G R E C I A
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Re: G R E C I A
Grecia: la chiave è il recupero della sovranità
di Fabio Marcelli | 29 gennaio 2015
Alexis Tsipras e Syriza stanno tenendo fede ai programmi annunciati: aiuti alle famiglie povere, stop a licenziamenti e privatizzazioni, fine della repressione poliziesca delle manifestazioni, cittadinanza per i figli degli immigrati. Questi sono solo i primi passi.
Condivisibile anche la scelta dell’alleanza con la destra anti-Trojka di Anel. Assolutamente fuori luogo sembrano i paragoni qualche buontempone ha voluto fare con il patto del Nazareno. Infatti l’Anel rappresenta quella parte della destra greca, fuoriuscita da Nea Dimokratia, che non ha voluto accettare ricatti e memorandum della Trojka. Avercela, una destra del genere, in Italia.
Il nodo reale della situazione greca, come anche di quella spagnola, italiana e di altri Paesi, è in effetti il recupero della sovranità, nazionale e popolare, di fronte a poteri irresponsabili e incontrollabili come quelli dei “mercati” e della finanza internazionale. E’ su questo, e non sulle solite vacue chiacchiere, che si misura la qualità e l’autonomia dei governi. Pertanto, sembra che l’infatuazione passeggera di qualche piddino per Tsipras (il fascino dei vincitori) è destinata a durare ben poco, a meno di una oggi improbabile virata di centottanta gradi.
Del resto i programmi parlano chiaro. Quello di Tsipras è basato sul recupero del potere d’acquisto e della dignità dei ceti maltrattati dall’oligarchia e dalla Trojka, sulla rinegoziazione del debito non solo per la Grecia ma per tutti i Paesi europei mediante una conferenza europea sul debito, sull’estensione dei diritti ai cittadini e sull’estensione della stessa cittadinanza mediante lo jus soli e della democrazia. Altro che cedimento alla destra xenofoba.
Bisogna che i governi europei, specie quelli dei Paesi più indebitati e subalterni, si pronuncino al più presto sulla necessità della conferenza europea sull’indebitamento. Per ora l’ha fatto solo quello irlandese. Renzino, al di là delle solite vacue chiacchiere e della nomina di Gennaro Migliore a responsabile dei rapporti con Syriza, tace. Sarebbe invece il caso che lui, come pure i suoi accoliti Mogherini e Gentiloni, prendessero posizione al più presto auspicando lo svolgimento di detta Conferenza.
Il modello giustamente evocato da Syriza è quello della Conferenza internazionale di Londra che, nel 1952, condonando in grandissima parte il debito tedesco, pose le basi per il rilancio dell’economia della Germania e dell’Europa. Oggi il problema riguarda non solo la Grecia ma l’insieme dell’Europa mediterranea, Francia compresa. Renzi e Hollande la smettano di fare i cagnolini della Merkel e assumano posizioni concrete ed autonome in questa fondamentale materia.
Tsipras e Syriza hanno del resto l’appoggio dichiarato della migliore dottrina economica. Non certo i mediocri replicanti intossicati dalle dottrine neoliberiste, ma scienziati del calibro del premio Nobel per l’economia Paul Krugman, il quale in un intervento sul New York Times ha affermato che la Trojka, dati i suoi evidenti fallimenti economici, ha perso ogni credibilità e non può chiedere ulteriori sacrifici alla Grecia.
Recuperare la sovranità, anche per l’Italia, la Spagna ed altri Paesi è oggi possibile e necessario, mettendo al bando le attuali fallimentari classi politiche come è stato fatto in Grecia. L’Unione europea prevede la messa in comune della sovranità, ma ovviamente a condizione di mettere in atto una politica che sia effettivamente comune e non l’attuazione degli interessi di ceti ristretti socialmente e territorialmente con il danno enorme della grande maggioranza della popolazione europea, specie i più giovani, defraudati del futuro dai tecnocrati di Bruxelles promotori dell’evasione fiscale e della distruzione dell’intervento pubblico.
Come aggiunge Krugman, la politica di Syriza è fin troppo poco radicale, ma il realismo di Tsipras pare oggi costituire l’unica chance per l’Europa di sopravvivere alle bestiali politiche imposte dalla sua indegna classe dominante che va spodestata al più presto.
di Fabio Marcelli | 29 gennaio 2015
Alexis Tsipras e Syriza stanno tenendo fede ai programmi annunciati: aiuti alle famiglie povere, stop a licenziamenti e privatizzazioni, fine della repressione poliziesca delle manifestazioni, cittadinanza per i figli degli immigrati. Questi sono solo i primi passi.
Condivisibile anche la scelta dell’alleanza con la destra anti-Trojka di Anel. Assolutamente fuori luogo sembrano i paragoni qualche buontempone ha voluto fare con il patto del Nazareno. Infatti l’Anel rappresenta quella parte della destra greca, fuoriuscita da Nea Dimokratia, che non ha voluto accettare ricatti e memorandum della Trojka. Avercela, una destra del genere, in Italia.
Il nodo reale della situazione greca, come anche di quella spagnola, italiana e di altri Paesi, è in effetti il recupero della sovranità, nazionale e popolare, di fronte a poteri irresponsabili e incontrollabili come quelli dei “mercati” e della finanza internazionale. E’ su questo, e non sulle solite vacue chiacchiere, che si misura la qualità e l’autonomia dei governi. Pertanto, sembra che l’infatuazione passeggera di qualche piddino per Tsipras (il fascino dei vincitori) è destinata a durare ben poco, a meno di una oggi improbabile virata di centottanta gradi.
Del resto i programmi parlano chiaro. Quello di Tsipras è basato sul recupero del potere d’acquisto e della dignità dei ceti maltrattati dall’oligarchia e dalla Trojka, sulla rinegoziazione del debito non solo per la Grecia ma per tutti i Paesi europei mediante una conferenza europea sul debito, sull’estensione dei diritti ai cittadini e sull’estensione della stessa cittadinanza mediante lo jus soli e della democrazia. Altro che cedimento alla destra xenofoba.
Bisogna che i governi europei, specie quelli dei Paesi più indebitati e subalterni, si pronuncino al più presto sulla necessità della conferenza europea sull’indebitamento. Per ora l’ha fatto solo quello irlandese. Renzino, al di là delle solite vacue chiacchiere e della nomina di Gennaro Migliore a responsabile dei rapporti con Syriza, tace. Sarebbe invece il caso che lui, come pure i suoi accoliti Mogherini e Gentiloni, prendessero posizione al più presto auspicando lo svolgimento di detta Conferenza.
Il modello giustamente evocato da Syriza è quello della Conferenza internazionale di Londra che, nel 1952, condonando in grandissima parte il debito tedesco, pose le basi per il rilancio dell’economia della Germania e dell’Europa. Oggi il problema riguarda non solo la Grecia ma l’insieme dell’Europa mediterranea, Francia compresa. Renzi e Hollande la smettano di fare i cagnolini della Merkel e assumano posizioni concrete ed autonome in questa fondamentale materia.
Tsipras e Syriza hanno del resto l’appoggio dichiarato della migliore dottrina economica. Non certo i mediocri replicanti intossicati dalle dottrine neoliberiste, ma scienziati del calibro del premio Nobel per l’economia Paul Krugman, il quale in un intervento sul New York Times ha affermato che la Trojka, dati i suoi evidenti fallimenti economici, ha perso ogni credibilità e non può chiedere ulteriori sacrifici alla Grecia.
Recuperare la sovranità, anche per l’Italia, la Spagna ed altri Paesi è oggi possibile e necessario, mettendo al bando le attuali fallimentari classi politiche come è stato fatto in Grecia. L’Unione europea prevede la messa in comune della sovranità, ma ovviamente a condizione di mettere in atto una politica che sia effettivamente comune e non l’attuazione degli interessi di ceti ristretti socialmente e territorialmente con il danno enorme della grande maggioranza della popolazione europea, specie i più giovani, defraudati del futuro dai tecnocrati di Bruxelles promotori dell’evasione fiscale e della distruzione dell’intervento pubblico.
Come aggiunge Krugman, la politica di Syriza è fin troppo poco radicale, ma il realismo di Tsipras pare oggi costituire l’unica chance per l’Europa di sopravvivere alle bestiali politiche imposte dalla sua indegna classe dominante che va spodestata al più presto.
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Re: G R E C I A
@iospero http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 349#p36349
Non sapevo di questa decisione di Renzi sulla nomina di Gennaro Migliore a responsabile dei rapporti con Syriza.
Se questo e' vero sta' a dimostrare che la svolta in Grecia fa paura oltre bimbetto di Firenze anche a tutte le altre formazioni politiche.
Come ho detto anche in un post precedente, non vuole che la situazione greca si propaghi anche in italia ma se questo dovesse essere inevitabile almeno possa essere lui stesso a gestirla.
L'attuale compattamento del PD sulla scelta di Mattarella sicuramente va visto anche nell'ambito della situazione greca. Non dimentichiamolo questo.
Era doveroso trovare il modo di compattare al piu' presto il PD e rompere il patto del Nazzareno prima che la minoranza possa essere attratta da questo nuovo movimento che sta' mettendo in crisi l'intera Europa e i partiti stessi.
Di questo sicuramente se ne sarà accoro alche il berlusca e non e' un caso che sia Alfano e in parte anche FI pensino a favorire questa candidatura. Non vogliono morire sconfitti ma essere partecipi a questa decisione e quindi meglio essere "uniti" che divisi in questo momento particolare. Per costoro non serve rompere del tutto. Qualcosa si puo' serve ricevere. Non si sa mai.
In questo momento un'eventuale spostamento della minoranza del PD verso una nuova formazione politica che potrebbe nascere sulla scia di Tsipras non gioverebbe ad entrambi.
Cercar che in tutti i modio che una possibile formazione possa essere gestita dal PD fa molto bene anche al Berlusca. Potrebbe politicamente perdere potere male sue aziende ne avrebbero mai scalfite.
Una nuova formazione politica in Italia come Syriza e Podemos lasciate fuori dalle loro logiche, potrebbe sconvolgere entrambe le formazioni politiche.
Certo, parlare al condizionale non e' un buon dialogare ma perlomeno ci lascia una speranza sulla quale poter "vivere".
un salutone
Non sapevo di questa decisione di Renzi sulla nomina di Gennaro Migliore a responsabile dei rapporti con Syriza.
Se questo e' vero sta' a dimostrare che la svolta in Grecia fa paura oltre bimbetto di Firenze anche a tutte le altre formazioni politiche.
Come ho detto anche in un post precedente, non vuole che la situazione greca si propaghi anche in italia ma se questo dovesse essere inevitabile almeno possa essere lui stesso a gestirla.
L'attuale compattamento del PD sulla scelta di Mattarella sicuramente va visto anche nell'ambito della situazione greca. Non dimentichiamolo questo.
Era doveroso trovare il modo di compattare al piu' presto il PD e rompere il patto del Nazzareno prima che la minoranza possa essere attratta da questo nuovo movimento che sta' mettendo in crisi l'intera Europa e i partiti stessi.
Di questo sicuramente se ne sarà accoro alche il berlusca e non e' un caso che sia Alfano e in parte anche FI pensino a favorire questa candidatura. Non vogliono morire sconfitti ma essere partecipi a questa decisione e quindi meglio essere "uniti" che divisi in questo momento particolare. Per costoro non serve rompere del tutto. Qualcosa si puo' serve ricevere. Non si sa mai.
In questo momento un'eventuale spostamento della minoranza del PD verso una nuova formazione politica che potrebbe nascere sulla scia di Tsipras non gioverebbe ad entrambi.
Cercar che in tutti i modio che una possibile formazione possa essere gestita dal PD fa molto bene anche al Berlusca. Potrebbe politicamente perdere potere male sue aziende ne avrebbero mai scalfite.
Una nuova formazione politica in Italia come Syriza e Podemos lasciate fuori dalle loro logiche, potrebbe sconvolgere entrambe le formazioni politiche.
Certo, parlare al condizionale non e' un buon dialogare ma perlomeno ci lascia una speranza sulla quale poter "vivere".
un salutone
Ultima modifica di pancho il 30/01/2015, 22:04, modificato 1 volta in totale.
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: G R E C I A
Tsipras, il supporto che non ti aspetti. Il governatore inglese sferza la Ue: "Basta austerity"
Il numero uno della Bank of England, Mark Carney, in un discorso "decisamente insolito" per il Financial Times, "condanna" della linea dell'austerità. Promosse le mosse della Bce di Draghi. Ai governanti dell'Unione chiede di cedere sovranità e ampliare gli investimenti pubblici. Le reazioni della City: "Farà infuriare la Merkel"
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
REPUBBLICA.IT
29 gennaio 2015
Tsipras, il supporto che non ti aspetti. Il governatore inglese sferza la Ue: "Basta austerity"
Il governatore della Banca d'Inghilterra, il canadese Mark Carney (afp)
LONDRA - Il paese più euroscettico d'Europa che esorta la Ue ad unirsi di più e la Germania ad aiutare la Grecia. Chi l'avrebbe detto? Eppure è successo, quando l'altra sera Mark Carney, governatore della Banca d'Inghilterra, ha lanciato un attacco "senza precedenti" - secondo il Times di Londra - all'austerità tedesca. Parole che, arrivate all'indomani della vittoria della sinistra radicale ad Atene, sono suonate come un appello a Berlino a cedere alle richieste greche sulla ristrutturazione del debito. Ma non solo.
Canadese (prima di guidare nel 2013 la banca centrale inglese aveva guidato anche quella del proprio paese) e con una reputazione di "liberal" (progressista, per capirsi: si dice che prima o poi tornerà in patria e abbia ambizioni politiche), Carney ha cominciato lodando il programma di Quantitative easing (acquisto di titoli da 60 miliardi di euro al mese, soprattutto in bond sovrani) varato nei giorni scorsi dalla banca centrale europea per aiutare a risolvere i problemi dell'Eurozona. "Le azioni della Bce sono benvenute, tempestive e importanti, ma insufficienti ad evitare il rischio di un altro decennio perduto per l'Unione Europea", ha però ammonito il governatore. Quello che serve veramente è l'accettazione da parte degli Stati membri che devono mettere insieme le proprie risorse, ha aggiunto. "La risposta alla crisi è costruire quelle istituzioni che esistono in ogni unione monetaria di successo", afferma Carney. "L'unione monetaria europea non sarà completa fino a quando non costruirà dei meccanismi di condivisione della sovranità fiscale".
Pur senza nominare espressamente Germania e Grecia, il suo discorso, "decisamente insolito" per il Financial Times, viene giudicato dai commentatori britannici come una "condanna" della linea dell'austerità: "Farà infuriare la Merkel", si dice a Londra. Compiacerà invece Mario Draghi e gli assertori di una maggiore integrazione europea: "Finora i Paesi dell'Eurozona sono stati piuttosto timidi nel creare le politiche necessarie a produrre una prosperità sostenibile per i loro cittadini e questo non è il momento per le mezze misure", ha proseguito il governatore. "I membri dell'unione monetaria devono cedere più sovranità. I leader europei attualmente non prevedono l'integrazione fiscale come parte di una unità monetaria, ma una simile cautela ha i suoi costi. Non è realistico aspettarsi che sia il settore privato a fare tutto quello che non fa il settore pubblico".
Dalla Banca d'Inghilterra, dunque, giunge la richiesta di più unione, meno austerità e più interventi pubblici. Parole sorprendenti, forse, venendo dal Paese dell'euroscetticismo, che si appresta a votare in un referendum, nel 2017, per decidere se rimanere dentro la Ue. Ma a parte che un sondaggio pubblicato questa settimana assegna la maggioranza (44 a 38 per cento) ai "sì" a restare nell'Unione, Carney non ha difficoltà spiegare il suo punto di vista: la ripresa dell'eurozona è importante per la Gran Bretagna e per il mondo intero "poiché è un elemento determinante della stabilità finanziaria globale", dice. Cosa che sanno tutti, in teoria, ma che alcuni spesso dimenticano.
Il numero uno della Bank of England, Mark Carney, in un discorso "decisamente insolito" per il Financial Times, "condanna" della linea dell'austerità. Promosse le mosse della Bce di Draghi. Ai governanti dell'Unione chiede di cedere sovranità e ampliare gli investimenti pubblici. Le reazioni della City: "Farà infuriare la Merkel"
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
REPUBBLICA.IT
29 gennaio 2015
Tsipras, il supporto che non ti aspetti. Il governatore inglese sferza la Ue: "Basta austerity"
Il governatore della Banca d'Inghilterra, il canadese Mark Carney (afp)
LONDRA - Il paese più euroscettico d'Europa che esorta la Ue ad unirsi di più e la Germania ad aiutare la Grecia. Chi l'avrebbe detto? Eppure è successo, quando l'altra sera Mark Carney, governatore della Banca d'Inghilterra, ha lanciato un attacco "senza precedenti" - secondo il Times di Londra - all'austerità tedesca. Parole che, arrivate all'indomani della vittoria della sinistra radicale ad Atene, sono suonate come un appello a Berlino a cedere alle richieste greche sulla ristrutturazione del debito. Ma non solo.
Canadese (prima di guidare nel 2013 la banca centrale inglese aveva guidato anche quella del proprio paese) e con una reputazione di "liberal" (progressista, per capirsi: si dice che prima o poi tornerà in patria e abbia ambizioni politiche), Carney ha cominciato lodando il programma di Quantitative easing (acquisto di titoli da 60 miliardi di euro al mese, soprattutto in bond sovrani) varato nei giorni scorsi dalla banca centrale europea per aiutare a risolvere i problemi dell'Eurozona. "Le azioni della Bce sono benvenute, tempestive e importanti, ma insufficienti ad evitare il rischio di un altro decennio perduto per l'Unione Europea", ha però ammonito il governatore. Quello che serve veramente è l'accettazione da parte degli Stati membri che devono mettere insieme le proprie risorse, ha aggiunto. "La risposta alla crisi è costruire quelle istituzioni che esistono in ogni unione monetaria di successo", afferma Carney. "L'unione monetaria europea non sarà completa fino a quando non costruirà dei meccanismi di condivisione della sovranità fiscale".
Pur senza nominare espressamente Germania e Grecia, il suo discorso, "decisamente insolito" per il Financial Times, viene giudicato dai commentatori britannici come una "condanna" della linea dell'austerità: "Farà infuriare la Merkel", si dice a Londra. Compiacerà invece Mario Draghi e gli assertori di una maggiore integrazione europea: "Finora i Paesi dell'Eurozona sono stati piuttosto timidi nel creare le politiche necessarie a produrre una prosperità sostenibile per i loro cittadini e questo non è il momento per le mezze misure", ha proseguito il governatore. "I membri dell'unione monetaria devono cedere più sovranità. I leader europei attualmente non prevedono l'integrazione fiscale come parte di una unità monetaria, ma una simile cautela ha i suoi costi. Non è realistico aspettarsi che sia il settore privato a fare tutto quello che non fa il settore pubblico".
Dalla Banca d'Inghilterra, dunque, giunge la richiesta di più unione, meno austerità e più interventi pubblici. Parole sorprendenti, forse, venendo dal Paese dell'euroscetticismo, che si appresta a votare in un referendum, nel 2017, per decidere se rimanere dentro la Ue. Ma a parte che un sondaggio pubblicato questa settimana assegna la maggioranza (44 a 38 per cento) ai "sì" a restare nell'Unione, Carney non ha difficoltà spiegare il suo punto di vista: la ripresa dell'eurozona è importante per la Gran Bretagna e per il mondo intero "poiché è un elemento determinante della stabilità finanziaria globale", dice. Cosa che sanno tutti, in teoria, ma che alcuni spesso dimenticano.
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: G R E C I A
DA ILFATTO Q
Tsipras, il grimaldello di Vladimir Putin per scardinare l’Ue. In cambio di miliardi
Il neo-premier minaccia il veto greco a nuove sanzioni contro Mosca, usandolo nelle trattative per la ristrutturazione del debito e la rinegoziazione dei pagamenti: in cambio il Cremlino contratta con Atene la parziale copertura del passivo con l’Ue e fondi destinati a realizzare le promesse elettorali. L'intreccio dei rapporti politici, economici e diplomatici tra i due Paesi che mette in allarme Bruxelles
di Leonardo Coen | 31 gennaio 2015
Il grande vincitore delle elezioni greche? Putin, mica Alexis Tsipras. Anzi, chiamiamolo già che ci siamo, Aleksej Tsipras…Per il Foreign Policy, “the Global Magazine of News and Ideas”, autorevole bimestrale stelle e strisce che si occupa di relazioni internazionali ed è una divisione editoriale della Washington Post Company, il voto del Partenone ha favorito il capo del Cremlino. La vicinanza di Putin alla Grecia potrebbe infatti far aumentare la distanza di Atene da Bruxelles (almeno, quella comandata a bacchetta da Angela Merkel). Rimescolerebbe le carte su tutti i fronti, non soltanto quelli economici.
Putin, grande sponsor dei movimenti euroscettici
Putin, è noto e lui stesso non ne ha mai fatto mistero, da anni sostiene i movimenti populisti euroscettici, in nome dell’indipendenza dei popoli, per usare una formula cara al Cremlino. La foglia di fico per giustificare l’aggressione alla Georgia, l’appoggio ai separatisti ucraini, e un certo espansionismo di ritorno, alimentato dalla nuova dottrina militare russa (strategia del confronto con gli Usa che “ci vogliono schiacciare e vogliono rovesciare Putin”, parole del ministro Sergei Lavrov) e dalla teoria del complotto, ossia che “negli stati limitrofi della Russia ci sono regimi la cui politica minaccia gli interessi della Federazione” (chiaro riferimento a Kiev), ovviamente su istigazione di Washington. La destabilizzazione del potere è diventata una sorta di ossessione, al Cremlino. Che ha alimentato la paranoia di una “quinta colonna” all’interno del Paese, sempre più stremato dalla crisi monetaria e finanziaria e dalla stretta dell’embargo.
Ed ecco che entra in scena Tsipras, con il suo clamoroso successo (ma anche l’inquietante alleanza con la destra estrema di Anel, i Greci Indipendentisti): l’uomo su cui i russi puntavano molto, e da tempo. Potenziale grimaldello per disgregare l’Unione Europea e ridiscutere il ruolo della Nato: “Mosca ha pochi amici in Europa”, ma ora che la Grecia ha avuto la forza di opporsi al diktat di Bruxelles, altri paesi troveranno “più facilmente il coraggio di fare lo stesso”, ha dichiarato a Russia Today l’analista di politica estera Srdja Trifkovic, un serbo americano che vive a Chicago noto per le sue posizioni “paleoconservatrici”. Un rischio c’è, osserva il New York Times: che Tsipras possa complicare gli obiettivi europei in Ucraina. Il che gli farebbe aumentare il potere di contrattazione nei negoziati economici.
Alleanza contro le sanzioni in cambio di miliardi
Sembra di stare al mercato. Si contratta sino allo stremo. Putin, per esempio, offrirebbe la parziale copertura del debito con l’Ue, e contribuirebbe a coprire i fondi destinati a realizzare le promesse elettorali. Giovedì il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, ha detto in un’intervista alla Cnbc che Mosca è pronta ad aiutare economicamente Atene: se la Grecia avanzasse una richiesta, “la prenderemmo sicuramente in considerazione”. La Grecia ha mandato in archivio l’austerità, aveva detto Tsipras, “ridaremo la luce a 300mila famiglie povere”, aumenteremo il salario minimo, garantiremo l’assistenza sanitaria a chi ne è sprovvisto. Il conto? Bastano 11,5 miliardi di euro, ha calcolato Tsipras. Peccato che le casse dello Stato siano quasi vuote. Perciò l’oro di Mosca farebbe un gran comodo. Ma cosa vogliono in cambio i russi? Un alleato contro le inique sanzioni. Già. L’Europa delle sanzioni è il nemico di Mosca. La stessa Europa che predica ed impone l’austerità, il rigore e la moneta unica, i grandi pilastri da abbattere, secondo le destre xenofobe e le sinistre più radicali, come Syriza di Tsipras: basta con la dittatura dei burosauri di Bruxelles. La vittoria di Tsipras è un pugno allo stomaco dell’eurozona, e, indirettamente, un evento che rilancia Mosca: prova ne è la riluttanza greca di ulteriori provvedimenti punitivi nei confronti della Russia, come invece vorrebbero Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Polonia. Per Tsipras sono “un grave danno per l’Europa”. Come la decisione Ue di appoggiare apertamente e unilateralmente l’Ucraina contro i separatisti e di non riconoscere il referendum della Crimea, che invece lui ha approvato, schierandosi a fianco dei russi. Putin, “padrino” della Grecia: in fondo, fa comodo a tutti.
Syriza, tra minacce e pragmatismo
A Bruxelles, per mitigare l’intransigenza della Merkel. Agli americani, per mettere in guardia gli alleati della Nato e rammentare a Tsipras che la Grecia è un partner fondamentale dello schema mediterraneo. Fa comodo a chi evoca scenari drammatici, e fomentano paure, in un gioco di specchi che serve soltanto ad aumentare inutili tensioni. Attenzione, ricordano costoro, Tsipras sosteneva nel 2013 la necessità di uscire dall’Alleanza Atlantica e di chiudere la grande base navale Usa che si trova a Creta. Non a caso, i servizi d’informazione della Nato e della stessa Ue hanno allertato le capitali europee sul rischio di una “deriva” putiniana della Grecia. Però, il 14 gennaio scorso Tsipras ha chiarito che non avrebbe rotto con la Nato, “in quanto non è nell’interesse del Paese”, e ha precisato che la Grecia avrebbe rispettato gli accordi internazionali. Con la Nato. E con l’Unione Europea. Pragmatismo. Come pragmatico è stato d’altronde Putin, sia pure nell’ottica degli interessi convergenti. L’ambasciatore Andrej Maslov è stato il primo diplomatico a precipitarsi da Tsipras e a consegnargli il messaggio di Putin, in cui il presidente russo esprimeva “fiducia che Grecia e Russia potranno proseguire lo sviluppo della loro tradizionale cooperazione costruttiva in tutti i settori e lavoreranno insieme in modo efficace per la soluzione dei problemi attuali in Europa e nel mondo”. Poche righe, spedite ad Atene ma con lo scopo d’essere lette attentamente a Bruxelles.
Commerci, energia, turismo: i legami Atene-Mosca
Anton Shekhostov, accorto studioso esperto di movimenti radicali europei, valuta lo scopo di tutte queste moìne cremliniane: “Il caso Grecia è forse il più pericoloso in termini di potenziali implicazioni per la politica europea delle sanzioni”. Giorni fa, il ministro russo dell’agricoltura ha detto: cari amici greci, voi esportavate da noi il 60 per cento delle pesche, il 90 per cento delle fragole, frutta, olio d’oliva. Quest’anno, niente. Non avete mercati di sbocco. Un danno di 430 milioni di euro. Però, se uscite dall’euro, le nostre porte si spalancheranno subito… Una provocazione. Un messaggio nemmeno tanto cifrato. Grecia e Russia hanno progetti importanti da sbloccare: gasdotti, centrali di stoccaggio al confine con la Turchia, investimenti privati, flusso di capitali (condivisi con Cipro) e di viaggiatori: il 2016 sarà infatti l’anno turistico di Grecia e Russia. Inoltre, Gazprom vorrebbe incrementare il business con Atene (ha organizzato un congresso nella capitale greca qualche tempo fa). Tra russi e greci ci sono rapporti storici di affari, di fede, di cultura comuni: un episodio li sintetizza. Sei anni fa Putin finanziò la ristrutturazione del grandioso monastero russo al monte Athos.
Kotzias, capo della diplomazia di Atena amico di Mosca
Un amico di Mosca, indubbiamente è il 64enne Nikos Kotzias, neo ministro degli esteri. Docente di teoria politica all’università del Pireo, ex comunista (è stato anche consigliere diplomatico), negli anni Ottanta Kotzias applaudì la repressione di Solidarnosc. Di recente ha definito l’Ue “un impero idiosincratico, dominato dalla Germania”. In sintonìa con Putin che l’altro giorno ha accusato l’Occidente di “isteria antirussa”. Kotzias va spesso a Mosca, dove è in contatto con personaggi che gravitano nell’entourage di Putin, come Alexander Dugin, filosofo nazionalista, legato a figure di spicco dei siloviki moscoviti (gli uomini degli apparati di sicurezza). Invitato d’onore l’estate del 2013 al campus del Pireo, celebrò il ruolo della cristianità ortodossa nell’unire greci e russi. Ai tempi della guerra ottocentesca di Crimea, i russi pretendevano d’essere i protettori del mondo ortodosso, quindi anche della Grecia. L’iconografia che maschera affari e penetrazione russa nel mar Egeo.
Anche l’alleato Kammenos è ben conosciuto in Russia
L’amicizia di Panagiotis Lafazanis, freschissimo ministro dell’Energia e leader dell’estrema sinistra di Syriza, è senza limiti: “Non ci sono differenze con la Russia e il popolo russo”, ha premesso, e promesso. Pure Panos Kammenos, neoministro della Difesa, il leader della destra estremista dei Greci Indipendenti che si è alleata con Syriza, è ben noto nei corridoi del Cremlino e nelle stanze del potere russo. L’ultima volta l’hanno avvistato alla Duma, il parlamento russo: era il 15 gennaio, poco prima delle legislative greche. Ha incontrato il capo della commissione Esteri, Alexei Pushkov, nella lista nera di Stati Uniti e Canada. Poi il capo della commissione Difesa.
Veto alle sanzioni, Tsipras lo usa pro domo sua
Un protagonista chiave di questi contatti tra russi e euroscettici è l’oligarca Kostantin Malofeyev che ha fidelizzato i rapporti coi movimenti radicali politici europei, tra i quali l’Anel di Kammenos. L’alleanza di Tsipras con la destra populista tiene in apprensione le cancellerie europee. Il capo di Anel ha rassicurato i colleghi russi: “Siamo pronti a creare un ampio gruppo di forze politiche dei Paesi dell’Europa meridionale, le cui economie sono state danneggiate dalle sanzioni Ue contro la Russia”. Scopo del gruppo? “Una revisione di questo processo che colpisce più i paesi europei che la Russia”. Ma tali intenzioni favorirebbero davvero la Russia? “Macché”, replica l’analista Shekhovtsov, “Syriza e Anel sono innanzitutto partiti anti austerity. I loro sentimenti filorussi possono solo aumentare il costo delle sanzioni Ue contro il Cremlino, piuttosto che contribuire alla loro abolizione”. E allora, perché tante preoccupazioni? Perché Tsipras utilizzerà la questione del veto greco – il varo delle nuove misure punitive contro Mosca richiede l’unanimità dei 28 Stati membri – nelle trattative per la ristrutturazione del debito e la rinegoziazione dei pagamenti. Mosca aspetta che il meccanismo dei colloqui s’inceppi. Bruxelles vuole evitarlo: per questo Martin Schulz, il presidente del Parlamento europeo, si è precipitato giovedì 29 gennaio ad Atene, seguito da altri bonzi di Bruxelles. Per questo, a sorpresa, Mark Carney, numero uno della Bank of England, in un discorso “decisamente insolito”, ha condannato la linea dell’austerità, ha approvato l’azione della Bce di Draghi, fornendo un importante assist alla sinistra radicale guidata da Tsipras.
Kammenos, la mina vagante
Certo, Putin si sta impegnando in una complicata partita di scacchi e non saranno le prime mosse a impensierirlo. Tsipras non ha sbattuto subito le porte in faccia a Bruxelles: ci sarà comunque uno sbattere di imposte, un ruotar di chiavistelli e un tintinnare di catenacci. Molto dipende dalla tenuta della bizzarra alleanza col demagogo Kammenos, il quale aveva un programma elettorale quanto meno avventuroso: l’uscita dall’Europa e l’ingresso nell’Unione Euroasiatica, sorta di novella Urss fondata da Putin alla quale, sinora, hanno aderito Kazakistan e Bielorussia. Una prospettiva non molto allettante, per Tsipras. I greci non ci pensano nemmeno a finire tra le steppe putiniane. Quanto a Kammenos, il problema è che le spara grosse ed è una mina vagante. Ha accusato l’Europa perché “governata da tedeschi neo-nazisti” (nel 2013 disse che Wolfgang Scheuble, ministro delle Finanze di Berlino, era “una persona non-grata nel territorio greco”). Tralascio le battute antisemite, o le invettive contro gli immigrati clandestini. Eppure è con uno come Kammenos che Tsipras ha avviato un inedito e controverso matrimonio populista. La miscela è assai instabile. Può esplodere quando meno te l’aspetti. Oppure no: forse è solo un bluff. O magari uno stravagante, illogico esperimento politico. L’ha suggerito Putin?
p.s. Gli uomini dell’ombra sono cauti, l’intelligence si lascia suggestionare da scenari omerici: le trattative di Tsipras con Bruxelles falliscono. Si consolida allora un governo ostile, “anti occidentale d’Occidente”. Il cavallo di Troia anelato da Putin. Il quale, durante il secondo mandato presidenziale, aveva messo in piedi una struttura governativa per sviluppare forti legami con partiti e movimenti di un’Europa delle “piccole patrie”, e che volevano scrollarsi di dosso “le catene” di Bruxelles. Il 22 febbraio del 2005 aveva emanato un decreto (numero 198) per l’istituzione di un Dipartimento presidenziale delle relazioni “interregionali” e delle relazioni culturali con i Paesi stranieri (“Об Управлении Президента Российской Федерации по межрегиональным и культурным связям с зарубежными странами”), decreto perfezionato successivamente nel 2008, in cui si precisavano obiettivi e competenze. Un anno dopo, Russia Unita – il partito di Putin egemone alla Duma – annunciava che intendeva promuovere e approfondire la collaborazione con i partiti di altri Paesi. Quali, si è visto.
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Ecco dove si muove la politica.
Renzi che farà ?
è fondamentale aderire e sostenere che si faccia una conferenza dei paesi europei per ridiscutere le fondamenta dell'Unione .
Oggi Grecia, domani Spagna e poi .... Inghilterra sarebbero favorevoli, non si deve perdere questa occasione. Adesso la Grecia è pronta a mettere il veto alle sanzioni contro la Russia ... è tutta un'alltra musica.
Tsipras, il grimaldello di Vladimir Putin per scardinare l’Ue. In cambio di miliardi
Il neo-premier minaccia il veto greco a nuove sanzioni contro Mosca, usandolo nelle trattative per la ristrutturazione del debito e la rinegoziazione dei pagamenti: in cambio il Cremlino contratta con Atene la parziale copertura del passivo con l’Ue e fondi destinati a realizzare le promesse elettorali. L'intreccio dei rapporti politici, economici e diplomatici tra i due Paesi che mette in allarme Bruxelles
di Leonardo Coen | 31 gennaio 2015
Il grande vincitore delle elezioni greche? Putin, mica Alexis Tsipras. Anzi, chiamiamolo già che ci siamo, Aleksej Tsipras…Per il Foreign Policy, “the Global Magazine of News and Ideas”, autorevole bimestrale stelle e strisce che si occupa di relazioni internazionali ed è una divisione editoriale della Washington Post Company, il voto del Partenone ha favorito il capo del Cremlino. La vicinanza di Putin alla Grecia potrebbe infatti far aumentare la distanza di Atene da Bruxelles (almeno, quella comandata a bacchetta da Angela Merkel). Rimescolerebbe le carte su tutti i fronti, non soltanto quelli economici.
Putin, grande sponsor dei movimenti euroscettici
Putin, è noto e lui stesso non ne ha mai fatto mistero, da anni sostiene i movimenti populisti euroscettici, in nome dell’indipendenza dei popoli, per usare una formula cara al Cremlino. La foglia di fico per giustificare l’aggressione alla Georgia, l’appoggio ai separatisti ucraini, e un certo espansionismo di ritorno, alimentato dalla nuova dottrina militare russa (strategia del confronto con gli Usa che “ci vogliono schiacciare e vogliono rovesciare Putin”, parole del ministro Sergei Lavrov) e dalla teoria del complotto, ossia che “negli stati limitrofi della Russia ci sono regimi la cui politica minaccia gli interessi della Federazione” (chiaro riferimento a Kiev), ovviamente su istigazione di Washington. La destabilizzazione del potere è diventata una sorta di ossessione, al Cremlino. Che ha alimentato la paranoia di una “quinta colonna” all’interno del Paese, sempre più stremato dalla crisi monetaria e finanziaria e dalla stretta dell’embargo.
Ed ecco che entra in scena Tsipras, con il suo clamoroso successo (ma anche l’inquietante alleanza con la destra estrema di Anel, i Greci Indipendentisti): l’uomo su cui i russi puntavano molto, e da tempo. Potenziale grimaldello per disgregare l’Unione Europea e ridiscutere il ruolo della Nato: “Mosca ha pochi amici in Europa”, ma ora che la Grecia ha avuto la forza di opporsi al diktat di Bruxelles, altri paesi troveranno “più facilmente il coraggio di fare lo stesso”, ha dichiarato a Russia Today l’analista di politica estera Srdja Trifkovic, un serbo americano che vive a Chicago noto per le sue posizioni “paleoconservatrici”. Un rischio c’è, osserva il New York Times: che Tsipras possa complicare gli obiettivi europei in Ucraina. Il che gli farebbe aumentare il potere di contrattazione nei negoziati economici.
Alleanza contro le sanzioni in cambio di miliardi
Sembra di stare al mercato. Si contratta sino allo stremo. Putin, per esempio, offrirebbe la parziale copertura del debito con l’Ue, e contribuirebbe a coprire i fondi destinati a realizzare le promesse elettorali. Giovedì il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, ha detto in un’intervista alla Cnbc che Mosca è pronta ad aiutare economicamente Atene: se la Grecia avanzasse una richiesta, “la prenderemmo sicuramente in considerazione”. La Grecia ha mandato in archivio l’austerità, aveva detto Tsipras, “ridaremo la luce a 300mila famiglie povere”, aumenteremo il salario minimo, garantiremo l’assistenza sanitaria a chi ne è sprovvisto. Il conto? Bastano 11,5 miliardi di euro, ha calcolato Tsipras. Peccato che le casse dello Stato siano quasi vuote. Perciò l’oro di Mosca farebbe un gran comodo. Ma cosa vogliono in cambio i russi? Un alleato contro le inique sanzioni. Già. L’Europa delle sanzioni è il nemico di Mosca. La stessa Europa che predica ed impone l’austerità, il rigore e la moneta unica, i grandi pilastri da abbattere, secondo le destre xenofobe e le sinistre più radicali, come Syriza di Tsipras: basta con la dittatura dei burosauri di Bruxelles. La vittoria di Tsipras è un pugno allo stomaco dell’eurozona, e, indirettamente, un evento che rilancia Mosca: prova ne è la riluttanza greca di ulteriori provvedimenti punitivi nei confronti della Russia, come invece vorrebbero Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Polonia. Per Tsipras sono “un grave danno per l’Europa”. Come la decisione Ue di appoggiare apertamente e unilateralmente l’Ucraina contro i separatisti e di non riconoscere il referendum della Crimea, che invece lui ha approvato, schierandosi a fianco dei russi. Putin, “padrino” della Grecia: in fondo, fa comodo a tutti.
Syriza, tra minacce e pragmatismo
A Bruxelles, per mitigare l’intransigenza della Merkel. Agli americani, per mettere in guardia gli alleati della Nato e rammentare a Tsipras che la Grecia è un partner fondamentale dello schema mediterraneo. Fa comodo a chi evoca scenari drammatici, e fomentano paure, in un gioco di specchi che serve soltanto ad aumentare inutili tensioni. Attenzione, ricordano costoro, Tsipras sosteneva nel 2013 la necessità di uscire dall’Alleanza Atlantica e di chiudere la grande base navale Usa che si trova a Creta. Non a caso, i servizi d’informazione della Nato e della stessa Ue hanno allertato le capitali europee sul rischio di una “deriva” putiniana della Grecia. Però, il 14 gennaio scorso Tsipras ha chiarito che non avrebbe rotto con la Nato, “in quanto non è nell’interesse del Paese”, e ha precisato che la Grecia avrebbe rispettato gli accordi internazionali. Con la Nato. E con l’Unione Europea. Pragmatismo. Come pragmatico è stato d’altronde Putin, sia pure nell’ottica degli interessi convergenti. L’ambasciatore Andrej Maslov è stato il primo diplomatico a precipitarsi da Tsipras e a consegnargli il messaggio di Putin, in cui il presidente russo esprimeva “fiducia che Grecia e Russia potranno proseguire lo sviluppo della loro tradizionale cooperazione costruttiva in tutti i settori e lavoreranno insieme in modo efficace per la soluzione dei problemi attuali in Europa e nel mondo”. Poche righe, spedite ad Atene ma con lo scopo d’essere lette attentamente a Bruxelles.
Commerci, energia, turismo: i legami Atene-Mosca
Anton Shekhostov, accorto studioso esperto di movimenti radicali europei, valuta lo scopo di tutte queste moìne cremliniane: “Il caso Grecia è forse il più pericoloso in termini di potenziali implicazioni per la politica europea delle sanzioni”. Giorni fa, il ministro russo dell’agricoltura ha detto: cari amici greci, voi esportavate da noi il 60 per cento delle pesche, il 90 per cento delle fragole, frutta, olio d’oliva. Quest’anno, niente. Non avete mercati di sbocco. Un danno di 430 milioni di euro. Però, se uscite dall’euro, le nostre porte si spalancheranno subito… Una provocazione. Un messaggio nemmeno tanto cifrato. Grecia e Russia hanno progetti importanti da sbloccare: gasdotti, centrali di stoccaggio al confine con la Turchia, investimenti privati, flusso di capitali (condivisi con Cipro) e di viaggiatori: il 2016 sarà infatti l’anno turistico di Grecia e Russia. Inoltre, Gazprom vorrebbe incrementare il business con Atene (ha organizzato un congresso nella capitale greca qualche tempo fa). Tra russi e greci ci sono rapporti storici di affari, di fede, di cultura comuni: un episodio li sintetizza. Sei anni fa Putin finanziò la ristrutturazione del grandioso monastero russo al monte Athos.
Kotzias, capo della diplomazia di Atena amico di Mosca
Un amico di Mosca, indubbiamente è il 64enne Nikos Kotzias, neo ministro degli esteri. Docente di teoria politica all’università del Pireo, ex comunista (è stato anche consigliere diplomatico), negli anni Ottanta Kotzias applaudì la repressione di Solidarnosc. Di recente ha definito l’Ue “un impero idiosincratico, dominato dalla Germania”. In sintonìa con Putin che l’altro giorno ha accusato l’Occidente di “isteria antirussa”. Kotzias va spesso a Mosca, dove è in contatto con personaggi che gravitano nell’entourage di Putin, come Alexander Dugin, filosofo nazionalista, legato a figure di spicco dei siloviki moscoviti (gli uomini degli apparati di sicurezza). Invitato d’onore l’estate del 2013 al campus del Pireo, celebrò il ruolo della cristianità ortodossa nell’unire greci e russi. Ai tempi della guerra ottocentesca di Crimea, i russi pretendevano d’essere i protettori del mondo ortodosso, quindi anche della Grecia. L’iconografia che maschera affari e penetrazione russa nel mar Egeo.
Anche l’alleato Kammenos è ben conosciuto in Russia
L’amicizia di Panagiotis Lafazanis, freschissimo ministro dell’Energia e leader dell’estrema sinistra di Syriza, è senza limiti: “Non ci sono differenze con la Russia e il popolo russo”, ha premesso, e promesso. Pure Panos Kammenos, neoministro della Difesa, il leader della destra estremista dei Greci Indipendenti che si è alleata con Syriza, è ben noto nei corridoi del Cremlino e nelle stanze del potere russo. L’ultima volta l’hanno avvistato alla Duma, il parlamento russo: era il 15 gennaio, poco prima delle legislative greche. Ha incontrato il capo della commissione Esteri, Alexei Pushkov, nella lista nera di Stati Uniti e Canada. Poi il capo della commissione Difesa.
Veto alle sanzioni, Tsipras lo usa pro domo sua
Un protagonista chiave di questi contatti tra russi e euroscettici è l’oligarca Kostantin Malofeyev che ha fidelizzato i rapporti coi movimenti radicali politici europei, tra i quali l’Anel di Kammenos. L’alleanza di Tsipras con la destra populista tiene in apprensione le cancellerie europee. Il capo di Anel ha rassicurato i colleghi russi: “Siamo pronti a creare un ampio gruppo di forze politiche dei Paesi dell’Europa meridionale, le cui economie sono state danneggiate dalle sanzioni Ue contro la Russia”. Scopo del gruppo? “Una revisione di questo processo che colpisce più i paesi europei che la Russia”. Ma tali intenzioni favorirebbero davvero la Russia? “Macché”, replica l’analista Shekhovtsov, “Syriza e Anel sono innanzitutto partiti anti austerity. I loro sentimenti filorussi possono solo aumentare il costo delle sanzioni Ue contro il Cremlino, piuttosto che contribuire alla loro abolizione”. E allora, perché tante preoccupazioni? Perché Tsipras utilizzerà la questione del veto greco – il varo delle nuove misure punitive contro Mosca richiede l’unanimità dei 28 Stati membri – nelle trattative per la ristrutturazione del debito e la rinegoziazione dei pagamenti. Mosca aspetta che il meccanismo dei colloqui s’inceppi. Bruxelles vuole evitarlo: per questo Martin Schulz, il presidente del Parlamento europeo, si è precipitato giovedì 29 gennaio ad Atene, seguito da altri bonzi di Bruxelles. Per questo, a sorpresa, Mark Carney, numero uno della Bank of England, in un discorso “decisamente insolito”, ha condannato la linea dell’austerità, ha approvato l’azione della Bce di Draghi, fornendo un importante assist alla sinistra radicale guidata da Tsipras.
Kammenos, la mina vagante
Certo, Putin si sta impegnando in una complicata partita di scacchi e non saranno le prime mosse a impensierirlo. Tsipras non ha sbattuto subito le porte in faccia a Bruxelles: ci sarà comunque uno sbattere di imposte, un ruotar di chiavistelli e un tintinnare di catenacci. Molto dipende dalla tenuta della bizzarra alleanza col demagogo Kammenos, il quale aveva un programma elettorale quanto meno avventuroso: l’uscita dall’Europa e l’ingresso nell’Unione Euroasiatica, sorta di novella Urss fondata da Putin alla quale, sinora, hanno aderito Kazakistan e Bielorussia. Una prospettiva non molto allettante, per Tsipras. I greci non ci pensano nemmeno a finire tra le steppe putiniane. Quanto a Kammenos, il problema è che le spara grosse ed è una mina vagante. Ha accusato l’Europa perché “governata da tedeschi neo-nazisti” (nel 2013 disse che Wolfgang Scheuble, ministro delle Finanze di Berlino, era “una persona non-grata nel territorio greco”). Tralascio le battute antisemite, o le invettive contro gli immigrati clandestini. Eppure è con uno come Kammenos che Tsipras ha avviato un inedito e controverso matrimonio populista. La miscela è assai instabile. Può esplodere quando meno te l’aspetti. Oppure no: forse è solo un bluff. O magari uno stravagante, illogico esperimento politico. L’ha suggerito Putin?
p.s. Gli uomini dell’ombra sono cauti, l’intelligence si lascia suggestionare da scenari omerici: le trattative di Tsipras con Bruxelles falliscono. Si consolida allora un governo ostile, “anti occidentale d’Occidente”. Il cavallo di Troia anelato da Putin. Il quale, durante il secondo mandato presidenziale, aveva messo in piedi una struttura governativa per sviluppare forti legami con partiti e movimenti di un’Europa delle “piccole patrie”, e che volevano scrollarsi di dosso “le catene” di Bruxelles. Il 22 febbraio del 2005 aveva emanato un decreto (numero 198) per l’istituzione di un Dipartimento presidenziale delle relazioni “interregionali” e delle relazioni culturali con i Paesi stranieri (“Об Управлении Президента Российской Федерации по межрегиональным и культурным связям с зарубежными странами”), decreto perfezionato successivamente nel 2008, in cui si precisavano obiettivi e competenze. Un anno dopo, Russia Unita – il partito di Putin egemone alla Duma – annunciava che intendeva promuovere e approfondire la collaborazione con i partiti di altri Paesi. Quali, si è visto.
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Ecco dove si muove la politica.
Renzi che farà ?
è fondamentale aderire e sostenere che si faccia una conferenza dei paesi europei per ridiscutere le fondamenta dell'Unione .
Oggi Grecia, domani Spagna e poi .... Inghilterra sarebbero favorevoli, non si deve perdere questa occasione. Adesso la Grecia è pronta a mettere il veto alle sanzioni contro la Russia ... è tutta un'alltra musica.
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Re: G R E C I A
DA L'ALTRA EUROPA
GRECIA-MERCATI, TANTO TUONO’ CHE NON PIOVVE
di Alfonso Gianni, 29 gennaio 2015
Tanto tuonò che non piovve. Almeno per ora. Al terrorismo di prima non è seguito poi il crollo dei mercati finanziari il giorno dopo il voto di Atene. Anzi. I mercati europei reggono l’onda d’urto degli esiti del voto che portano al governo Syriza, seppure in coalizione con un piccolo partito di destra. Dopo la mattinata di due giorni fa, dall’andamento altalenante, hanno chiuso perfino in netto rialzo. Il giorno dopo la Borsa di Atene fa un tonfo. Ma questo appare più la conseguenza delle annunciate misure di politica economica del nuovo governo che non del timore sui contraccolpi delle richieste di ristrutturazione del debito.
In effetti il blocco della privatizzazione del Pireo e del porto di Salonicco (emblema di un piano di privatizzazioni più generale da fermare); il rientro al lavoro delle donne della pulizia del Ministero delle Finanze e degli addetti si servizi ausiliari delle scuole (licenziati dai precedenti governi e perciò emblematici); il ripristino della tredicesima per i pensionati al di sotto dei 700 euro; quello del salario minimo ai livelli antecedenti la crisi e dei contratti collettivi di lavoro; il rilancio degli investimenti pubblici sono un boccone indigesto per stomaci guastati dall’austerity.
Al tonfo però è seguito immediatamente un rimbalzo, proprio alla vigilia dei primi incontri in programma oggi tra Tsipras e i presidenti del Parlamento europeo, Martin Schulz, e dell’Eurogruppo, l’impronunciabile Jeroen Dijsselbloem. La Merkel e ancor più Schauble continuano a lanciare segnali di intransigenza. Ma l’impressione è che siano più attutiti. E che, in fondo, il programma proposto da Syriza sia non solo giusto ma anche attuabile e realistico. Qualche autorevolissimo giornalista economico si domanda persino se non è proprio grazie a quel programma che si salverà l’Euro e l’Europa. Ed è molto vicino al vero.
Di solito si cita la ormai celebre conferenza di Londra del 1953 ove venne condonato gran parte del debito contratto direttamente con altri stati dalla Germania, perché serviva che la sua ricostruzione funzionasse da baluardo contro il comunismo sovietico.
Ma è ancora più utile citare un precedente più lontano. Franklin Delano Roosvelt negli anni ’30, quatto quatto, perché gli elettori non se ne accorgessero, concesse una dilazione fino al 1991 sul pagamento dei debiti che la Gran Bretagna doveva agli Usa. Si dice che qualche cosa del genere sia già stato previsto anche per la Grecia. I viaggi effettuati nella City da parte di esponenti di Syriza non erano solo propaganda. Atene potrebbe finire di pagare il debito restante nel 2057 e non dovrebbe versare un euro fino al 2020. Pare quindi che, malgrado facciano la voce grossa, anche i settori più intransigenti si siano convinti che un default traumatico della Grecia con conseguente fuoriuscita dall’euro non convenga a nessuno.
Il problema non è risolto, ma è posto in modi meno drammatici di prima. Certamente il braccio di ferro si farà ancora più duro di fronte al fatto che la Ue non intende fare partecipare la Grecia ai benefici della quantitative easing messa in atto da Draghi, se non accetterà la riduzione del deficit del 2% del Pil. Ma le promesse di intervento sociale – già in via di attuazione — del nuovo governo greco comportano almeno una spesa pari al 7% del Pil. Qui ci sarà lo scontro. Ma se a difesa di quelle misure si stringerà la grande maggioranza del popolo greco, supportato da una solidarietà internazionale attiva, non sarà impossibile trovare compromessi vantaggiosi per un’economia che in fondo rappresenta il 2% del Pil e il 3% del debito dell’Eurozona.
Non è il debito greco che può determinare una perdita per i cittadini degli altri paesi, ma le politiche di austerità. Non solo, ma c’è chi ci ha speculato sulle disgrazie greche. I precedenti salvataggi non hanno pesato sulle tasche dei contribuenti, sia tedeschi che non. I loro governi ci hanno persino guadagnato. Gli «aiuti» di Draghi tra il 2012 e il 2013 hanno prodotto 2 miliardi di euro di interessi attivi netti, metà dei quali provenienti dai titoli greci. Anche i due precedenti aiuti alla Grecia hanno germogliato interessi. Risorse per una trattativa ci sono, senza mettere in ginocchio alcuno.
Ciò che spaventa le elites europee non è tanto la ristrutturazione del debito greco, ma assai più il fatto che l’intera vicenda dimostra l’assurdità e l’impraticabilità del fiscal compact. Guarda caso, proprio quello che interessa a noi.
da Sbilanciamo l’Europa #50, in edicola con il manifesto ogni venerdì - sbilanciamoci.info.
GRECIA-MERCATI, TANTO TUONO’ CHE NON PIOVVE
di Alfonso Gianni, 29 gennaio 2015
Tanto tuonò che non piovve. Almeno per ora. Al terrorismo di prima non è seguito poi il crollo dei mercati finanziari il giorno dopo il voto di Atene. Anzi. I mercati europei reggono l’onda d’urto degli esiti del voto che portano al governo Syriza, seppure in coalizione con un piccolo partito di destra. Dopo la mattinata di due giorni fa, dall’andamento altalenante, hanno chiuso perfino in netto rialzo. Il giorno dopo la Borsa di Atene fa un tonfo. Ma questo appare più la conseguenza delle annunciate misure di politica economica del nuovo governo che non del timore sui contraccolpi delle richieste di ristrutturazione del debito.
In effetti il blocco della privatizzazione del Pireo e del porto di Salonicco (emblema di un piano di privatizzazioni più generale da fermare); il rientro al lavoro delle donne della pulizia del Ministero delle Finanze e degli addetti si servizi ausiliari delle scuole (licenziati dai precedenti governi e perciò emblematici); il ripristino della tredicesima per i pensionati al di sotto dei 700 euro; quello del salario minimo ai livelli antecedenti la crisi e dei contratti collettivi di lavoro; il rilancio degli investimenti pubblici sono un boccone indigesto per stomaci guastati dall’austerity.
Al tonfo però è seguito immediatamente un rimbalzo, proprio alla vigilia dei primi incontri in programma oggi tra Tsipras e i presidenti del Parlamento europeo, Martin Schulz, e dell’Eurogruppo, l’impronunciabile Jeroen Dijsselbloem. La Merkel e ancor più Schauble continuano a lanciare segnali di intransigenza. Ma l’impressione è che siano più attutiti. E che, in fondo, il programma proposto da Syriza sia non solo giusto ma anche attuabile e realistico. Qualche autorevolissimo giornalista economico si domanda persino se non è proprio grazie a quel programma che si salverà l’Euro e l’Europa. Ed è molto vicino al vero.
Di solito si cita la ormai celebre conferenza di Londra del 1953 ove venne condonato gran parte del debito contratto direttamente con altri stati dalla Germania, perché serviva che la sua ricostruzione funzionasse da baluardo contro il comunismo sovietico.
Ma è ancora più utile citare un precedente più lontano. Franklin Delano Roosvelt negli anni ’30, quatto quatto, perché gli elettori non se ne accorgessero, concesse una dilazione fino al 1991 sul pagamento dei debiti che la Gran Bretagna doveva agli Usa. Si dice che qualche cosa del genere sia già stato previsto anche per la Grecia. I viaggi effettuati nella City da parte di esponenti di Syriza non erano solo propaganda. Atene potrebbe finire di pagare il debito restante nel 2057 e non dovrebbe versare un euro fino al 2020. Pare quindi che, malgrado facciano la voce grossa, anche i settori più intransigenti si siano convinti che un default traumatico della Grecia con conseguente fuoriuscita dall’euro non convenga a nessuno.
Il problema non è risolto, ma è posto in modi meno drammatici di prima. Certamente il braccio di ferro si farà ancora più duro di fronte al fatto che la Ue non intende fare partecipare la Grecia ai benefici della quantitative easing messa in atto da Draghi, se non accetterà la riduzione del deficit del 2% del Pil. Ma le promesse di intervento sociale – già in via di attuazione — del nuovo governo greco comportano almeno una spesa pari al 7% del Pil. Qui ci sarà lo scontro. Ma se a difesa di quelle misure si stringerà la grande maggioranza del popolo greco, supportato da una solidarietà internazionale attiva, non sarà impossibile trovare compromessi vantaggiosi per un’economia che in fondo rappresenta il 2% del Pil e il 3% del debito dell’Eurozona.
Non è il debito greco che può determinare una perdita per i cittadini degli altri paesi, ma le politiche di austerità. Non solo, ma c’è chi ci ha speculato sulle disgrazie greche. I precedenti salvataggi non hanno pesato sulle tasche dei contribuenti, sia tedeschi che non. I loro governi ci hanno persino guadagnato. Gli «aiuti» di Draghi tra il 2012 e il 2013 hanno prodotto 2 miliardi di euro di interessi attivi netti, metà dei quali provenienti dai titoli greci. Anche i due precedenti aiuti alla Grecia hanno germogliato interessi. Risorse per una trattativa ci sono, senza mettere in ginocchio alcuno.
Ciò che spaventa le elites europee non è tanto la ristrutturazione del debito greco, ma assai più il fatto che l’intera vicenda dimostra l’assurdità e l’impraticabilità del fiscal compact. Guarda caso, proprio quello che interessa a noi.
da Sbilanciamo l’Europa #50, in edicola con il manifesto ogni venerdì - sbilanciamoci.info.
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Re: G R E C I A
Una "soluzione" per la Grecia (e per l'Italia): una "moneta parallela" nazionale.
http://www.sinistrainrete.info/europa/4 ... sione.html
http://www.sinistrainrete.info/europa/4 ... sione.html
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: G R E C I A
flaviomob ha scritto:Una "soluzione" per la Grecia (e per l'Italia): una "moneta parallela" nazionale.
http://www.sinistrainrete.info/europa/4 ... sione.html
Potrebbe essere una soluzione, in definitiva resta il fatto che L’ITALIA HA PAGATO TRA IL 1980 ED IL 2012 LA BELLEZZA DI 3.101 MILIARDI DI EURO EQUIVALENTI (al 2012) DI INTERESSI, PARI AL 198% DEL PIL, UNA CIFRA DI PROPORZIONI ENORMI, quindi si tratta di pagare interessi più bassi per il debito
in modo tale da permettere una crescita sufficiente e allora la percentuale sul PIL per istruzione e ricerca deve essere superiore a quella per pagare gli interessi sul ddebito
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Re: G R E C I A
Obama fa la sponda per Tsipras: "Non spremere Paesi in depressione"
Il presidente Usa riconosce che Atene ha un "disperato bisogno" di riforme, ma queste non si possono sopportare "se il tenore di vita della gente è sceso del 25%". Il neo-premier greco e il ministro Varoufakis continuano le visite in Europa in cerca di un accordo su debito e riforme: domani Roma
02 febbraio 2015
L'Europa ha troppo da farsi perdonare per non ascoltare Atene
MILANO - "Non si può continuare a spremere paesi che sono in profonda depressione". Dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in un'intervista rilasciata alla Cnn sulla Grecia e sulle discussioni circa la rinegoziazione del debito arriva un importante supporto alle rivendicazioni di Alexis Tsipras, il neo premier ateniese. Proprio quest'ultimo e il suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, sono impegnati in un tour per l'Europa in cerca di supporto politico dai maggiori partner europei, anche se al momento pare escluso un incontro in casa dei "falchi" tedeschi. Dopo la visita di ieri a Parigi, Varoufakis ha in agenda Londra. Parte invece dalla vicina Cipro il viaggio di Tsipras, che martedì sarà in visita a Roma.
Tornando a Obama, per l'inquilino della Casa Bianca "ad un certo punto deve esserci una strategia di crescita, per permettere loro di rimborsare i debiti ed eliminare parte dei loro deficit" ha continuato. Il presidente Usa ha riconosciuto che la Grecia aveva "disperato bisogno" di riforme, ma che "è molto difficile avviare questi cambiamenti, se il tenore di vita della gente è sceso del 25%. Alla lunga il sistema politico, la società non possono sopportarlo". Obama ha detto di auspicare che la grecia resti nella zona euro, ma che ci vorrebbe un "compromesso da tutte le parti".
Anche il premier Matteo Renzi, che ieri ha avuto un colloquio telefonico con Angela Merkel riguardante anche Atene, in un suo intervento in radio ha ricordato a Tsipras che servono "serietà, prudenza e responsabilità".
Il presidente Usa riconosce che Atene ha un "disperato bisogno" di riforme, ma queste non si possono sopportare "se il tenore di vita della gente è sceso del 25%". Il neo-premier greco e il ministro Varoufakis continuano le visite in Europa in cerca di un accordo su debito e riforme: domani Roma
02 febbraio 2015
L'Europa ha troppo da farsi perdonare per non ascoltare Atene
MILANO - "Non si può continuare a spremere paesi che sono in profonda depressione". Dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in un'intervista rilasciata alla Cnn sulla Grecia e sulle discussioni circa la rinegoziazione del debito arriva un importante supporto alle rivendicazioni di Alexis Tsipras, il neo premier ateniese. Proprio quest'ultimo e il suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, sono impegnati in un tour per l'Europa in cerca di supporto politico dai maggiori partner europei, anche se al momento pare escluso un incontro in casa dei "falchi" tedeschi. Dopo la visita di ieri a Parigi, Varoufakis ha in agenda Londra. Parte invece dalla vicina Cipro il viaggio di Tsipras, che martedì sarà in visita a Roma.
Tornando a Obama, per l'inquilino della Casa Bianca "ad un certo punto deve esserci una strategia di crescita, per permettere loro di rimborsare i debiti ed eliminare parte dei loro deficit" ha continuato. Il presidente Usa ha riconosciuto che la Grecia aveva "disperato bisogno" di riforme, ma che "è molto difficile avviare questi cambiamenti, se il tenore di vita della gente è sceso del 25%. Alla lunga il sistema politico, la società non possono sopportarlo". Obama ha detto di auspicare che la grecia resti nella zona euro, ma che ci vorrebbe un "compromesso da tutte le parti".
Anche il premier Matteo Renzi, che ieri ha avuto un colloquio telefonico con Angela Merkel riguardante anche Atene, in un suo intervento in radio ha ricordato a Tsipras che servono "serietà, prudenza e responsabilità".
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Re: G R E C I A
da Repubblica:
L'Europa ha troppo da farsi perdonare per non ascoltare Atene
di MAURIZIO RICCI
L'Europa ha troppo da farsi perdonare per non ascoltare Atene Il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, incontra il nuovo ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis
ROMA - Il 16 per cento dei tedeschi, dice un sondaggio, è favorevole a tagliare il debito greco. Un altro 33 per cento è pronto ad allungare le scadenze. Insomma, un tedesco su due è ben disposto verso un dialogo con Tsipras e Syriza. Un po' meno - il 43 per cento - è contrario ad ogni concessione al nuovo governo di Atene.
Come sempre con il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, si può giudicare in vario modo la spaccatura registrata dai sondaggi. Ciò che conta, tuttavia, è che questa immagine serena e disponibile di buona parte dell'opinione pubblica tedesca non è quella, arcigna e intransigente, che ci rimandano i giornali di Berlino o Francoforte e, per questa via, la grande stampa internazionale e che rimbalza negli atteggiamenti dei leader politici della Germania di oggi. E' uno dei motivi per credere che, per quanto serio e importante, il braccio di ferro con il nuovo governo di Atene non sfocerà nel dramma. Il secondo, più importante, è che sulla Grecia e sulla tragedia della sua economia, l'Europa e gli organismi internazionali hanno molto da farsi perdonare.
Ha da farsi perdonare il Fondo monetario internazionale che, ripetendo l'errore della crisi asiatica del 1998, ha imposto sull'economia di Atene uno strangolamento di austerità, senza riuscire a calcolarne l'impatto. Gli economisti del Fondo, su questo punto, hanno già chiesto scusa. Hanno ancor più da farsi perdonare Bce e Commissione di Bruxelles che hanno costretto Atene ad
imboccare una strada che poteva essere evitata. Si parla molto, in questi giorni, dei 260 miliardi di euro prestati dall'Europa alla Grecia. Quei soldi, il governo di Atene, l'economia greca e i greci in genere non li hanno mai visti. Come ha documentato uno studio di Macropolis, solo l'11 per cento dei fondi europei sono arrivati alla Grecia. E gli altri 230 miliardi? Sono serviti a pagare i debiti della Grecia verso le banche europee (soprattutto tedesche e francesi) che avevano, incautamente, largheggiato nei prestiti. In altre parole, i governi europei hanno prestato 230 miliardi alle banche dei propri paesi, per evitare pericolosi scricchiolii.
Non è stato l'unico caso. Una storia della crisi europea dovrà ricordare che, allo stesso modo, il governo irlandese fu costretto a caricarsi i debiti delle banche, invece di lasciarle fallire e affossare, di conseguenza, i bilanci delle banche (tedesche e francesi) che si erano esposte verso gli istituti di Dublino. Sarebbe stato, probabilmente, più efficiente lasciare che queste banche fallissero e utilizzare i 230 miliardi per salvare le banche (tedesche e francesi) esposte verso la Grecia. E' stato lo stesso un megasalvataggio che andrebbe, forse, ricordato, nel momento in cui l'Europa guarda con tanto rigore a casi come quelli del Monte Paschi.
E' interessante notare che, solo dopo che le banche erano rientrate da un'esposizione così vistosa, l'Europa ha dato il via libera al default di Atene sui debiti verso privati. E che, solo dopo che le banche erano rientrate da un'esposizione così vistosa, i politici tedeschi hanno cominciato a premere con forza perché, nella mappa dell'unione bancaria europea, fosse chiaro che i creditori privati sarebbero stati lasciati a mollo, in caso di crac bancario.
Ancora più inquietante è la terza cosa da farsi perdonare. L'agenda delle riforme imposte alla Grecia fa venire in mente gli esperimenti sadici di film antichi come Il gabinetto del dottor Mabuse. Più esattamente, viene da chiedersi in nome di quale ideologia politica, la Troika, nella distrazione del resto d'Europa, abbia imposto alla Grecia misure che, anche a fatica, non si riesce a collocare nel contesto politico e sociale europeo. Un esempio su tutti: quale dottrina politica consente di togliere l'assistenza sanitaria ad uno, solo perché è disoccupato da più di un anno? Perché, dopo aver perso il lavoro e ogni fonte di reddito (sussidio di disoccupazione compreso) deve perdere anche il diritto alle medicine e ad un dottore? Come le paga, se si ammala e, dunque, anche volendo, non può trovare un altro lavoro? Tsipras sa bene che la Grecia è lo specchio della cattiva coscienza dell'Europa. E lo sa anche la Merkel.
L'Europa ha troppo da farsi perdonare per non ascoltare Atene
di MAURIZIO RICCI
L'Europa ha troppo da farsi perdonare per non ascoltare Atene Il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, incontra il nuovo ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis
ROMA - Il 16 per cento dei tedeschi, dice un sondaggio, è favorevole a tagliare il debito greco. Un altro 33 per cento è pronto ad allungare le scadenze. Insomma, un tedesco su due è ben disposto verso un dialogo con Tsipras e Syriza. Un po' meno - il 43 per cento - è contrario ad ogni concessione al nuovo governo di Atene.
Come sempre con il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, si può giudicare in vario modo la spaccatura registrata dai sondaggi. Ciò che conta, tuttavia, è che questa immagine serena e disponibile di buona parte dell'opinione pubblica tedesca non è quella, arcigna e intransigente, che ci rimandano i giornali di Berlino o Francoforte e, per questa via, la grande stampa internazionale e che rimbalza negli atteggiamenti dei leader politici della Germania di oggi. E' uno dei motivi per credere che, per quanto serio e importante, il braccio di ferro con il nuovo governo di Atene non sfocerà nel dramma. Il secondo, più importante, è che sulla Grecia e sulla tragedia della sua economia, l'Europa e gli organismi internazionali hanno molto da farsi perdonare.
Ha da farsi perdonare il Fondo monetario internazionale che, ripetendo l'errore della crisi asiatica del 1998, ha imposto sull'economia di Atene uno strangolamento di austerità, senza riuscire a calcolarne l'impatto. Gli economisti del Fondo, su questo punto, hanno già chiesto scusa. Hanno ancor più da farsi perdonare Bce e Commissione di Bruxelles che hanno costretto Atene ad
imboccare una strada che poteva essere evitata. Si parla molto, in questi giorni, dei 260 miliardi di euro prestati dall'Europa alla Grecia. Quei soldi, il governo di Atene, l'economia greca e i greci in genere non li hanno mai visti. Come ha documentato uno studio di Macropolis, solo l'11 per cento dei fondi europei sono arrivati alla Grecia. E gli altri 230 miliardi? Sono serviti a pagare i debiti della Grecia verso le banche europee (soprattutto tedesche e francesi) che avevano, incautamente, largheggiato nei prestiti. In altre parole, i governi europei hanno prestato 230 miliardi alle banche dei propri paesi, per evitare pericolosi scricchiolii.
Non è stato l'unico caso. Una storia della crisi europea dovrà ricordare che, allo stesso modo, il governo irlandese fu costretto a caricarsi i debiti delle banche, invece di lasciarle fallire e affossare, di conseguenza, i bilanci delle banche (tedesche e francesi) che si erano esposte verso gli istituti di Dublino. Sarebbe stato, probabilmente, più efficiente lasciare che queste banche fallissero e utilizzare i 230 miliardi per salvare le banche (tedesche e francesi) esposte verso la Grecia. E' stato lo stesso un megasalvataggio che andrebbe, forse, ricordato, nel momento in cui l'Europa guarda con tanto rigore a casi come quelli del Monte Paschi.
E' interessante notare che, solo dopo che le banche erano rientrate da un'esposizione così vistosa, l'Europa ha dato il via libera al default di Atene sui debiti verso privati. E che, solo dopo che le banche erano rientrate da un'esposizione così vistosa, i politici tedeschi hanno cominciato a premere con forza perché, nella mappa dell'unione bancaria europea, fosse chiaro che i creditori privati sarebbero stati lasciati a mollo, in caso di crac bancario.
Ancora più inquietante è la terza cosa da farsi perdonare. L'agenda delle riforme imposte alla Grecia fa venire in mente gli esperimenti sadici di film antichi come Il gabinetto del dottor Mabuse. Più esattamente, viene da chiedersi in nome di quale ideologia politica, la Troika, nella distrazione del resto d'Europa, abbia imposto alla Grecia misure che, anche a fatica, non si riesce a collocare nel contesto politico e sociale europeo. Un esempio su tutti: quale dottrina politica consente di togliere l'assistenza sanitaria ad uno, solo perché è disoccupato da più di un anno? Perché, dopo aver perso il lavoro e ogni fonte di reddito (sussidio di disoccupazione compreso) deve perdere anche il diritto alle medicine e ad un dottore? Come le paga, se si ammala e, dunque, anche volendo, non può trovare un altro lavoro? Tsipras sa bene che la Grecia è lo specchio della cattiva coscienza dell'Europa. E lo sa anche la Merkel.
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: G R E C I A
Questo fatto che le banche prestino i soldi agli stati e prendono interessi di circa il 4% superiore all'inflazione è una cosa inspiegabile che sia stata accettata, quando la BCE dà soldi alle banche con interessi prossimi allo zero.
Sembra poi che Francia e Germania abbiano delle banche nazionali pubbliche,per cui non pagano quegli interessi spropositati e paghino interessi per il debito come quelli delle banche.
Sembra poi che Francia e Germania abbiano delle banche nazionali pubbliche,per cui non pagano quegli interessi spropositati e paghino interessi per il debito come quelli delle banche.
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