La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Mondo
Turchia: l’uccisione di Tahir Elci è un nuovo crimine di Erdogan
di Fabio Marcelli | 28 novembre 2015
Commenti (85)
L’uccisione di Tahir Elci, presidente dell’Ordine degli avvocati di Diyarbakir, principale città kurda della Turchia, costituisce un nuovo crimine del regime di Erdogan. Il video pubblicato su Youtube lascia pochi dubbi sull’effettiva dinamica dei fatti. Al termine della conferenza stampa convocata per protestare contro la repressione in corso nel Kurdistan turco e in particolare nelle città di Cizre e Silvan, i poliziotti presenti hanno ingaggiato una sparatoria contro alcuni sconosciuti, probabilmente agenti provocatori, nel corso della quale Tahir Elci è stato raggiunto da uno o più colpi.
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Lo spudorato tentativo di Erdogan di addossare la responsabilità dei fatti al Pkk, contro ogni evidenza, lascia capire a che punto sia arrivata la follia di questo aspirante tiranno. Tahir Elci era del resto da tempo nel mirino della repressione per avere affermato la natura popolare della lotta armata condotta dal Pkk e chiesto con forza la ripresa dei negoziati di pace.
Indispettito per l’affermazione elettorale dell’Hdp e per le vittorie dei Kurdi siriani contro l’Isis, Erdogan ha invece scelto di giocare la carta dell’inasprimento del conflitto armato interno. Parallelamente continua quello che da più fonti viene definito il suo appoggio all’Isis, che ha diritto di libero passaggio in Turchia e riceve armi e denaro, in cambio del petrolio che i terroristi estraggono per autofinanziarsi. Per avere denunciato queste complicità sono stati imprigionati ed eliminati in Turchia giudici, giornalisti e avvocati, mentre continua ad essere avvolta dal mistero la fine della cooperante e giornalista britannica Jacky Sutton. L’abbattimento dell’aereo militare russo ha del resto dimostrato chiaramente da che parte sta Erdogan.
Forti dell’appoggio dell’aspirante Sultano, i terroristi continuano a compiere stragi in tutto il mondo, da ultimo nello stesso cuore dell’Europa. I codardi ed opportunisti governi europei continuano, insieme ad Unione europea a Nato, a sostenere Erdogan, sebbene sia sempre più chiaro il suo ruolo di quinta colonna del terrorismo dell’Isis e sempre più feroce la repressione che conduce all’interno della Turchia.
Il governo turco costituisce un ostacolo per la pace e la democrazia e va rimosso, isolandolo sul piano internazionale e dando la possibilità ai popoli della Turchia di esprimersi liberamente. Proprio il contrario di quello che stanno facendo i governi europei, che con la strage terrorista di Parigi hanno raccolto i primi risultati delle loro politiche demenziali. In Italia e altri Paesi europei occorre protestare con forza contro queste complicità, come stanno cominciando a fare, su proposta dei giuristi democratici, tutte le organizzazioni degli avvocati.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11 ... n/2261845/
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di Fabio Marcelli | 28 novembre 2015
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L’uccisione di Tahir Elci, presidente dell’Ordine degli avvocati di Diyarbakir, principale città kurda della Turchia, costituisce un nuovo crimine del regime di Erdogan. Il video pubblicato su Youtube lascia pochi dubbi sull’effettiva dinamica dei fatti. Al termine della conferenza stampa convocata per protestare contro la repressione in corso nel Kurdistan turco e in particolare nelle città di Cizre e Silvan, i poliziotti presenti hanno ingaggiato una sparatoria contro alcuni sconosciuti, probabilmente agenti provocatori, nel corso della quale Tahir Elci è stato raggiunto da uno o più colpi.
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Lo spudorato tentativo di Erdogan di addossare la responsabilità dei fatti al Pkk, contro ogni evidenza, lascia capire a che punto sia arrivata la follia di questo aspirante tiranno. Tahir Elci era del resto da tempo nel mirino della repressione per avere affermato la natura popolare della lotta armata condotta dal Pkk e chiesto con forza la ripresa dei negoziati di pace.
Indispettito per l’affermazione elettorale dell’Hdp e per le vittorie dei Kurdi siriani contro l’Isis, Erdogan ha invece scelto di giocare la carta dell’inasprimento del conflitto armato interno. Parallelamente continua quello che da più fonti viene definito il suo appoggio all’Isis, che ha diritto di libero passaggio in Turchia e riceve armi e denaro, in cambio del petrolio che i terroristi estraggono per autofinanziarsi. Per avere denunciato queste complicità sono stati imprigionati ed eliminati in Turchia giudici, giornalisti e avvocati, mentre continua ad essere avvolta dal mistero la fine della cooperante e giornalista britannica Jacky Sutton. L’abbattimento dell’aereo militare russo ha del resto dimostrato chiaramente da che parte sta Erdogan.
Forti dell’appoggio dell’aspirante Sultano, i terroristi continuano a compiere stragi in tutto il mondo, da ultimo nello stesso cuore dell’Europa. I codardi ed opportunisti governi europei continuano, insieme ad Unione europea a Nato, a sostenere Erdogan, sebbene sia sempre più chiaro il suo ruolo di quinta colonna del terrorismo dell’Isis e sempre più feroce la repressione che conduce all’interno della Turchia.
Il governo turco costituisce un ostacolo per la pace e la democrazia e va rimosso, isolandolo sul piano internazionale e dando la possibilità ai popoli della Turchia di esprimersi liberamente. Proprio il contrario di quello che stanno facendo i governi europei, che con la strage terrorista di Parigi hanno raccolto i primi risultati delle loro politiche demenziali. In Italia e altri Paesi europei occorre protestare con forza contro queste complicità, come stanno cominciando a fare, su proposta dei giuristi democratici, tutte le organizzazioni degli avvocati.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
29 novembre 2015 | di Irene Buscemi
Terrorismo, i sociologi: “Come si affronta la minaccia? Governando le periferie e non chiudendo le frontiere”
“Governare le periferie: io provocatoriamente dico che l’Isis è la periferia di Roma. Nessuno ha colto il segnale arrivato dalle banlieue francesi, i governi non hanno colto questa sfida”. Così Fabrizio Battistelli, docente dell’Università della Sapienza, presenta i risultati di una ricerca sul rapporto immigrati e residenti effettuata nel quartiere Tor Sapienza, dopo gli scontri avvenuti lo scorso anno al centro di prima accoglienza di viale Giorgio Morandi. Degli attentati di Parigi colpisce molto il profilo dei terroristi, cittadini francesi e belgi, occidentalizzati nello stile, ma poco integrati nel tessuto sociale. “La matrice religiosa è importante, senza di quella non scatterebbe la molla per atti così terribili. Ma le motivazioni trovano terreno fertile nella marginalità sociale”, spiega la dottoressa Maria Grazia Galantino. “Il disagio sociale è la miccia che scatena tutto quello che stiamo vivendo, la polizia sotto la metro ci può far sentire sicuri. Ma cosa accade nelle nostre periferie? Chiudiamo le frontiere, guardiamo all’Isis ma non sappiamo come vive il nostro vicino di casa, non ci occupiamo del suo disagio”, sostiene la ricercatrice Francesca Farruggia. Ed è l’integrazione la vera arma per affrontare la minaccia interna del terrorismo secondo i sociologi. “Oggi non c’è un rischio banlieue in Italia, ma dobbiamo evitarlo per il futuro con la formazione, il diritto all’abitare e quello alla scuola, aggiunge Battistelli. La ricerca a Tor Sapienza mostra come attraverso il dialogo e il confronto anche “i conflittualisti” possono cambiare idea e proporre soluzione ragionevoli. “In una giornata 21 giudici, selezionati in base ai sondaggi effettuati in precedenza, hanno avuto la possibilità di dialogare sul tema e molti hanno cambiato opinione, arrivando a cinque soluzione votate all’unanimità”, racconta ancora Battistelli. “C’è un ignoranza sul tema, come sulla storia dei 35 euro che in realtà non arrivano nelle tasche degli immigrati”, aggiunge Farruggia. “Perché però aprire dei centri d’accoglienza nelle periferie, dove il disagio è già evidente? Perché non si effettua un’equa distribuzione nel territorio? Scelte condivise e discusse riducono le possibilità di scontro”, concludono i ricercatori
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http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/11/ ... re/445921/
29 novembre 2015 | di Irene Buscemi
Terrorismo, i sociologi: “Come si affronta la minaccia? Governando le periferie e non chiudendo le frontiere”
“Governare le periferie: io provocatoriamente dico che l’Isis è la periferia di Roma. Nessuno ha colto il segnale arrivato dalle banlieue francesi, i governi non hanno colto questa sfida”. Così Fabrizio Battistelli, docente dell’Università della Sapienza, presenta i risultati di una ricerca sul rapporto immigrati e residenti effettuata nel quartiere Tor Sapienza, dopo gli scontri avvenuti lo scorso anno al centro di prima accoglienza di viale Giorgio Morandi. Degli attentati di Parigi colpisce molto il profilo dei terroristi, cittadini francesi e belgi, occidentalizzati nello stile, ma poco integrati nel tessuto sociale. “La matrice religiosa è importante, senza di quella non scatterebbe la molla per atti così terribili. Ma le motivazioni trovano terreno fertile nella marginalità sociale”, spiega la dottoressa Maria Grazia Galantino. “Il disagio sociale è la miccia che scatena tutto quello che stiamo vivendo, la polizia sotto la metro ci può far sentire sicuri. Ma cosa accade nelle nostre periferie? Chiudiamo le frontiere, guardiamo all’Isis ma non sappiamo come vive il nostro vicino di casa, non ci occupiamo del suo disagio”, sostiene la ricercatrice Francesca Farruggia. Ed è l’integrazione la vera arma per affrontare la minaccia interna del terrorismo secondo i sociologi. “Oggi non c’è un rischio banlieue in Italia, ma dobbiamo evitarlo per il futuro con la formazione, il diritto all’abitare e quello alla scuola, aggiunge Battistelli. La ricerca a Tor Sapienza mostra come attraverso il dialogo e il confronto anche “i conflittualisti” possono cambiare idea e proporre soluzione ragionevoli. “In una giornata 21 giudici, selezionati in base ai sondaggi effettuati in precedenza, hanno avuto la possibilità di dialogare sul tema e molti hanno cambiato opinione, arrivando a cinque soluzione votate all’unanimità”, racconta ancora Battistelli. “C’è un ignoranza sul tema, come sulla storia dei 35 euro che in realtà non arrivano nelle tasche degli immigrati”, aggiunge Farruggia. “Perché però aprire dei centri d’accoglienza nelle periferie, dove il disagio è già evidente? Perché non si effettua un’equa distribuzione nel territorio? Scelte condivise e discusse riducono le possibilità di scontro”, concludono i ricercatori
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Germania, dopo sì di Merkel a intervento in Siria i tedeschi hanno paura. E la Cancelliera fa i conti con dissenso interno
Mondo
La gestione di un milione di siriani è criticata dai dissidenti interni della Cdu: c'è chi parla di perdita di controllo della situazione e di fallimento dello Stato. L'intervento militare è ritenuto inutile per sconfiggere l'Isis. E cresce la fobia che tra i profughi accolti sul territorio tedesco possano essersi infiltrati terroristi
di Tonino Bucci | 30 novembre 2015
Commenti (26)
Non è il momento migliore, per Angela Merkel, di festeggiare i suoi dieci anni alla guida della Germania. Non è tanto per il consenso in calo, non comunque di dimensioni tali da impensierire la cancelliera. In fondo, finora, le è riuscito di aprire le porte a un milione di siriani senza che venisse meno la fiducia di buona parte dell’opinione pubblica nelle doti organizzative dello stato tedesco. Non che manchino critiche e dubbi. Il ritornello ripetuto più volte dalla cancelliera – “ce la facciamo, ce la facciamo” – non è bastato a soffocare sul nascere le incertezze. Ad oggi, non c’è unanimità sui numeri reali del fenomeno, né è dato sapere quanto tempo i nuovi entrati rimarranno nel paese. Alla lunga, potrebbero approfittarne i populisti della AfD (Alternativa per la Germania), la principale forza alla destra della Cdu pronta a intercettare paure e sentimenti anti-immigrazione. Ma i veri problemi di Angela Merkel sono altri.
Pubblicità
Il primo ce l’ha in casa propria e riguarda il dissenso interno nel proprio partito. Più che dagli alleati socialdemocratici, gli attacchi vengono infatti dal leader della Csu, il partito bavarese affratellato alla Cdu. Qualche giorno fa, Horst Seehofer ha definito la cancelliera una “scolaretta” e si è messo, di fatto, alla guida del fronte dei dissidenti. Chi ha simili amici di partito, ha scritto un giornale tedesco, non ha bisogno di avere nemici. Proprio dal fuoco amico vengono le parole più pesanti: c’è chi parla di perdita di controllo della situazione e di fallimento dello Stato, e chi si spinge fino all’accusa di tradimento nazionale in seguito all’apertura dei confini. Le basi del potere della Merkel nel proprio partito si sbriciolano e se per ora la sua figura resiste alla guida del paese, dipende più che altro dalla debolezza degli avversari alla sua sinistra, dall’incapacità di Linke e Spd di ricompattarsi. Finora il sistema del merkellismo si era dimostrato vincente in Germania perché aveva assicurato ai tedeschi continuità, sicurezza e assenza di scossoni bruschi. Per vincere alle ultime elezioni ad Angela era stato sufficiente ripetere lo slogan “Mi conoscete già“. Della serie: ” Con me nessuna sorpresa”.
Le opposizioni di sinistra la accusano di aver anestetizzato la Germania, di avere depoliticizzato i tedeschi, ma questa è un’altra storia. Sta di fatto che una parte dei tedeschi si sente per la prima volta, da un decennio a questa parte, investita dalla preoccupazione per il futuro. Messi di fronte alla sfida di integrare un milione di nuovi cittadini temono che la cancelliera non abbia in mente una vera strategia. Spesso la leader della Cdu ha governato passando indenne attraverso momenti cruciali, anzi logorando per lo più i suoi alleati di governo. Ne sanno qualcosa i socialdemocratici, gravemente puniti dal loro elettorato per aver tirato fuori dal cappello l’Agenda 2010, la riforma del mercato del lavoro. Merkel oggi non ha nessuno su cui scaricare la crisi politica, né sul fronte interno, né su quello esterno. In Europa, per esempio, la sua politica di apertura delle frontiere ha trovato più avversari che proseliti e non c’è stato verso di rompere il muro di diniego di Polonia e Ungheria, oltre che quello della Turchia al di fuori dell’Ue.
L’altro motivo di sofferenza, sempre per rimanere in politica estera, è il protagonismo diplomatico e internazionale del dirimpettaio francese. Pur a costo di rompere un tabù, Angela Merkel si è vista costretta a inseguire Hollande e promettere un sostegno nell’intervento militare contro l’Isis. Solo fino a poche settimane fa l’idea di mandare soldati e aerei tornado in Siria sarebbe stato impensabile per il governo tedesco. Come era prevedibile, l’annuncio di Angela Merkel ha innescato più dubbi che certezze – e non solo nel fronte dell’estrema sinistra. Primo, un intervento militare potrebbe portare all’escalation del terrorismo, soprattutto se si tiene conto che in Germania sono entrati quasi un milione di siriani. La paura che tra loro possano essersi infiltrati gruppi terroristici è argomento frequente. Secondo, i bombardamenti – è opinione diffusa – non servono a niente, certo non a sconfiggere quelli dell’Isis, almeno fino a quando questi continueranno a ricevere armi e finanziamenti, dall’Arabia Saudita e non solo, e fino a quando andrà avanti il gioco ambiguo della Turchia. Non è ancora chiaro se la Germania sarà al fianco della Francia solo per offrire aiuti di intelligence o se parteciperà direttamente alle operazioni militari. In ambedue i casi, assicurano i costituzionalisti tedeschi, c’è bisogno dell’approvazione del parlamento.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11 ... o/2260312/
Germania, dopo sì di Merkel a intervento in Siria i tedeschi hanno paura. E la Cancelliera fa i conti con dissenso interno
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La gestione di un milione di siriani è criticata dai dissidenti interni della Cdu: c'è chi parla di perdita di controllo della situazione e di fallimento dello Stato. L'intervento militare è ritenuto inutile per sconfiggere l'Isis. E cresce la fobia che tra i profughi accolti sul territorio tedesco possano essersi infiltrati terroristi
di Tonino Bucci | 30 novembre 2015
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Non è il momento migliore, per Angela Merkel, di festeggiare i suoi dieci anni alla guida della Germania. Non è tanto per il consenso in calo, non comunque di dimensioni tali da impensierire la cancelliera. In fondo, finora, le è riuscito di aprire le porte a un milione di siriani senza che venisse meno la fiducia di buona parte dell’opinione pubblica nelle doti organizzative dello stato tedesco. Non che manchino critiche e dubbi. Il ritornello ripetuto più volte dalla cancelliera – “ce la facciamo, ce la facciamo” – non è bastato a soffocare sul nascere le incertezze. Ad oggi, non c’è unanimità sui numeri reali del fenomeno, né è dato sapere quanto tempo i nuovi entrati rimarranno nel paese. Alla lunga, potrebbero approfittarne i populisti della AfD (Alternativa per la Germania), la principale forza alla destra della Cdu pronta a intercettare paure e sentimenti anti-immigrazione. Ma i veri problemi di Angela Merkel sono altri.
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Il primo ce l’ha in casa propria e riguarda il dissenso interno nel proprio partito. Più che dagli alleati socialdemocratici, gli attacchi vengono infatti dal leader della Csu, il partito bavarese affratellato alla Cdu. Qualche giorno fa, Horst Seehofer ha definito la cancelliera una “scolaretta” e si è messo, di fatto, alla guida del fronte dei dissidenti. Chi ha simili amici di partito, ha scritto un giornale tedesco, non ha bisogno di avere nemici. Proprio dal fuoco amico vengono le parole più pesanti: c’è chi parla di perdita di controllo della situazione e di fallimento dello Stato, e chi si spinge fino all’accusa di tradimento nazionale in seguito all’apertura dei confini. Le basi del potere della Merkel nel proprio partito si sbriciolano e se per ora la sua figura resiste alla guida del paese, dipende più che altro dalla debolezza degli avversari alla sua sinistra, dall’incapacità di Linke e Spd di ricompattarsi. Finora il sistema del merkellismo si era dimostrato vincente in Germania perché aveva assicurato ai tedeschi continuità, sicurezza e assenza di scossoni bruschi. Per vincere alle ultime elezioni ad Angela era stato sufficiente ripetere lo slogan “Mi conoscete già“. Della serie: ” Con me nessuna sorpresa”.
Le opposizioni di sinistra la accusano di aver anestetizzato la Germania, di avere depoliticizzato i tedeschi, ma questa è un’altra storia. Sta di fatto che una parte dei tedeschi si sente per la prima volta, da un decennio a questa parte, investita dalla preoccupazione per il futuro. Messi di fronte alla sfida di integrare un milione di nuovi cittadini temono che la cancelliera non abbia in mente una vera strategia. Spesso la leader della Cdu ha governato passando indenne attraverso momenti cruciali, anzi logorando per lo più i suoi alleati di governo. Ne sanno qualcosa i socialdemocratici, gravemente puniti dal loro elettorato per aver tirato fuori dal cappello l’Agenda 2010, la riforma del mercato del lavoro. Merkel oggi non ha nessuno su cui scaricare la crisi politica, né sul fronte interno, né su quello esterno. In Europa, per esempio, la sua politica di apertura delle frontiere ha trovato più avversari che proseliti e non c’è stato verso di rompere il muro di diniego di Polonia e Ungheria, oltre che quello della Turchia al di fuori dell’Ue.
L’altro motivo di sofferenza, sempre per rimanere in politica estera, è il protagonismo diplomatico e internazionale del dirimpettaio francese. Pur a costo di rompere un tabù, Angela Merkel si è vista costretta a inseguire Hollande e promettere un sostegno nell’intervento militare contro l’Isis. Solo fino a poche settimane fa l’idea di mandare soldati e aerei tornado in Siria sarebbe stato impensabile per il governo tedesco. Come era prevedibile, l’annuncio di Angela Merkel ha innescato più dubbi che certezze – e non solo nel fronte dell’estrema sinistra. Primo, un intervento militare potrebbe portare all’escalation del terrorismo, soprattutto se si tiene conto che in Germania sono entrati quasi un milione di siriani. La paura che tra loro possano essersi infiltrati gruppi terroristici è argomento frequente. Secondo, i bombardamenti – è opinione diffusa – non servono a niente, certo non a sconfiggere quelli dell’Isis, almeno fino a quando questi continueranno a ricevere armi e finanziamenti, dall’Arabia Saudita e non solo, e fino a quando andrà avanti il gioco ambiguo della Turchia. Non è ancora chiaro se la Germania sarà al fianco della Francia solo per offrire aiuti di intelligence o se parteciperà direttamente alle operazioni militari. In ambedue i casi, assicurano i costituzionalisti tedeschi, c’è bisogno dell’approvazione del parlamento.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
LA TENSIONE SI ALZA ANCORA
Putin: “Turchia ha abbattuto il nostro jet per coprire i suoi traffici con l’Isis”
Erdogan: "Accuse immorali. Se venissero dimostrate mi dimetto. Se fosse vero il contrario è Putin che dovrebbe fare un passo indietro. Lo farà"
di F. Q. | 30 novembre 2015
L’accusa era tutt’altro che velata già a poche ore dall’abbattimento del caccia russo da parte dell’aviazione turca. Ora, però, Vladimir Putin ci mette il carico. E lo fa in un luogo dal significato tristemente simbolico: Parigi, teatro delle stragi dei terroristi dello Stato Islamico. “Abbiamo tutti i motivi per supporre che la decisione di abbattere l’aereo sia stata dettata dal desiderio di garantire la sicurezza delle via di fornitura illegale del petrolio dell’Isis al territorio turco” ha detto il leader del Cremlino, parlando in conferenza stampa a Parigi nell’ambito della Conferenza sul clima (Cop21) e, soprattutto, dopo aver rifiutato di incontrare il presidente turco Erdogan. Parole durissime, che confermano la tesi esposta chiaramente subito dopo la notizia dell’abbattimento: la Turchia è complice del Califfato.
Oggi la chiusura del cerchio, con il leader russo che ha messo in collegamento l’episodio dell’abbattimento del bombardiere russo Su-24 con i presunti giri d’affari torbidi portati avanti da Ankara con gli emissari di Abu Bakr al Baghdadi. Il leader del Cremlino ha sottolineato infatti che la Russia ha ricevuto “nuovi dati che confermano, purtroppo, che dalle zone di estrazione controllate dallo Stato islamico e da altre organizzazioni terroriste il petrolio arriva in grandi quantità, in quantità industriali, in territorio turco”. “E la difesa dei turcomanni è solo una scusa” ha proseguito Putin riferendosi alla minoranza siriana che Ankara definisce “fratelli etnici” e che l’aviazione russa, secondo fonti turche e occidentali, avrebbe bombardato in diverse occasioni. Prima dell’abbattimento del jet russo da parte di Ankara, nel vertice del G20 di Antalya in Turchia di due settimane fa, Putin aveva già mostrato immagini satellitari di convogli di jihadisti che trasportavano presumibilmente petrolio in direzione della Turchia. La presa di posizione odierna di Mosca ovviamente non ha lasciato indifferente Erdogan. Anzi. A sentire quanto riportato dall’agenzia russa Tass, il presidente turco ha detto di essere pronto a dimettersi qualora le dichiarazioni e i sospetti di Putin fossero provati. “E’ immorale accusare la Turchia di comprare il petrolio dall’Isis – ha detto Erdogan – Se ci sono i documenti, devono mostrarli, vediamoli. Se questo viene dimostrato, io non rimarrò nel mio incarico. E lo dico a Putin: lui manterrà il suo incarico?”. Ancora una provocazione, quindi, in una guerra di nervi in cui ancora non si vedono spiragli veri d’uscita.
Basti leggere le dichiarazioni del premier turco Davutoglu, che ha rifiutato di porgere le scuse chieste da Mosca: “Né il primo ministro, né il presidente o alcuna altra autorità turca si scuserà per aver fatto il nostro dovere”. Poi l’accusa, opposto e contraria a quella di Mosca: la Russia “provoca ondate di nuovi rifugiati” con i suoi bombardamenti in zone “in cui non c’è alcuna presenza dell’Isis”. Una posizione – quella della Turchia – che l’Alleanza ufficialmente appoggia, sottolineando il “diritto” di Ankara alla difesa delle sue frontiere e del suo spazio aereo, che è stato effettivamente violato anche se per soli 17 secondi, come confermato anche dai dati dell’intelligence Usa. Ed anche se tra i 28 alleati non è mancato chi ha fatto notare al governo turco che il momento della reazione non è stato dei migliori, nell’Alleanza si osserva pure che – al di là delle parole di Putin – Mosca ha “probabilmente capito” che è necessario un migliore coordinamento nella guerra all’Isis, che era e resta l’unico obiettivo da perseguire. In tutto ciò, però, la Turchia ha deciso di aprire il suo spazio aereo ai raid anti-Isis della Francia. L’accordo militare è stato raggiunto domenica e prevede anche l’uso della base turca di Inxcirlik, la stessa utilizzata anche della forze Usa. Inoltre consente che la portaerei Charles De Gaulle possa ricevere ricevere supporto logistico dal porto di Tasucu, nella provincia meridionale di Marsin.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11 ... s/2266390/
LA TENSIONE SI ALZA ANCORA
Putin: “Turchia ha abbattuto il nostro jet per coprire i suoi traffici con l’Isis”
Erdogan: "Accuse immorali. Se venissero dimostrate mi dimetto. Se fosse vero il contrario è Putin che dovrebbe fare un passo indietro. Lo farà"
di F. Q. | 30 novembre 2015
L’accusa era tutt’altro che velata già a poche ore dall’abbattimento del caccia russo da parte dell’aviazione turca. Ora, però, Vladimir Putin ci mette il carico. E lo fa in un luogo dal significato tristemente simbolico: Parigi, teatro delle stragi dei terroristi dello Stato Islamico. “Abbiamo tutti i motivi per supporre che la decisione di abbattere l’aereo sia stata dettata dal desiderio di garantire la sicurezza delle via di fornitura illegale del petrolio dell’Isis al territorio turco” ha detto il leader del Cremlino, parlando in conferenza stampa a Parigi nell’ambito della Conferenza sul clima (Cop21) e, soprattutto, dopo aver rifiutato di incontrare il presidente turco Erdogan. Parole durissime, che confermano la tesi esposta chiaramente subito dopo la notizia dell’abbattimento: la Turchia è complice del Califfato.
Oggi la chiusura del cerchio, con il leader russo che ha messo in collegamento l’episodio dell’abbattimento del bombardiere russo Su-24 con i presunti giri d’affari torbidi portati avanti da Ankara con gli emissari di Abu Bakr al Baghdadi. Il leader del Cremlino ha sottolineato infatti che la Russia ha ricevuto “nuovi dati che confermano, purtroppo, che dalle zone di estrazione controllate dallo Stato islamico e da altre organizzazioni terroriste il petrolio arriva in grandi quantità, in quantità industriali, in territorio turco”. “E la difesa dei turcomanni è solo una scusa” ha proseguito Putin riferendosi alla minoranza siriana che Ankara definisce “fratelli etnici” e che l’aviazione russa, secondo fonti turche e occidentali, avrebbe bombardato in diverse occasioni. Prima dell’abbattimento del jet russo da parte di Ankara, nel vertice del G20 di Antalya in Turchia di due settimane fa, Putin aveva già mostrato immagini satellitari di convogli di jihadisti che trasportavano presumibilmente petrolio in direzione della Turchia. La presa di posizione odierna di Mosca ovviamente non ha lasciato indifferente Erdogan. Anzi. A sentire quanto riportato dall’agenzia russa Tass, il presidente turco ha detto di essere pronto a dimettersi qualora le dichiarazioni e i sospetti di Putin fossero provati. “E’ immorale accusare la Turchia di comprare il petrolio dall’Isis – ha detto Erdogan – Se ci sono i documenti, devono mostrarli, vediamoli. Se questo viene dimostrato, io non rimarrò nel mio incarico. E lo dico a Putin: lui manterrà il suo incarico?”. Ancora una provocazione, quindi, in una guerra di nervi in cui ancora non si vedono spiragli veri d’uscita.
Basti leggere le dichiarazioni del premier turco Davutoglu, che ha rifiutato di porgere le scuse chieste da Mosca: “Né il primo ministro, né il presidente o alcuna altra autorità turca si scuserà per aver fatto il nostro dovere”. Poi l’accusa, opposto e contraria a quella di Mosca: la Russia “provoca ondate di nuovi rifugiati” con i suoi bombardamenti in zone “in cui non c’è alcuna presenza dell’Isis”. Una posizione – quella della Turchia – che l’Alleanza ufficialmente appoggia, sottolineando il “diritto” di Ankara alla difesa delle sue frontiere e del suo spazio aereo, che è stato effettivamente violato anche se per soli 17 secondi, come confermato anche dai dati dell’intelligence Usa. Ed anche se tra i 28 alleati non è mancato chi ha fatto notare al governo turco che il momento della reazione non è stato dei migliori, nell’Alleanza si osserva pure che – al di là delle parole di Putin – Mosca ha “probabilmente capito” che è necessario un migliore coordinamento nella guerra all’Isis, che era e resta l’unico obiettivo da perseguire. In tutto ciò, però, la Turchia ha deciso di aprire il suo spazio aereo ai raid anti-Isis della Francia. L’accordo militare è stato raggiunto domenica e prevede anche l’uso della base turca di Inxcirlik, la stessa utilizzata anche della forze Usa. Inoltre consente che la portaerei Charles De Gaulle possa ricevere ricevere supporto logistico dal porto di Tasucu, nella provincia meridionale di Marsin.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Ora Putin risponde a Erdogan: missili aria-aria contro i caccia turchi
Sale la tensione tra Ankara e Mosca. Nave russa incrocia sottomarino turco: tensione ai Dardanelli. Putin arma i caccia con missili aria-aria e vara nuove sanzioni
Andrea Indini - Lun, 30/11/2015 - 17:50
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ora ... 99962.html
Ora Putin risponde a Erdogan: missili aria-aria contro i caccia turchi
Sale la tensione tra Ankara e Mosca. Nave russa incrocia sottomarino turco: tensione ai Dardanelli. Putin arma i caccia con missili aria-aria e vara nuove sanzioni
Andrea Indini - Lun, 30/11/2015 - 17:50
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Jet russo abbattuto dai turchi
per tutelare i traffici con l'Isis
I jihadisti vendono petrolio e gas alla Turchia al mercato nero. Ma i raid russi interferiscono questo business criminale
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/jet ... 00060.html
Jet russo abbattuto dai turchi
per tutelare i traffici con l'Isis
I jihadisti vendono petrolio e gas alla Turchia al mercato nero. Ma i raid russi interferiscono questo business criminale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
I tagliagole avanzano in Libia
I tagliagole spostano armi pesanti e blindati ad Harawa e Nufaliya. E minacciano i campi della mezzaluna petrolifera
di Sergio Rame
8 ore fa
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lis ... 00073.html
I tagliagole avanzano in Libia
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Il punto di vista di Giorgio Cremaschi
L’Ue in malafede, usa il terrore per suicidare la democrazia
Scritto il 01/12/15 • LIBRE nella Categoria: idee
La terribile strage di Parigi non ha solo colpito centinaia di innocenti, ma anche le nostre sempre più traballanti democrazie, che stanno rispondendo al terrorismo fondamentalista suicidandosi. Cento anni fa fece la stessa cosa l’Impero austroungarico, che nel 1914 reagì con la guerra al terrorismo serbo. Il risultato fu la distruzione di quello Stato e la catastrofe immane della Prima Guerra Mondiale. Cambiato il mondo l’Occidente, questa volta trascinato dalla Francia, sta intraprendendo lo stesso percorso. Da 25 anni, dalla prima guerra in Iraq, il mondo occidentale risponde al terrorismo con la guerra. Il risultato è che oggi il fondamentalismo musulmano sunnita ha un suo nuovo Stato terrorista. Non è il primo perché già il regime dei Talebani in Afghanistan alimentava e sosteneva il terrorismo, allora quello di Bin Laden. Rovesciato quel regime, ucciso Bin Laden, il terrorismo islamico si è rafforzato ed esteso. Ammesso quindi che i bombardamenti aerei occidentali e russi riescano a far cadere il Califfato, non c’è alcuna garanzia che il terrorismo non si diffonda ulteriormente.
Per mettere le mani avanti, tutti i governanti europei ora parlano di una guerra lunga. Lunga quanto, visto che dura dal 1990? È la guerra dei cento anni a cui dobbiamo attrezzarci? L’Unione Europea ha deciso di togliere dai vincoli dell’austerità di bilancio le spese aggiuntive per la guerra, ipocritamente mascherate come spese di difesa. Questa misura è stata presa quasi in contemporanea con la decisione del Parlamento greco di approvare 48 tagli draconiani a quel poco che in quel paese ancora resta dello stato sociale. In Grecia si chiuderanno ospedali e verranno pignorate le case dei poveri che non possono pagare i debiti. Questo in ottemperanza al memorandum della Troika accettato da Tsipras. Se però il governo greco decidesse di comprare dei droni per colpire il terrorismo, allora potrebbe non tenere conto dei vincoli di bilancio imposti. Quale modello di società è quello dove è virtuoso spendere in deficit per le armi e vizioso farlo per scuole o ospedali? Sono questi i valori che i governanti proclamano di voler difendere con la guerra?
La guerra ha così trovato un naturale alleato nella politica di austerità, anche perché entrambe sono inconcludenti allo stesso modo. Da quanti anni si colpiscono l’occupazione, i diritti, i servizi sociali e i beni comuni con lo scopo dichiarato di sconfiggere la crisi? E da quanto lo si fa nel nome dell’Europa? Anche l’austerità, come la guerra, non solo non produce risultati contro il nemico che dichiara di voler combattere, ma anzi lo rafforza. E anche in questo caso, di fronte alla scarsità di risultati, i governanti spiegano che dobbiamo comunque abituarci a tempi lunghi. Secondo l’Ocse ci possono volere altri 20 anni per tornare ai livelli di sviluppo pre-crisi. Come dire che non ci torneremo mai, o che assieme alla guerra avremo anche la crisi dei cento anni. Possibile allora che i nostri governanti siano tutti stupidi e incompetenti e non sappiano trarre conclusioni e bilanci da ciò che fanno? No, non lo credo; da qui la mia convinzione sul peso sempre maggiore che ha la malafede nei sistemi di governo.
Quando parlo di malafede non voglio affatto sostenere teorie complottiste. In una recente trasmissione televisiva, Edward Luttwak ha rivendicato che finanziare ed armare il fondamentalismo islamico sia stato comunque un buon affare, per l’Occidente, perché è servito a far crollare l’Unione Sovietica. E, aggiungo io, è un buon affare anche oggi per la politica coloniale di Israele nei confronti del popolo palestinese. Tuttavia, anche se è sicuro che il terrorismo islamista sia stato all’inizio sostenuto dall’Occidente, dagli Usa alla Francia, questo non vuole dire che oggi ne sia ancora un burattino. No, è evidente che il terrorismo sunnita è dilagato per forza propria, oltre che per il continuo appoggio da Stati, Arabia Saudita in testa, che l’Occidente considera e arma come propri indispensabili alleati. Il terrorismo sunnita ha raccolto la carica di violenza sprigionata dalla guerra in Irak, abbiamo dimenticato il massacro al fosforo bianco di Falluja? La guerra è poi diventata guerra di religione tra sunniti e sciiti, mentre la Turchia, membro autorevole della Nato, combatteva prima di tutto il solo popolo della regione organizzato su basi laiche, i curdi.
In questo contesto, tutti gli interventi armati occidentali non han fatto altro che gettare benzina sul fuoco, fino a cancellare le stesse entità statali in Somalia e in Libia. Il fatto che ora al posto degli Stati Uniti compaia ora la Russia di Putin non cambia la sostanza. Infine è bene ricordare che il terrorismo esploso in Europa nasce prima di tutto nelle banlieue delle grandi città europee, tutti gli autori delle ultime stragi sono cittadini francesi, belgi, britannici. La malafede dei governanti non sta dunque in qualche oscuro complotto, ma nel sapere perfettamente che la guerra, così come l’austerità, sono risposte sbagliate a ciò che si dichiara di voler affrontare e sconfiggere. Sono risposte sbagliate e fallimentari, ma sono le sole che si continuano a dare perché sceglierne altre vorrebbe dire ammettere troppi errori e soprattutto mettere in discussione troppi affari, troppi interessi, troppo potere.
L’Occidente dovrebbe ritirare le sue truppe sparse per il mondo, smetterla di armare gli alleati di oggi che diverranno i nemici di domani, e magari investire molto di più nella propria sicurezza interna. Gli Stati europei dovrebbero ribaltare la vergognosa licenza concessa dalla Ue e investire in deficit su lavoro e stato sociale, tagliando invece l’industria delle armi sulla quale in questi giorni si riversano gli acquisti in Borsa. E soprattutto si dovrebbe rispondere al terrorismo con più democrazia e non con le leggi speciali. Solo con la pace, la democrazia e l’eguaglianza sociale si può sconfiggere il terrorismo, ma i governanti europei preferiscono ingannare i propri popoli trascinandoli in una escalation di guerra e autoritarismo di cui non si vede la fine. Hollande ha fatto proprio il Patriot Act con il quale Bush jr reagì all’11 Settembre, e ora il paese simbolo della democrazia europea si prepara a mettere in Costituzione quello stato di emergenza che ha un solo precedente nella storia europea. Parlo della Germania di Weimar, dove proprio l’uso continuo di quello strumento da parte di governi formalmente democratici aprì la via istituzionale a Hitler. Quello vero, non quelli che da 25 anni pare sorgano ogni 6 mesi sui fronti delle varie guerre.
D’altra parte è tutta la costruzione europea che respinge la democrazia, come ci ha ricordato Luciano Gallino nel suo ultimo libro. I parlamenti non son da tempo più sovrani, le politiche economiche le decidono Bruxelles e la Germania. Ora abbiamo scoperto che nel Trattato di Lisbona l’articolo 42.7 obbliga alla solidarietà armata nella Unione. Nel 1915 l’Italia fu trascinata in guerra dal colpo di Stato del Re, oggi il sovrano sta a Bruxelles e può portarci in guerra saltando le nostre istituzioni e la nostra Costituzione. Leggi speciali, austerità, spese di guerra, è così che l’Unione Europea oggi intende procedere. Se non fermiamo questa follia in malafede il rischio è che alla fine un’Europa democratica non ci sia più, mentre il terrorismo sia ancora più feroce e diffuso.
(Giorgio Cremaschi, “Guerra e austerità, risposte sbagliate e in malafede”, da “Micromega” del 19 novembre 2015).
Il punto di vista di Giorgio Cremaschi
L’Ue in malafede, usa il terrore per suicidare la democrazia
Scritto il 01/12/15 • LIBRE nella Categoria: idee
La terribile strage di Parigi non ha solo colpito centinaia di innocenti, ma anche le nostre sempre più traballanti democrazie, che stanno rispondendo al terrorismo fondamentalista suicidandosi. Cento anni fa fece la stessa cosa l’Impero austroungarico, che nel 1914 reagì con la guerra al terrorismo serbo. Il risultato fu la distruzione di quello Stato e la catastrofe immane della Prima Guerra Mondiale. Cambiato il mondo l’Occidente, questa volta trascinato dalla Francia, sta intraprendendo lo stesso percorso. Da 25 anni, dalla prima guerra in Iraq, il mondo occidentale risponde al terrorismo con la guerra. Il risultato è che oggi il fondamentalismo musulmano sunnita ha un suo nuovo Stato terrorista. Non è il primo perché già il regime dei Talebani in Afghanistan alimentava e sosteneva il terrorismo, allora quello di Bin Laden. Rovesciato quel regime, ucciso Bin Laden, il terrorismo islamico si è rafforzato ed esteso. Ammesso quindi che i bombardamenti aerei occidentali e russi riescano a far cadere il Califfato, non c’è alcuna garanzia che il terrorismo non si diffonda ulteriormente.
Per mettere le mani avanti, tutti i governanti europei ora parlano di una guerra lunga. Lunga quanto, visto che dura dal 1990? È la guerra dei cento anni a cui dobbiamo attrezzarci? L’Unione Europea ha deciso di togliere dai vincoli dell’austerità di bilancio le spese aggiuntive per la guerra, ipocritamente mascherate come spese di difesa. Questa misura è stata presa quasi in contemporanea con la decisione del Parlamento greco di approvare 48 tagli draconiani a quel poco che in quel paese ancora resta dello stato sociale. In Grecia si chiuderanno ospedali e verranno pignorate le case dei poveri che non possono pagare i debiti. Questo in ottemperanza al memorandum della Troika accettato da Tsipras. Se però il governo greco decidesse di comprare dei droni per colpire il terrorismo, allora potrebbe non tenere conto dei vincoli di bilancio imposti. Quale modello di società è quello dove è virtuoso spendere in deficit per le armi e vizioso farlo per scuole o ospedali? Sono questi i valori che i governanti proclamano di voler difendere con la guerra?
La guerra ha così trovato un naturale alleato nella politica di austerità, anche perché entrambe sono inconcludenti allo stesso modo. Da quanti anni si colpiscono l’occupazione, i diritti, i servizi sociali e i beni comuni con lo scopo dichiarato di sconfiggere la crisi? E da quanto lo si fa nel nome dell’Europa? Anche l’austerità, come la guerra, non solo non produce risultati contro il nemico che dichiara di voler combattere, ma anzi lo rafforza. E anche in questo caso, di fronte alla scarsità di risultati, i governanti spiegano che dobbiamo comunque abituarci a tempi lunghi. Secondo l’Ocse ci possono volere altri 20 anni per tornare ai livelli di sviluppo pre-crisi. Come dire che non ci torneremo mai, o che assieme alla guerra avremo anche la crisi dei cento anni. Possibile allora che i nostri governanti siano tutti stupidi e incompetenti e non sappiano trarre conclusioni e bilanci da ciò che fanno? No, non lo credo; da qui la mia convinzione sul peso sempre maggiore che ha la malafede nei sistemi di governo.
Quando parlo di malafede non voglio affatto sostenere teorie complottiste. In una recente trasmissione televisiva, Edward Luttwak ha rivendicato che finanziare ed armare il fondamentalismo islamico sia stato comunque un buon affare, per l’Occidente, perché è servito a far crollare l’Unione Sovietica. E, aggiungo io, è un buon affare anche oggi per la politica coloniale di Israele nei confronti del popolo palestinese. Tuttavia, anche se è sicuro che il terrorismo islamista sia stato all’inizio sostenuto dall’Occidente, dagli Usa alla Francia, questo non vuole dire che oggi ne sia ancora un burattino. No, è evidente che il terrorismo sunnita è dilagato per forza propria, oltre che per il continuo appoggio da Stati, Arabia Saudita in testa, che l’Occidente considera e arma come propri indispensabili alleati. Il terrorismo sunnita ha raccolto la carica di violenza sprigionata dalla guerra in Irak, abbiamo dimenticato il massacro al fosforo bianco di Falluja? La guerra è poi diventata guerra di religione tra sunniti e sciiti, mentre la Turchia, membro autorevole della Nato, combatteva prima di tutto il solo popolo della regione organizzato su basi laiche, i curdi.
In questo contesto, tutti gli interventi armati occidentali non han fatto altro che gettare benzina sul fuoco, fino a cancellare le stesse entità statali in Somalia e in Libia. Il fatto che ora al posto degli Stati Uniti compaia ora la Russia di Putin non cambia la sostanza. Infine è bene ricordare che il terrorismo esploso in Europa nasce prima di tutto nelle banlieue delle grandi città europee, tutti gli autori delle ultime stragi sono cittadini francesi, belgi, britannici. La malafede dei governanti non sta dunque in qualche oscuro complotto, ma nel sapere perfettamente che la guerra, così come l’austerità, sono risposte sbagliate a ciò che si dichiara di voler affrontare e sconfiggere. Sono risposte sbagliate e fallimentari, ma sono le sole che si continuano a dare perché sceglierne altre vorrebbe dire ammettere troppi errori e soprattutto mettere in discussione troppi affari, troppi interessi, troppo potere.
L’Occidente dovrebbe ritirare le sue truppe sparse per il mondo, smetterla di armare gli alleati di oggi che diverranno i nemici di domani, e magari investire molto di più nella propria sicurezza interna. Gli Stati europei dovrebbero ribaltare la vergognosa licenza concessa dalla Ue e investire in deficit su lavoro e stato sociale, tagliando invece l’industria delle armi sulla quale in questi giorni si riversano gli acquisti in Borsa. E soprattutto si dovrebbe rispondere al terrorismo con più democrazia e non con le leggi speciali. Solo con la pace, la democrazia e l’eguaglianza sociale si può sconfiggere il terrorismo, ma i governanti europei preferiscono ingannare i propri popoli trascinandoli in una escalation di guerra e autoritarismo di cui non si vede la fine. Hollande ha fatto proprio il Patriot Act con il quale Bush jr reagì all’11 Settembre, e ora il paese simbolo della democrazia europea si prepara a mettere in Costituzione quello stato di emergenza che ha un solo precedente nella storia europea. Parlo della Germania di Weimar, dove proprio l’uso continuo di quello strumento da parte di governi formalmente democratici aprì la via istituzionale a Hitler. Quello vero, non quelli che da 25 anni pare sorgano ogni 6 mesi sui fronti delle varie guerre.
D’altra parte è tutta la costruzione europea che respinge la democrazia, come ci ha ricordato Luciano Gallino nel suo ultimo libro. I parlamenti non son da tempo più sovrani, le politiche economiche le decidono Bruxelles e la Germania. Ora abbiamo scoperto che nel Trattato di Lisbona l’articolo 42.7 obbliga alla solidarietà armata nella Unione. Nel 1915 l’Italia fu trascinata in guerra dal colpo di Stato del Re, oggi il sovrano sta a Bruxelles e può portarci in guerra saltando le nostre istituzioni e la nostra Costituzione. Leggi speciali, austerità, spese di guerra, è così che l’Unione Europea oggi intende procedere. Se non fermiamo questa follia in malafede il rischio è che alla fine un’Europa democratica non ci sia più, mentre il terrorismo sia ancora più feroce e diffuso.
(Giorgio Cremaschi, “Guerra e austerità, risposte sbagliate e in malafede”, da “Micromega” del 19 novembre 2015).
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Re: La Terza Guerra Mondiale
http://www.beppegrillo.it/la_cosa/2015/ ... utta-fine/
Veterano americano dell’Iraq confessa tutta la verità
Ciao
Paolo11
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Paolo11
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Molte Costituzioni o leggi nel mondo islamico prevedono per le conversioni la pena capitale, come avviene in Arabia Saudita, Iran, Sudan, Mauritania, Afghanistan (qui è noto il caso di Abdul Rahman, un afghano convertito e condannato a morte del quale la stampa ha parlato circa un anno fa).
Il resto del mondo dovrebbe isolare questi paesi fin tanto che la libertà di coscienza non sarà affermata e ciò dovrebbe valere non solo nel campo religioso , ma in ogni aspetto della vita umana.
E' difficile rinunciare al petrolio ? sarebbe l'occasione buona per incentivare tutte le altre forme di energia rinnovabile.
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Il resto del mondo dovrebbe isolare questi paesi fin tanto che la libertà di coscienza non sarà affermata e ciò dovrebbe valere non solo nel campo religioso , ma in ogni aspetto della vita umana.
E' difficile rinunciare al petrolio ? sarebbe l'occasione buona per incentivare tutte le altre forme di energia rinnovabile.
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