Re: E Adesso chi Voto?
Inviato: 09/02/2013, 0:50
Una situazione volatile che muta di giorno in giorno
EDITORIALI
06/02/2013
L’incubo di un risultato“alla greca”
MARCELLO SORGI
La svolta che nel giro di due giorni ha riportato l’armonia tra Monti e Bersani, dopo settimane di scontri quotidiani, ha colpito un po’ tutti.
In effetti il presidente del Consiglio e il segretario del Pd se ne erano dette di tutti i colori: il Professore era arrivato a ribattezzare all’indietro il Pd fino al 1921, data della scissione di Livorno e della fondazione del Partito comunista d’Italia («Forse s’è confuso con la sua data di nascita», gli aveva replicato Matteo Renzi con una delle sue battute fulminanti). E Bersani non si dava pace, visto che in oltre un anno di leale collaborazione al governo, il premier non aveva mai trovato tanti difetti al suo partito.
In sole 48 ore invece l’alleanza è rinata. Il leader del Pd ha detto e ripetuto nelle piazze e in tv che anche se dovesse raggiungere il 51 per cento si comporterebbe egualmente come se fosse al 49, cercando la collaborazione dei centristi come è nei suoi programmi da tempo.
Il Professore si è spinto più in là: oltre a confermare la prospettiva di un’intesa con Bersani, ha adombrato l’eventualità che si possa costruire una larga coalizione meno provvisoria e fragile di quella che ha sostenuto il suo primo governo e in grado di realizzare le riforme di cui il Paese ha bisogno per uscire dalla crisi.
Se solo si riflette sul fatto che Monti era entrato nella campagna elettorale con l’ambizione di scomporre le due coalizioni avversarie, emarginando le parti più conservatrici per far prevalere quelle più riformiste, la svolta è notevole. Il presidente del Consiglio, che si candida a succedere a se stesso, prende atto che solo in accordo con i partiti suoi avversari sarà possibile delineare un programma comune di iniziative che aiuti l’Italia a fare quel che l’Europa le chiede: più competitività sui mercati, più flessibilità sul lavoro, veri tagli alla spesa pubblica, e sul piano istituzionale la revisione della Costituzione, il rafforzamento del governo e lo snellimento del Parlamento, promesse tante volte e sempre rinviate.
Quella di Monti è naturalmente una sfida, più che una proposta: occorrerà vedere come reagirà Bersani, dopo le sue recenti aperture, all’ipotesi che non un centrosinistra più ampio, ma una larga coalizione, sia necessaria per la prossima legislatura. E soprattutto bisognerà vedere quali saranno gli effetti di un’iniziativa del genere all’interno del Pdl. Nel centrodestra, infatti, quando ancora sembrava che Berlusconi fosse orientato a farsi da parte, Alfano e gran parte della nuova generazione spingevano a favore di un rapporto più stretto con il premier, candidato ideale, dal loro punto di vista, a guidare lo schieramento moderato. Poi il ritorno in scena di Berlusconi ha mandato tutto per aria: e dopo le sparate degli ultimi giorni, e una campagna tutta giocata contro i «disastri» provocati da Monti, non si capisce come il Cavaliere possa tornare sui suoi passi.
In ogni caso siamo solo all’inizio di un processo che, se davvero si svilupperà, lo farà dopo il voto e con i risultati alla mano. Sarebbe stato meglio, certo, molto meglio, che pur riservandosi uno spazio di manovra e di propaganda in una campagna elettorale in cui è normale che ognuno punti a prendere un voto in più, i partiti che pur tra molte difficoltà avevano condiviso l’esperienza del governo dell’ultimo anno avessero concordato un perimetro protetto, entro il quale salvare ciò che di buono era stato realizzato, e tutto quel che restava da fare. Un tentativo impossibile, sapendo come vanno le cose in Italia, quando arriva il momento delle elezioni. Ma a maggior ragione ci si poteva almeno provare.
Invece è andata com’è andata: il ritiro in extremis dell’appoggio a Monti da parte del Pdl ha provocato la caduta del governo e le elezioni anticipate. La crisi ha preoccupato gli osservatori internazionali, in specie gli europei che consideravano l’Italia un paese in convalescenza. Questi timori si sono ribaltati su Monti, spingendolo a «salire» in politica. La nascita del suo partito ha irritato Bersani e ne è derivata la guerra che i due si sono fatti fin qui.
Adesso, è inutile nasconderlo, non sarà facile rimettere insieme i cocci. Mentre è abbastanza chiara la ragione del pentimento e del tentativo di ricostruire l’unica, forse, soluzione che consentirebbe all’Italia di risolvere i suoi problemi. Al momento attuale nessuno pensa di vincere. Né Bersani, che ha visto assottigliarsi il suo vantaggio, né Berlusconi, in rimonta, sì, ma fino a un certo punto. E neppure Monti, che stando agli ultimi sondaggi rischia perfino di arrivare quarto, dopo Grillo. All’improvviso è diventato più forte l’incubo di un risultato «alla greca», in cui una vera maggioranza non si trova. Così la paura fa novanta, e tutti cercano di ritrovare le amicizie perdute. Che questo sia il modo migliore di arrivare a una larga coalizione è tutto da vedere.
EDITORIALI
06/02/2013
L’incubo di un risultato“alla greca”
MARCELLO SORGI
La svolta che nel giro di due giorni ha riportato l’armonia tra Monti e Bersani, dopo settimane di scontri quotidiani, ha colpito un po’ tutti.
In effetti il presidente del Consiglio e il segretario del Pd se ne erano dette di tutti i colori: il Professore era arrivato a ribattezzare all’indietro il Pd fino al 1921, data della scissione di Livorno e della fondazione del Partito comunista d’Italia («Forse s’è confuso con la sua data di nascita», gli aveva replicato Matteo Renzi con una delle sue battute fulminanti). E Bersani non si dava pace, visto che in oltre un anno di leale collaborazione al governo, il premier non aveva mai trovato tanti difetti al suo partito.
In sole 48 ore invece l’alleanza è rinata. Il leader del Pd ha detto e ripetuto nelle piazze e in tv che anche se dovesse raggiungere il 51 per cento si comporterebbe egualmente come se fosse al 49, cercando la collaborazione dei centristi come è nei suoi programmi da tempo.
Il Professore si è spinto più in là: oltre a confermare la prospettiva di un’intesa con Bersani, ha adombrato l’eventualità che si possa costruire una larga coalizione meno provvisoria e fragile di quella che ha sostenuto il suo primo governo e in grado di realizzare le riforme di cui il Paese ha bisogno per uscire dalla crisi.
Se solo si riflette sul fatto che Monti era entrato nella campagna elettorale con l’ambizione di scomporre le due coalizioni avversarie, emarginando le parti più conservatrici per far prevalere quelle più riformiste, la svolta è notevole. Il presidente del Consiglio, che si candida a succedere a se stesso, prende atto che solo in accordo con i partiti suoi avversari sarà possibile delineare un programma comune di iniziative che aiuti l’Italia a fare quel che l’Europa le chiede: più competitività sui mercati, più flessibilità sul lavoro, veri tagli alla spesa pubblica, e sul piano istituzionale la revisione della Costituzione, il rafforzamento del governo e lo snellimento del Parlamento, promesse tante volte e sempre rinviate.
Quella di Monti è naturalmente una sfida, più che una proposta: occorrerà vedere come reagirà Bersani, dopo le sue recenti aperture, all’ipotesi che non un centrosinistra più ampio, ma una larga coalizione, sia necessaria per la prossima legislatura. E soprattutto bisognerà vedere quali saranno gli effetti di un’iniziativa del genere all’interno del Pdl. Nel centrodestra, infatti, quando ancora sembrava che Berlusconi fosse orientato a farsi da parte, Alfano e gran parte della nuova generazione spingevano a favore di un rapporto più stretto con il premier, candidato ideale, dal loro punto di vista, a guidare lo schieramento moderato. Poi il ritorno in scena di Berlusconi ha mandato tutto per aria: e dopo le sparate degli ultimi giorni, e una campagna tutta giocata contro i «disastri» provocati da Monti, non si capisce come il Cavaliere possa tornare sui suoi passi.
In ogni caso siamo solo all’inizio di un processo che, se davvero si svilupperà, lo farà dopo il voto e con i risultati alla mano. Sarebbe stato meglio, certo, molto meglio, che pur riservandosi uno spazio di manovra e di propaganda in una campagna elettorale in cui è normale che ognuno punti a prendere un voto in più, i partiti che pur tra molte difficoltà avevano condiviso l’esperienza del governo dell’ultimo anno avessero concordato un perimetro protetto, entro il quale salvare ciò che di buono era stato realizzato, e tutto quel che restava da fare. Un tentativo impossibile, sapendo come vanno le cose in Italia, quando arriva il momento delle elezioni. Ma a maggior ragione ci si poteva almeno provare.
Invece è andata com’è andata: il ritiro in extremis dell’appoggio a Monti da parte del Pdl ha provocato la caduta del governo e le elezioni anticipate. La crisi ha preoccupato gli osservatori internazionali, in specie gli europei che consideravano l’Italia un paese in convalescenza. Questi timori si sono ribaltati su Monti, spingendolo a «salire» in politica. La nascita del suo partito ha irritato Bersani e ne è derivata la guerra che i due si sono fatti fin qui.
Adesso, è inutile nasconderlo, non sarà facile rimettere insieme i cocci. Mentre è abbastanza chiara la ragione del pentimento e del tentativo di ricostruire l’unica, forse, soluzione che consentirebbe all’Italia di risolvere i suoi problemi. Al momento attuale nessuno pensa di vincere. Né Bersani, che ha visto assottigliarsi il suo vantaggio, né Berlusconi, in rimonta, sì, ma fino a un certo punto. E neppure Monti, che stando agli ultimi sondaggi rischia perfino di arrivare quarto, dopo Grillo. All’improvviso è diventato più forte l’incubo di un risultato «alla greca», in cui una vera maggioranza non si trova. Così la paura fa novanta, e tutti cercano di ritrovare le amicizie perdute. Che questo sia il modo migliore di arrivare a una larga coalizione è tutto da vedere.