebbe deciso di rafforzare il ruolo di guida di Lorenzo Guerini come reggente. Con il «capo» impegnato in Consiglio dei ministri tocca al vice dare la linea, tranquillizzare i colleghi in ansia e rispondere ai giornalisti: «Le primarie non le abbiamo disdette... Le dimissioni di Bonaccini? È una valutazione che farà lui». Come dire che il passo indietro non è affatto escluso. E i gazebo? «È un percorso che è stato avviato e ci sono candidature presentate. Ascolteremo le riflessioni del partito in Emilia, poi decideremo con grande serenità. Abbiamo persone, figure, storie di prima grandezza da presentare ai cittadini». Ascoltare il partito emiliano, è la linea dettata dall’emergenza. Il problema è che, in Emilia, mezzo partito almeno si riconosce in Bonaccini. Il segretario uscente non molla, sicuro com’è di godere ancora della piena fiducia di Renzi. Ma ieri il premier non si è fatto sentire, il che rivela qualcosa sullo stato d’animo del leader.
Richetti ha lasciato il campo a Bonaccini e Balzani. E adesso questa è la sfida che si profila, per quanto in Parlamento molti si mostrino scettici sulla «sostenibilità» di una simile scelta. «Fare le primarie in queste condizioni mi sembra complicato», ammette l’emiliano Enzo Lattuca. E mentre Massimo D’Alema da Sesto San Giovanni si rifiuta di commentare «vicende giudiziarie assolutamente irrilevanti», Walter Verini guarda già oltre la competizione: «Dobbiamo trovare una figura autorevole legata al territorio, che rappresenti un po’ tutti». Sembra facile... Prodi? «Ipotesi destituita di fondamento», smentisce lo staff dell’ex premier. Bersani? «Ho l’Emilia nel cuore, per me è come la mamma. Ma io ho già dato, sono stato presidente per 16 anni». Come se ne esce? «Io avevo un’idea di come entrarci, ora è tutto più complicato». L’idea di Bersani aveva un nome e un cognome, quello di Daniele Manca.
Ieri mattina in un Transatlantico gremito per il Csm crescevano le quotazioni di Poletti e Delrio, ma nel pomeriggio Palazzo Chigi fa filtrare che la soluzione al rebus non verrà da Roma. Il sottosegretario alla presidenza avrebbe declinato l’offerta di Renzi già alcuni giorni fa. E il ministro del Lavoro, quasi tentato dalla sfida, non sembra godere di una stima unanime tra i «dem». Beppe Fioroni pensa invece che «alla fine il candidato verrà da Imola». E qui i nomi sono due. Se non è Poletti si tratta di Manca, molto gradito a Bersani, Errani e anche al capo del governo.
Avanti, dunque. Renzi ha dato il via libera alle primarie dal palco della Festa dell’Unità e non vorrebbe cambiare idea rispetto alla strategia che il Pd ha perseguito sin dal primo momento. Se invece le spiegazioni di Bonaccini non dovessero convincere, per non mettere a rischio la vittoria elettorale il leader potrebbe vedersi costretto a calare l’asso. Lo stesso segretario regionale uscente ha garantito a Guerini che si farà da parte, per il bene della ditta, qualora il Pd dovesse fiutare una cattiva aria sotto alle due Torri: le primarie si fanno per vincere le elezioni, non per rischiare di perderle... E qui torna il «briscolone». Nel tam tam dei parlamentari il nome che più ricorre è quello di Delrio, da molti invocato come «il salvatore della patria».
Corriere 11.9.14
La squadra del premier costretta a misurare una fragilità inattesa
di Massimo Franco
Il rinvio della Direzione del Pd alla prossima settimana e la ricerca affannosa di un nuovo candidato alla presidenza dell’Emilia Romagna descrivono un partito che si scopre di colpo infragilito e sotto tiro. E il fatto che la magistratura abbia indagato due renziani che correvano per quella carica, coglie Matteo Renzi in un momento delicato per il governo. La regione non è soltanto uno dei maggiori centri di potere del Pd e suo feudo elettorale. Nei mesi scorsi è diventata anche il laboratorio della metamorfosi nella direzione voluta dal presidente del Consiglio: quella dove si gioca la sfida tra la vecchia guardia e seguaci del segretario.
Il trauma è visibile nei «no» scontati a candidarsi che arrivano da personaggi storici come l’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, e dall’ex leader Pier Luigi Bersani. Ma lo è altrettanto quando spuntano pareri contrari alle primarie, emblema di un’investitura diretta e popolare. Dalla Toscana il «governatore» Enrico Rossi, dalemiano, ha dichiarato che «l’idea delle primarie non ha funzionato», demolendo il mito della partecipazione e lodando le vituperate preferenze. Il vicesegretario nazionale del Pd, Lorenzo Guerini, ha dovuto precisare che in Emilia Romagna, dopo le dimissioni di Matteo Richetti e il rifiuto di darle da parte di Stefano Bonaccini, «le primarie non sono state disdette».
Sarebbe paradossale se accadesse. Mentre a Palazzo Chigi siede un premier che ha costruito la sua ascesa proprio partendo da lì, verrebbe abbandonato lo strumento-principe della sua legittimazione. Il sospetto è che non sia soltanto una conseguenza delle inchieste della magistratura. Nel Pd, quanto è accaduto negli ultimi mesi ha rimesso in discussione quasi tutto. E nello scetticismo di alcuni verso le primarie si indovina implicitamente la freddezza verso il segretario-capo del governo; e la voglia di vedere come Palazzo Chigi riuscirà a uscirne. Basta registrare le nuove critiche di Massimo D’Alema all’esecutivo.
Il tentativo di spingere verso l’Emilia Romagna il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, sta tramontando tra mille perplessità e resistenze anche dell’interessato. Il problema è che stavolta Renzi è davvero costretto alla velocità. Le elezioni sono tra poco più di due mesi. E la vicenda promette di alimentare la competizione feroce di un Movimento 5 Stelle che ha subito rialzato la testa; e attaccando il Pd in modo strumentale si presenta come concorrente più ancora del centrodestra berlusconiano, intrappolato nelle prove d’alleanza. «Ma un candidato non indagato e sconosciuto alle Procure non ce l’avete?», ironizza Beppe Grillo. E cita Vasco Errani, il governatore dimessosi per motivi giudiziari.
In realtà, dalle voci che filtrano si capisce che a palazzo Chigi il ritiro di Richetti è stato considerato un po’ affrettato, analizzando le accuse: anche se si apprezza la sua volontà di non esporre il partito. È «un guaio», nelle parole di Bersani, che spunta mentre si cerca di decidere sui tagli alla spesa pubblica. Si era parlato di faccia a faccia tra Renzi e i titolari dei dicasteri, ma l’ipotesi è stata accantonata. Ieri, durante il Consiglio dei ministri, Renzi ha chiesto invece a ognuno di loro di inviargli una nota con le possibili riduzioni di bilancio. Si tratta di una procedura irrituale, che però risponde alla volontà di rendere tutti più responsabili. E soprattutto, implica la possibilità che, in assenza di risposte, alla fine decida il premier.
Sindrome emiliana, Renzi costretto a congelare tutto
Si cerca una soluzione per la presidenza e la direzione slitta a martedì
di Wanda Marra
Ufficialmente la direzione è stata rimandata perché la segreteria non è pronta. Ma la realtà è che si deve risolvere la questione dell’Emilia Romagna. Qualcosa Matteo dovrà dire sull’azione della Procura di Bologna e sulle primarie”. Ragiona così un renziano a Montecitorio. Ma l’impressione che ci sia una gran confusione generale è diffusa. La direzione prevista per oggi slitta a martedì. L’accordo con i bersaniani non è ancora chiuso, ma soprattutto Renzi ha preso tempo per valutare come risolvere la questione della presidenza dell’Emilia Romagna, dopo il ritiro dalle primarie di Matteo Richetti (“per evitare strumentalizzazioni”, come ha spiegato lui in un videomessaggio) e la ferma intenzione di Stefano Bonaccini di andare avanti (“Sono onesto”). I due sono entrambi indagati (9.500 euro in due). Intenzione di arrivare in fondo anche quella di Roberto Balzani, l’ex sindaco di Forlì, l’altro candidato in campo. La soluzione Bonaccini, però, non convince fino in fondo nessuno. Tant’ è vero che Renzi non gli ha ancora detto nulla di chiaro.
NEL BALLETTO dei possibili nomi autorevoli e insindacabili usciti nelle ultime ore (da Bersani a Prodi passando per Poletti) l’unico che sembra realistico è quello di Graziano Delrio, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. In molti l’hanno contattato anche nelle ultime ore: lui continua a dire di no. Ma se glielo chiedesse Renzi, invocandolo come salvatore della patria, potrebbe anche cambiare idea. Lo farà? Difficile dirlo adesso. Da una parte, potrebbe spingere in questa direzione l’idea di liberare il suo posto a Palazzo Chigi. I rapporti tra i due si sono complicati, ma non ancora del tutto deteriorati. “Lotti sottosegretario alla Presidenza del Consiglio? Di fatto già lo fa”, commenta un renziano. Dall’altra, però, Delrio rappresenta una garanzia, di cui il premier ha bisogno a Roma.
Per quel che riguarda l’Emilia, poi, l ’ultima parola spetta soprattutto a Pier Luigi Bersani e a Vasco Errani, che per evitare di cedere il potere in quella Regione sono pronti a minacciare qualsiasi cosa. “La via d’uscita da questa situazione? Io avevo individuato quella di entrata”, commenta l’ex segretario Pd. Ovvero Daniele Manca, sindaco di Imola, che potrebbe essere ripescato in extremis. Per quanto anche lui rischi di finire nell’indagine sui consiglieri regionali, come spiegano alcuni deputati emiliani. E allora? Allora, si torna a Bonaccini, che alla “ditta” non è sgradito e che dai renziani è più digeribile di Manca. A molti non è sfuggito il suo bacio a Errani domenica, alla Festa dell’Unità di Bologna, proprio al momento in cui Renzi gli ribadiva dal palco la sua “incommensurabile stima”, provocandone la commozione.
Le dichiarazioni ufficiali sono prudenti. Se è per Guerini, “Bonaccini deciderà cosa fare” e “nessuno ha annullato le primarie”. Mentre i vertici dem spiegano di aver dato mandato agli emiliani di trovare una soluzione.
A Roma, dunque, si prende tempo. E non solo su questo. A proposito di tempo, “ce ne vorranno di votazioni per arrivare a eleggere i giudici della Consulta e del Csm”, spiega il capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza, alla fine dell’Assemblea dei gruppi convocati sul tema. Chi c’era racconta di una riunione gelida, di un malcontento generale, di franchi tiratori in arrivo. “Il clima ricordava la riunione che doveva portare il Pd a votare Franco Marini alla Presidenza della Repubblica”. Quello fu l’inizio della fine per Bersani. Stavolta probabilmente andrà in maniera diversa, nonostante gli interventi applauditi di Walter Tocci e Franco Monaco, che lamentavano l’assenza di nomi di garanzia tra quelli indicati. Ma l’asse con i bersaniani c’è e quello con Forza Italia regge (“le larghe intese sono già di fatto”, per dirla con qualche renziano critico). L’indicazione di Giovanni Legnini, sottosegretario all’Economia, alla vicepresidenza del Csm va bene ai primi, e dovrebbe aiutare la pratica della segreteria. Per la minoranza, dovrebbero entrare Enzo Amendola, Micaela Campana e Andrea Giorgis. Ma gli incarichi di peso (vicesegreteria, Organizzazione, Enti locali) resterebbero ai renziani.
NEL FRATTEMPO, il premier si prepara a un rimpasto di fatto: in uscita, appunto, Legnini, sottosegretario all’Editoria, Roberto Reggi, sottosegretario alla Scuola nominato a capo dell’Agenzia del Demanio, la Mogherini in partenza per il ministro degli Esteri europei. E poi, Delrio. Tra i ministri in possibile uscita ce ne sono altri, la Giannini e la Lanzetta per iniziare. Tutto in bilico, per ora.
Corriere 11.9.14
Il Pd si è «incartato» e non sa come uscirne
Stallo pd, Renzi rinvia le nomine
Slitta la direzione sui nuovi equilibri in segreteria
E il leader (per ora) va avanti sulla strada delle primarie
di Monica Guerzoni
ROMA — Il Pd si è «incartato» e non sa come uscirne. Lo ammettono i parlamentari che sciamano tra l’Aula e la buvette di Montecitorio, angosciati per gli incerti sviluppi dell’inchiesta bolognese. Le primarie si faranno o verranno azzerate? Davvero Bonaccini può restare in campo, dopo che l’indagine sulle «spese pazze» ha investito anche lui? Renzi calerà dall’alto il «briscolone» Delrio, o la «briscoletta» Poletti? Né l’uno, né l’altro, per adesso: Palazzo Chigi non sembra intenzionato a buttare una carta sul tavolo, sottosegretario o ministro che sia.
In Emilia-Romagna il partito è nel caos. «Una Regione governata dalle procure» azzarda Stefano Menichini su Europa in difesa del Pd. I problemi del territorio fanno tremare il Nazareno, che impone una pausa di riflessione. La direzione è rinviata da oggi a martedì e quindi salta, per ora, anche la nuova segreteria. Renzi l’avrebbe voluta unitaria, ma l’accordo non c’è e la parola d’ordine è stata derubricata a «plurale». Roberto Speranza, che ieri sera ha riunito i suoi in un hotel del centro, vuole tenersi (almeno in parte) le mani libere. Amendola, Leva, Campana o chi per loro entreranno nel «team» del leader del partito e però non avranno ruoli di grande visibilità. Questa l’intesa dimezzata che si va profilando, mentre Bologna insegna che urgono decisioni per raddrizzare il timone del partito. Lo dicono tutti, oppositori interni e renziani della prima ora. Tanto che il premier avrebbe deciso di rafforzare il ruolo di guida di Lorenzo Guerini come reggente. Con il «capo» impegnato in Consiglio dei ministri tocca al vice dare la linea, tranquillizzare i colleghi in ansia e rispondere ai giornalisti: «Le primarie non le abbiamo disdette... Le dimissioni di Bonaccini? È una valutazione che farà lui». Come dire che il passo indietro non è affatto escluso. E i gazebo? «È un percorso che è stato avviato e ci sono candidature presentate. Ascolteremo le riflessioni del partito in Emilia, poi decideremo con grande serenità. Abbiamo persone, figure, storie di prima grandezza da presentare ai cittadini». Ascoltare il partito emiliano, è la linea dettata dall’emergenza. Il problema è che, in Emilia, mezzo partito almeno si riconosce in Bonaccini. Il segretario uscente non molla, sicuro com’è di godere ancora della piena fiducia di Renzi. Ma ieri il premier non si è fatto sentire, il che rivela qualcosa sullo stato d’animo del leader.
Richetti ha lasciato il campo a Bonaccini e Balzani. E adesso questa è la sfida che si profila, per quanto in Parlamento molti si mostrino scettici sulla «sostenibilità» di una simile scelta. «Fare le primarie in queste condizioni mi sembra complicato», ammette l’emiliano Enzo Lattuca. E mentre Massimo D’Alema da Sesto San Giovanni si rifiuta di commentare «vicende giudiziarie assolutamente irrilevanti», Walter Verini guarda già oltre la competizione: «Dobbiamo trovare una figura autorevole legata al territorio, che rappresenti un po’ tutti». Sembra facile... Prodi? «Ipotesi destituita di fondamento», smentisce lo staff dell’ex premier. Bersani? «Ho l’Emilia nel cuore, per me è come la mamma. Ma io ho già dato, sono stato presidente per 16 anni». Come se ne esce? «Io avevo un’idea di come entrarci, ora è tutto più complicato». L’idea di Bersani aveva un nome e un cognome, quello di Daniele Manca.
Ieri mattina in un Transatlantico gremito per il Csm crescevano le quotazioni di Poletti e Delrio, ma nel pomeriggio Palazzo Chigi fa filtrare che la soluzione al rebus non verrà da Roma. Il sottosegretario alla presidenza avrebbe declinato l’offerta di Renzi già alcuni giorni fa. E il ministro del Lavoro, quasi tentato dalla sfida, non sembra godere di una stima unanime tra i «dem». Beppe Fioroni pensa invece che «alla fine il candidato verrà da Imola». E qui i nomi sono due. Se non è Poletti si tratta di Manca, molto gradito a Bersani, Errani e anche al capo del governo.
Avanti, dunque. Renzi ha dato il via libera alle primarie dal palco della Festa dell’Unità e non vorrebbe cambiare idea rispetto alla strategia che il Pd ha perseguito sin dal primo momento. Se invece le spiegazioni di Bonaccini non dovessero convincere, per non mettere a rischio la vittoria elettorale il leader potrebbe vedersi costretto a calare l’asso. Lo stesso segretario regionale uscente ha garantito a Guerini che si farà da parte, per il bene della ditta, qualora il Pd dovesse fiutare una cattiva aria sotto alle due Torri: le primarie si fanno per vincere le elezioni, non per rischiare di perderle... E qui torna il «briscolone». Nel tam tam dei parlamentari il nome che più ricorre è quello di Delrio, da molti invocato come «il salvatore della patria».
Corriere 11.9.14
La squadra del premier costretta a misurare una fragilità inattesa
di Massimo Franco
Il rinvio della Direzione del Pd alla prossima settimana e la ricerca affannosa di un nuovo candidato alla presidenza dell’Emilia Romagna descrivono un partito che si scopre di colpo infragilito e sotto tiro. E il fatto che la magistratura abbia indagato due renziani che correvano per quella carica, coglie Matteo Renzi in un momento delicato per il governo. La regione non è soltanto uno dei maggiori centri di potere del Pd e suo feudo elettorale. Nei mesi scorsi è diventata anche il laboratorio della metamorfosi nella direzione voluta dal presidente del Consiglio: quella dove si gioca la sfida tra la vecchia guardia e seguaci del segretario.
Il trauma è visibile nei «no» scontati a candidarsi che arrivano da personaggi storici come l’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi, e dall’ex leader Pier Luigi Bersani. Ma lo è altrettanto quando spuntano pareri contrari alle primarie, emblema di un’investitura diretta e popolare. Dalla Toscana il «governatore» Enrico Rossi, dalemiano, ha dichiarato che «l’idea delle primarie non ha funzionato», demolendo il mito della partecipazione e lodando le vituperate preferenze. Il vicesegretario nazionale del Pd, Lorenzo Guerini, ha dovuto precisare che in Emilia Romagna, dopo le dimissioni di Matteo Richetti e il rifiuto di darle da parte di Stefano Bonaccini, «le primarie non sono state disdette».
Sarebbe paradossale se accadesse. Mentre a Palazzo Chigi siede un premier che ha costruito la sua ascesa proprio partendo da lì, verrebbe abbandonato lo strumento-principe della sua legittimazione. Il sospetto è che non sia soltanto una conseguenza delle inchieste della magistratura. Nel Pd, quanto è accaduto negli ultimi mesi ha rimesso in discussione quasi tutto. E nello scetticismo di alcuni verso le primarie si indovina implicitamente la freddezza verso il segretario-capo del governo; e la voglia di vedere come Palazzo Chigi riuscirà a uscirne. Basta registrare le nuove critiche di Massimo D’Alema all’esecutivo.
Il tentativo di spingere verso l’Emilia Romagna il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, sta tramontando tra mille perplessità e resistenze anche dell’interessato. Il problema è che stavolta Renzi è davvero costretto alla velocità. Le elezioni sono tra poco più di due mesi. E la vicenda promette di alimentare la competizione feroce di un Movimento 5 Stelle che ha subito rialzato la testa; e attaccando il Pd in modo strumentale si presenta come concorrente più ancora del centrodestra berlusconiano, intrappolato nelle prove d’alleanza. «Ma un candidato non indagato e sconosciuto alle Procure non ce l’avete?», ironizza Beppe Grillo. E cita Vasco Errani, il governatore dimessosi per motivi giudiziari.
In realtà, dalle voci che filtrano si capisce che a palazzo Chigi il ritiro di Richetti è stato considerato un po’ affrettato, analizzando le accuse: anche se si apprezza la sua volontà di non esporre il partito. È «un guaio», nelle parole di Bersani, che spunta mentre si cerca di decidere sui tagli alla spesa pubblica. Si era parlato di faccia a faccia tra Renzi e i titolari dei dicasteri, ma l’ipotesi è stata accantonata. Ieri, durante il Consiglio dei ministri, Renzi ha chiesto invece a ognuno di loro di inviargli una nota con le possibili riduzioni di bilancio. Si tratta di una procedura irrituale, che però risponde alla volontà di rendere tutti più responsabili. E soprattutto, implica la possibilità che, in assenza di risposte, alla fine decida il premier.
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