Re: La Terza Guerra Mondiale
Inviato: 05/12/2015, 14:20
da camillobenso
I GIORNI DEL KAOS
Sciiti e sunniti, colpa loro. Noi occidentali? Innocenti, ovvio
Scritto il 05/12/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
“Se Allah avesse voluto una sola religione, al mondo, quella soltanto ci sarebbe”.
Nel suo saggio sulle principali confessioni del pianeta, Paolo Franceschetti ricorda lo straordinario ecumenismo presente nel Corano, secondo cui “tutte le religioni sono mezzi che conducono alla stessa meta”.
«Lo stesso Maometto, pur “prescelto da Dio”, aggiungeva: non compio miracoli, non servirebbe. (cattiverie di un agnostico-Maometto- La Mecca, 570 circa – Medina, 8 giugno 632 DC: "Forse perchè non era in grado di farli-ndt)
Nonostante i suoi miracoli, nemmeno Cristo, il più grande dei profeti, è stato riconosciuto per ciò che era, ed è stato crocifisso».
Ora torna in voga il refrain sullo “scontro di civiltà”, inaugurato nel 1996 da un esponente dell’élite come Samuel Huntington (“Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale”) e reso tristemente celebre da Oriana Fallaci dopo l’11 Settembre.
E oggi, nella narrazione mainstream frastornata da attentati e guerre a catena (Libia e Siria, Charlie Hebdo, Yemen, strage di Parigi del 13 novembre), lentamente affiora anche nei talkshow un nuovo capitolo, quello della guerra inter-islamica tra sciiti e sunniti.
«Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale», scriveva Huntington.
«Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro», anche perché «le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura».
Superiorità occidentale? Sì, ma a mano armata: «L’Occidente – ammette ancora Huntington – non ha conquistato il mondo con la superiorità delle sue idee, dei suoi valori o della sua religione, ma attraverso la sua superiorità nell’uso della violenza organizzata, il potere militare».
E attenzione: «Gli occidentali lo dimenticano spesso, i non occidentali mai».
Lo sottolinea Paolo Barnard nel suo saggio “Perché ci odiano”, in cui intervista anche l’allora “numero tre” di Al-Qaeda: il mondo islamico ha ormai incorporato un rancore smisurato e più che giustificato verso l’Occidente, dopo aver subito – senza interruzione – un genocidio dopo l’altro, lo stupro di interi paesi e la razzia delle risorse (petrolifere, e non solo) grazie alla complicità di élite locali, i “raìs” che rinnegarono le istanze della decolonizzazione, restando al potere – dittature e monarchie – col granitico supporto occidentale.
Una stagione di piombo, dopo la fine delle speranze accese dai leader terzomondisti arabi e africani sistematicamente uccisi o fatti uccidere dagli occidentali, perché scomodi: da Patrice Lumumba in Congo, liquidato dal Belgio per insediare Mobutu, fino a Thomas Sankara, in Burkina Faso (l’uomo che voleva azzerare il debito per i paesi poveri), assassinato col solito sistema, sicari locali armati da mandanti occidentali, francesi e americani.
Il maggiore leader della storia egiziana moderna, Nasser, trascinò il mondo sull’orlo della guerra nel fatidico 1956: nazionalizzò il Canale di Suez per protesta contro la Banca Mondiale che rifiutava di finanziare una grande diga sul Nilo; per rovesciarlo manu militari, inglesi e francesi sbarcarono in forze a Port Said, ma furono fermati dall’Urss che intimò loro il ritiro immediato, pena l’impiego delle armi atomiche.
Proprio il crollo dell’Unione Sovietica ruppe equilibri decennali, congelando al potere i vecchi autocrati, ancora sul trono o travolti solo ora dalle “primavere arabe”.
Sempre in Egitto, il “faraone” Mubarak era stato il vicepresidente di Anwar Sadat, l’uomo della storica pace separata con Israele.
Pagò con la vita, Sadat, e la sua fine mise sotto i riflettori, per la prima volta, la “jihad islamica”: Sadat fu ucciso nel 1981 da un killer jihadista.
Meno di dieci anni dopo, l’Algeria schierò i carri armati nelle strade per annullare i risultati delle elezioni, che avevano clamorosamente incoronato il Fis, Fronte Islamico di Salvezza.
Ma l’unico grande paese in cui l’Islam andò letteralmente al potere fu l’Iran, con la travolgente rivoluzione di Khomeini del 1979, guidata dal carismatico ayatollah (sciita) esiliato dal feroce regime dello “scià” Reza Pahlavi, a cui l’Occidente aveva imposto di eliminare il premier Mohammad Mossadeq, che aveva osato nazionalizzare il petrolio iraniano, saldamente in mano agli inglesi dal lontano 1908.
Con Khomeini, l’identità religiosa si è trasformata anche in arma politica di autodifesa, da parte di paesi storicamente brutalizzati e rapinati dall’Occidente, che non ha mai neppure provato a sanare la devastante piaga della Palestina, martoriata fino al genocidio delle bombe al fosforo bianco sganciate anche sui bambini, dopo che a Gaza si è imposta (democraticamente, per via elettorale) la fazione sciita di Hamas.
Appena più a nord, altri sciiti, quelli del partito armato di Hezbollah insediato in Libano, sono ora impegnati accanto ai russi nel sostegno militare del regime di Assad, esponente della componente sciita (alawyta) della Siria.
Mentre nell’altro paese raso al suolo dalle bombe, l’Iraq, a maggioranza sciita, sono stati gli americani a emarginare, con la fine di Saddam, la componente sunnita, da cui si racconta sia partita l’ultima ondata jihadista che sta insanguinando il Medio Oriente e terrorizzando la Francia.
Religione o potere?
Secondo un eminente studioso come Francesco Saba Sardi, biografo di Picasso e traduttore di Simenon, Pessoa, Borges e Garcia Marquez, religione e potere compaiono insieme, nella storia della civiltà, insieme al terzo elemento: la guerra.
Accade nel passaggio cruciale tra il paleolitico, abitato da cacciatori e raccoglitori, al neolitico, in cui l’uomo scopre l’agricoltura e quindi il bisogno di conquistare e difendere la terra.
Nel saggio “Dominio”, Saba Sardi sostiene che proprio la religione nacque per conferire autorità al primo capo politico e militare della storia dell’umanità, il re-sacerdote.
Se la “guida suprema” dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei, potrebbe essere classificato (come il Papa-re) nella categoria dei re-sacerdoti, è pur vero però che i “nemici” dei paesi islamici non professano, di fatto, alcuna religione: il biglietto da visita dell’Occidente “cristiano” non è il crocifisso, ma una valigia di dollari e una flotta di droni che sganciano missili.
Tre milioni di vittime, fra i musulmani, solo negli ultimi anni.
E’ sempre l’Occidente – l’ha ricordato un comico, Maurizio Crozza, citando Hillary Clinton – ad aver “fabbricato”, in Afghanistan, il fondamentalismo islamico da cui poi nacquero i Talebani e il loro profeta, l’ex uomo Cia più famoso del mondo, Osama Bin Laden.
Eppure, di fronte ai fallimenti catastrofici in Medio Oriente e alla recente paura quotidiana per gli attentati, un’Europa smemorata e incerta, guidata dall’evanescente Obama, resta tra le nebbie di una politica reticente e disonesta: preferisce tacere sul ruolo di Usa, Francia e Turchia nella progettazione a tavolino della “guerra civile” in Siria, per parlare piuttosto di scontro inter-islamico tra sciiti e sunniti, come se si trattasse di una lite di famiglia tra parenti lontani, stravaganti e fanatici, fingendo di non sapere come mai, molti di loro, ce l’hanno tanto con noi.
Posto che nessuno potrebbe mai farsi saltare in aria senza essere imbottito di anfetamine o debitamente manipolato con tecniche psicologiche potentissime, come quelle messe a punto nel programma Mk-Ultra della Cia, non occorre un Premio Nobel per riconoscere le ragioni di un risentimento vastissimo, motivato da decenni di mostruose sofferenze inflitte.
«La differenza tra noi e voi è semplice: noi non abbiamo paura di morire», dice un jihadista.
Può succedere, sostiene Marco Travaglio, se scopri di non avere più niente da perdere, perché qualcuno ti ha condotto alla disperazione, privandoti di tutto.
«Aiutiamoli a casa loro», dicono – senza ridere – leader come Salvini, come se non sapessero in che modo li stiamo già “aiutando”, a casa loro, da decenni. Enrico Mattei, che alla parola “aiuto” dava un significato diverso (non rapina, ma scambio equo) fu fatto esplodere in aria, sul suo aereo.
Ma era tanto tempo fa. Troppo, per ricordare. Meglio allora i pettegolezzi sulla lite di famiglia tra i sunniti, cioè gli eredi di Abu Bakr, amico e suocero di Maometto, e gli sciiti, seguaci dell’imam Alì, cugino e genero del Profeta. La divisione religiosa risale al VII secolo dopo Cristo, ma è “esplosa” soltanto adesso, da quando i paesi islamici del Vicino Oriente si sono accorti, definitivamente, della natura dell’“aiuto a casa loro” fornito dal potere occidentale.
Il nostro è un potere non certo religioso, ma finanziario e militare, come ricorda Huntington, peraltro co-autore dello storico saggio “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale e utilizzato come Vangelo dall’oligarchia mondialista, quella che ha messo fine alla sovranità nazionale anche archiviando la sinistra dei diritti, quella che – per inciso – sosteneva le cause del terzo mondo, inclusa quella palestinese, che sta a cuore tanto ai sunniti quanto agli sciiti.
Ma attenzione: buttarla in politica non risolve sempre tutto.
Lo sostiene un osservatore speciale come Fausto Carotenuto, già analista di primo piano dei servizi segreti, ora animatore del network “Coscienze in rete”: conta anche, e moltissimo, la dimensione “invisibile”, quella dei pensieri.
Angoscia, paura e rabbia, oppure speranza e fiducia: il “potere” della preghiera.
I musulmani sono un miliardo e mezzo, nel mondo, e pregano Allah cinque volte al giorno, tutti i giorni, a ore fisse.
«Ogni fedele – dice Paolo Franceschetti – sa che, mentre sta pregando, lo sta facendo insieme a tutti gli altri, in ogni parte del mondo. Questo dona una grande forza interiore, demolisce la solitudine».
Per il massone Gianfranco Carpeoro, l’errore fatale dei cattolici fu quello di attaccare gli arabi con le Crociate.
San Francesco d’Assisi viaggiò fino a Damietta, sul Nilo, per fare la pace coi musulmani.
Che, all’imperatore esoterista Federico II, regalarono una scorta d’onore: la guarda armata del capo del Sacro Romano Impero era composta da guerrieri musulmani.
Emblematico, sotto questo aspetto, il ruolo-ponte dei Sufi, confraternita iniziatica di origini antichissime, pre-islamiche, capace di sviluppare una particolarissima forma di sincretismo, oltre che una sorta di diplomazia di pace.
«Sapendo che tutto è Dio, cerco Dio per trovare il tutto», sintetizzava Gabriele Mandel, eminente studioso e leader dei “dervisci” italiani, per tutta la vita impegnato nel dialogo interreligioso.
Dagli islamici abbiamo molto da imparare, aggiunge Franceschetti: «Per loro la carità è un obbligo, vivono una straordinaria solidarietà quotidiana.
Da sempre, nei paesi islamici, il fisco è progressivo: i ricchi pagano più tasse. E la finanzia islamica non è speculativa come la nostra, l’etica la impone il Corano: se non riesci più a a pagare il mutuo, la banca si riprende la casa ma si ferma lì, non ti perseguita con gli interessi.
Non a caso, da noi non si vedono banche islamiche».
Discorsi che portano lontano, certo. Molto più lontano dei missili sulla Siria, e di quelli sparati ogni giorno dal circo mediatico con le sue mediocri comparse senza memoria.
Re: La Terza Guerra Mondiale
Inviato: 05/12/2015, 15:11
da camillobenso
I GIORNI DEL KAOS
Mondo
Isis: religione, armi, petrolio, gas e droga, cosa conta davvero?
di Gianluca Ferrara | 3 dicembre 2015
La Siria è un territorio privilegiato per comprendere cosa sta accadendo nel mondo arabo, questo perché è un Paese a maggioranza sunnita, ma il presidente Bashar Al Assad fa parte di una frangia degli sciiti, mentre le forze “rivoluzionarie” che si oppongono al suo regime sono sunnite. Il primo quindi è appoggiato da Paesi sciiti come l’Iran e dagli Hezbollah libanesi, i secondi da Paesi sunniti come Qatar, Arabia Saudita e dal famigerato Isis.
Il mondo mussulmano si divide in questi due principali rami: sunniti e sciiti. I primi sono la maggioranza, circa l’85% e si ritengono più tradizionalisti rispetto agli sciiti. I due rami si formarono all’indomani della morte di Maometto nel 632 dc. L’antagonismo nasce dalla decisione sulla persona a cui concedere lo scettro della successione. I sunniti erano propensi che a succedere Maometto fosse Abu Bakr, suo suocero. Gli sciiti, invece, ritenevano che l’eredità dovesse andare a un consanguineo di Maometto, addirittura, tale minoranza, reputava che fosse stato lo stesso profeta a individuare in Ali, suo genero nonché cugino, il suo successore.
Pubblicità
Entrambe le fazioni condividono i cinque pilastri fondamentali dell’Islam che, in sintesi, sono:
1) (Shahadatein) Maometto è l’ultimo profeta di un unico Dio, Allah;
2) Salah, ovvero l’obbligo di 5 preghiere quotidiane;
Pubblicità
3) Zakah, l’offerta di una percentuale (2,5%) del proprio stipendio annuo ai poveri;
4) Siam vale a dire il digiuno mensile, noto come ramadan;
5) Hajj che è l’obbligo per tutti coloro che possono permetterselo di recarsi in pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita.
Dal 632 in poi questi due grandi rami dell’Islam sono, in linea di massima, coesistiti. Una data che ruppe gli equilibri fu il 1979, ma la ragione della rottura fu politica più che religiosa. In Iran nel 1979, la rivoluzione khomeinista causò l’espulsione dello scià iraniano filo-americano. Fu istituita una teocrazia islamica, sciita, che si opponeva ai Paesi del Golfo Persico a maggioranza sunnita.
Questo equilibrio precario fu rotto definitivamente dalle bombe americane con l’occupazione americana dell’Iraq di Saddam, un sunnita in un Paese a maggioranza sciita. Quello che è successo è oramai noto: con il pretesto delle armi di distruzione di massa, armi mai trovate, si occupò il Paese e si assassinò Saddam colpevole di essere restio a concedere il petrolio alle multinazionali occidentali. In altre parole, con le guerra delle “democrazie” occidentali all’Iraq è stato come dare un pugno ad un alveare. Ora ci si lamenta che qualche ape ci vuole pungere il deretano. L’intromissione imperialista made in Usa ha generato nel Medio Oriente una guerra di religione simile a quella dei trent’anni che noi in Europa abbiamo vissuto nel XVII° secolo.
Ma la storia ci insegna che le guerre sono sempre generate da velleità di élite, anche se poi a pagarne il conto sono sempre i popoli. Ebbene la realtà è che la religione è solo un pretesto, l’unico Dio è il profitto. Le élite russe, occidentali, dell’Arabia Saudita, del Qatar etc. etc., che vivono nel lusso estremo hanno come unico fine il controllo del petrolio in Iraq e del gas e della droga in Afganistan. Nonostante la presenza degli eserciti la produzione e l’esportazione di oppio è schizzata nuovamente in su rispetto al tempo del Mullah Omar che si era permesso di proibirne la coltivazione.
L’isis filo-sunnita ora rappresenta un problema perché si sta appropriando del petrolio. L’aveva pronosticato uno dei maggiori sostenitori della guerra in Iraq, Dick Cheney, il vice-presidente Usa dirigente della Halliburton, la nota multinazionale del petrolio. La sua affermazione, dopo anni di silenzio, nel giugno del 2014, fu chiara: “I miei pensieri e le mie preghiere sono per i pozzi di petrolio iracheni”. I pozzi di petrolio stavano sfuggendo dal controllo. Una preoccupazione reale. Dopo che i soldati Usa lasciarono l’Iraq, poco alla volta, sempre più petrolio finiva nelle mani dell’Isis, ovvero degli stessi individui usati strumentalmente per attaccare Assad.
In Siria si sono annodati più interessi. I russi vogliono continuare ad essere influenti, la Turchia, anche se fa parte della Nato, vuol fermare l’avanzata dei curdi sebbene quest’ultimi siano in prima linea contro l’Isis, gli Usa ora sono favorevoli ad attaccare coloro che prima appoggiavano in chiave anti Assad. E l’Italia? L’Italia, come da tradizione, aspetta. Intanto continua a far lucrosi affari con quell’Arabia che finanzia l’Isis, considerato il male assoluto.
Mentre i popoli aizzati dalla propaganda mediatica si ammazzano per quale Dio abbia la barba più lunga, le élite si spartiscono gli introiti di petrolio, gas e droga.
La storia è sempre la stessa.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... o/2271319/
Re: La Terza Guerra Mondiale
Inviato: 06/12/2015, 11:34
da erding
http://www.losai.eu/wp-content/uploads/ ... ardino.jpg
Strage San Bernardino: tutti i dubbi sulla versione ufficiale (che i media italiani non si pongono)
di Maurizio Blondet
“Nel nostro centro si sono esercizi di simulazione ‘active shooter’ tutti i mesi!”: così si lamentava in un messaggino una infermiera che lavora al Centro Disabili dove è avvenuta la sparatoria. L’infermiera si chiama Dorothy Vong, e la sua testimonianza è stata riportata dal Los Angeles Times.
Le esercitazioni “active shooter” (sparatore attivo) sono appunto simulazioni in cui si suppone che gli agenti di polizia,m Guardia Nazionale e soccorritori sanitari diventano esperti, per così dire, come trattare gli stragisti che sparano in scuole e simili istituti. Siccome le sparatorie omicide in America sono una routine, anche le esercitazioni sono una routine. Allo Inland Regional Center di San Bernardino, i pazienti disabili e i loro familiari vengono ogni mese coinvolti in queste esercitazioni, insieme al personale, e ne sono alquanto irritati.
“L’esercitazione è cominciata”: così l’infermiera Dorothy Vong manda un messaggino al marito verso le 11 di quel giorno.
Si avvicina alla finestra e filma un video degli agenti ed altri funzionari che accorrono verso l’edificio “. “Oh, fa’ paura”; dice una voce – una voce calma dietro di lei. Probabilmente un altro dipendente o paziente che guarda alla finestra.
“..E sono tutti bardati!”, dice qualcun altro: “fucili e tutto..”-.
Qualcuno, dietro, ridacchia. Non hanno ancora capito che l’esercitazione è diventata reale.
Finalmente Dorothy rimanda un sms al marito: “Ehi, è vero”. E qualche minuto dopo: “Siamo in un ufficio chiuso a chiave”. Nel pomeriggio il marito, Mark Vong, che è corso al centro e sta dietro della polizia, racconta tutto ciò ai reporters e aggiunge: “Ho detto a mia moglie di stare calma e di non cadere nel panico. So addestrano per questo. Sanno che può succedere”.
E certo, come no. La prima conclusione che le autorità adottare è che quelle continue esercitazioni active shooter sono del tutto inutili. A meno che non servano a coprire i preparativi di un attentato deciso dall’alto.
In ogni grande false flag, l’abbiamo spesso ripetuto, s’è saputo che era in corso una qualche esercitazione di polizia, pompieri, paramedici che simula esattamente la tragedia che deve avvenire. A Londra 2005, vi fu il fondato sospeto che i quattro “terroristi” che fecero esplodere i loro zaini nelle quattro stazione del metrò, potessero essere degli ignari ingaggiati per una esercitazione, che poi è diventata “live” a loro insaputa. Per quanto orrenda questa ipotesi, anche la tragedia di San Bernardino
Si veda questa foto:
http://www.losai.eu/wp-content/uploads/ ... ardino.jpg
Se era ammanettato, perché l’hanno ucciso?
Riprende il corpo del marito ‘terrorista’ Syed Farook , appena ucciso dalla polizia. E’ ammanettato. E’ stato ammanettato da morto? E perché? Si ammanettano i vivi pericolosi. Ma una volta ammanettato, Farook non poteva più essere pericoloso. Perché la polizia l’ha ammazzato?
E poi: perché prima di fare la strage i due hanno ritenuto necessario vestirsi con abiti tattici neri, in divisa da terroristi?
Ma nessun dubbio tocca i nostri media: “C’è il marchio dell’Isis sulla strage – la moglie di Farook giurava fedeltà al Califfo”. Già: esiste un messaggio che la moglie e neo-mamma Tashfeen Malik ha postato su Facebook “in cui giura fedeltà al Califfo”. E quando l’ha postato? Il giorno stesso. Anzi, durante la sparatoria.
“Ha postato il materiale alle 11 sotto un altro account alle 11 del matino”, raccontano i giornali: “all’incirca nell’ora in cui son cominciate ad arrivare le chiamate al 911” (il numero d’emergenza, tipo 113).
la coppia
Bonnie & Clyde?
E’ credibile che la neo-mamma in tuta nera, mentre sta sparando, manda un messaggio di fedeltà all’ISIS? E perché sotto “un altro account”?
E da dove è venuta questa notizia? Da un “dirigente di Facebook” (a Facebook executive) che “parla sotto condizione di anonimato perché per direttiva aziendale non può essere citata per nome. Il”Profilo Faceobook” è stato rimosso. Ma è il profilo della signora, oppure il profilo dell’altro account, il falso nome?
“Un altro funzionario che parla sotto condizione di anonimato dice che Malik (la neo-mamma) esprimeva ‘ammirazione’ per Al Baghdadi “ in quel messaggio rimosso, “e che non c’era alcun segno che chiunque altro affiliato all’ISIS le abbia risposto, né che abbia ricevuto istruzioni operative”. Un messaggio d’amore puro e semplice.
Solo a posteriori l’ISIS ha rivendicato: lo ha scoperto, come al solito, Rita Katz.
Ora, non bisogna essere dei maestri del sospetto per capire che 1) o il messaggio non è mai esistito (“E’ stato rimosso”) o 2) Qualcuno l’ha postato su Facebook mentre la signora era impegnata a massacrare 17 persone, conosciute per lo più dal marito. Non è poi così difficile postare un falso profilo su Facebook a nome di un altro. Specie se l’altro non protesterà mai più.
Anche le munizioni e gli esplosivi trovati nella loro abitazione possono esserci stati messi dopo. Niente di più facile: l’FBI ha ovviamente fatto irruzione ed ispezionato ogni angolo della casa. Poi – e questo invece è molto insolito – ha consentito che il proprietario dell’appartamento lasciasse entrare i giornalisti; che come un’orda vergognosa hanno pesticciato, fotografato, frugato nei cassetti, insomma sporcato la cosiddetta “crime scene”.
http://www.losai.eu/strage-san-bernardi ... i-pongono/
Maurizio Blondet : Autore e conferenziere di ispirazione cattolica tradizionalista, è stato inviato speciale per Oggi, il Giornale, Avvenire, e ha scritto successivamente anche su La Padania.[1] Ha diretto, insieme a Siro Mazza, la rivista trimestrale di studi cattolici Certamen[2]. Fino a giugno 2015 è stato anche direttore della testata giornalistica online Effedieffe.com, edita da Effedieffe Edizioni, fondata da Fabio De Fina.
La maggior parte dei suoi scritti tratta diffusamente di presunti poteri occulti e oligarchici. (Notizie su Maurizio Blondet tratte da Wikipedia)
Non so se questa è una delle tante "bufale" di cui facebook è pieno, se, la foto in particolare, é autentica l'articolo pone dei dubbi seri e legittimi.
C'è un detto dalle mie parti che dice: a timp' d guerr dic' l biscjj pur la terr ( in tempo di guerra dicon le bugie pure la terra! )
Re: La Terza Guerra Mondiale
Inviato: 07/12/2015, 22:19
da camillobenso
Ve lo ricordate il film: I tre giorni del Condor???
Da Youtube:
I tre giorni del condor - tremenda attualità
https://www.youtube.com/watch?v=R0FzkIQQRPM
I tre giorni del Condor
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
I tre giorni del Condor (Three Days of the Condor) è un film del 1975 diretto da Sydney Pollack. È stato prodotto da Stanley Schneider e diretto da Sydney Pollack. La sceneggiatura è di Lorenzo Semple Jr ed è l'adattamento dal romanzo I sei giorni del Condor di James Grady.
Trama
Manhattan. Un commando di sicari, guidati da un uomo di nome Joubert, irrompe in una sezione impiegatizia della CIA, impegnata in operazioni di OSINT, dove vengono letti e studiati libri e giornali provenienti da tutto il mondo in cerca di individui sospetti, codici segreti o trame nascoste.
Tutti gli operatori vengono sterminati, ad eccezione del giovane Joseph Turner, nome in codice "Condor", uscito a comprare la colazione, che pochi giorni prima aveva inviato ai suoi superiori un rapporto al quale non aveva avuto risposta.
Scoperto il massacro, sentendosi in pericolo e non potendo fidarsi quasi di nessuno, Turner chiede aiuto alla sede centrale: è il vicedirettore Higgins ad assumersi l'incarico di recuperare il sopravvissuto, mentre Condor si vede costretto a sequestrare una ragazza, Kathy Hale, obbligandola a tenerlo in casa sua per essere al sicuro. Nonostante una iniziale diffidenza reciproca, i due collaboreranno e andranno anche a letto insieme.
Grazie alla propria abilità e al proprio coraggio, Turner non solo riesce a sventare ogni tentativo di ucciderlo da parte dei killer inviatigli contro, addirittura lottando con un sicario travestito da postino che rimane ucciso, ma riesce pure ad arrivare a una conclusione: una sezione deviata interna alla CIA lo vuole morto e a capo di tutto c'è un cospiratore di nome Leonard Atwood.
Questi aveva preparato i piani di una guerra da far scoppiare nel Medio Oriente per assicurarsi il controllo del petrolio, ma il rapporto di Condor lo aveva involontariamente smascherato. Il funzionario della CIA era pertanto ricorso al killer "indipendente" Joubert per eliminare ogni possibile contatto che potesse metterlo in rapporto con il piano, mentre la CIA usava Turner come bersaglio mobile per individuare i responsabili del complotto.
Nel confronto decisivo con Joubert, questi a sorpresa elimina Atwood, risparmia Condor e gli svela di essere tornato al servizio della CIA ufficiale, suggerendogli di sparire e ricordandogli che, se dovesse rimanere nella CIA, non potrà sempre sfuggire ai cospiratori rimasti finché non sarà pubblicato il suo rapporto.
Turner si incontra con Higgins, che gli propone di reintegrarlo nell'Agenzia. Condor, ricordando le parole di Joubert, fiuta la trappola e mentre se ne va, svela di aver consegnato il suo rapporto al New York Times.
Il finale lascia aperto l'interrogativo se la CIA riuscirà a evitare che la notizia sia pubblicata.
Commento
Questa voce non è neutrale!
La neutralità di questa voce o sezione sull'argomento film è stata messa in dubbio.
Motivo: Ricerca originale allo stato puro
Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.
Il film appartiene al genere dello spionaggio ed è ambientato nella New York dell'epoca (metà degli anni settanta). Si discosta tuttavia dal puro e semplice genere spionistico, poiché pone interrogativi di tipo più politico. Al centro della vicenda narrata resta infatti la possibilità che i servizi segreti, o una parte di essi, sfuggano ad ogni controllo e agiscano secondo finalità e con mezzi non corretti o comunque approvati.
Il film ebbe un grande successo, non solo perché magistralmente confezionato da Sydney Pollack e interpretato da due attori che all'epoca erano sulla cresta dell'onda, ma anche perché fu realizzato in un periodo in cui nell'opinione pubblica americana e occidentale in genere dominava un sentimento di perplessità nei confronti della politica estera degli USA e delle possibili manipolazioni dell'informazione da parte del potere politico. Non va dimenticato infatti che il film uscì nel 1975, in un periodo di grande disillusione degli americani, che proprio in quell'anno assistevano alla umiliante uscita di scena degli USA dalla guerra del Vietnam e che solo un anno prima avevano vissuto il terremoto politico conseguente allo scandalo Watergate.
I tre giorni del condor è considerato come uno dei migliori film del genere cospirativo e thriller. Ha ottenuto la nomination dall'Academy Award per il montaggio, agli Oscar del 1976.