Re: THE CATHOLIC QUESTION
Inviato: 11/05/2012, 22:08
Le tre piaghe della Chiesa
di Aldo Maria Valli
in “Europa” del 9 maggio 2012
La prevalenza delle parole umane sulla parola di Dio, la mancanza di semplicità evangelica, gli
atteggiamenti ipocriti che esprimono esteriormente virtù cristiane contraddette però nella pratica.
Sono questi per don Vinicio Albanesi i tre mali della Chiesa: verbalismo, estetismo, moralismo. E
siccome don Vinicio ama la Chiesa, come ha dimostrato nella sua ormai lunga esperienza alla guida
della Comunità di Capodarco e poi del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, ha
deciso di mettere le sue riflessioni nero su bianco. Ne è uscito I tre mali della Chiesa in Italia
(editrice Ancora, 176 pagine, 16 euro), un libro che fa tornare alla mente Le cinque piaghe della
Chiesa di Antonio Rosmini e soprattutto fa meditare.
«Sono quasi dieci anni – scrive don Vinicio – che il problema della crisi della Chiesa in Italia mi
gira nella mente e nell’anima». Il libro nasce così. Non per accusare, ma per esprimere tutta la pena
di un credente di fronte al «profondo malessere» della Chiesa e soprattutto alla mancanza di
prospettive.
Quella che don Vinicio racconta è una Chiesa «stanca e disorientata». Dalle parrocchie agli ordini
religiosi, dalla partecipazione ai sacramenti alle varie strutture pubbliche, il panorama è desolante.
Dietro una facciata sfarzosa e solenne, si nasconde «la crisi progressiva e inarrestabile di una
comunità cristiana che non regge gli sviluppi della vita delle persone e del mondo, chiusa nello
sconforto di speranze sistematicamente deluse o aggrappata a tendenze intransigenti». C’è un senso
di frustrazione in questa analisi, e don Vinicio non fa nulla per nasconderla. Qualcuno potrà anche
non condividerla, ma il fatto che sia formulata da chi per tanti anni ha vissuto nella Chiesa deve far
pensare.
I tempi del Concilio sembrano non solo lontanissimi, ben più lontani del mezzo secolo che ci separa
dall’avvio di quel grande incontro, ma addirittura appartenenti a un’altra Chiesa. Una Chiesa che
ancora voleva e poteva dire qualcosa a tutti, una Chiesa che, sia pure tra mille limiti e in mezzo a
tanti tormenti, camminava accanto all’uomo. Innumerevoli sarebbero i brani di don Vinicio da citare
alla lettera. Colpiscono in particolare i giudizi sul moralismo della e nella Chiesa, quando si spiega
che lo stile moralistico investe anche le relazioni pubbliche. Occorre dirlo con chiarezza: nella
Chiesa italiana o non ci si parla o ci si parla in modo ambiguo, spesso sotto una patina di formalità
che rende i rapporti poco o per nulla autentici.
«Probabilmente l’attenzione esagerata alla verità, intesa non come ricerca, ma come buon nome da
tutelare, ha accentuato il rischio di esteriorità. Una specie di falso rispetto, di modi complessi di
comunicare, di forme non autentiche di relazionarsi. I rapporti tra cristiani difficilmente si esplicano
con lealtà» e sia le parole sia gli atteggiamenti hanno sempre bisogno di essere sottoposti a
interpretazione, «perché non è dato intendere ciò che esteriormente appare».
Il risultato è che nessuno si fida veramente dell’altro e che alla Chiesa stessa non si concede fiducia,
perché appare trincerata dietro una prudenza e un senso di responsabilità che in realtà nascondono
opportunismo. L’assenza di una vera comunione è «un secondo effetto nefasto» di questo
moralismo che tutto pervade. Più si parla di unità, meno c’è senso di comunione. «Non si ha il
coraggio del confronto: forte, leale, con scelte condivise, frutto di ascolto e riflessione. Si preferisce
una pseudounità, scegliendo strade (di spiritualità, di pastorale, di governo) frutto di compromessi».
Gli stessi documenti ecclesiali «sono sempre caratterizzati da un’ambiguità di linguaggio che è
sintomo anche di approcci sfuggenti». C’è come il perenne tentativo di tenere assieme tutto, destra e
sinistra, luci e ombre, per non scontentare veramente nessuno, per non dare veramente problemi a
nessuno. Ma la «mancanza del coraggio delle scelte confina con l’inganno, con il rischio che i
confini del bene e del male si confondano, fino a perdersi».
Questa Chiesa malata di formalismo ed esteriorità, dove magari ci si ossequia per poi sparlare
allegramente alle spalle di tutti, non è più una casa accogliente. È un luogo in cui «sono rarissimi i
momenti nei quali ciascuno si sente a suo agio, al proprio posto». Purtroppo «prevale la narcosi che
non è saggezza ed equilibrio, ma solo formalismo esterno». L’egoismo sostanziale e diffuso,
insieme causa e frutto di questa situazione, si fa particolarmente devastante quando sfocia nella
commistione della Chiesa con il potere temporale. «Tramontata definitivamente l’ipotesi di
cristianità, in Italia e in Europa, la tentazione egoistica di rimanere al centro di assetti istituzionali
per molti cristiani non solo è perseguibile, ma anche augurabile. Ciò che non si può ottenere per
adesione, lo si chiede per legge».
La pretesa di orientare in modo cristiano istituzioni ormai completamente avulse da una prospettiva
cristiana porta a «patteggiare con la politica» in vista di orientamenti legislativi cristiani.
Un’operazione sbagliata sotto tutti i profili perché mortifica la Chiesa, impegnata in un do ut des
che non ha nulla di evangelico, e soprattutto non conduce ai risultati sperati.
Qui il discorso si innesta quindi sulla questione dei laici cattolici e della laicità del credente. Un
fronte rispetto al quale la lezione conciliare è stata dimenticata e tradita, perché al posto della
valorizzazione del laico abbiamo «una presenza gerarchica pattizia» con le conseguenti collusioni, e
al posto della tutela del bene comune, cioè di tutti, abbiamo il tentativo di tutelare per via
istituzionale la fede e la sana dottrina.
Don Vinicio è chiarissimo quando scrive che un primo nodo da sciogliere, per uscire da tutti questi
equivoci, sarebbe quello del regime concordatario, che è invece continuamente esaltato come una
forma di collaborazione. «Basterebbe un maggiore distacco della Santa Sede con le vicende italiane
per ritrovare meno relazioni e orpelli reciproci». Nel libro di don Vinicio, ed è questo un altro suo
pregio, c’è però anche una parte propositiva. Occorre decisamente tornare all’essenziale, cioè al
Cristo, al suo esempio, alla sua parola. Solo così si può dare speranza al mondo ma prima di tutto a
se stessi. Il che implica una scelta di radicale povertà sotto tutti i profili, quella povertà che è libertà
e garantisce autonomia di giudizio e di proposta.
Quella povertà che rende credibile la testimonianza. «Nella Chiesa istituzionale è invalsa la strana
logica aziendale: essere sempre e comunque favorevoli al potere vigente. Una logica che dice di
partire dalla tutela delle istituzioni ecclesiastiche, ma che paga un prezzo troppo alto in termini di
scambio».
Il Vangelo non può essere piegato ai calcoli e allo scambio. Quella sognata da don Vinicio per il
futuro è una comunità cristiana umile, leale, plurima, misericordiosa, affettuosa, coraggiosa,
fiduciosa, affidata a Dio e non all’opportunismo. Bisogna parlarne. Uscendo dal clima di sospetto
reciproco e di paura alimentato anche da quei movimenti ecclesiali che, in nome della presenza
cristiana, sempre più manifestamente cadono in preda alla logica del potere.
http://www.finesettimana.org/pmwiki/upl ... 9valli.pdf
Straordinariamente chiaro, evangelico, cristiano!
di Aldo Maria Valli
in “Europa” del 9 maggio 2012
La prevalenza delle parole umane sulla parola di Dio, la mancanza di semplicità evangelica, gli
atteggiamenti ipocriti che esprimono esteriormente virtù cristiane contraddette però nella pratica.
Sono questi per don Vinicio Albanesi i tre mali della Chiesa: verbalismo, estetismo, moralismo. E
siccome don Vinicio ama la Chiesa, come ha dimostrato nella sua ormai lunga esperienza alla guida
della Comunità di Capodarco e poi del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, ha
deciso di mettere le sue riflessioni nero su bianco. Ne è uscito I tre mali della Chiesa in Italia
(editrice Ancora, 176 pagine, 16 euro), un libro che fa tornare alla mente Le cinque piaghe della
Chiesa di Antonio Rosmini e soprattutto fa meditare.
«Sono quasi dieci anni – scrive don Vinicio – che il problema della crisi della Chiesa in Italia mi
gira nella mente e nell’anima». Il libro nasce così. Non per accusare, ma per esprimere tutta la pena
di un credente di fronte al «profondo malessere» della Chiesa e soprattutto alla mancanza di
prospettive.
Quella che don Vinicio racconta è una Chiesa «stanca e disorientata». Dalle parrocchie agli ordini
religiosi, dalla partecipazione ai sacramenti alle varie strutture pubbliche, il panorama è desolante.
Dietro una facciata sfarzosa e solenne, si nasconde «la crisi progressiva e inarrestabile di una
comunità cristiana che non regge gli sviluppi della vita delle persone e del mondo, chiusa nello
sconforto di speranze sistematicamente deluse o aggrappata a tendenze intransigenti». C’è un senso
di frustrazione in questa analisi, e don Vinicio non fa nulla per nasconderla. Qualcuno potrà anche
non condividerla, ma il fatto che sia formulata da chi per tanti anni ha vissuto nella Chiesa deve far
pensare.
I tempi del Concilio sembrano non solo lontanissimi, ben più lontani del mezzo secolo che ci separa
dall’avvio di quel grande incontro, ma addirittura appartenenti a un’altra Chiesa. Una Chiesa che
ancora voleva e poteva dire qualcosa a tutti, una Chiesa che, sia pure tra mille limiti e in mezzo a
tanti tormenti, camminava accanto all’uomo. Innumerevoli sarebbero i brani di don Vinicio da citare
alla lettera. Colpiscono in particolare i giudizi sul moralismo della e nella Chiesa, quando si spiega
che lo stile moralistico investe anche le relazioni pubbliche. Occorre dirlo con chiarezza: nella
Chiesa italiana o non ci si parla o ci si parla in modo ambiguo, spesso sotto una patina di formalità
che rende i rapporti poco o per nulla autentici.
«Probabilmente l’attenzione esagerata alla verità, intesa non come ricerca, ma come buon nome da
tutelare, ha accentuato il rischio di esteriorità. Una specie di falso rispetto, di modi complessi di
comunicare, di forme non autentiche di relazionarsi. I rapporti tra cristiani difficilmente si esplicano
con lealtà» e sia le parole sia gli atteggiamenti hanno sempre bisogno di essere sottoposti a
interpretazione, «perché non è dato intendere ciò che esteriormente appare».
Il risultato è che nessuno si fida veramente dell’altro e che alla Chiesa stessa non si concede fiducia,
perché appare trincerata dietro una prudenza e un senso di responsabilità che in realtà nascondono
opportunismo. L’assenza di una vera comunione è «un secondo effetto nefasto» di questo
moralismo che tutto pervade. Più si parla di unità, meno c’è senso di comunione. «Non si ha il
coraggio del confronto: forte, leale, con scelte condivise, frutto di ascolto e riflessione. Si preferisce
una pseudounità, scegliendo strade (di spiritualità, di pastorale, di governo) frutto di compromessi».
Gli stessi documenti ecclesiali «sono sempre caratterizzati da un’ambiguità di linguaggio che è
sintomo anche di approcci sfuggenti». C’è come il perenne tentativo di tenere assieme tutto, destra e
sinistra, luci e ombre, per non scontentare veramente nessuno, per non dare veramente problemi a
nessuno. Ma la «mancanza del coraggio delle scelte confina con l’inganno, con il rischio che i
confini del bene e del male si confondano, fino a perdersi».
Questa Chiesa malata di formalismo ed esteriorità, dove magari ci si ossequia per poi sparlare
allegramente alle spalle di tutti, non è più una casa accogliente. È un luogo in cui «sono rarissimi i
momenti nei quali ciascuno si sente a suo agio, al proprio posto». Purtroppo «prevale la narcosi che
non è saggezza ed equilibrio, ma solo formalismo esterno». L’egoismo sostanziale e diffuso,
insieme causa e frutto di questa situazione, si fa particolarmente devastante quando sfocia nella
commistione della Chiesa con il potere temporale. «Tramontata definitivamente l’ipotesi di
cristianità, in Italia e in Europa, la tentazione egoistica di rimanere al centro di assetti istituzionali
per molti cristiani non solo è perseguibile, ma anche augurabile. Ciò che non si può ottenere per
adesione, lo si chiede per legge».
La pretesa di orientare in modo cristiano istituzioni ormai completamente avulse da una prospettiva
cristiana porta a «patteggiare con la politica» in vista di orientamenti legislativi cristiani.
Un’operazione sbagliata sotto tutti i profili perché mortifica la Chiesa, impegnata in un do ut des
che non ha nulla di evangelico, e soprattutto non conduce ai risultati sperati.
Qui il discorso si innesta quindi sulla questione dei laici cattolici e della laicità del credente. Un
fronte rispetto al quale la lezione conciliare è stata dimenticata e tradita, perché al posto della
valorizzazione del laico abbiamo «una presenza gerarchica pattizia» con le conseguenti collusioni, e
al posto della tutela del bene comune, cioè di tutti, abbiamo il tentativo di tutelare per via
istituzionale la fede e la sana dottrina.
Don Vinicio è chiarissimo quando scrive che un primo nodo da sciogliere, per uscire da tutti questi
equivoci, sarebbe quello del regime concordatario, che è invece continuamente esaltato come una
forma di collaborazione. «Basterebbe un maggiore distacco della Santa Sede con le vicende italiane
per ritrovare meno relazioni e orpelli reciproci». Nel libro di don Vinicio, ed è questo un altro suo
pregio, c’è però anche una parte propositiva. Occorre decisamente tornare all’essenziale, cioè al
Cristo, al suo esempio, alla sua parola. Solo così si può dare speranza al mondo ma prima di tutto a
se stessi. Il che implica una scelta di radicale povertà sotto tutti i profili, quella povertà che è libertà
e garantisce autonomia di giudizio e di proposta.
Quella povertà che rende credibile la testimonianza. «Nella Chiesa istituzionale è invalsa la strana
logica aziendale: essere sempre e comunque favorevoli al potere vigente. Una logica che dice di
partire dalla tutela delle istituzioni ecclesiastiche, ma che paga un prezzo troppo alto in termini di
scambio».
Il Vangelo non può essere piegato ai calcoli e allo scambio. Quella sognata da don Vinicio per il
futuro è una comunità cristiana umile, leale, plurima, misericordiosa, affettuosa, coraggiosa,
fiduciosa, affidata a Dio e non all’opportunismo. Bisogna parlarne. Uscendo dal clima di sospetto
reciproco e di paura alimentato anche da quei movimenti ecclesiali che, in nome della presenza
cristiana, sempre più manifestamente cadono in preda alla logica del potere.
http://www.finesettimana.org/pmwiki/upl ... 9valli.pdf
Straordinariamente chiaro, evangelico, cristiano!