La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Il Sole 1.12.15
I C-17 del Qatar, le coperture di Ankara l’«agente di viaggio» della Cia e le armi destinate ai ribelli in Siria
di Claudio Gatti
Nella lotta all’Isis tutto sembra chiaro: da una parte la civiltà moderna, dall’altra il terrore oscurantista. Nessuna via di mezzo. Ma è veramente così? Per esempio ci si può fidare fino in fondo delle intenzioni di Turchia e Qatar? E non è che gli stessi Stati Uniti abbiano in qualche modo concorso ad armare formazioni terroristiche in Siria?
Per ora nessuno si azzarda a fare queste domande ad alta voce. Ma i dubbi circolano. E per buone ragioni. Da un’inchiesta del Sole 24 Ore risulta infatti evidente che Turchia e Qatar non solo hanno interessi in contrasto con chi vuole sconfiggere il terrorismo islamista, ma hanno probabilmente armato formazioni estremiste associate a quel terrorismo. Sono inoltre emersi indizi che portano a pensare che anche gli Stati Uniti possano aver agevolato spedizioni di armi a militanti islamisti in Siria, la terra del Califfato.
Da anni Washington teme che Ankara e Doha diano armi a formazioni islamiste sia in Libia sia in Siria. Ma a far pensare che gli stessi Stati Uniti li abbiano aiutati a farlo è una serie di voli di aerei da trasporto militare denunciata dal New York Times e oggetto di un’inchiesta dell’Onu.
Il sospetto che quegli aerei trasportassero armi non è finora stato suffragato da prove concrete, ma alcuni dati sono stati accertati. Si sa per esempio che i C-17 utilizzati per la spedizione erano qatarini, che i destinatari dei carichi trasportati erano turchi e che a fornire pianificazione e logistica per quei voli sono stati degli americani. Ma non americani qualsiasi, bensì funzionari di una società che tempo fa è stata chiamata dai media statunitensi «l’agente di viaggio della Cia». La qual cosa porta ovviamente a dedurre che il carico di quegli aerei non consistesse in beni umanitari.
Per capire la fondatezza di questo scenario occorre conoscere meglio il ruolo, o i ruoli giocati da Ankara e Doha.
Formalmente Turchia e Qatar stanno dalla parte nostra. La prima è uno storico partner commerciale, il secondo investe da tempo un fiume di petrodollari negli Usa e in Europa, Italia inclusa. Ed entrambi continuano a consentire quello che nessun altro Paese musulmano consente: l’uso del proprio territorio alle forze armate occidentali. Della Nato per quel che riguarda la Turchia, degli Stati Uniti e Gran Bretagna per il Qatar.
Nella lotta al terrorismo Turchia e Qatar non sono però semplicemente negligenti. Hanno interessi opposti a quelli del mondo occidentale. E lo stanno dimostrando concretamente in tre dei grandi punti caldi del momento: Israele-Gaza-West Bank, Libia e Siria. Il tutto sotto gli occhi preoccupati ma anche accondiscendenti dell’intelligence americana. E qui è inquietante il parallelo con al Qaeda, l’organizzazione creata da alcuni dei militanti islamici che Washington aveva aiutato nel combattere l’invasore sovietico in Afghanistan negli anni ’80.
Nel 2009, in un messaggio classificato “segreto” ma reso pubblico da Wikileaks, il dipartimento di Stato definiva il grado di collaborazione del Qatar nell’anti-terrorismo «il più basso della regione». Nell’ottobre dell’anno scorso, l’allora sottosegretario al Tesoro Usa David Cohen ha chiamato il Qatar «permissivo» in materia di finanziamento al terrorismo.
Nell’elenco dei «agevolatori finanziari del terrorismo» redatto dal dipartimento del Tesoro si trovano ben 16 qatarini, e cinque cittadini di altri Paesi arabi che operano in Qatar. Tra questi ultimi spicca il tunisino Tariq Al-Awni Al-Harzi, che il Tesoro americano definisce «un funzionario di alto livello di Isis (…) responsabile del reclutamento di cittadini nordafricani ed europei (…) il quale, nel settembre del 2013, ha fatto in modo che lo Stato islamico ricevesse due milioni di dollari da un finanziatore di base in Qatar con istruzioni specifiche di usare quella somma in operazioni militari».
E poi c’è Hamas, la formazione palestinese che Usa e Unione europea hanno incluso nell’elenco dei gruppi terroristici. Nel 1999, quando il vertice di Hamas fu espulso da Amman su ordine del re giordano, il suo leader supremo, Khaled Meshaal, salì a bordo di un jet dell’Aeronautica militare del Qatar diretto a Doha, dove ha risieduto fino al 2001, quando si è trasferito a Damasco. Nel 2012, subito prima che Hamas decidesse di schierarsi con i ribelli sunniti insorti contro Assad, Meshaal è tornato a Doha. E nel 2013, quando Hamas ha deciso di riaprire un quartier generale distaccato all’estero, lo ha fatto a Istanbul, dove è stato accolto a braccia aperte dal vertice dell’Akp, l’attuale partito governativo del presidente Recep Tayyip Erdogan.
A dirigere la sede di Istanbul è Saleh al-Aruri, uno dei fondatori dell’ala militare dell’organizzazione palestinese. Secondo i servizi di sicurezza israeliani, da Istanbul, al-Aruri avrebbe coordinato il rapimento e l’omicidio di tre giovani ebrei, pianificato la defenestrazione del presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e organizzato un piano terroristico che prevedeva un attacco allo stadio di Gerusalemme.
Veniamo a un altro punto caldo del momento, la Libia. Nel rapporto consegnato nel marzo del 2013 al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dal cosiddetto “Gruppo di esperti” si legge che il Qatar ha giocato «un ruolo fondamentale» nelle forniture di materiale bellico – armi e munizioni – alle forze ribelli libiche. E che nonostante le smentite delle autorità qatarine, «il Qatar ha violato l’embargo sui materiali militari».
La Turchia non sembra essere stata da meno, e secondo alcuni ha continuato ad armare le forze islamiste di Tripoli fino all’inizio di quest’anno. «La Turchia sta continuando a esportare armi in Libia», ha denunciato nel febbraio scorso Abdullah al-Thinni, allora primo ministro del Governo di Tobruk, quello riconosciuto a livello internazionale. Il mese prima era stato il presidente del Parlamento di Tobruk a sostenere che «la Turchia ancora supporta le milizie terroristiche in Libia».
Non è facile stabilire se dalla Turchia continuino ad arrivare armi in Libia in violazione dell’embargo previsto dalla Risoluzione 1970, approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu il 26 febbraio 2011. Ci sono però evidenze che siano state spedite tra il 2013 e la fine del 2014.
In un suo rapporto il Gruppo di esperti dell’Onu ha confermato che il 20 febbraio 2013 armi e munizioni sono state trovate dalla polizia doganale greca a bordo di una nave proveniente dalla Turchia, diretta in Libia e appartenente a un armatore siriano condannato per traffico d’armi.
Così come ha confermato che a bordo del mercantile Nour M, diretto a Tripoli e perquisito dai doganieri greci nel novembre del 2013, sono stati trovati 55 container con 1.103 tonnellate di munizioni dirette a Tripoli. Dalla documentazione sequestrata in quell’occasione è emerso che il cargo proveniva dalla Ukrinmash, società di armamenti ucraina e che a fare da broker era stata la Tss Silah, una società turca che in una nota interna resa pubblica da Wikileaks il Dipartimento di Stato definisce «broker di armi turco».
Il Gruppo di esperti ha inoltre riportato al Consiglio di Sicurezza di aver ricevuto informazioni riguardanti il trasporto di materiale militare su un Airbus A320 della linea aerea libica Afriqiyah che il 17 settembre 2014 è volato da Istanbul a Tripoli: «Il Gruppo ha intervistato un passeggero di quel volo che ha confermato di aver visto casse di materiale militare scaricate dall’aereo. Un tipico Airbus A320 può accomodare 150 passeggeri ma il testimone ha spiegato che solo 15 bagagli sono stati scaricati e quando i passeggeri si sono lamentati perché i loro bagagli erano stati lasciati a Istanbul, i miliziani hanno ordinato loro di lasciare l’aeroporto».
Ancora più recente la segnalazione riguardante un volo operato da un’altra linea aerea libica che il 13 novembre 2014 da Istanbul è arrivato a Misurata e che gli esperti sospettano abbia trasportato materiale militare.
In uno dei suoi rapporti il Gruppo di esperti dell’Onu ha insinuato che la Turchia ha doppiamente violato la Risoluzione 1970 del Consiglio di Sicurezza, la quale vieta sia l’importazione di armi in Libia sia l’esportazione dalla Libia. «A detta di fonti attendibili, dalla Libia sono state trasportate armi in Siria con voli decollati dall’aeroporto Mitiga di Tripoli o da quello di Benina a Bengasi e atterrati ad Ankara o Antakya e con navi approdate a Mersin e Iskenderun. Da lì il materiale sarebbe stato trasferito su camion che avrebbero attraversato la frontiera con la Siria a Reyhanli e Kilis. Membri dell’opposizione siriana e combattenti libici reduci della Siria ascoltati dal Gruppo hanno detto che a supervisionare il trasferimento e la consegna delle armi a elementi dell’opposizione siriana sono stati funzionari turchi».
Agli esperti dell’Onu il Governo di Ankara ha negato «di essere a conoscenza di trasferimenti di armi dalla Libia alla Turchia». Ma la vicenda del peschereccio libico al-Entisar smentisce la smentita. Nel settembre del 2012 il New York Times aveva riportato che quel peschereccio era salpato da Bengasi e aveva trasportato un carico di armi a Iskenderun, sulla costa meridionale turca, poco a nord del confine con la Siria. Il Gruppo ha chiesto dettagli alle autorità turche e si è sentito rispondere che «trattandosi di beni umanitari, non è stata condotta alcuna ispezione del carico». Ma pochi mesi dopo, il 21 aprile 2013, lo stesso peschereccio è arrivato nel porto di Istanbul con un carico diretto in Libia che di umanitario non aveva proprio nulla. Come si legge nel rapporto degli esperti Onu, il cosiddetto “manifesto di carico” includeva infatti «due maschere antigas, 199 pistole da 7,65 millimetri, 214 pistole da 9 millimetri, 1.000 fucili a pompa, 5.000 munizioni da 7,65 mm e 251mila cartucce per fucili».
Chi abbia orchestrato quella spedizione non è stato mai stabilito. Il sospetto è che sia stato il Mit, il servizio di intelligence di Ankara che secondo il quotidiano di opposizione Cumhuriyet sarebbe responsabile di un convoglio di camion casualmente intercettato dalla polizia al confine con la Siria nel gennaio del 2014 con un carico di casse piene di armi e munizioni. Per quello scoop, il 26 novembre scorso il direttore di Cumhuriyet Can Dundar e il capo della redazione di Ankara Erdem Gul sono stati arrestati su richiesta del Tribunale di Istanbul. A innescare la reazione giudiziaria era stato lo stesso presidente Erdogan, il quale ha prima promesso che i due avrebbero «pagato un duro prezzo» e poi presentato di persona una denuncia per tradimento e divulgazione di segreti di Stato. Se in quelle casse ci fossero stati beni umanitari, come Ankara ha sostenuto con poca convinzione, quelle accuse non si spiegherebbero. E adesso i due giornalisti non rischierebbero l’ergastolo.
Al di là dell’origine di quello specifico convoglio è certamente impensabile che la cosiddetta “autostrada della Jihad”, la rotta che il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi ha per anni usato per portare jihadisti stranieri e rifornimenti dalla Turchia in Siria, non fosse monitorata dalle forze di sicurezza di Ankara.
Come è difficile credere che tutte queste iniziative turco-qatarine in Libia e Siria siano passate inosservate agli americani. Al contrario, ci sono elementi tangibili che portano a sospettare che Washington le abbia assecondate.
Dopo aver scritto di una direttiva presidenziale segreta di Barack Obama che agli inizi del 2011 autorizzava la Cia ad armare i ribelli anti-Gheddafi, il New York Times ha rivelato che, «poche settimane dopo aver patrocinato l’invio di armi dal Qatar in Libia nella primavera del 2011, la Casa Bianca ha cominciato a ricevere informazioni che quelle armi stavano andando a militanti islamisti». Nello stesso articolo si diceva che in Siria le cose erano o meno andate nello stesso modo: «Quando il Qatar ha cominciato a inviare aiuti militari a gruppi dell’opposizione siriana, l’amministrazione Obama non ha fatto obiezioni. Ma adesso ci sono crescenti preoccupazioni che, come in Libia, i qatarini stiano equipaggiando i combattenti “sbagliati”».
Queste preoccupazioni non sembrano aver spinto gli americani ad attivarsi per contrastare i traffici di armi dalla Libia alla Siria. Semmai è vero il contrario. A farlo pensare è un episodio particolare in cui il possibile trasferimento di materiale militare ha una triplice impronta: qatarina, turca e americana. Ci riferiamo a una serie di voli di C-17, aerei da trasporto militare del Qatar denunciata il 21 marzo 2013 sempre dal New York Times.
I soliti esperti dell’Onu hanno indagato anche su questo. Dopo aver ottenuto i piani di volo dei C-17 volati dalla Libia in Qatar, gli esperti hanno appurato che Doha non era la loro destinazione finale. «I dati dei voli in questione indicano che in ogni singola occasione, dopo essere atterrati a Doha, i C-17 sono ripartiti per Ankara», si legge nel rapporto. Quest’ultima rotta è risultata in verità trafficatissima: «Tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2013, l’Aeronautica militare del Qatar ha operato 28 voli tra Doha e Ankara e uno tra Doha e Gaziantep, un aeroporto turco nei pressi del confine con la Siria», scrivono gli esperti.
Il Gruppo ha inoltre scoperto che ai voli da Tripoli e Bengasi a Doha era stato concesso uno speciale nullaosta diplomatico-militare, solitamente utilizzato per il trasporto di armi o equipaggiamento bellico. Poiché, come si legge nel rapporto, «per ottenere il numero di nullaosta diplomatico-militare il richiedente deve generalmente fornire dettagli precisi sulla natura dei voli e sul carico trasportato», gli esperti hanno chiesto chiarimenti e dettagli alle autorità di tre Paesi i cui spazi aerei erano lungo la rotta percorsa - Grecia, Egitto e Arabia Saudita - e alla società responsabile dei piani di volo.
Ma con scarsi risultati. «La Grecia ha risposto di non aver traccia di alcuna richiesta o concessione di nullaosta diplomatico-militare per quei voli, comunicando però che il 14 e 15 gennaio un aereo della Aeronautica militare qatarina è volato ai margini dello spazio aereo greco», si legge nel rapporto. «L’Egitto ha risposto che il Qatar ha richiesto un numero di nullaosta diplomatico-militare al fine di procedere alla rotazione del personale di guardia dell’ambasciata qatarina a Tripoli. L’Arabia Saudita non ha risposto».
Più reticente di tutti è risultata la società responsabile dei piani di volo. Gli esperti hanno chiesto i dettagli sui nullaosta diplomatici per i voli in questione, i manifesti di carico e l’elenco di tutti i voli operati dall’Aeronautica militare qatarina da e verso la Libia a partire dal luglio 2012. Ma non hanno ricevuto risposta su nulla. «La società ha detto di non aver partecipato alle procedure per l’ottenimento dei nullaosta e di non conoscere il carico di quei voli. Né ha fornito l’elenco dei voli richiesti dal Gruppo», hanno scritto gli esperti.
Che dei C-17 probabilmente carichi di armi potessero passare inosservati agli americani è di per sé improbabile. Ma a renderlo ancora più improbabile è la tappa intermedia fatta da quegli aerei da trasporto. La base di Al Udeid è infatti il cosiddetto “quartier generale avanzato” del comando mediorientale delle Forze armate americane, il Central Command, e oltre a ospitare il 379° Stormo dell’Usaf è sede anche dell’83° Stormo della Raf, l’Aeronautica britannica. Insomma, è una base anglo-americana quasi più che qatarina.
A far pensare che Washington non solo sapesse di quei voli e del loro carico ma li avesse assistiti, è un dettaglio notato dal Sole 24 Ore: la società responsabile della pianificazione dei voli di quei C-17 era la Jeppesen. Non è una società qualsiasi, bensì la controllata di Boeing, un colosso industriale che deve il 30% del suo fatturato al Pentagono, scelta dalla Cia per una delle delicate operazioni degli ultimi 15 anni: la campagna di extraordinary rendition, cioè la cattura extragiudiziaria di soggetti che dopo la strage dell’11 settembre erano sospettati di rapporti con al Qaeda.
Come emerso da un’inchiesta del Sole 24 Ore sulla rendition di Kessim Britel, un italiano di origine marocchina, a occuparsi della preparazione ed esecuzione dei piani di volo del jet privato usato per trasferirlo segretamente in un carcere del Marocco era infatti stata proprio la Jeppesen.
Contattata dal Sole 24 Ore, la sussidiaria della Boeing non ha voluto né smentire né confermare di aver dato supporto logistico a quei voli, mentre la Cia ci ha detto di «non poter fare commenti».
Il fatto rimane che a fornire assistenza a quei C-17 qatarini è stata una società nota come Il Sole 1.12.15“l’agente di viaggio della Cia”.
Il Sole 1.12.15
I C-17 del Qatar, le coperture di Ankara l’«agente di viaggio» della Cia e le armi destinate ai ribelli in Siria
di Claudio Gatti
Nella lotta all’Isis tutto sembra chiaro: da una parte la civiltà moderna, dall’altra il terrore oscurantista. Nessuna via di mezzo. Ma è veramente così? Per esempio ci si può fidare fino in fondo delle intenzioni di Turchia e Qatar? E non è che gli stessi Stati Uniti abbiano in qualche modo concorso ad armare formazioni terroristiche in Siria?
Per ora nessuno si azzarda a fare queste domande ad alta voce. Ma i dubbi circolano. E per buone ragioni. Da un’inchiesta del Sole 24 Ore risulta infatti evidente che Turchia e Qatar non solo hanno interessi in contrasto con chi vuole sconfiggere il terrorismo islamista, ma hanno probabilmente armato formazioni estremiste associate a quel terrorismo. Sono inoltre emersi indizi che portano a pensare che anche gli Stati Uniti possano aver agevolato spedizioni di armi a militanti islamisti in Siria, la terra del Califfato.
Da anni Washington teme che Ankara e Doha diano armi a formazioni islamiste sia in Libia sia in Siria. Ma a far pensare che gli stessi Stati Uniti li abbiano aiutati a farlo è una serie di voli di aerei da trasporto militare denunciata dal New York Times e oggetto di un’inchiesta dell’Onu.
Il sospetto che quegli aerei trasportassero armi non è finora stato suffragato da prove concrete, ma alcuni dati sono stati accertati. Si sa per esempio che i C-17 utilizzati per la spedizione erano qatarini, che i destinatari dei carichi trasportati erano turchi e che a fornire pianificazione e logistica per quei voli sono stati degli americani. Ma non americani qualsiasi, bensì funzionari di una società che tempo fa è stata chiamata dai media statunitensi «l’agente di viaggio della Cia». La qual cosa porta ovviamente a dedurre che il carico di quegli aerei non consistesse in beni umanitari.
Per capire la fondatezza di questo scenario occorre conoscere meglio il ruolo, o i ruoli giocati da Ankara e Doha.
Formalmente Turchia e Qatar stanno dalla parte nostra. La prima è uno storico partner commerciale, il secondo investe da tempo un fiume di petrodollari negli Usa e in Europa, Italia inclusa. Ed entrambi continuano a consentire quello che nessun altro Paese musulmano consente: l’uso del proprio territorio alle forze armate occidentali. Della Nato per quel che riguarda la Turchia, degli Stati Uniti e Gran Bretagna per il Qatar.
Nella lotta al terrorismo Turchia e Qatar non sono però semplicemente negligenti. Hanno interessi opposti a quelli del mondo occidentale. E lo stanno dimostrando concretamente in tre dei grandi punti caldi del momento: Israele-Gaza-West Bank, Libia e Siria. Il tutto sotto gli occhi preoccupati ma anche accondiscendenti dell’intelligence americana. E qui è inquietante il parallelo con al Qaeda, l’organizzazione creata da alcuni dei militanti islamici che Washington aveva aiutato nel combattere l’invasore sovietico in Afghanistan negli anni ’80.
Nel 2009, in un messaggio classificato “segreto” ma reso pubblico da Wikileaks, il dipartimento di Stato definiva il grado di collaborazione del Qatar nell’anti-terrorismo «il più basso della regione». Nell’ottobre dell’anno scorso, l’allora sottosegretario al Tesoro Usa David Cohen ha chiamato il Qatar «permissivo» in materia di finanziamento al terrorismo.
Nell’elenco dei «agevolatori finanziari del terrorismo» redatto dal dipartimento del Tesoro si trovano ben 16 qatarini, e cinque cittadini di altri Paesi arabi che operano in Qatar. Tra questi ultimi spicca il tunisino Tariq Al-Awni Al-Harzi, che il Tesoro americano definisce «un funzionario di alto livello di Isis (…) responsabile del reclutamento di cittadini nordafricani ed europei (…) il quale, nel settembre del 2013, ha fatto in modo che lo Stato islamico ricevesse due milioni di dollari da un finanziatore di base in Qatar con istruzioni specifiche di usare quella somma in operazioni militari».
E poi c’è Hamas, la formazione palestinese che Usa e Unione europea hanno incluso nell’elenco dei gruppi terroristici. Nel 1999, quando il vertice di Hamas fu espulso da Amman su ordine del re giordano, il suo leader supremo, Khaled Meshaal, salì a bordo di un jet dell’Aeronautica militare del Qatar diretto a Doha, dove ha risieduto fino al 2001, quando si è trasferito a Damasco. Nel 2012, subito prima che Hamas decidesse di schierarsi con i ribelli sunniti insorti contro Assad, Meshaal è tornato a Doha. E nel 2013, quando Hamas ha deciso di riaprire un quartier generale distaccato all’estero, lo ha fatto a Istanbul, dove è stato accolto a braccia aperte dal vertice dell’Akp, l’attuale partito governativo del presidente Recep Tayyip Erdogan.
A dirigere la sede di Istanbul è Saleh al-Aruri, uno dei fondatori dell’ala militare dell’organizzazione palestinese. Secondo i servizi di sicurezza israeliani, da Istanbul, al-Aruri avrebbe coordinato il rapimento e l’omicidio di tre giovani ebrei, pianificato la defenestrazione del presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e organizzato un piano terroristico che prevedeva un attacco allo stadio di Gerusalemme.
Veniamo a un altro punto caldo del momento, la Libia. Nel rapporto consegnato nel marzo del 2013 al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dal cosiddetto “Gruppo di esperti” si legge che il Qatar ha giocato «un ruolo fondamentale» nelle forniture di materiale bellico – armi e munizioni – alle forze ribelli libiche. E che nonostante le smentite delle autorità qatarine, «il Qatar ha violato l’embargo sui materiali militari».
La Turchia non sembra essere stata da meno, e secondo alcuni ha continuato ad armare le forze islamiste di Tripoli fino all’inizio di quest’anno. «La Turchia sta continuando a esportare armi in Libia», ha denunciato nel febbraio scorso Abdullah al-Thinni, allora primo ministro del Governo di Tobruk, quello riconosciuto a livello internazionale. Il mese prima era stato il presidente del Parlamento di Tobruk a sostenere che «la Turchia ancora supporta le milizie terroristiche in Libia».
Non è facile stabilire se dalla Turchia continuino ad arrivare armi in Libia in violazione dell’embargo previsto dalla Risoluzione 1970, approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu il 26 febbraio 2011. Ci sono però evidenze che siano state spedite tra il 2013 e la fine del 2014.
In un suo rapporto il Gruppo di esperti dell’Onu ha confermato che il 20 febbraio 2013 armi e munizioni sono state trovate dalla polizia doganale greca a bordo di una nave proveniente dalla Turchia, diretta in Libia e appartenente a un armatore siriano condannato per traffico d’armi.
Così come ha confermato che a bordo del mercantile Nour M, diretto a Tripoli e perquisito dai doganieri greci nel novembre del 2013, sono stati trovati 55 container con 1.103 tonnellate di munizioni dirette a Tripoli. Dalla documentazione sequestrata in quell’occasione è emerso che il cargo proveniva dalla Ukrinmash, società di armamenti ucraina e che a fare da broker era stata la Tss Silah, una società turca che in una nota interna resa pubblica da Wikileaks il Dipartimento di Stato definisce «broker di armi turco».
Il Gruppo di esperti ha inoltre riportato al Consiglio di Sicurezza di aver ricevuto informazioni riguardanti il trasporto di materiale militare su un Airbus A320 della linea aerea libica Afriqiyah che il 17 settembre 2014 è volato da Istanbul a Tripoli: «Il Gruppo ha intervistato un passeggero di quel volo che ha confermato di aver visto casse di materiale militare scaricate dall’aereo. Un tipico Airbus A320 può accomodare 150 passeggeri ma il testimone ha spiegato che solo 15 bagagli sono stati scaricati e quando i passeggeri si sono lamentati perché i loro bagagli erano stati lasciati a Istanbul, i miliziani hanno ordinato loro di lasciare l’aeroporto».
Ancora più recente la segnalazione riguardante un volo operato da un’altra linea aerea libica che il 13 novembre 2014 da Istanbul è arrivato a Misurata e che gli esperti sospettano abbia trasportato materiale militare.
In uno dei suoi rapporti il Gruppo di esperti dell’Onu ha insinuato che la Turchia ha doppiamente violato la Risoluzione 1970 del Consiglio di Sicurezza, la quale vieta sia l’importazione di armi in Libia sia l’esportazione dalla Libia. «A detta di fonti attendibili, dalla Libia sono state trasportate armi in Siria con voli decollati dall’aeroporto Mitiga di Tripoli o da quello di Benina a Bengasi e atterrati ad Ankara o Antakya e con navi approdate a Mersin e Iskenderun. Da lì il materiale sarebbe stato trasferito su camion che avrebbero attraversato la frontiera con la Siria a Reyhanli e Kilis. Membri dell’opposizione siriana e combattenti libici reduci della Siria ascoltati dal Gruppo hanno detto che a supervisionare il trasferimento e la consegna delle armi a elementi dell’opposizione siriana sono stati funzionari turchi».
Agli esperti dell’Onu il Governo di Ankara ha negato «di essere a conoscenza di trasferimenti di armi dalla Libia alla Turchia». Ma la vicenda del peschereccio libico al-Entisar smentisce la smentita. Nel settembre del 2012 il New York Times aveva riportato che quel peschereccio era salpato da Bengasi e aveva trasportato un carico di armi a Iskenderun, sulla costa meridionale turca, poco a nord del confine con la Siria. Il Gruppo ha chiesto dettagli alle autorità turche e si è sentito rispondere che «trattandosi di beni umanitari, non è stata condotta alcuna ispezione del carico». Ma pochi mesi dopo, il 21 aprile 2013, lo stesso peschereccio è arrivato nel porto di Istanbul con un carico diretto in Libia che di umanitario non aveva proprio nulla. Come si legge nel rapporto degli esperti Onu, il cosiddetto “manifesto di carico” includeva infatti «due maschere antigas, 199 pistole da 7,65 millimetri, 214 pistole da 9 millimetri, 1.000 fucili a pompa, 5.000 munizioni da 7,65 mm e 251mila cartucce per fucili».
Chi abbia orchestrato quella spedizione non è stato mai stabilito. Il sospetto è che sia stato il Mit, il servizio di intelligence di Ankara che secondo il quotidiano di opposizione Cumhuriyet sarebbe responsabile di un convoglio di camion casualmente intercettato dalla polizia al confine con la Siria nel gennaio del 2014 con un carico di casse piene di armi e munizioni. Per quello scoop, il 26 novembre scorso il direttore di Cumhuriyet Can Dundar e il capo della redazione di Ankara Erdem Gul sono stati arrestati su richiesta del Tribunale di Istanbul. A innescare la reazione giudiziaria era stato lo stesso presidente Erdogan, il quale ha prima promesso che i due avrebbero «pagato un duro prezzo» e poi presentato di persona una denuncia per tradimento e divulgazione di segreti di Stato. Se in quelle casse ci fossero stati beni umanitari, come Ankara ha sostenuto con poca convinzione, quelle accuse non si spiegherebbero. E adesso i due giornalisti non rischierebbero l’ergastolo.
Al di là dell’origine di quello specifico convoglio è certamente impensabile che la cosiddetta “autostrada della Jihad”, la rotta che il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi ha per anni usato per portare jihadisti stranieri e rifornimenti dalla Turchia in Siria, non fosse monitorata dalle forze di sicurezza di Ankara.
Come è difficile credere che tutte queste iniziative turco-qatarine in Libia e Siria siano passate inosservate agli americani. Al contrario, ci sono elementi tangibili che portano a sospettare che Washington le abbia assecondate.
Dopo aver scritto di una direttiva presidenziale segreta di Barack Obama che agli inizi del 2011 autorizzava la Cia ad armare i ribelli anti-Gheddafi, il New York Times ha rivelato che, «poche settimane dopo aver patrocinato l’invio di armi dal Qatar in Libia nella primavera del 2011, la Casa Bianca ha cominciato a ricevere informazioni che quelle armi stavano andando a militanti islamisti». Nello stesso articolo si diceva che in Siria le cose erano o meno andate nello stesso modo: «Quando il Qatar ha cominciato a inviare aiuti militari a gruppi dell’opposizione siriana, l’amministrazione Obama non ha fatto obiezioni. Ma adesso ci sono crescenti preoccupazioni che, come in Libia, i qatarini stiano equipaggiando i combattenti “sbagliati”».
Queste preoccupazioni non sembrano aver spinto gli americani ad attivarsi per contrastare i traffici di armi dalla Libia alla Siria. Semmai è vero il contrario. A farlo pensare è un episodio particolare in cui il possibile trasferimento di materiale militare ha una triplice impronta: qatarina, turca e americana. Ci riferiamo a una serie di voli di C-17, aerei da trasporto militare del Qatar denunciata il 21 marzo 2013 sempre dal New York Times.
I soliti esperti dell’Onu hanno indagato anche su questo. Dopo aver ottenuto i piani di volo dei C-17 volati dalla Libia in Qatar, gli esperti hanno appurato che Doha non era la loro destinazione finale. «I dati dei voli in questione indicano che in ogni singola occasione, dopo essere atterrati a Doha, i C-17 sono ripartiti per Ankara», si legge nel rapporto. Quest’ultima rotta è risultata in verità trafficatissima: «Tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2013, l’Aeronautica militare del Qatar ha operato 28 voli tra Doha e Ankara e uno tra Doha e Gaziantep, un aeroporto turco nei pressi del confine con la Siria», scrivono gli esperti.
Il Gruppo ha inoltre scoperto che ai voli da Tripoli e Bengasi a Doha era stato concesso uno speciale nullaosta diplomatico-militare, solitamente utilizzato per il trasporto di armi o equipaggiamento bellico. Poiché, come si legge nel rapporto, «per ottenere il numero di nullaosta diplomatico-militare il richiedente deve generalmente fornire dettagli precisi sulla natura dei voli e sul carico trasportato», gli esperti hanno chiesto chiarimenti e dettagli alle autorità di tre Paesi i cui spazi aerei erano lungo la rotta percorsa - Grecia, Egitto e Arabia Saudita - e alla società responsabile dei piani di volo.
Ma con scarsi risultati. «La Grecia ha risposto di non aver traccia di alcuna richiesta o concessione di nullaosta diplomatico-militare per quei voli, comunicando però che il 14 e 15 gennaio un aereo della Aeronautica militare qatarina è volato ai margini dello spazio aereo greco», si legge nel rapporto. «L’Egitto ha risposto che il Qatar ha richiesto un numero di nullaosta diplomatico-militare al fine di procedere alla rotazione del personale di guardia dell’ambasciata qatarina a Tripoli. L’Arabia Saudita non ha risposto».
Più reticente di tutti è risultata la società responsabile dei piani di volo. Gli esperti hanno chiesto i dettagli sui nullaosta diplomatici per i voli in questione, i manifesti di carico e l’elenco di tutti i voli operati dall’Aeronautica militare qatarina da e verso la Libia a partire dal luglio 2012. Ma non hanno ricevuto risposta su nulla. «La società ha detto di non aver partecipato alle procedure per l’ottenimento dei nullaosta e di non conoscere il carico di quei voli. Né ha fornito l’elenco dei voli richiesti dal Gruppo», hanno scritto gli esperti.
Che dei C-17 probabilmente carichi di armi potessero passare inosservati agli americani è di per sé improbabile. Ma a renderlo ancora più improbabile è la tappa intermedia fatta da quegli aerei da trasporto. La base di Al Udeid è infatti il cosiddetto “quartier generale avanzato” del comando mediorientale delle Forze armate americane, il Central Command, e oltre a ospitare il 379° Stormo dell’Usaf è sede anche dell’83° Stormo della Raf, l’Aeronautica britannica. Insomma, è una base anglo-americana quasi più che qatarina.
A far pensare che Washington non solo sapesse di quei voli e del loro carico ma li avesse assistiti, è un dettaglio notato dal Sole 24 Ore: la società responsabile della pianificazione dei voli di quei C-17 era la Jeppesen. Non è una società qualsiasi, bensì la controllata di Boeing, un colosso industriale che deve il 30% del suo fatturato al Pentagono, scelta dalla Cia per una delle delicate operazioni degli ultimi 15 anni: la campagna di extraordinary rendition, cioè la cattura extragiudiziaria di soggetti che dopo la strage dell’11 settembre erano sospettati di rapporti con al Qaeda.
Come emerso da un’inchiesta del Sole 24 Ore sulla rendition di Kessim Britel, un italiano di origine marocchina, a occuparsi della preparazione ed esecuzione dei piani di volo del jet privato usato per trasferirlo segretamente in un carcere del Marocco era infatti stata proprio la Jeppesen.
Contattata dal Sole 24 Ore, la sussidiaria della Boeing non ha voluto né smentire né confermare di aver dato supporto logistico a quei voli, mentre la Cia ci ha detto di «non poter fare commenti».
Il fatto rimane che a fornire assistenza a quei C-17 qatarini è stata una società nota come Il Sole 1.12.15“l’agente di viaggio della Cia”.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Repubblica 1.12.15
La strategia della paura
di Lucio Caracciolo
I TERRORISTI che fanno strage in Europa non sono religiosi. Hanno una conoscenza superficiale, selettiva ed estremamente manipolata del Corano e delle tradizioni islamiche. Talvolta nemmeno questa. Lo pseudo- islam decostruito e riadattato da chi li guida nel processo di radicalizzazione volto a trasformarli in automi sterminatori è un breviario di somministrazione della violenza. Un’ortoprassia — non un’ortodossia — di segno totalmente apocalittico. Lo schema, elementare quanto magnetico, è il seguente: siamo vicini alla fine dei tempi; nel giorno del giudizio conviene farsi trovare sulla sponda dei seguaci del vero Dio, il nostro; perché noi siamo i soli detentori della Verità, tutti gli altri esprimono diverse gradazioni dell’errore, del cedimento alle seduzioni diaboliche. In questo universo paranoico l’umanità è spartita in cinque famiglie. Dal Bene al Male, dal puro all’impuro: noi giusti; i “cattivi musulmani” — sunniti deviati; gli eretici — sciiti e seguaci di altre correnti islamiche; gli ebrei; i crociati, ovvero gli occidentali identificati con un cristianesimo aggressivo.
Chi fa strage di civili nelle metropoli europee si considera in stato di legittima difesa contro noi “cani arrabbiati” che vorremmo indurlo alla perdizione. Si intitola quindi il rango di eletto destinato a redimere l’umanità. Quanto di più gratificante e mobilitante per un “soldato di Dio”. Secondo Dounia Bouzar, l’antropologa francese che ne studia sul campo la mentalità e i comportamenti, ciò che noi classifichiamo terrorismo è per i jihadisti un meccanismo di «purificazione interna» attraverso lo «sterminio esterno». Siamo di fronte a «persone senza emozioni pronte a uccidere gli impuri non per quello che fanno ma per quello che sono». Senza provare alcun senso di colpa.
L’ossessione per l’apocalisse — tema tipico di sette para-religiose lontanissime dall’islam, incluse alcune variazioni sul cristianesimo assai diffuse nelle Americhe — spiega perché l’irradiamento dello Stato Islamico superi le barriere confessionali e di classe. E perché il “califfato”, che dell’apocalisse imminente fa il cuore della sua propaganda, sia un cult anche per chi non parrebbe contiguo al jihadismo, tanto che nell’agosto del 2014 un francese su sei simpatizzava per lo Stato Islamico.
Non sono solo musulmani, o secredenti tali, a ingrossare le file del “califfo”, ma anche atei, agnostici, cristiani, ebrei — fra cui centinaia di donne e diversi minorenni — convertiti all’ideologia della fine dei tempi. Né sono solo spostati maghrebini delle derelitte periferie metropolitane ad imbracciare il kalashnikov “purificatore”. Stando a uno studio svolto in Francia dall’Unità di coordinamento della lotta al terrorismo, i giovani candidati al jihad, per il 63% compresi fra i 15 e i 21 anni, provengono in maggioranza (67%) dai ceti medi, seguiti a distanza dai rampolli delle categorie socioprofessionali superiori (17%) e dagli “ambienti popolari” (16%). Il 40% di costoro ha conosciuto la depressione, a conferma che lo stato d’animo non è meno rilevante dell’indottrinamento pseudoreligioso nella metamorfosi di un adolescente in macchina da strage.
C’è infine un’interpretazione opportunistica del fenomeno: i terroristi che hanno colpito a Parigi sono dei nichilisti per i quali il salafismo rozzo e violento è copertura di comodo della loro ribellione individuale o di piccolo gruppo. Spiega Olivier Roy, studioso dell’islam: «In breve, questa non è la “rivolta dell’islam” o dei “musulmani”, ma un problema preciso che concerne due categorie di giovani, in maggioranza originari dell’immigrazione ma anche francesi “di ceppo”. Non è la radicalizzazione dell’islam ma l’islamizzazione della radicalità».
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La strategia della paura
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I TERRORISTI che fanno strage in Europa non sono religiosi. Hanno una conoscenza superficiale, selettiva ed estremamente manipolata del Corano e delle tradizioni islamiche. Talvolta nemmeno questa. Lo pseudo- islam decostruito e riadattato da chi li guida nel processo di radicalizzazione volto a trasformarli in automi sterminatori è un breviario di somministrazione della violenza. Un’ortoprassia — non un’ortodossia — di segno totalmente apocalittico. Lo schema, elementare quanto magnetico, è il seguente: siamo vicini alla fine dei tempi; nel giorno del giudizio conviene farsi trovare sulla sponda dei seguaci del vero Dio, il nostro; perché noi siamo i soli detentori della Verità, tutti gli altri esprimono diverse gradazioni dell’errore, del cedimento alle seduzioni diaboliche. In questo universo paranoico l’umanità è spartita in cinque famiglie. Dal Bene al Male, dal puro all’impuro: noi giusti; i “cattivi musulmani” — sunniti deviati; gli eretici — sciiti e seguaci di altre correnti islamiche; gli ebrei; i crociati, ovvero gli occidentali identificati con un cristianesimo aggressivo.
Chi fa strage di civili nelle metropoli europee si considera in stato di legittima difesa contro noi “cani arrabbiati” che vorremmo indurlo alla perdizione. Si intitola quindi il rango di eletto destinato a redimere l’umanità. Quanto di più gratificante e mobilitante per un “soldato di Dio”. Secondo Dounia Bouzar, l’antropologa francese che ne studia sul campo la mentalità e i comportamenti, ciò che noi classifichiamo terrorismo è per i jihadisti un meccanismo di «purificazione interna» attraverso lo «sterminio esterno». Siamo di fronte a «persone senza emozioni pronte a uccidere gli impuri non per quello che fanno ma per quello che sono». Senza provare alcun senso di colpa.
L’ossessione per l’apocalisse — tema tipico di sette para-religiose lontanissime dall’islam, incluse alcune variazioni sul cristianesimo assai diffuse nelle Americhe — spiega perché l’irradiamento dello Stato Islamico superi le barriere confessionali e di classe. E perché il “califfato”, che dell’apocalisse imminente fa il cuore della sua propaganda, sia un cult anche per chi non parrebbe contiguo al jihadismo, tanto che nell’agosto del 2014 un francese su sei simpatizzava per lo Stato Islamico.
Non sono solo musulmani, o secredenti tali, a ingrossare le file del “califfo”, ma anche atei, agnostici, cristiani, ebrei — fra cui centinaia di donne e diversi minorenni — convertiti all’ideologia della fine dei tempi. Né sono solo spostati maghrebini delle derelitte periferie metropolitane ad imbracciare il kalashnikov “purificatore”. Stando a uno studio svolto in Francia dall’Unità di coordinamento della lotta al terrorismo, i giovani candidati al jihad, per il 63% compresi fra i 15 e i 21 anni, provengono in maggioranza (67%) dai ceti medi, seguiti a distanza dai rampolli delle categorie socioprofessionali superiori (17%) e dagli “ambienti popolari” (16%). Il 40% di costoro ha conosciuto la depressione, a conferma che lo stato d’animo non è meno rilevante dell’indottrinamento pseudoreligioso nella metamorfosi di un adolescente in macchina da strage.
C’è infine un’interpretazione opportunistica del fenomeno: i terroristi che hanno colpito a Parigi sono dei nichilisti per i quali il salafismo rozzo e violento è copertura di comodo della loro ribellione individuale o di piccolo gruppo. Spiega Olivier Roy, studioso dell’islam: «In breve, questa non è la “rivolta dell’islam” o dei “musulmani”, ma un problema preciso che concerne due categorie di giovani, in maggioranza originari dell’immigrazione ma anche francesi “di ceppo”. Non è la radicalizzazione dell’islam ma l’islamizzazione della radicalità».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
La Nato si allarga a est: entra il Montenegro
Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg (a destra) con il ministro degli Esteri montenegrino Igor Luksic (ap)
L'annuncio del segretario Stoltenberg: sarebbe il 29esimo Paese membro dell'Alleanza atlantica. La Russia sospende collaborazione militare e annuncia possibili ritorsioni. La replica di Gentiloni e Kerry: "Non è una decisione contro qualcuno"
BRUXELLES - I ministri degli Esteri della Nato riuniti a Bruxelles hanno deciso di invitare il Montenegro ad entrare nell'Alleanza come 29mo Paese membro.
Lo ha annunciato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sottolineando come "la decisione storica di avviare colloqui di adesione con il Montenegro" sia stata presa all'unanimità. Un passo di espansione sul fronte est che naturalmente trova la forte opposizione della Russia.
La prima reazione è l'annuncio della sospensione di ogni collaborazione militare tra Mosca e Podgorica: nel caso l'ex Paese comunista si unisse alla Nato - ha detto il senatore Viktor Ozerov, capo del Comitato di difesa e sicurezza della Federazione - la Russia terminerà i suoi progetti bilaterali, compresi quelli militari.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che "la continua espansione del Trattato del Nord Atlantico verso est potrebbe portare a misure di ritorsione da parte Russia". Dopo le rassicurazioni di Gentiloni e di Kerry sul fatto che il passaggio del Montenegro nella Nato non è una manovra contro la Russia, il Cremlino ha annunciato di essere disposto a riprendere la collaborazione.
Il premier montenegrino Milo Djukanovic ha parlato oggi di "giornata storica" per il suo Paese. E' il giorno più importante per il Montenegro dopo il referendum del 2006 per l'indipendenza", ha aggiunto il premier.
La replica/1: Gentiloni. La decisione della Nato di allargare l'alleanza al Montenegro non deve essere considerata "una decisione contro qualcuno". Lo ha sottolineato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. L'obiettivo, ha precisato il titolare della Farnesina, è "rafforzare la sicurezza sia nella zona dei Balcani che in quella dell'Adriatico: quindi - ha aggiunto - interessa direttamente il nostro Paese".
La replica/2: Kerry. L'allargamento della Nato non è diretto contro la Russia: lo ha assicurato il segretario di Stato Usa, John Kerry.
Il capo della diplomazia Usa ha sottolineato che "la Nato è un'alleanza difensiva che esiste da 70 anni" e "non costituisce una minaccia per nessuno. Non è un'organizzazione offensiva e non è focalizzata sulla Russia, nè su nessun altro".
L'apertura di Mosca. Dopo le rassicurazioni di Gentiloni e Kerry, Mosca ha annunciato di essere pronta a riprendere i contatti con la Nato nel Consiglio Nato-Russia. Lo ha affermato il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov. Niente rappresaglia, dunque. "Se il segretario generale Stoltenberg proporrà questa iniziativa, siamo pronti a vedere e sentire cosa hanno da dirci i nostri colleghi della Nato".
Dopo la Croazia e l'Albania, entrati nel 2009, il Montenegro sarà il terzo stato dei Balcani Occidentali ad aderire all'Alleanza Atlantica.
Sui tempi del processo di adesione del Montenegro alla Nato, il segretario generale ha indicato di attendersi che si possano concludere "all'inizio" del 2017, poi - ha detto - "ci sarà la procedura di ratificazione nei 28 parlamenti" che l'ultima volta ha "richiesto circa un anno". Da subito, compreso il summit dei leader dell'Alleanza in programma l' 8-9 luglio prossimo a Varsavia, il Montenegro però "potrà partecipare, senza diritto di voto" a tutti gli incontri istituzionali della Nato.
Ora la Nato, sottolinea il segretario generale, si aspetta che il Paese "continui il cammino delle riforme" soprattutto "sull'adeguamento della Difesa, sulle riforme interne, specialmente sullo stato di diritto, e che che continui a fare progressi nel dimostrare pubblico sostegno" all'ingresso del Montenegro nell'alleanza.
Questo è un "momento storico per il nostro Paese" sottolinea il ministro degli Esteri montenegrino, Igor Lukuic, secondo cui l'invito della Nato è anche "una grande notizia per i Balcani occidentali perché significherà più stabilità per l'intera regione". Quella di oggi, afferma Lukuic è " una decisione molto attesa che è anche la ricompensa per anni di duro lavoro". Lavoro che deve continuare: "l'invito non è la fine del processo ma l'inizio del passo successivo, le riforme continueranno", assicura.
Il percorso di adesione prevede anche la ratifica del protocollo di accesso del Montenegro alla Nato da parte dei parlamenti nazionali dei ventotto alleati. "La porta della Nato è aperta", assicura Stoltenberg, anche per Bosnia Erzegovina, Georgia ed ex repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom) il cui cammino
per l'ingresso rimane per il momento bloccato: "Faremo tutto quello che è possibile per aiutarli a raggiungere questo obiettivo, giudicando ogni paese candidato sui propri meriti e li incoraggiamo a continuare lungo il cammino delle riforme", conclude Stoltenberg.
http://www.repubblica.it/esteri/2015/12 ... 128607641/
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Gli yankees non si smentiscono mai con i loro obiettivi di egemonizzare il mondo e purtroppo sono appoggiati sempre dai soliti sudditi fra i quali gli italioti.
Probabilmente vogliono ritornare alla guerra fredda che a loro ha portato non pochi profitti. Certo, se ne sbattono le palle se poi questi danni dobbiamo pagarli noi.
Quindi, aspettiamoci ulteriori tensioni poiche gli obiettivi son quelli di accerchiare la Russia mediante i loro paesi satelliti.
Neri, rossi, bianchi o gialli che siano, son sempre yankees.
Non possono mai smentirsi. E' un problema ormai genetico! .
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Vorrei conoscere il parere del forum in merito a questo articolo comparso su LIBRE.
Grazie
L’Onu: Israele collabora con l’Isis. Vuole il petrolio del Golan
Scritto il 02/12/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni Condividi
Un colonnello israeliano catturato in Iraq con miliziani dell’Isis, e un dossier ufficiale dell’Onu che denuncia il ruolo di Israele nel supporto al Califfato.
Motivo? Mettere le mani sul petrolio siriano, dopo che la società Genie Energy, in cui figura anche Dick Cheney, ha scoperto nel Golan un immenso giacimento.
Ma nulla di tutto ciò affiora sui media mainstream, protesta il professor William Engdhal, consulente strategico e docente universitario negli Usa.
Clamorosa la cattura dell’ufficiale israeliano, il colonnello Yusi Oulen Shahak, sorpreso “a brache calate assieme all’Isis” dall’esercito iracheno.
Secondo l’agenzia iraniana “Fars”, l’ufficiale era legato al “Battaglione Golani” dell’Isis, insieme a cui l’ufficiale avrebbe «partecipato alle operazioni terroristiche della fazione takfirita» dei miliziani jihadisti.
Dal 30 settembre, cioè «da quando sono iniziati gli efficaci bombardamenti russi», scrive Engdhal, sono emersi dettagli sempre più imbarazzanti sul «ruolo alquanto sporco» giocato da Washington, dalla Turchia di Erdogan e anche da Israele.
Già a fine 2014 il “Jerusalem Post” aveva scoperto un rapporto delle Nazioni Unite «largamente ignorato e politicamente esplosivo», che descrive come l’esercito israeliano sia stato visto cooperare con i combattenti dell’Isis.
La missione Undof, cioè la forza di peacekeeping dell’Onu stanziata al confini tra Israele e Siria presso le Alture del Golan dal 1974, ha rivelato che «Israele ha collaborato strettamente con le forze terroriste di opposizione siriane», incluso il fronte Al-Nusra (Al-Qaeda) e lo Stato Islamico, «mantenendo stretti contatti negli ultimi 18 mesi». In un servizio su “Journal-Neo” tradotto da “Come Don Chisciotte”, Engdhal scrive che diventa sempre più chiaro che almeno una fazione dell’amministrazione Obama ha “fabbricato” e usato l’Isis per cacciare Assad e demolire la Siria, riducendola come la Libia.
Sulla lista nera, «i neocon che ruotano attorno all’ex direttore della Cia, nonché boia della resistenza irachena, il generale David Petraeus», e il generale John Allen, già inviato speciale di Obama per la coalizione anti-Isis, nonché l’ex segretario di Stato Hillary Clinton.
Il generale Allen, sostenitore della “no-fly zone” tra Siria e Turchia (che Obama ha respinto) è stato significativamente rimosso il 23 ottobre, dopo l’avvio dei bombardamenti russi.
Ma è altrettanto importante il ruolo di Israele: «E’ ormai consolidato che il Likud di Netanyahu e le forze armate israeliane lavorino a fianco ai guerrafondai neocon, così come lo è l’opposizione del primo ministro Benjamin Netanyahu all’accordo di Obama sul nucleare iraniano», scrive Engdhal.
«Israele considera Hezbollah, il partito islamico sciita appoggiato dall’Iran, con sede nel Libano, come il nemico principale».
Alleato dell’Iran (e di Hamas a Gaza), Hezbollah combatte a fianco all’esercito siriano contro l’Isis in Siria.
Fino a ieri, il Califfato ha potuto espandere il suo controllo proprio grazie al generale Allen.
E non solo: accanto all’Isis c’era sempre anche Israele.
«Almeno dal 2013 – continua Engdhal – le forze armate israeliane hanno apertamente bombardato quelli che ritenevano fossero gli obiettivi di Hezbollah in Siria.
Un’indagine ha infatti rivelato come Israele stesse colpendo le forze armate siriane e alcuni obiettivi di Hezbollah che stavano efficacemente contrastando l’Isis e altri gruppi terroristi.
In questo modo Israele sta attualmente aiutando di fatto l’Isis», così come i bombardamenti anti-Isis del generale Allen, protratti per un anno.
«Che una fazione del Pentagono abbia lavorato in segreto per addestrare, armare e finanziare quella che oggi chiamiamo Isis (o Is) in Siria, è oggi provato nero su bianco», spiega Engdhal.
Nell’agosto del 2012, un documento del Pentagono classificato come “segreto”, poi successivamente desecretato sotto la pressione dell’Ong “Judicial Watch”, ha descritto con precisione la nascita di quello che è diventato in seguito l’Isis, sorto dallo Stato Islamico dell’Iraq, quindi affiliato ad Al-Qaeda.
Il documento del Pentagono riportava che «c’è la possibilità di impiantare un’entità statale salafita nella Siria orientale (Hasaka e Der Zor), e questo è esattamente ciò che vogliono le potenze che sostengono l’opposizione ad Assad, al fine di isolare il regime siriano, considerato l’avamposto strategico dell’espansione sciita».
Sul banco degli imputati, insieme agli Usa, anche il Qatar, la Turchia, l’Arabia Saudita.
E, dietro le quinte, Israele.
«La creazione di “un’entità salafita nella Siria orientale,” oggi territorio dell’Isis, era nell’agenda di Petraeus, del generale Allen e di altri al fine di distruggere Assad», prosegue Engdhal.
«E’ questo che porta l’amministrazione Obama in stallo con la Russia, la Cina e l’Iran, riguardo alla bizzarra richiesta Usa di rimuovere Assad prima che venga distrutto l’Isis».
Questo gioco, continua l’analista, è oggi alla luce del sole.
«E mostra al mondo la doppiezza di Washington nell’appoggiare quelli che la Russia definisce correttamente “terroristi moderati” contro un Assad regolarmente eletto».
E lo Stato ebraico? «Che Israele si trovi inoltre in mezzo alla tana di ratti delle forze di opposizione terroristiche in Siria è stato confermato nel recente rapporto dell’Onu.
Ciò che il rapporto non menzionava era invece il perché Israele avesse un interesse così forte per la Siria, specialmente per le alture del Golan»
Già: perché Israele vuole rimuovere Assad?
I documenti Onu, di cui il mainstream continua a non parlare, mostrano come le forze armate israeliane abbiano tenuto contatti regolari con membri del cosiddetto Stato Islamico fin dal maggio 2013.
L’Idf, l’esercito israeliano, ha dichiarato che simili contatti ci sono stati “solo per fornire cure mediche a civili”, ma l’inganno «è stato svelato quando gli osservatori dell’Undof hanno accertato contatti diretti tra forze dell’Idf e soldati dell’Isis, fornendo anche assistenza medica a combattenti dello Stato Islamico».
Il rapporto delle Nazioni Unite identifica ciò che i siriani hanno definito un “crocevia di movimenti di truppe tra l’Idf e l’Isis”, argomento che l’Undof – 1.200 osservatori sul campo – ha portato davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
A partire dal 2013 e dall’escalation di attacchi israeliani contro la Siria lungo le Alture, ufficialmente per ricercare “terroristi di Hezbollah”, la stessa Undof è soggetta a massicci attacchi da parte dei terroristi dell’Isis e di Al-Nusra.
Si registrano anche rapimenti, omicidi, furti di materiale e munizioni Onu, di veicoli e di altri beni, nonché il saccheggio e la distruzione delle varie strutture.
Il Golan – ricco di giaciementi di petrolio – pare sia l’obiettivo a cui punta Netanyahu, che ha chiesto a Obama «di riconsiderare il fatto che Israele ha illegalmente occupato una parte delle alture», a partire dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967 tra Israele e i paesi arabi.
Il 9 novembre Nethanyahu ha chiesto a Obama, apparentemente senza successo, di appoggiare formalmente l’annessione israeliana delle Alture del Golan illegalmente occupate, sostenendo che l’assenza di un governo siriano funzionante “dà luogo a diverse valutazioni” riguardo al futuro di quell’area così strategicamente importante.
«Certamente – aggiunge Engdhal – Netanyahu non ha dato nessuna spiegazione plausibile sul fatto che le forze israeliane, assieme ad altre, sono state responsabili dell’assenza di un governo siriano funzionante a causa del loro supporto all’Isis ed al fronte qaedista Al-Nusra».
Quando l’Undof ha iniziato a documentare nel 2013 i contatti sempre più frequenti tra l’esercito di Israele da una parte e l’Isis ed Al-Qaeda dall’altra lungo le Alture del Golan, la Genie Energy, una semi-sconosciuta compagnia petrolifera di Newark, nel New Jersey, assieme ad una sua controllata isreliana, la Afek Oil e Gas, iniziò a muoversi nelle Alture per delle esplorazioni petrolifere, col permesso del governo Netanyahu.
Quello stesso anno, continua Engdhal, gli ingegneri dell’esercito di Israele sostituirono la recinzione di confine con la Siria, rimpiazzandola con una barriera dotata di filo spinato, sensori, radar e telecamere a infrarossi, come quelle del muro costruito da Israele lungo la West Bank palestinese.
Yuval Bartov, geologo capo della controllata israeliana della Genie Energy, l’Afek Oil e Gas, ha annunciato alla Tv israeliana “Channel 2” che la sua compagnia ha scoperto un consistente giacimento petrolifero sulle Alture del Golan, profondo 350 metri: «A livello mondiale, i giacimenti hanno in media lo spessore di 20 o 30 metri, mentre questo è 10 volte più spesso», ha dichiarato Bartov.
«Parliamo quindi di una quantità rilevante».
Attenzione: nel vertice della Genie Energy siedono personaggi come Dick Cheney, ex vicepresidente Usa, e James Woosley, già direttore della Cia e famigerato neo-con.
Con loro anche altre personalità di spicco, come quella di Lord Jacob Rothschild.
«Nessuna persona sana di mente suggerirebbe che vi sia un legame tra i rapporti dell’esercito di Israele con l’Isis ed altri terroristi anti-Assad in Siria, specialmente lungo le alture del Golan, e la scoperta dei giacimenti da parte della Genie Energy nello stesso posto, o con i recenti appelli di Netanyahu al “ripensamento” sulle Alture del Golan ad Obama», conclude Engdhal.
«Questo suonerebbe troppo simile ad una “teoria della cospirazione”, mentre tutte le persone ragionevoli sanno bene che non esistono cospirazioni ma solo coincidenze».
Vorrei conoscere il parere del forum in merito a questo articolo comparso su LIBRE.
Grazie
L’Onu: Israele collabora con l’Isis. Vuole il petrolio del Golan
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Un colonnello israeliano catturato in Iraq con miliziani dell’Isis, e un dossier ufficiale dell’Onu che denuncia il ruolo di Israele nel supporto al Califfato.
Motivo? Mettere le mani sul petrolio siriano, dopo che la società Genie Energy, in cui figura anche Dick Cheney, ha scoperto nel Golan un immenso giacimento.
Ma nulla di tutto ciò affiora sui media mainstream, protesta il professor William Engdhal, consulente strategico e docente universitario negli Usa.
Clamorosa la cattura dell’ufficiale israeliano, il colonnello Yusi Oulen Shahak, sorpreso “a brache calate assieme all’Isis” dall’esercito iracheno.
Secondo l’agenzia iraniana “Fars”, l’ufficiale era legato al “Battaglione Golani” dell’Isis, insieme a cui l’ufficiale avrebbe «partecipato alle operazioni terroristiche della fazione takfirita» dei miliziani jihadisti.
Dal 30 settembre, cioè «da quando sono iniziati gli efficaci bombardamenti russi», scrive Engdhal, sono emersi dettagli sempre più imbarazzanti sul «ruolo alquanto sporco» giocato da Washington, dalla Turchia di Erdogan e anche da Israele.
Già a fine 2014 il “Jerusalem Post” aveva scoperto un rapporto delle Nazioni Unite «largamente ignorato e politicamente esplosivo», che descrive come l’esercito israeliano sia stato visto cooperare con i combattenti dell’Isis.
La missione Undof, cioè la forza di peacekeeping dell’Onu stanziata al confini tra Israele e Siria presso le Alture del Golan dal 1974, ha rivelato che «Israele ha collaborato strettamente con le forze terroriste di opposizione siriane», incluso il fronte Al-Nusra (Al-Qaeda) e lo Stato Islamico, «mantenendo stretti contatti negli ultimi 18 mesi». In un servizio su “Journal-Neo” tradotto da “Come Don Chisciotte”, Engdhal scrive che diventa sempre più chiaro che almeno una fazione dell’amministrazione Obama ha “fabbricato” e usato l’Isis per cacciare Assad e demolire la Siria, riducendola come la Libia.
Sulla lista nera, «i neocon che ruotano attorno all’ex direttore della Cia, nonché boia della resistenza irachena, il generale David Petraeus», e il generale John Allen, già inviato speciale di Obama per la coalizione anti-Isis, nonché l’ex segretario di Stato Hillary Clinton.
Il generale Allen, sostenitore della “no-fly zone” tra Siria e Turchia (che Obama ha respinto) è stato significativamente rimosso il 23 ottobre, dopo l’avvio dei bombardamenti russi.
Ma è altrettanto importante il ruolo di Israele: «E’ ormai consolidato che il Likud di Netanyahu e le forze armate israeliane lavorino a fianco ai guerrafondai neocon, così come lo è l’opposizione del primo ministro Benjamin Netanyahu all’accordo di Obama sul nucleare iraniano», scrive Engdhal.
«Israele considera Hezbollah, il partito islamico sciita appoggiato dall’Iran, con sede nel Libano, come il nemico principale».
Alleato dell’Iran (e di Hamas a Gaza), Hezbollah combatte a fianco all’esercito siriano contro l’Isis in Siria.
Fino a ieri, il Califfato ha potuto espandere il suo controllo proprio grazie al generale Allen.
E non solo: accanto all’Isis c’era sempre anche Israele.
«Almeno dal 2013 – continua Engdhal – le forze armate israeliane hanno apertamente bombardato quelli che ritenevano fossero gli obiettivi di Hezbollah in Siria.
Un’indagine ha infatti rivelato come Israele stesse colpendo le forze armate siriane e alcuni obiettivi di Hezbollah che stavano efficacemente contrastando l’Isis e altri gruppi terroristi.
In questo modo Israele sta attualmente aiutando di fatto l’Isis», così come i bombardamenti anti-Isis del generale Allen, protratti per un anno.
«Che una fazione del Pentagono abbia lavorato in segreto per addestrare, armare e finanziare quella che oggi chiamiamo Isis (o Is) in Siria, è oggi provato nero su bianco», spiega Engdhal.
Nell’agosto del 2012, un documento del Pentagono classificato come “segreto”, poi successivamente desecretato sotto la pressione dell’Ong “Judicial Watch”, ha descritto con precisione la nascita di quello che è diventato in seguito l’Isis, sorto dallo Stato Islamico dell’Iraq, quindi affiliato ad Al-Qaeda.
Il documento del Pentagono riportava che «c’è la possibilità di impiantare un’entità statale salafita nella Siria orientale (Hasaka e Der Zor), e questo è esattamente ciò che vogliono le potenze che sostengono l’opposizione ad Assad, al fine di isolare il regime siriano, considerato l’avamposto strategico dell’espansione sciita».
Sul banco degli imputati, insieme agli Usa, anche il Qatar, la Turchia, l’Arabia Saudita.
E, dietro le quinte, Israele.
«La creazione di “un’entità salafita nella Siria orientale,” oggi territorio dell’Isis, era nell’agenda di Petraeus, del generale Allen e di altri al fine di distruggere Assad», prosegue Engdhal.
«E’ questo che porta l’amministrazione Obama in stallo con la Russia, la Cina e l’Iran, riguardo alla bizzarra richiesta Usa di rimuovere Assad prima che venga distrutto l’Isis».
Questo gioco, continua l’analista, è oggi alla luce del sole.
«E mostra al mondo la doppiezza di Washington nell’appoggiare quelli che la Russia definisce correttamente “terroristi moderati” contro un Assad regolarmente eletto».
E lo Stato ebraico? «Che Israele si trovi inoltre in mezzo alla tana di ratti delle forze di opposizione terroristiche in Siria è stato confermato nel recente rapporto dell’Onu.
Ciò che il rapporto non menzionava era invece il perché Israele avesse un interesse così forte per la Siria, specialmente per le alture del Golan»
Già: perché Israele vuole rimuovere Assad?
I documenti Onu, di cui il mainstream continua a non parlare, mostrano come le forze armate israeliane abbiano tenuto contatti regolari con membri del cosiddetto Stato Islamico fin dal maggio 2013.
L’Idf, l’esercito israeliano, ha dichiarato che simili contatti ci sono stati “solo per fornire cure mediche a civili”, ma l’inganno «è stato svelato quando gli osservatori dell’Undof hanno accertato contatti diretti tra forze dell’Idf e soldati dell’Isis, fornendo anche assistenza medica a combattenti dello Stato Islamico».
Il rapporto delle Nazioni Unite identifica ciò che i siriani hanno definito un “crocevia di movimenti di truppe tra l’Idf e l’Isis”, argomento che l’Undof – 1.200 osservatori sul campo – ha portato davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
A partire dal 2013 e dall’escalation di attacchi israeliani contro la Siria lungo le Alture, ufficialmente per ricercare “terroristi di Hezbollah”, la stessa Undof è soggetta a massicci attacchi da parte dei terroristi dell’Isis e di Al-Nusra.
Si registrano anche rapimenti, omicidi, furti di materiale e munizioni Onu, di veicoli e di altri beni, nonché il saccheggio e la distruzione delle varie strutture.
Il Golan – ricco di giaciementi di petrolio – pare sia l’obiettivo a cui punta Netanyahu, che ha chiesto a Obama «di riconsiderare il fatto che Israele ha illegalmente occupato una parte delle alture», a partire dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967 tra Israele e i paesi arabi.
Il 9 novembre Nethanyahu ha chiesto a Obama, apparentemente senza successo, di appoggiare formalmente l’annessione israeliana delle Alture del Golan illegalmente occupate, sostenendo che l’assenza di un governo siriano funzionante “dà luogo a diverse valutazioni” riguardo al futuro di quell’area così strategicamente importante.
«Certamente – aggiunge Engdhal – Netanyahu non ha dato nessuna spiegazione plausibile sul fatto che le forze israeliane, assieme ad altre, sono state responsabili dell’assenza di un governo siriano funzionante a causa del loro supporto all’Isis ed al fronte qaedista Al-Nusra».
Quando l’Undof ha iniziato a documentare nel 2013 i contatti sempre più frequenti tra l’esercito di Israele da una parte e l’Isis ed Al-Qaeda dall’altra lungo le Alture del Golan, la Genie Energy, una semi-sconosciuta compagnia petrolifera di Newark, nel New Jersey, assieme ad una sua controllata isreliana, la Afek Oil e Gas, iniziò a muoversi nelle Alture per delle esplorazioni petrolifere, col permesso del governo Netanyahu.
Quello stesso anno, continua Engdhal, gli ingegneri dell’esercito di Israele sostituirono la recinzione di confine con la Siria, rimpiazzandola con una barriera dotata di filo spinato, sensori, radar e telecamere a infrarossi, come quelle del muro costruito da Israele lungo la West Bank palestinese.
Yuval Bartov, geologo capo della controllata israeliana della Genie Energy, l’Afek Oil e Gas, ha annunciato alla Tv israeliana “Channel 2” che la sua compagnia ha scoperto un consistente giacimento petrolifero sulle Alture del Golan, profondo 350 metri: «A livello mondiale, i giacimenti hanno in media lo spessore di 20 o 30 metri, mentre questo è 10 volte più spesso», ha dichiarato Bartov.
«Parliamo quindi di una quantità rilevante».
Attenzione: nel vertice della Genie Energy siedono personaggi come Dick Cheney, ex vicepresidente Usa, e James Woosley, già direttore della Cia e famigerato neo-con.
Con loro anche altre personalità di spicco, come quella di Lord Jacob Rothschild.
«Nessuna persona sana di mente suggerirebbe che vi sia un legame tra i rapporti dell’esercito di Israele con l’Isis ed altri terroristi anti-Assad in Siria, specialmente lungo le alture del Golan, e la scoperta dei giacimenti da parte della Genie Energy nello stesso posto, o con i recenti appelli di Netanyahu al “ripensamento” sulle Alture del Golan ad Obama», conclude Engdhal.
«Questo suonerebbe troppo simile ad una “teoria della cospirazione”, mentre tutte le persone ragionevoli sanno bene che non esistono cospirazioni ma solo coincidenze».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
LA CRISI PEGGIORA
Russia: “Turchia fa affari con il petrolio di Isis”
Pentagono difende Erdogan: “Accuse assurde”
Mosca: “Tre rotte per il trasporto del greggio da Siria e Iraq, coinvolti il presidente e la sua famiglia”
REPLICA DEL LEADER TURCO: “CALUNNIE. CHI NON PROVA CIÒ CHE DICE Mondo
La Russia ribadisce: invece di combattere Isis in Siria, il presidente turco Tayyip Recep Erdogan è coinvolto nel contrabbando di petrolio con i militanti dello Stato islamico. “Un team di banditi che rubano il greggio dai loro vicini opera nella regione – ha detto il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov, dopo le denuncia del presidente Putin (leggi) – il presidente e la sua famiglia sono coinvolti in questo business criminale”. Il diretto interessato risponde parlando di “calunnie” e con Ankara si schiera il Pentagono: “Accuse assurde”
DOVREBBE DIMETTERSI”
http://www.ilfattoquotidiano.it/
^^^^^^^^^
Caccia abbattuto, Russia: “Turchia e famiglia Erdogan trafficano petrolio con Isis, ecco le prove”. Usa: “Accuse assurde”
Mondo
"Enormi quantità di greggio" entrano in territorio turco attraverso migliaia di camion, ha spiegato in un briefing con i giornalisti il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov. "Tre le rotte principali", ha rincarato la dose il vice capo di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi. A riprova delle accuse, sono state mostrate foto dei tir che attraversano la frontiera con la Siria e mappe con i movimenti dettagliati del contrabbando. Il presidente turco: "Nessuno ha il diritto di calunniarci"
di F. Q. | 2 dicembre 2015
Commenti (869)
La Turchia è il principale consumatore di petrolio dello Stato Islamico e la famiglia del presidente Tayyip Recep Erdogan è coinvolta nel traffico di greggio proveniente dalla Siria. Dopo le denunce dei giorni scorsi mosse dal presidente Vladimir Putin, cui il capo di Stato turco aveva risposto chiedendo di provare le accuse e dicendosi pronto a dimettersi laddove provate, il ministero della Difesa di Mosca è tornata a puntare il dito contro il governo di Ankara. Che ha risposto immediatamente: nessuno ha il diritto di “calunniare” la Turchia, ha detto Erdogan parlando in un’università a Doha, in Qatar: “Nel momento in cui potranno provarlo mi dimetterò, come dovrebbero fare quelli che non possono provare le loro accuse”.
Gli Stati Uniti si schierano dalla parte della Turchia, Paese membro della Nato. Il Dipartimento di Stato Usa nega che ci sia qualunque tipo di legame che suggerisca un coinvolgimento della Turchia nei traffici sul contrabbando di petrolio con l’Isis. Lo riferisce il portavoce, Mark Toner. “Rifiutiamo categoricamente l’idea che la Turchia stia lavorando con l’Isis. E’ totalmente assurdo – ha affermato il portavoce del Pentagono Steve Warren – la Turchia partecipa attivamente ai raid della coalizione contro i jihadisti”, ha detto ancora Warren. “Se i russi sono preoccupati per il petrolio dell’Isis, dovrebbero prendersela con Assad (presidente siriano, ndr), il più largo consumatore”, il commento del portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest.
A muovere le accuse contro la famiglia presidenziale erano stati i vertici militari di Mosca. “Oggi – ha detto in un briefing con i giornalisti il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov – presentiamo solo alcuni dei fatti che confermano che un team di banditi ed elite turche che ruba il petrolio dai loro vicini opera nella regione”. “Secondo le nostre informazioni – ha aggiunto Antonov, che ha parlato di “enormi quantità di petrolio” che entrano in territorio turco attraverso migliaia di camion – la massima leadership politica del Paese, il presidente e la sua famiglia, è coinvolta in questo business criminale“, ha spiegato il viceministro senza però presentare elementi per sostenere la tesi, oltre alla nomina già nota del genero del presidente Berat Albayrak come ministro dell’energia e gli interessi economici del figlio di Erdogan, Bilal.
“Sono state individuate – ha detto il vice capo di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi - tre rotte principali per il trasporto del petrolio verso il territorio turco dalle zone controllate dalle formazioni dei banditi”. Il petrolio estratto nei giacimenti intorno a Raqqa viaggia attraverso il percorso occidentale che arriva al Mediterraneo, ai porti di Dortyol e Alessandretta, passando dalla località di Azaz, la cittadina turkmena vicino al confine presa di mira nei raid russi dopo l’abbattimento del Sukhoi-24, e quindi dal punto di confine accanto a Reyhanli.
Il secondo percorso arriva dai pozzi di Deir ez-Zor, passa dal punto di confine con la Turchia di Kamisli e quindi alla raffineria turca di Batman (citata come Patma dal quotidiano economico russo Vedomosti), a cento chilometri dal confine. La strada orientale invece parte, sempre secondo le accuse di Mosca, dal nord est della Siria e dal nord ovest dell’Iraq ed è diretta allo snodo petrolifero turco vicino a Silopi e al confine con l’Iraq. In totale, ha spiegato Rudskoi, in questo traffico di petrolio dalla Siria e dall’Iraq sono impiegati almeno 850 camion.
A riprova delle accuse, nel corso del briefing sono state diffuse foto dei camion carichi di petrolio che attraversano la frontiera tra la Siria e la Turchia, video dei raid aerei contro i depositi dell’Is e mappe con i movimenti dettagliati del contrabbando. Rudskoi ha precisato che altre prove saranno pubblicate nei prossimi giorni sul sito del ministero. Dopo l’abbattimento, il 24 novembre scorso, di un caccia russo da parte delle Forze aeree turche con l’accusa di avere violato lo spazio aereo, Putin aveva accusato Ankara di averlo fatto perché il Sukhoi stava raccogliendo prove sul contrabbando.
A riprova della vicinanza tra la Turchia e l’Isis ci sono, poi, i numeri dei combattenti che raggiungono le file dello Stato Islamico passando per il confine turco. “Solo nell’ultima settimana” hanno raggiunto i gruppi dell’Isis e di al-Nusra, “fino a 2.000 militanti, oltre 120 tonnellate di munizioni e circa 250 mezzi di trasporto”, ha spiegato il capo del centro nazionale russo per la gestione della Difesa, Mikhail Mizintsev. “Secondo i nostri attendibili dati di ricognizione – ha detto il generale – la parte turca svolge azioni simili da tempo e regolarmente e, cosa più importante a nostro avviso, non intende smettere”.
Mosca ha anche rivendicato il ruolo delle proprie forze armate nella lotta contro gli uomini di Al Baghdadi. Dall’inizio dei raid lo scorso 30 settembre, ha spiegato Rudskoi, si sono significativamente ridotte per lo Stato islamico le entrate provenienti dal contrabbando di petrolio. Fino a due mesi fa “le entrate per questa organizzazione terroristica erano di 3 milioni di dollari al giorno, oggi sono di circa 1,5 milioni“, ha affermato il vice capo di Stato maggiore. “Negli ultimi due mesi sono stati distrutti 32 raffinerie di petrolio, 11 impianti petrolchimici, 23 complessi per il pompaggio del petrolio e 1.080 autocisterne“, ha detto Rudskoi.
Che ha puntato anche il dito contro gli Stati Uniti e la coalizione internazionale che da mesi bombarda in Siria e in Iraq, colpevole di aver “triplicato il numero di droni” ma di non colpire le autocisterne e le infrastrutture dell’Isis in Siria per la produzione e il commercio del petrolio.
I rapporti tra i due Paesi si fanno ancora più tesi, ma da Mosca arriva una prima apertura: il capo della diplomazia del Cremlino, Serghiei Lavrov, ha detto che la Russia “non è contraria” a un incontro con il ministro degli Esteri turco a Belgrado a margine del vertice Osce del 3-4 dicembre come proposto da Ankara “in maniera insistente”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... e/2270962/
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Mosca: “Tre rotte per il trasporto del greggio da Siria e Iraq, coinvolti il presidente e la sua famiglia”
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La Russia ribadisce: invece di combattere Isis in Siria, il presidente turco Tayyip Recep Erdogan è coinvolto nel contrabbando di petrolio con i militanti dello Stato islamico. “Un team di banditi che rubano il greggio dai loro vicini opera nella regione – ha detto il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov, dopo le denuncia del presidente Putin (leggi) – il presidente e la sua famiglia sono coinvolti in questo business criminale”. Il diretto interessato risponde parlando di “calunnie” e con Ankara si schiera il Pentagono: “Accuse assurde”
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"Enormi quantità di greggio" entrano in territorio turco attraverso migliaia di camion, ha spiegato in un briefing con i giornalisti il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov. "Tre le rotte principali", ha rincarato la dose il vice capo di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi. A riprova delle accuse, sono state mostrate foto dei tir che attraversano la frontiera con la Siria e mappe con i movimenti dettagliati del contrabbando. Il presidente turco: "Nessuno ha il diritto di calunniarci"
di F. Q. | 2 dicembre 2015
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La Turchia è il principale consumatore di petrolio dello Stato Islamico e la famiglia del presidente Tayyip Recep Erdogan è coinvolta nel traffico di greggio proveniente dalla Siria. Dopo le denunce dei giorni scorsi mosse dal presidente Vladimir Putin, cui il capo di Stato turco aveva risposto chiedendo di provare le accuse e dicendosi pronto a dimettersi laddove provate, il ministero della Difesa di Mosca è tornata a puntare il dito contro il governo di Ankara. Che ha risposto immediatamente: nessuno ha il diritto di “calunniare” la Turchia, ha detto Erdogan parlando in un’università a Doha, in Qatar: “Nel momento in cui potranno provarlo mi dimetterò, come dovrebbero fare quelli che non possono provare le loro accuse”.
Gli Stati Uniti si schierano dalla parte della Turchia, Paese membro della Nato. Il Dipartimento di Stato Usa nega che ci sia qualunque tipo di legame che suggerisca un coinvolgimento della Turchia nei traffici sul contrabbando di petrolio con l’Isis. Lo riferisce il portavoce, Mark Toner. “Rifiutiamo categoricamente l’idea che la Turchia stia lavorando con l’Isis. E’ totalmente assurdo – ha affermato il portavoce del Pentagono Steve Warren – la Turchia partecipa attivamente ai raid della coalizione contro i jihadisti”, ha detto ancora Warren. “Se i russi sono preoccupati per il petrolio dell’Isis, dovrebbero prendersela con Assad (presidente siriano, ndr), il più largo consumatore”, il commento del portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest.
A muovere le accuse contro la famiglia presidenziale erano stati i vertici militari di Mosca. “Oggi – ha detto in un briefing con i giornalisti il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov – presentiamo solo alcuni dei fatti che confermano che un team di banditi ed elite turche che ruba il petrolio dai loro vicini opera nella regione”. “Secondo le nostre informazioni – ha aggiunto Antonov, che ha parlato di “enormi quantità di petrolio” che entrano in territorio turco attraverso migliaia di camion – la massima leadership politica del Paese, il presidente e la sua famiglia, è coinvolta in questo business criminale“, ha spiegato il viceministro senza però presentare elementi per sostenere la tesi, oltre alla nomina già nota del genero del presidente Berat Albayrak come ministro dell’energia e gli interessi economici del figlio di Erdogan, Bilal.
“Sono state individuate – ha detto il vice capo di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi - tre rotte principali per il trasporto del petrolio verso il territorio turco dalle zone controllate dalle formazioni dei banditi”. Il petrolio estratto nei giacimenti intorno a Raqqa viaggia attraverso il percorso occidentale che arriva al Mediterraneo, ai porti di Dortyol e Alessandretta, passando dalla località di Azaz, la cittadina turkmena vicino al confine presa di mira nei raid russi dopo l’abbattimento del Sukhoi-24, e quindi dal punto di confine accanto a Reyhanli.
Il secondo percorso arriva dai pozzi di Deir ez-Zor, passa dal punto di confine con la Turchia di Kamisli e quindi alla raffineria turca di Batman (citata come Patma dal quotidiano economico russo Vedomosti), a cento chilometri dal confine. La strada orientale invece parte, sempre secondo le accuse di Mosca, dal nord est della Siria e dal nord ovest dell’Iraq ed è diretta allo snodo petrolifero turco vicino a Silopi e al confine con l’Iraq. In totale, ha spiegato Rudskoi, in questo traffico di petrolio dalla Siria e dall’Iraq sono impiegati almeno 850 camion.
A riprova delle accuse, nel corso del briefing sono state diffuse foto dei camion carichi di petrolio che attraversano la frontiera tra la Siria e la Turchia, video dei raid aerei contro i depositi dell’Is e mappe con i movimenti dettagliati del contrabbando. Rudskoi ha precisato che altre prove saranno pubblicate nei prossimi giorni sul sito del ministero. Dopo l’abbattimento, il 24 novembre scorso, di un caccia russo da parte delle Forze aeree turche con l’accusa di avere violato lo spazio aereo, Putin aveva accusato Ankara di averlo fatto perché il Sukhoi stava raccogliendo prove sul contrabbando.
A riprova della vicinanza tra la Turchia e l’Isis ci sono, poi, i numeri dei combattenti che raggiungono le file dello Stato Islamico passando per il confine turco. “Solo nell’ultima settimana” hanno raggiunto i gruppi dell’Isis e di al-Nusra, “fino a 2.000 militanti, oltre 120 tonnellate di munizioni e circa 250 mezzi di trasporto”, ha spiegato il capo del centro nazionale russo per la gestione della Difesa, Mikhail Mizintsev. “Secondo i nostri attendibili dati di ricognizione – ha detto il generale – la parte turca svolge azioni simili da tempo e regolarmente e, cosa più importante a nostro avviso, non intende smettere”.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Occhio per occhio, dente per dente.
Sembra che la serie di incidenti miri a scatenare la reazione russa, come una ripetizione di Sarajevo.
STATO ISLAMICO
Isis, «spia russa» decapitata in video
Ancora minacce a Mosca
In un nuovo filmato di propaganda il boia, a volto scoperto, taglia la testa a un uomo accusato di essere un infiltrato delle forze speciali del Cremlino
di M.Ser.
http://www.corriere.it/esteri/15_dicemb ... ceec.shtml
Occhio per occhio, dente per dente.
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In un nuovo filmato di propaganda il boia, a volto scoperto, taglia la testa a un uomo accusato di essere un infiltrato delle forze speciali del Cremlino
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
La guerra in Siria raccontata in 4 minuti
Dal 2011 a oggi chi combatte e perché, da Assad a Isis, fino agli attentati di Parigi - a cura di Marta Serafini /Corriere TV
http://video.corriere.it/guerra-siria-r ... iuvisti_hp
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Dal 2011 a oggi chi combatte e perché, da Assad a Isis, fino agli attentati di Parigi - a cura di Marta Serafini /Corriere TV
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
PASSO DOPO PASSO IN UN CRESCENDO ROSSINIANO ALLA RICERCA DELL'INCIDENTE COME A SARAJEVO
CHE LA GUERRA SIA IN ATTO LO SI VEDE DAL LIVELLO DI "INFORMAZIONE/DISINFORMAZIONE"
Caccia abbattuto, Putin: “Turchia se ne pentirà”
Erdogan ribalta le accuse: “Affari russi con Isis”
Nel discorso alla nazione, il leader del Cremlino minaccia Ankara e chiede coalizione a guida Onu
Mosca sospende negoziati per il gasdotto Turkish Stream. Il presidente turco: “Prove di traffico petrolio”
Mondo
Nel tradizionale discorso alla nazione, il presidente della Federazione russa è tornato ad accusare Ankara dopo l’abbattimento del SU-24 da parte di F-16 turchi dello scorso 24 novembre: chi pensa che Erdogan “se la caverà con qualche misura che riguarda i pomodori si sbaglia di grosso”. Intanto Mosca sospende i negoziati per il gasdotto Turkish Stream. Dalla Turchia arriva la replica di Erdogan che rispedisce al mittente le accuse russe: “E’ Mosca che traffica con il petrolio dello Stato Islamico, abbiamo le prove”
http://www.ilfattoquotidiano.it/?refresh_ce
PASSO DOPO PASSO IN UN CRESCENDO ROSSINIANO ALLA RICERCA DELL'INCIDENTE COME A SARAJEVO
CHE LA GUERRA SIA IN ATTO LO SI VEDE DAL LIVELLO DI "INFORMAZIONE/DISINFORMAZIONE"
Caccia abbattuto, Putin: “Turchia se ne pentirà”
Erdogan ribalta le accuse: “Affari russi con Isis”
Nel discorso alla nazione, il leader del Cremlino minaccia Ankara e chiede coalizione a guida Onu
Mosca sospende negoziati per il gasdotto Turkish Stream. Il presidente turco: “Prove di traffico petrolio”
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
PASSO DOPO PASSO IN UN CRESCENDO ROSSINIANO ALLA RICERCA DELL'INCIDENTE COME A SARAJEVO
Isis, Putin: “Serve una coalizione a guida Onu”. E sul caccia abbattuto: “Turchia si pentirà”. Erdogan: “Affari russi con Isis”
Nel tradizionale discorso alla nazione, il leader del Cremlino è tornato ad accusare Ankara dopo l'abbattimento del SU-24 da parte di F-16 turchi dello scorso 24 novembre: chi pensa che "se la caverà con qualche sanzione economica, si sbaglia di grosso". Mosca sospende i negoziati per il gasdotto Turkish Stream. Erdogan ribalta le accuse sui rapporti con lo Stato Islamico: "Russia traffica con il petrolio dei jihadisti"
di F. Q. | 3 dicembre 2015
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“Serve un unico e potente fronte antiterrorista che agisca sotto l’egida dell’Onu“. Nel tradizionale discorso alla Nazione Vladimir Putin indica la strada alla comunità internazionale sul fronte della lotta allo Stato Islamico. Un intervento di fronte al Parlamento che assume una valenza particolare, perché cade nel pieno dello scontro scoppiato tra Mosca e Ankara dopo l’abbattimento del caccia russo nei cieli della Siria settentrionale, lo scorso 24 novembre. E se mercoledì aveva accusato Ankara e la famiglia di Tayyip Recep Erdogan di fare traffici con il petrolio “rubato dallo Stato Islamico in Siria e in Iraq”, oggi il presidente turco passa al contrattacco: “E’ la Russia che fa traffici con il greggio dell’Isis, abbiamo le prove”.
“Bisogna lasciare da parte tutte le differenze e creare un unico e potente fronte antiterrorista che agisca in base al diritto internazionale e sotto l’egida dell’Onu”, ha spiegato il presidente della Federazione russa, suggerendo nei fatti un superamento della strategia adottata da Barack Obama nella lotta allo Stato Islamico prima in Iraq e poi in Siria. Quindi il leader del Cremlino è tornato a puntare il dito contro la Turchia per l’abbattimento del SU-24 russo da parte di due F-16 turchi: “Non abbiamo intenzione di lanciarci in un tintinnare militare di spade, ma se qualcuno pensa che avere commesso questo terribile crimine di guerra, l’omicidio della nostra gente, se la caverà con qualche misura che riguarda i pomodori o qualche limite su costruzione e altri settori, si sbaglia di grosso”, ha detto Putin, aggiungendo: “La Turchia si pentirà più di una volta per quello che ha fatto”.
La risposta di Ankara non si è fatta attendere ed è stato Erdogan in persona a riportare il dibattito sui commerci di petrolio attraverso i quali si finanziano i jihadisti dell’Isis. Ribaltando le accuse: “La Turchia ha le prove del coinvolgimento della Russia nel traffico del petrolio del sedicente Stato Islamico e le riveleremo al mondo”, ha detto il presidente turco in un discorso trasmesso in diretta tv, rispondendo alle accuse rivolte da Mosca alla sua famiglia in merito a un presunto coinvolgimento nel traffico del greggio. “La parte immorale di questa controversia sta tirando in ballo la mia famiglia”, ha detto il capo di Stato turco.
Nel discorso alla nazione, Putin ha parlato a lungo dell’abbattimento del Sukhoi. E sulle motivazioni che hanno spinto Ankara ad abbattere il velivolo militare, il presidente della Federazione russa ha tirato in ballo la religione: “Probabilmente solo Allah sa perché lo hanno fatto. E evidentemente Allah ha deciso di punire la cricca al potere in Turchia, privandola di ogni logica o ragione”. Ma il presidente russo ha tenuto a distinguere chiaramente tra leadership turca e quelli che ha definito “i tanti affidabili amici in Turchia” della Russia.
Una parte importante del discorso di Putin è stato dedicato alla lotta al terrorismo. Il presidente ha iniziato il suo intervento rivolgendosi alle vedove dei militari uccisi – quello del caccia e quello dell’elicottero che era partito alla ricerca dei piloti dell’aereo colpito – quindi ha fatto osservare un minuto di silenzio per le vittime russe del terrorismo, incluse le 224 persone uccise nell’attentato all’aereo esploso sul Sinai il 31 ottobre. “La Russia per lungo tempo è stata in prima linea nella lotta contro il terrorismo. Si tratta di una lotta per la libertà, la verità e la giustizia, per la vita delle persone e il futuro della civiltà”.
“Le nostre forze armate in Siria stanno combattendo prima di tutto per la Russia, è la sicurezza del nostro popolo che stanno difendendo”, ha spiegato ancora Putin, ricordando che molti terroristi sono arrivati dalla Russia e dalla Csi: “Se diventeranno più forti, vincendo laggiù, inevitabilmente verranno qui per seminare paura e odio, per organizzare esplosioni, per uccidere e torturare la gente”, ha proseguito, sottolineando la necessità di distruggerli lontano dalla Russia.
Dopo le sanzioni decise nei giorni scorsi, Mosca ha approvato una nuova misura contro Ankara e l’annuncio è arrivato proprio mentre Putin era impegnato nel discorso alla Nazione: il ministro dell’energia Aleksandr Novak ha fatto sapere che i negoziati per il gasdotto russo-turco Turkish Stream sono sospesi. Novak ha spiegato, tuttavia, che la questione della costruzione della prima centrale nucleare turca resta aperta. E in mattinata Vladimir Kozhin, collaboratore di Putin, ha fatto sapere tramite l’agenzia Tass che la Russia ha avviato le consegne dei suoi sistemi di difesa anti aerea S-300 all’Iran
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PASSO DOPO PASSO IN UN CRESCENDO ROSSINIANO ALLA RICERCA DELL'INCIDENTE COME A SARAJEVO
Isis, Putin: “Serve una coalizione a guida Onu”. E sul caccia abbattuto: “Turchia si pentirà”. Erdogan: “Affari russi con Isis”
Nel tradizionale discorso alla nazione, il leader del Cremlino è tornato ad accusare Ankara dopo l'abbattimento del SU-24 da parte di F-16 turchi dello scorso 24 novembre: chi pensa che "se la caverà con qualche sanzione economica, si sbaglia di grosso". Mosca sospende i negoziati per il gasdotto Turkish Stream. Erdogan ribalta le accuse sui rapporti con lo Stato Islamico: "Russia traffica con il petrolio dei jihadisti"
di F. Q. | 3 dicembre 2015
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“Serve un unico e potente fronte antiterrorista che agisca sotto l’egida dell’Onu“. Nel tradizionale discorso alla Nazione Vladimir Putin indica la strada alla comunità internazionale sul fronte della lotta allo Stato Islamico. Un intervento di fronte al Parlamento che assume una valenza particolare, perché cade nel pieno dello scontro scoppiato tra Mosca e Ankara dopo l’abbattimento del caccia russo nei cieli della Siria settentrionale, lo scorso 24 novembre. E se mercoledì aveva accusato Ankara e la famiglia di Tayyip Recep Erdogan di fare traffici con il petrolio “rubato dallo Stato Islamico in Siria e in Iraq”, oggi il presidente turco passa al contrattacco: “E’ la Russia che fa traffici con il greggio dell’Isis, abbiamo le prove”.
“Bisogna lasciare da parte tutte le differenze e creare un unico e potente fronte antiterrorista che agisca in base al diritto internazionale e sotto l’egida dell’Onu”, ha spiegato il presidente della Federazione russa, suggerendo nei fatti un superamento della strategia adottata da Barack Obama nella lotta allo Stato Islamico prima in Iraq e poi in Siria. Quindi il leader del Cremlino è tornato a puntare il dito contro la Turchia per l’abbattimento del SU-24 russo da parte di due F-16 turchi: “Non abbiamo intenzione di lanciarci in un tintinnare militare di spade, ma se qualcuno pensa che avere commesso questo terribile crimine di guerra, l’omicidio della nostra gente, se la caverà con qualche misura che riguarda i pomodori o qualche limite su costruzione e altri settori, si sbaglia di grosso”, ha detto Putin, aggiungendo: “La Turchia si pentirà più di una volta per quello che ha fatto”.
La risposta di Ankara non si è fatta attendere ed è stato Erdogan in persona a riportare il dibattito sui commerci di petrolio attraverso i quali si finanziano i jihadisti dell’Isis. Ribaltando le accuse: “La Turchia ha le prove del coinvolgimento della Russia nel traffico del petrolio del sedicente Stato Islamico e le riveleremo al mondo”, ha detto il presidente turco in un discorso trasmesso in diretta tv, rispondendo alle accuse rivolte da Mosca alla sua famiglia in merito a un presunto coinvolgimento nel traffico del greggio. “La parte immorale di questa controversia sta tirando in ballo la mia famiglia”, ha detto il capo di Stato turco.
Nel discorso alla nazione, Putin ha parlato a lungo dell’abbattimento del Sukhoi. E sulle motivazioni che hanno spinto Ankara ad abbattere il velivolo militare, il presidente della Federazione russa ha tirato in ballo la religione: “Probabilmente solo Allah sa perché lo hanno fatto. E evidentemente Allah ha deciso di punire la cricca al potere in Turchia, privandola di ogni logica o ragione”. Ma il presidente russo ha tenuto a distinguere chiaramente tra leadership turca e quelli che ha definito “i tanti affidabili amici in Turchia” della Russia.
Una parte importante del discorso di Putin è stato dedicato alla lotta al terrorismo. Il presidente ha iniziato il suo intervento rivolgendosi alle vedove dei militari uccisi – quello del caccia e quello dell’elicottero che era partito alla ricerca dei piloti dell’aereo colpito – quindi ha fatto osservare un minuto di silenzio per le vittime russe del terrorismo, incluse le 224 persone uccise nell’attentato all’aereo esploso sul Sinai il 31 ottobre. “La Russia per lungo tempo è stata in prima linea nella lotta contro il terrorismo. Si tratta di una lotta per la libertà, la verità e la giustizia, per la vita delle persone e il futuro della civiltà”.
“Le nostre forze armate in Siria stanno combattendo prima di tutto per la Russia, è la sicurezza del nostro popolo che stanno difendendo”, ha spiegato ancora Putin, ricordando che molti terroristi sono arrivati dalla Russia e dalla Csi: “Se diventeranno più forti, vincendo laggiù, inevitabilmente verranno qui per seminare paura e odio, per organizzare esplosioni, per uccidere e torturare la gente”, ha proseguito, sottolineando la necessità di distruggerli lontano dalla Russia.
Dopo le sanzioni decise nei giorni scorsi, Mosca ha approvato una nuova misura contro Ankara e l’annuncio è arrivato proprio mentre Putin era impegnato nel discorso alla Nazione: il ministro dell’energia Aleksandr Novak ha fatto sapere che i negoziati per il gasdotto russo-turco Turkish Stream sono sospesi. Novak ha spiegato, tuttavia, che la questione della costruzione della prima centrale nucleare turca resta aperta. E in mattinata Vladimir Kozhin, collaboratore di Putin, ha fatto sapere tramite l’agenzia Tass che la Russia ha avviato le consegne dei suoi sistemi di difesa anti aerea S-300 all’Iran
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... qus_thread
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Re: La Terza Guerra Mondiale
In un momento critico come questo diventa più che utile conoscere il parere degli italiani.
La vox populi
ginobonatesta (0ccfec30) • 10 minuti fa
La tecnica/tattica del rivoltare (al volo) la frittata quando, raramente, riesce la fa cuocere meglio ma, il più delle volte la fa spiaccicare a terra. Non avendo altro da dire Erdo tenta quella tecnica ma il risultato penso non sarà di suo gradimento. Cerchiamo di capire: Putin non aveva pagato un carico di petrolio all'isis e allora quelli hanno deciso di far cadere un aereo russo con più di 200 persone a bordo, ci crede solo Erdo il quale, non capisco perchè non protestò energicamente quando lo zar, a casa sua e, con chiari riferimenti alla Turchia e ai paesi Arabi disse, in modo esplicito, che nel consesso del G-20 sedevano paesi che, in modi diversi, finanziavano isis. Dei traffici di Erdo invece si conosce quasi tutto. E' chiaro che Putin non farà nessun atto militarmente ostile nei confronti di Erdogan, gli darebbe la possibilità di invocare l'intervento Nato ma, a parte quelli di natura economica e collaborazione industriale che già non sono poca cosa, probabilmente, darà manforte in modi diversi ai suoi oppositori interni. A mio parere però Putin ha sbagliato definendo l'abbattimento del SU-24 un "crimine di guerra" è un crimine punto perchè non c'era una guerra in atto fra loro, così quasi lo legittima a meno che, gli strateghi militar/diplomatici zaristi non abbiano altre visioni e soluzioni che si possono avere solo "godendo" delle loro informazioni che gli consentano, come al gioco degli schacchi, appunto, di prevedere mosse e sviluppi della situazione sul campo.
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Nerone2 • 15 minuti fa
Putin: “Turchia si pentirà” ... in poche parole da questa frase vedo una nascita dello Stato del Kurdistan a breve.... :-)
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Zunal • 16 minuti fa
Il traffico di petrolio di contrabbando verso la Turchia è cosa nota e puredatata: quello che ora si imputa alla famiglia Erdogan, negli anni` '90 lo facevano i generali turchi acquistando il petrolio di contrabbando di Saddam sottoposto a sanzioni e poi rivendendolo.
Oggi la differenza sostanziale rispetto all'epoca sta nel fatto che acquistando il petrolio da ISIS si alimenta e si finanzia il terrorismo internazionale.
Terrorismo che non ha esisato a colpire con violenza anche i cittadini russi con il tragico attentato sul Sinai oltre alla recentissima decapitazione in youtubevisione. Per cui appare totalmente astrusa l'autodifesa di Erdogan che imputa a Mosca di fare affari petroliferi, che per la Russia rappresenterebbero una goccia nell'oceano che esportano giornalmente essendo il primo produttore mondiale, con chi ammazza la propria gente.
Putin ha solo aggiunto dettagli ad una narrazione, quella degli intrallazzi tra Turchia ed ISIS, gia noti non solo ai giornalisti d'opposizione turchi oggi sbattuti in carcere e processati, ma anche a studi condotti oltreoceano come quello della Columbia University.
Piuttosto resterà da osservare l'evoluzione delle sempre piu crescenti tensioni nell'area, perche, ad una Washington che fa orecchio da mercante e nega l'evidenza difendendo Erdogan (e quindi implicitamente se stessa), ora dovremo aggiungere l'interventismo britannico e tedesco unito a quello francese. Il tutto, ovviamente, senza alcun mandato internazionale alle spalle.
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frattale • 20 minuti fa
Micidiale, cani e porci trafficano con con il Califfato. Sciiti contro Sunniti, Usa contro Russia e Assad, Curdi contro califfato. Iran contro al-nusdra/al quaida.
Arabia saudita -Qatar contro chi gli capita a tiro in siria come in Yemen. Israeliani che trafficano con il petrolio che i turchi gli forniscono. Turchi che massacrano i curdi di una fazione, ma si beccano il petrolio di un altra fazione.
Fotografie del figlio di Erdogan con il califfo, fotografie dfi Mac Cain con il califffo.
Dichiarazioni del vice presidente usa su chi ha creato l'isis,ovvero gli usa, dichiarazioni del vicesegretario del tesoro usa su chi ha creato l'isis,ovvero gli usa.
Dichiarazioni del responsabile della prigione di Abu Ghraib che il futuro califfo, imprigionato, è stato liberato su ordine superiore.
To be continued.......
Per fortuna che noi di FQ abbiamo il genio della geopolitica Fabio Scacciavillani che considera non geostrategica della Siria e ci tranquillizza.
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Nerone2 • 20 minuti fa
Guerra aperta contro il fronte "terroristico" Doctors Without Borders.
Arabia Saudita ieri ha bombardato un ospedale di Doctors Without Borders nello Yemen.
Ahhh quando si dice che lo studente sorpassa il "professore".... come sono veri i proverbi....
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fin€imp€(u)ro • 21 minuti fa
Tutto l’Occidente, in perfetta malafede, è schierato a dar ragione ad Erdogan e a sostenere di fatto DAESH che cede sotto i colpi russi. Il numero delle provocazioni che emergono in questi giorni è troppo, per non vedere una volontà precisa L’ultima per il momento e forse la più inquietante provocazione: due sommergibili turchi (Dolunay e Burakreis) scortati dall’incrociatore americano USS Carney che porta missili balistici Aegis, stanno tallonando la nave da guerra Moskva, armata di missili S-300, al largo di Cipro, in acque internazionali.
La cosa è allarmante perché può essere il preludio alla ritorsione da Mosca più temuta: che la Turchia chiuda alla navigazione russa il Bosforo e i Dardanelli. Voci non confermabili che Erdogan lo sta già facendo – il traffico delle navi russe negli stretti viene vistosamente rallentato. Non c’è dubbio che il regime turco ci pensi, ne sia tentato. Il ministro Davutoglu ha minacciato: “Anche la Russia ha da molto da perdere” da controsanzioni. Se Erdogan chiudesse gli stretti, commetterebbe un atto di criminalità internazionale con pochi precedenti, una violazione della libertà di navigazione sancita – per gli Stretti – dalla Convenzione di Montreux del 1936.
Mosca potrebbe far valere la Convenzione ed ottenere una condanna della cosiddetta comunità internazionale. Ma in quale sede? L’Onu? L’Europa? E’ chiaro che la “comunità internazionale” è dominata dall’impero del caos, e gli darebbe torto.
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La vox populi
ginobonatesta (0ccfec30) • 10 minuti fa
La tecnica/tattica del rivoltare (al volo) la frittata quando, raramente, riesce la fa cuocere meglio ma, il più delle volte la fa spiaccicare a terra. Non avendo altro da dire Erdo tenta quella tecnica ma il risultato penso non sarà di suo gradimento. Cerchiamo di capire: Putin non aveva pagato un carico di petrolio all'isis e allora quelli hanno deciso di far cadere un aereo russo con più di 200 persone a bordo, ci crede solo Erdo il quale, non capisco perchè non protestò energicamente quando lo zar, a casa sua e, con chiari riferimenti alla Turchia e ai paesi Arabi disse, in modo esplicito, che nel consesso del G-20 sedevano paesi che, in modi diversi, finanziavano isis. Dei traffici di Erdo invece si conosce quasi tutto. E' chiaro che Putin non farà nessun atto militarmente ostile nei confronti di Erdogan, gli darebbe la possibilità di invocare l'intervento Nato ma, a parte quelli di natura economica e collaborazione industriale che già non sono poca cosa, probabilmente, darà manforte in modi diversi ai suoi oppositori interni. A mio parere però Putin ha sbagliato definendo l'abbattimento del SU-24 un "crimine di guerra" è un crimine punto perchè non c'era una guerra in atto fra loro, così quasi lo legittima a meno che, gli strateghi militar/diplomatici zaristi non abbiano altre visioni e soluzioni che si possono avere solo "godendo" delle loro informazioni che gli consentano, come al gioco degli schacchi, appunto, di prevedere mosse e sviluppi della situazione sul campo.
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Nerone2 • 15 minuti fa
Putin: “Turchia si pentirà” ... in poche parole da questa frase vedo una nascita dello Stato del Kurdistan a breve.... :-)
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Zunal • 16 minuti fa
Il traffico di petrolio di contrabbando verso la Turchia è cosa nota e puredatata: quello che ora si imputa alla famiglia Erdogan, negli anni` '90 lo facevano i generali turchi acquistando il petrolio di contrabbando di Saddam sottoposto a sanzioni e poi rivendendolo.
Oggi la differenza sostanziale rispetto all'epoca sta nel fatto che acquistando il petrolio da ISIS si alimenta e si finanzia il terrorismo internazionale.
Terrorismo che non ha esisato a colpire con violenza anche i cittadini russi con il tragico attentato sul Sinai oltre alla recentissima decapitazione in youtubevisione. Per cui appare totalmente astrusa l'autodifesa di Erdogan che imputa a Mosca di fare affari petroliferi, che per la Russia rappresenterebbero una goccia nell'oceano che esportano giornalmente essendo il primo produttore mondiale, con chi ammazza la propria gente.
Putin ha solo aggiunto dettagli ad una narrazione, quella degli intrallazzi tra Turchia ed ISIS, gia noti non solo ai giornalisti d'opposizione turchi oggi sbattuti in carcere e processati, ma anche a studi condotti oltreoceano come quello della Columbia University.
Piuttosto resterà da osservare l'evoluzione delle sempre piu crescenti tensioni nell'area, perche, ad una Washington che fa orecchio da mercante e nega l'evidenza difendendo Erdogan (e quindi implicitamente se stessa), ora dovremo aggiungere l'interventismo britannico e tedesco unito a quello francese. Il tutto, ovviamente, senza alcun mandato internazionale alle spalle.
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frattale • 20 minuti fa
Micidiale, cani e porci trafficano con con il Califfato. Sciiti contro Sunniti, Usa contro Russia e Assad, Curdi contro califfato. Iran contro al-nusdra/al quaida.
Arabia saudita -Qatar contro chi gli capita a tiro in siria come in Yemen. Israeliani che trafficano con il petrolio che i turchi gli forniscono. Turchi che massacrano i curdi di una fazione, ma si beccano il petrolio di un altra fazione.
Fotografie del figlio di Erdogan con il califfo, fotografie dfi Mac Cain con il califffo.
Dichiarazioni del vice presidente usa su chi ha creato l'isis,ovvero gli usa, dichiarazioni del vicesegretario del tesoro usa su chi ha creato l'isis,ovvero gli usa.
Dichiarazioni del responsabile della prigione di Abu Ghraib che il futuro califfo, imprigionato, è stato liberato su ordine superiore.
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Per fortuna che noi di FQ abbiamo il genio della geopolitica Fabio Scacciavillani che considera non geostrategica della Siria e ci tranquillizza.
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Nerone2 • 20 minuti fa
Guerra aperta contro il fronte "terroristico" Doctors Without Borders.
Arabia Saudita ieri ha bombardato un ospedale di Doctors Without Borders nello Yemen.
Ahhh quando si dice che lo studente sorpassa il "professore".... come sono veri i proverbi....
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fin€imp€(u)ro • 21 minuti fa
Tutto l’Occidente, in perfetta malafede, è schierato a dar ragione ad Erdogan e a sostenere di fatto DAESH che cede sotto i colpi russi. Il numero delle provocazioni che emergono in questi giorni è troppo, per non vedere una volontà precisa L’ultima per il momento e forse la più inquietante provocazione: due sommergibili turchi (Dolunay e Burakreis) scortati dall’incrociatore americano USS Carney che porta missili balistici Aegis, stanno tallonando la nave da guerra Moskva, armata di missili S-300, al largo di Cipro, in acque internazionali.
La cosa è allarmante perché può essere il preludio alla ritorsione da Mosca più temuta: che la Turchia chiuda alla navigazione russa il Bosforo e i Dardanelli. Voci non confermabili che Erdogan lo sta già facendo – il traffico delle navi russe negli stretti viene vistosamente rallentato. Non c’è dubbio che il regime turco ci pensi, ne sia tentato. Il ministro Davutoglu ha minacciato: “Anche la Russia ha da molto da perdere” da controsanzioni. Se Erdogan chiudesse gli stretti, commetterebbe un atto di criminalità internazionale con pochi precedenti, una violazione della libertà di navigazione sancita – per gli Stretti – dalla Convenzione di Montreux del 1936.
Mosca potrebbe far valere la Convenzione ed ottenere una condanna della cosiddetta comunità internazionale. Ma in quale sede? L’Onu? L’Europa? E’ chiaro che la “comunità internazionale” è dominata dall’impero del caos, e gli darebbe torto.
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