Sfascisti - 224
2014 a schede
Scheda – 26 – La follia totale accelera
26 – 4 – 31 gennaio 2014
Comprendere la follia degenerativa umana nella sue varie sfaccettature non è impresa facile. Campare di media come succede oggi 75/80 anni non è sufficiente. Ci vorrebbero più vite dedicate solo a questo studio, ma sappiamo tutti che non è possibile.
Ragione per cui certi passaggi della storia dell’umanità rimangono misteriosi.
Conosciamo gli Usa come un popolo nazionalista. Certamente lo è più di noi. Ma in parte si tratta di “propaganda”.
Rimane ad esempio un punto oscuro il fatto che mentre cittadini americani chiamati alle armi, cadevano sui campi di battaglia europei per liberare il vecchio continente dalla follia nazifascista, finanzieri made in Usa traevano i loro profitti sostenendo l’industria tedesca.
Scrive Jacques R. Pauwels in “ Le corporation che finanziavano Hitler” :
L’America certamente merita credito per il suo contributo importante alla vittoria, dopo strenua lotta, che alla fine ha arriso agli Alleati. Ma il ruolo delle imprese Americane giocato nella guerra è seccamente sintetizzato dalla dichiarazione del Presidente Roosevelt, per cui gli USA erano un “arsenale democratico”. Quando gli Americani sbarcarono in Normandia nel giugno 1944 e catturarono i primi autocarri, scoprirono che questi veicoli erano forniti di motori prodotti da industrie Americane, come la Ford e la General Motors. (1) quindi, era accaduto che il sistema industriale e finanziario americano era stato utilizzato come arsenale del Nazismo.
Quello che occorrerebbe sapere è se anche questo fatto sia avvenuto prima della seconda guerra mondiale oppure durante per via clandestina.
Rientrando ai giorni nostri una delle tante follie in corso è stata la svendita e lo smantellamento costante e sistematico delle nostre aziende che ci avevano collocato oltre una ventina di anni fa, prima dell’avvento dell’esercito sfascista, al settimo posto delle nazioni del pianeta. Siamo stati la settima potenza del mondo grazie alle nostre imprese ed al personale che le ha sostenute. Poi il declino irreversibile.
Questa precisa volontà di distruzione rimane comunque un mistero.
Come rimane un grande mistero il comportamento degli italiani in questi ultimi quindici giorni.
Condizionati anche da tutti i media megafoni del potere, non fanno che discutere della legge elettorale.
Un abitante di un’altra galassia sbarcato su questo pianeta per studiare il comportamento degli umani, non potrebbe non concludere che gli strani abitanti di quella fascia di terra a forma di stivale, sono umani generosi e altruisti.
Infatti, discutono animatamente da 15 giorni sulle modalità migliori per far vivere nel miglior modo possibile la casta che li sfrutta, discutendo della legge elettorale.
Non pensano a se stessi, ma pensano come far arrivare in Parlamento la casta.
In questa sbronza collettiva pilotata molto abilmente, dove il cane porta il gregge di PECORE dove vuole il pastore, la comunità tricolore riesce a non pensare ai suoi di problemi più impellenti e tragici.
Dimentica completamente quale sia la prima, la seconda, la terza, la quarta, la quinta priorità di questo stramaledetto Paese.
Lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, lavoro.
E’ stato pubblicato ieri su Il Fatto Quotidiano:
Industria, scordatevi i posti di lavoro
di Sandro Trento | 31 gennaio 2014
Commenti (47)
Ci sono in Italia oggi circa 3 milioni e 200 mila disoccupati (12,5 per cento), di questi 1,6 milioni sono disoccupati da 12 mesi e più (Istat), 660 mila sono giovani tra i 15 e i 29 anni: si tratta dell’11 per cento della popolazione di quella fascia di età. Due milioni di giovani non studiano e non lavorano.
La questione cruciale non è tanto la riforma delle norme ma come favorire la nascita di nuovi posti di lavoro.
(
non tutti hanno portato il cervello all'ammasso in questo periodo di follia collettiva-ndt)
Alcuni (il sindacato innanzitutto) pensano che sia ancora possibile aumentare i dipendenti pubblici.
Ma siamo in epoca di spending review e quindi la tendenza è semmai quella di una riduzione.
Nel 2013 abbiamo avuto una caduta del Pil di circa il 2 per cento e per il 2014 la crescita stimata è solo dello 0,6-0,7 per cento, troppo poco perché ci sia un impatto positivo sull’occupazione .
In quali settori si possono creare posti di lavoro? Ci sono settori ad alta intensità di tecnologia e settori ad alta intensità di lavoro.
I primi sono quelli sui quali è alla moda discettare a Ballarò: “Se leimprese italiane fossero come quelle tedesche o svedesi potrebbero creare più posti di lavoro qualificati per laureati e tecnici”, “se fossimo più presenti nei settori science-based ci si potrebbe sottrarre alla concorrenza cinese e rumena”.
Questo dibattito si nutre del volume di Enrico Moretti, La nuova geografia del lavoro in America, interessante ma poco adatto al caso italiano.
Per creare settori high-tech competitivi ci vuole tempo, almeno quindici anni.
Oggi siamo lontanissimi (come industria e come ricerca italiana) dalla frontiera tecnologica in tutti i settori che contano, dall’informatica, alla biotecnologia, ai nuovi materiali.
Si potrebbe attirare qualche investimento straniero ma fatichiamo anche a tenere in Italia gli investitori già attivi, come mostrail caso Electrolux.
Servirebbe un piano shock: scegliere alcune aree, possibilmente dove c’è un dipartimento universitario di eccellenza (quasi tutto il Sud sarebbe eslcuso), definire “regole speciali”: semplificazione amministrativa, sportelli per le imprese, scuole in inglese, taglio del cuneo fiscale. Siamo in grado?
Quanto conta la tecnologia
Parte rilevante della disoccupazione (in tutti i Paesi avanzati) è legata all’introduzione di nuove tecnologie che consentono di risparmiare lavoro. Non sempre la tecnologia penalizza solo i lavoratori a bassa qualificazione. Oggi è molto più facile automatizzare il lavoro di un contabile, di un cassiere di banca e di un operaio specializzato piuttosto che sostituire con robot o computer i giardinieri, i barbieri, le babysitter, gli addetti alle pulizie, i tassisti, le infermiere.
In molti casi le nuove tecnologie per essere sfruttate richiedono lavoratori molto qualificati, ma ci sono tantissimi lavori a bassa qualificazione che comportano funzioni di spostamento, di valutazione, di coordinamento delle azioni che non sembrano risentire del cambiamento tecnologico.
Nel passato l’industria manifatturiera creava posti di lavoro. Ma questo non accade più da 30 anni.
Su circa 23 milioni di occupati, l’industria manifatturiera ne vale meno di 5, i servizi invece circa 16,5 milioni.
Dall’Ilva agli elettrodomestici, dai pneumatici all’automobile, i grandi gruppi dimagriscono o chiudono.
I dati Ucimu (associazione dei produttori di macchine utenti e macchinari) mostrano che sono calate le vendite di macchinari industriali: le imprese stanno risparmiando.
C’è un grave problema di domanda insufficiente (consumi e investimenti) in Italia ma non è detto che la ripresa porterà occupazione nell’industria.
Nei Paesi avanzati la manifattura può continuare ad avere un ruolo ma è un ruolo di qualità e non più di quantità: si faranno alcune parti di prodotti complessi, si produrranno sistemi intelligenti che poi verranno inseriti in prodotti fatti in altri paesi.
Ma i numeri sono piccoli.
Dobbiamo allora ragionare su quali settori creino nuovi posti di lavoro, in un paese come l’Italia, non nella California di cui parla Enrico Moretti.
Ci sono attività terziarie che possono occupare persone con istruzione medio-bassa (la gran parte dei disoccupati).
La grande distribuzione commerciale o i servizi alla persona, dalla cura allo sport. Qui serve semplificazione e liberalizzazione degli orari.
Nel turismo e nella ristorazione bisogna ammodernare l’offerta, fissare standard di qualità, favorire le catene.
É il terziario il settore ancora capace di creare posti di lavoro e aziende medio-grandi. Vi è poi il ridisegno del welfare e dei servizi pubblici e la possibilità di affidare molte attività ad aziende private.
In particolare a società cooperative di giovani: assistenza, asili, trasporti, istruzione. Nei paesi anglosassoni stanno avendo un grande sviluppo le Chartered School: scuole che assomigliano a cooperative private nelle quali le famiglie dei ragazzi possono contribuire alla gestione e al finanziamento.
Nel terziario avanzato vi sono tante attività ad alta qualificazione che ora possono essere svolte fuori dalle imprese da professionisti, singoli o in società.
É un settore che va difeso e rafforzato.
Il Fatto Quotidiano, 29 Gennaio 2014
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01 ... ro/865112/