Re: Come se ne viene fuori ?
Inviato: 03/01/2014, 23:25
Sfascisti - 184
2014 a schede
Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese
5 -2 – 3 Gennaio 2014
Il gennaio 2014 è arrivato e la guerra entra in una fase di guerra guerreggiata aperta.
Dopo mille e mille promesse roboanti negli ultimi tre anni che hanno consentito a Matteo Il Conquistatore, di prendere il possesso temporaneo della segreteria del Pd, inizia la partita per arrivare a Palazzo Chigi, unica e vera meta del sindaco di Firenze.
Gli appassionati di guerre per la conquista del potere sono serviti. Possono assistere d’ora in poi agli scontri incrociati per far fuori il governo Letta ed andare ad elezioni abbinando le politiche con le europee.
Il Paese da cinque anni è preda di una follia distruttrice. Prima Berlusconi che fa fuori il governo Prodi per poter varare il lodo Alfano e salvarsi dal processo Mills. Poi inizia la crisi internazionale che la coppia Tremonti – Berlusconi non è in grado di affrontare tecnicamente.
A novembre 2011 il governo Berlusconi è costretto a dimettersi. Napolitano crede di salvare la situazione offrendo l’incarico a Monti che viene osannato dal 71 % degli italiani come il salvatore della Patria. Un anno dopo il disastro è così evidente che Monti sparirà nel nulla. A seguito della mancata vittoria di Bersani, dopo la tragicommedia della rielezione di Re Giorgio II, l’incarico viene dato a Lettanipote che si dimostra in questi otto mesi un campione assoluto dell’immobilismo.
Renzi vince le primarie del Pd ma il suo obiettivo primario riguarda sempre la poltrona di Palazzo Chigi.
In questi cinque anni il Paese va allo sfascio completo, che non è solo economico, ma anche etico, morale e valoriale.
Cacciato l’incompetente Berlusconi, il problema prioritario e quello economico. Ma né Monti né Letta hanno la consapevolezza di cosa fare per tamponare, stabilizzare la situazione e far ripartire l’economia come avviene in tutti gli altri Paesi occidentali in queste settimane.
La sinistra ex Ds che è rimasta nel Pd, punta tutto su Renzi per il cambiamento. La malattia del momento si chiama “giovanilismo”. Non ha importanza se non hanno esperienza, per la stragrande maggioranza ex Pci ex Ds, crede che cacciando i vecchi e mettendo i giovani si risolvano i problemi del Paese.
Non è così, perché si tratta solo di una guerra di potere in perfetto stile democristiano della prima Repubblica.
Il Centro studi di Confindustria alcuni giorni fa, comunica che gli effetti della crisi sul sistema produttivo italiano negli ultimi cinque anni è paragonabile ad una guerra.
In questa esperienza ci siamo già passati 69 anni fa. Alcide De Gasperi nel 1947 vola negli usa per chiedere un aiuto finanziario per la ricostruzione. Nel 1948 gli Usa varano per l’Europa il Piano Marshall.
Avrebbe dovuto farla Monti l’azione di mettere in piedi la possibilità di usufruire di un nuovo Piano Marshall. Se non ci è arrivato lui, non poteva di certo arrivarci Lettanipote, più predisposto alla imbalsamazione dell’esistente.
In questi giorni è prevista la comunicazione ufficiale del Job act di Matteo Il Conquistatore , Ghe pensi mi 2.0. Staremo a vedere se contiene qualcosa di simile ad un nuovo Piano Marshall.
Dalle anticipazioni alla stampa si va in direzione contraria.
Quello della ripresa economica dovrebbe essere un atto unico da parte di chi ha promesso di cambiare l’Italia.
Invece ci ritroviamo con la riproposizione delle unioni gay.
In questo momento, l’ultima cosa da pensare è proprio l’unione gay.
Perché allora sono state messe sul tavolo proprio in una fase altamente drammatica per l’Italia?
La risposta ce l’ha immediatamente fornita Alfano. Niente unioni gay.
La riproposizione è evidente, serve per costringere Alfano e l’Ncd ad abbandonare il governo ed aprire la crisi.
Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane assisteremo ad una guerra di logoramento di questo genere.
Unioni gay: l’assurdo no dei cattolici
di Matteo Winkler | 3 gennaio 2014
Commenti (14)
Il nuovo anno si apre con nuove speranze e vecchie polemiche.
L’accelerazione di Matteo Renzi su una regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, se di accelerazione si può parlare per indicare qualcosa che aspettiamo da almeno 20 anni, ha infatti scatenato le solite reazioni negative del Nuovo Centro Destra di Alfano, Formigoni & Co. “Prima viene la famiglia“, dice Alfano. “Su gay e immigrati non si discute” altrimenti sarà la crisi, rincara Formigoni.
Nessuna persona di buon senso poteva né può nutrire la sana speranza che questi politici cattolici, sedicenti o effettivamente tali, da sempre chiusi ermeticamente dietro la cerniera dei “valori non negoziabili” o dei “temi eticamente sensibili“, dicessero qualcosa di diverso sulla questione delle convivenze tra persone dello stesso sesso.
Ma non riesco a non concordare con quanto scrive Stefano Rodotà in un suo libro di qualche anno fa, che guardare al mondo cattolico nel suo complesso, quindi anche a quella sua parte più invisa alla politica e alle gerarchie ecclesiastiche, sia “un modo per sottrarsi alla regressione sociale“. Regressione nella quale continuiamo a trovarci, in netto svantaggio rispetto alle altre democrazie mature, perché la nostra classe politica continua ad essere distaccata dalla realtà, cieca e sorda alle legittime richieste di uguaglianza provenienti dalla comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale italiana, e perché essa continua a preferire il compromesso per conservare o accumulare il potere sulla pelle di una minoranza.
Ci sono gruppi cattolici, anche espressi in associazioni che operano sul territorio, che hanno giustamente superato la concezione dell’omosessualità come contraria al disegno divino e quindi come peccato dal quale l’individuo può e anzi deve redimersi solo attraverso la castità. Non è bollando una relazione affettiva come “immorale” che si offre la soluzione della questione delle unioni omosessuali, che non è affatto etica ma deve essere politica.
E infatti l’etica, tanto sbandierata da esponenti politici che non hanno nessun titolo per farsene portavoci, non ha certamente la funzione di mutare la condizione personale di gay e lesbiche, condannandoli senza appello a un’esistenza grama e silenziosa, ma piuttosto di svelare – sono ancora parole di Rodotà – come quella relazione affettiva possa essere valorizzata dal punto di vista del benessere collettivo.
E’ dunque più corretto quindi esporre il problema delle unioni gay nei termini che seguono.
Primo. Il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso non lede in alcun modo la famiglia “tradizionale“, ma offre anzi prospettive di futuro per giovani gay e lesbiche che si scoprono edomandano alla politica che ne sarà di loro, nell’aspettativa che quest’ultima dia risposte in termini di accoglienza, e non di violenza o discriminazione.
Secondo. Non esiste alcun limite costituzionale a questo riconoscimento, perché la Costituzione promuove la famiglia come realtà sociale, non certo come nucleo inevitabilmente discriminante, che include alcuni ed esclude altri in virtù di una caratteristica personale (l’orientamento omosessuale) che non ha niente che fare con il contributo di ciascuno al progresso della famiglia stessa e della società in generale.
Terzo. Chiunque abbia fatto un minimo di catechismo da bambino sa che esistono nella Sacra Bibbiaprecetti sui quali persino la Chiesa Cattolica Apostolica Romana non esprime più un giudizio negativo. E sa anche che quanto scritto nella Bibbia sui rapporti tra persone dello stesso sesso (“non giacerai…” e via dicendo), più che favorire l’inclusione o la non-discriminazione, alimenta direttamente l’ostilità, la segregazione e la violenza nei confronti delle persone omosessuali a prescindere dalla loro condotta, e dunque unicamente per quello che sono. Non a caso proprio quei versi della Bibbia vengono oggi sfruttati da gruppi religiosi in Africa per proporre e approvare, com’è avvenuto in Uganda e Nigeria, leggi che puniscono i rapporti omosessuali con l’ergastolo, e ciò solo perché la pena di morte ha ricevuto critiche severe dal mondo diplomatico ed è stata quindi cancellata.
Un cattolico maturo dovrebbe domandarsi se il disegno di Dio contempli un premio finale per l’ostilità, l’odio e la segregazione, o se piuttosto non sia dovere morale di ogni cristiano smetterla di usare la religione come mezzo di coercizione politica nei confronti dell’”altro” e del “diverso”.
Da quale parte i cattolici vogliono stare? La nostra classe politica è davvero più simile ai gruppi che fanno dell’omofobia fanatica e ossessiva la loro ragione di vita, e non piuttosto a chi si adopera per rendere l’Italia non migliore, ma decente dal punto di vista dei diritti individuali?
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Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese
5 -1 - 26 dicembre 2013
IL CENTRO STUDI DELL’ASSOCIAZIONE «QUASI QUARANTA MILA PARTECIPAZIONI»
Confindustria: stop al «capitalismo pubblico»
Costa alla collettività l’1,4% del Pil: 23 miliardi
L’associazione degli industriali: proliferazione di enti improduttivi, il Paese non può permettersi sprechi
Il «capitalismo pubblico» costa quasi 23 miliardi allo Stato, circa l’1,4% del Pil, un «peso che l’Italia non può piu permettersi». Lo rileva il centro studi di Confindustria, secondo cui sono circa 40 mila le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in quasi 8 mila organismi esterni. «Gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica - sostiene Confindustria - in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro». Secondo l’associazione degli industriali «sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale.
ONERI ASTRONOMICI - Il Centro studi di Confindustria cita la banca dati Consoc, istituita presso il Ministero per la Pubblica Amministrazione, e rileva che «nel 2012, erano 39.997 le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in 7.712 organismi esterni. L’onere complessivo sostenuto dalle Pubbliche amministrazioni per il mantenimento di questi organismi è stato pari complessivamente a 22,7 miliardi, circa l’1,4% del Pil.
Si tratta di cifre consistenti che meritano attenzione.
PATTO (INFRANTO) DI STABILITÀ- Infatti, gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica, in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro». «Naturalmente non tutti gli organismi rispondono a queste logiche - aggiunge il rapporto di viale dell’Astronomia - di certo, però, il modo e l’intensità con cui il fenomeno si è sviluppato confermano l’anomalia». (
UN TERZO IN ROSSO - Secondo l’associazione, «In generale, sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale». Quanto alla produttività di questi enti, il centro studi di Confindustria incrocia una serie di dati e rileva che «oltre la metà degli organismi non sembra svolgere attività di interesse generale, pur assorbendo nel 2012 il 50% degli oneri sostenuti per le partecipate: circa 11 miliardi di euro.
Più in generale, considerando anche gli organismi che producono servizi di interesse generale, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012, e ciò ha comportato per la Pubblica amministrazione un onere stimabile in circa 4 miliardi». «Il 7% degli organismi partecipati ha registrato perdite negli ultimi tre anni consecutivamente con un onere a carico del bilancio pubblico che è stato pari a circa 1,8 miliardi. Sono numeri straordinari che il Paese non può permettersi».
26 dicembre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Redazione Online
http://www.corriere.it/economia/13_dice ... ab1b.shtml
2014 a schede
Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese
5 -2 – 3 Gennaio 2014
Il gennaio 2014 è arrivato e la guerra entra in una fase di guerra guerreggiata aperta.
Dopo mille e mille promesse roboanti negli ultimi tre anni che hanno consentito a Matteo Il Conquistatore, di prendere il possesso temporaneo della segreteria del Pd, inizia la partita per arrivare a Palazzo Chigi, unica e vera meta del sindaco di Firenze.
Gli appassionati di guerre per la conquista del potere sono serviti. Possono assistere d’ora in poi agli scontri incrociati per far fuori il governo Letta ed andare ad elezioni abbinando le politiche con le europee.
Il Paese da cinque anni è preda di una follia distruttrice. Prima Berlusconi che fa fuori il governo Prodi per poter varare il lodo Alfano e salvarsi dal processo Mills. Poi inizia la crisi internazionale che la coppia Tremonti – Berlusconi non è in grado di affrontare tecnicamente.
A novembre 2011 il governo Berlusconi è costretto a dimettersi. Napolitano crede di salvare la situazione offrendo l’incarico a Monti che viene osannato dal 71 % degli italiani come il salvatore della Patria. Un anno dopo il disastro è così evidente che Monti sparirà nel nulla. A seguito della mancata vittoria di Bersani, dopo la tragicommedia della rielezione di Re Giorgio II, l’incarico viene dato a Lettanipote che si dimostra in questi otto mesi un campione assoluto dell’immobilismo.
Renzi vince le primarie del Pd ma il suo obiettivo primario riguarda sempre la poltrona di Palazzo Chigi.
In questi cinque anni il Paese va allo sfascio completo, che non è solo economico, ma anche etico, morale e valoriale.
Cacciato l’incompetente Berlusconi, il problema prioritario e quello economico. Ma né Monti né Letta hanno la consapevolezza di cosa fare per tamponare, stabilizzare la situazione e far ripartire l’economia come avviene in tutti gli altri Paesi occidentali in queste settimane.
La sinistra ex Ds che è rimasta nel Pd, punta tutto su Renzi per il cambiamento. La malattia del momento si chiama “giovanilismo”. Non ha importanza se non hanno esperienza, per la stragrande maggioranza ex Pci ex Ds, crede che cacciando i vecchi e mettendo i giovani si risolvano i problemi del Paese.
Non è così, perché si tratta solo di una guerra di potere in perfetto stile democristiano della prima Repubblica.
Il Centro studi di Confindustria alcuni giorni fa, comunica che gli effetti della crisi sul sistema produttivo italiano negli ultimi cinque anni è paragonabile ad una guerra.
In questa esperienza ci siamo già passati 69 anni fa. Alcide De Gasperi nel 1947 vola negli usa per chiedere un aiuto finanziario per la ricostruzione. Nel 1948 gli Usa varano per l’Europa il Piano Marshall.
Avrebbe dovuto farla Monti l’azione di mettere in piedi la possibilità di usufruire di un nuovo Piano Marshall. Se non ci è arrivato lui, non poteva di certo arrivarci Lettanipote, più predisposto alla imbalsamazione dell’esistente.
In questi giorni è prevista la comunicazione ufficiale del Job act di Matteo Il Conquistatore , Ghe pensi mi 2.0. Staremo a vedere se contiene qualcosa di simile ad un nuovo Piano Marshall.
Dalle anticipazioni alla stampa si va in direzione contraria.
Quello della ripresa economica dovrebbe essere un atto unico da parte di chi ha promesso di cambiare l’Italia.
Invece ci ritroviamo con la riproposizione delle unioni gay.
In questo momento, l’ultima cosa da pensare è proprio l’unione gay.
Perché allora sono state messe sul tavolo proprio in una fase altamente drammatica per l’Italia?
La risposta ce l’ha immediatamente fornita Alfano. Niente unioni gay.
La riproposizione è evidente, serve per costringere Alfano e l’Ncd ad abbandonare il governo ed aprire la crisi.
Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane assisteremo ad una guerra di logoramento di questo genere.
Unioni gay: l’assurdo no dei cattolici
di Matteo Winkler | 3 gennaio 2014
Commenti (14)
Il nuovo anno si apre con nuove speranze e vecchie polemiche.
L’accelerazione di Matteo Renzi su una regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, se di accelerazione si può parlare per indicare qualcosa che aspettiamo da almeno 20 anni, ha infatti scatenato le solite reazioni negative del Nuovo Centro Destra di Alfano, Formigoni & Co. “Prima viene la famiglia“, dice Alfano. “Su gay e immigrati non si discute” altrimenti sarà la crisi, rincara Formigoni.
Nessuna persona di buon senso poteva né può nutrire la sana speranza che questi politici cattolici, sedicenti o effettivamente tali, da sempre chiusi ermeticamente dietro la cerniera dei “valori non negoziabili” o dei “temi eticamente sensibili“, dicessero qualcosa di diverso sulla questione delle convivenze tra persone dello stesso sesso.
Ma non riesco a non concordare con quanto scrive Stefano Rodotà in un suo libro di qualche anno fa, che guardare al mondo cattolico nel suo complesso, quindi anche a quella sua parte più invisa alla politica e alle gerarchie ecclesiastiche, sia “un modo per sottrarsi alla regressione sociale“. Regressione nella quale continuiamo a trovarci, in netto svantaggio rispetto alle altre democrazie mature, perché la nostra classe politica continua ad essere distaccata dalla realtà, cieca e sorda alle legittime richieste di uguaglianza provenienti dalla comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale italiana, e perché essa continua a preferire il compromesso per conservare o accumulare il potere sulla pelle di una minoranza.
Ci sono gruppi cattolici, anche espressi in associazioni che operano sul territorio, che hanno giustamente superato la concezione dell’omosessualità come contraria al disegno divino e quindi come peccato dal quale l’individuo può e anzi deve redimersi solo attraverso la castità. Non è bollando una relazione affettiva come “immorale” che si offre la soluzione della questione delle unioni omosessuali, che non è affatto etica ma deve essere politica.
E infatti l’etica, tanto sbandierata da esponenti politici che non hanno nessun titolo per farsene portavoci, non ha certamente la funzione di mutare la condizione personale di gay e lesbiche, condannandoli senza appello a un’esistenza grama e silenziosa, ma piuttosto di svelare – sono ancora parole di Rodotà – come quella relazione affettiva possa essere valorizzata dal punto di vista del benessere collettivo.
E’ dunque più corretto quindi esporre il problema delle unioni gay nei termini che seguono.
Primo. Il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso non lede in alcun modo la famiglia “tradizionale“, ma offre anzi prospettive di futuro per giovani gay e lesbiche che si scoprono edomandano alla politica che ne sarà di loro, nell’aspettativa che quest’ultima dia risposte in termini di accoglienza, e non di violenza o discriminazione.
Secondo. Non esiste alcun limite costituzionale a questo riconoscimento, perché la Costituzione promuove la famiglia come realtà sociale, non certo come nucleo inevitabilmente discriminante, che include alcuni ed esclude altri in virtù di una caratteristica personale (l’orientamento omosessuale) che non ha niente che fare con il contributo di ciascuno al progresso della famiglia stessa e della società in generale.
Terzo. Chiunque abbia fatto un minimo di catechismo da bambino sa che esistono nella Sacra Bibbiaprecetti sui quali persino la Chiesa Cattolica Apostolica Romana non esprime più un giudizio negativo. E sa anche che quanto scritto nella Bibbia sui rapporti tra persone dello stesso sesso (“non giacerai…” e via dicendo), più che favorire l’inclusione o la non-discriminazione, alimenta direttamente l’ostilità, la segregazione e la violenza nei confronti delle persone omosessuali a prescindere dalla loro condotta, e dunque unicamente per quello che sono. Non a caso proprio quei versi della Bibbia vengono oggi sfruttati da gruppi religiosi in Africa per proporre e approvare, com’è avvenuto in Uganda e Nigeria, leggi che puniscono i rapporti omosessuali con l’ergastolo, e ciò solo perché la pena di morte ha ricevuto critiche severe dal mondo diplomatico ed è stata quindi cancellata.
Un cattolico maturo dovrebbe domandarsi se il disegno di Dio contempli un premio finale per l’ostilità, l’odio e la segregazione, o se piuttosto non sia dovere morale di ogni cristiano smetterla di usare la religione come mezzo di coercizione politica nei confronti dell’”altro” e del “diverso”.
Da quale parte i cattolici vogliono stare? La nostra classe politica è davvero più simile ai gruppi che fanno dell’omofobia fanatica e ossessiva la loro ragione di vita, e non piuttosto a chi si adopera per rendere l’Italia non migliore, ma decente dal punto di vista dei diritti individuali?
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Scheda – 5 – I conflitti interni al Bel Paese
5 -1 - 26 dicembre 2013
IL CENTRO STUDI DELL’ASSOCIAZIONE «QUASI QUARANTA MILA PARTECIPAZIONI»
Confindustria: stop al «capitalismo pubblico»
Costa alla collettività l’1,4% del Pil: 23 miliardi
L’associazione degli industriali: proliferazione di enti improduttivi, il Paese non può permettersi sprechi
Il «capitalismo pubblico» costa quasi 23 miliardi allo Stato, circa l’1,4% del Pil, un «peso che l’Italia non può piu permettersi». Lo rileva il centro studi di Confindustria, secondo cui sono circa 40 mila le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in quasi 8 mila organismi esterni. «Gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica - sostiene Confindustria - in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro». Secondo l’associazione degli industriali «sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale.
ONERI ASTRONOMICI - Il Centro studi di Confindustria cita la banca dati Consoc, istituita presso il Ministero per la Pubblica Amministrazione, e rileva che «nel 2012, erano 39.997 le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in 7.712 organismi esterni. L’onere complessivo sostenuto dalle Pubbliche amministrazioni per il mantenimento di questi organismi è stato pari complessivamente a 22,7 miliardi, circa l’1,4% del Pil.
Si tratta di cifre consistenti che meritano attenzione.
PATTO (INFRANTO) DI STABILITÀ- Infatti, gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza pubblica, in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro». «Naturalmente non tutti gli organismi rispondono a queste logiche - aggiunge il rapporto di viale dell’Astronomia - di certo, però, il modo e l’intensità con cui il fenomeno si è sviluppato confermano l’anomalia». (
UN TERZO IN ROSSO - Secondo l’associazione, «In generale, sarebbe prioritario dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse generale». Quanto alla produttività di questi enti, il centro studi di Confindustria incrocia una serie di dati e rileva che «oltre la metà degli organismi non sembra svolgere attività di interesse generale, pur assorbendo nel 2012 il 50% degli oneri sostenuti per le partecipate: circa 11 miliardi di euro.
Più in generale, considerando anche gli organismi che producono servizi di interesse generale, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012, e ciò ha comportato per la Pubblica amministrazione un onere stimabile in circa 4 miliardi». «Il 7% degli organismi partecipati ha registrato perdite negli ultimi tre anni consecutivamente con un onere a carico del bilancio pubblico che è stato pari a circa 1,8 miliardi. Sono numeri straordinari che il Paese non può permettersi».
26 dicembre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Redazione Online
http://www.corriere.it/economia/13_dice ... ab1b.shtml