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Matteo Renzi blinda l'Italicum, ma la direzione Pd finisce col botto. Voci di dimissioni di Cuperlo da presidente
Pubblicato: 20/01/2014 21:53 CET | Aggiornato: 20/01/2014 22:00 CET
Era andato tutto liscio, più o meno, considerate le premesse.
Ma la direzione nazionale del Pd, quella dove Matteo Renzi presenta il suo ‘Italicum’, quella che alla fine approva il testo di legge elettorale concordato sia con Angelino Alfano che con Silvio Berlusconi, finisce col botto.
Deflagrante, da scuotere tutto il complesso del Nazareno.
L’avevano detto i suoi che Matteo sarebbe stato duro con la minoranza che gli fa storie perché vuole le preferenze nel sistema di voto.
Ma di certo nemmeno il segretario stesso metteva in conto quello che invece poi è successo con Gianni Cuperlo, il presidente dell’assemblea che adesso medita addirittura le dimissioni dall’incarico.
Come Stefano Fassina che dopo quel ‘chi?’ di troppo pronunciato dal sindaco ha lasciato il posto di viceministro del governo Letta.
Renzi auspica che non lasci, ma certo non pensa di scusarsi.
“Di che? Ha detto la verità…”, dicono i suoi.
Succede tutto nelle battute finali della direzione.
Renzi replica al dibattito che per circa quattro ore ha tenuto impegnato il partito.
E si toglie i sassolini dalle scarpe con l’opposizione interna.
Dice a chiare lettere quello che i suoi dicevano già nel pomeriggio, premurandosi di non fare nomi: “Chiedono le preferenze ma poi alcuni di loro sono arrivati in Parlamento senza passare dalle primarie…”.
Lontano dai taccuini, il nome lo facevano: “Gianni Cuperlo, tre volte eletto in Parlamento.
In una parola: nominato”.
Ma è accaduto l’imprevisto, come succede spesso con Renzi.
Perché quel nome lo ha fatto proprio lui in direzione.
"Gianni, avrei voluto sentirti parlare di preferenze quando vi siete candidati senza fare le primarie - ha attaccato Renzi – se me lo dice Fassina che ha preso 12 mila preferenze ok, ma non chi è entrato con il listino, non è accettabile aprire il tema della preferenza in modo strumentale adesso, non lo accetto".
E poi: “Se vuole Cuperlo può replicare, è giusto…”.
Ma non fa nemmeno in tempo a finire la frase, si gira e non lo vede più al tavolo della presidenza.
Ne prende atto:
“Andato via, mi dispiace per lui…”. Pazienza.
Il punto è che per la minoranza non finisce lì.
Cuperlo intanto ha preso armi e bagagli dalla presidenza e si è cercato un posto in platea, capita accanto al renziano David Ermini.
Imbarazzo e gelo in direzione.
Poi c’è il voto: ok all’Italicum, solo 34 astensioni della minoranza, che decide quindi di non esprimersi in materia contraria sulla relazione del segretario pensando di compiere un gesto di pacificazione.
Andato in fumo.
Se non sul voto, il dramma si apre sul caso Cuperlo.
Che scoppia subito in sala.
Non appena terminata la direzione, i bersaniani Alfredo D’Attorre e Davide Zoggia, lo stesso Guglielmo Epifani, la lettiana Paola De Micheli, il ministro Andrea Orlando conferiscono con il renziano Luca Lotti.
Poi vanno da Cuperlo, parlano fitto fitto e decidono di riunirsi come minoranza.
Stefano Fassina pensa sia bene compiere il passo fino in fondo: dimissioni dalla presidenza dell’assemblea Pd.
Un passo che del resto viene invocato anche da qualche renziano, come la senatrice Rosa Maria Di Giorgi: “Cuperlo lasci la presidenza del Pd. Il livore e l'astio che hanno caratterizzato il suo intervento contro il segretario Matteo Renzi rendono evidente che non è in grado di garantire la terzietà richiesta da un ruolo di garanzia, come quello che ricopre".
Ma quello della Di Giorgi è uno sfogo isolato.
Davide Faraone è più morbido, anche se non chiede a Cuperlo un passo indietro.
Si limita a dire: “Mi dispiace che non si sia trovato d'accordo con le nostre posizioni.
Spero che si possa recuperare strada facendo, lungo il percorso che abbiamo avviato.
C'è una grande convergenza tra le forze politiche del Paese e spero che anche nel partito si possa ritrovare unità su questi temi perché altrimenti sarebbe un peccato: in pochissimo tempo stiamo riuscendo in quello in cui tutti hanno fallito negli ultimi trent'anni".
E il segretario? Auspica che Cuperlo non lasci.
Ma questo non vuol dire che sia disposto a tornare sui suoi passi. Come per il caso Fassina, Renzi non si scusa: non ci sono motivi per farlo.
“Di che? - dicono i suoi - Per aver detto la verità?”.
“Voglio fare della direzione un luogo di discussione vera”, ha detto in effetti il segretario nelle repliche, persino invitando la minoranza a votare contro: “Legittimo dire non sono d’accordo e si può anche votare contro, ma non si usi il paravento della incostituzionalità per non parlare di politica”.
E deve essere stata questa la prima scintilla che si è accesa nei pensieri di Cuperlo, una provocazione che, messa insieme alla battuta finale che ha fatto scattare il finimondo, lascia concludere al bersaniano Danilo Leva: “Qui c’è una gestione padronale del partito, non si sta così in un partito, non è casa propria…”.
Insomma il parto dell’Italicum avviene in un clima avvelenatissimo nel Pd.
Da parte della minoranza non c’è solo la richiesta delle preferenze, al posto delle piccole liste bloccate previste nel testo concordato con Alfano e Berlusconi.
C’è che la soglia per avere il premio di maggioranza, 35 per cento, non va d’accordo con la sentenza anti-Porcellum della Consulta, ha argomentato Cuperlo.
Intervento durissimo il suo, teso a smontare tutta la riforma, “dobbiamo discutere e approfondire ancora”, concludeva il presidente.
E Renzi non ha gradito. “Si è rotto l’idillio con Gianni ormai”, commentano i suoi: “E’ stato l’intervento di Cuperlo a fargli scattare i nervi…”.
Ma gongolano, perché in direzione il segretario ha incassato l'appoggio di un rottamatato doc come Franco Marini che proprio a Cuperlo, il candidato con cui si era schierato alle primarie, ha chiesto uno sforzo per "l'unità del partito".
Non è servita la mediazione di Marini, men che meno le parole di Walter Veltroni sceso in campo in direzione per difendere e spiegare il decisionismo renziano: "Le democrazie muoiono per decisione e non per mancanza di decisione...".
Massimo D'Alema invece è presente, ma non prende la parola.
Insiste il segretario con i suoi, “abbiamo fatto di tutto, siamo arrivati ad un testo che mette d’accordo anche le forze della maggioranza e insieme rassicuriamo sulla durata della legislatura”.
In quanto insieme all’Italicum che Renzi conta di approvare alla Camera “per metà febbraio” e al Senato “entro maggio”, anche se i suoi considerano possibile il termine più ravvicinato di “fine febbraio”, il leader Dem ha messo in careggiata anche le riforme costituzionali: “Il ddl di trasformazione del Senato in Camera delle Autonomie da presentare a metà febbraio e approvare in prima lettura entro le europee di maggio.
E poi la riforma del Titolo V”.
Per Renzi queste sono rassicurazioni sulla durata del governo Letta: “L’accordo sta in piedi tutto insieme o non sta.
Chi vuole modificarlo in Parlamento manda all’aria tutto.
Non è una riforma a la carte…”.
E ancora: “E’ un accordo che va oltre scadenza del maggio 2014: è ingeneroso dire che volevo fare le scarpe al presidente del Consiglio”.
Il segretario non digerisce che la minoranza continui a scalpitare, quando lui mira solo a “fare la differenza passo dopo passo”.
Il voto non è all’orizzonte o quanto meno non è negli obiettivi. Anzi. Dopo la giornata di oggi e l’incontro conclusivo con Alfano sulla legge elettorale, i renziani parlano più apertamente di Letta bis.
“Ora è più probabile”, dicono ma non per chiederlo.
Piuttosto perché si aspettano che Letta lo metta in campo per rilanciare il governo.
Se ne sarebbe parlato anche nel faccia a faccia tra Renzi e il leader di Ncd. Ma la risposta del segretario è la stessa: “Faccia Letta, scelga lui i ministri. Io non me ne impiccio né chiedo il Letta bis”.
Della serie: il premier non si occupi di legge elettorale e io farò lo stesso con il governo.
Una posizione che evidentemente mantiene le distanze. Come con Fassina.
E ora anche con Cuperlo.
http://www.huffingtonpost.it/2014/01/20 ... _ref=italy