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Forum per un "Congresso della Sinistra" ... sempre aperto • Come se ne viene fuori ? - Pagina 506
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Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 26/11/2014, 10:53
da iospero
Predefinito Re: Alcune buone ragioni per occupare lo spazio a sinistra del PD



Rosy Bindi: “Se Pd non unisce come l’Ulivo, è necessaria forza politica nuova” di F. Q. | 26 novembre 2014

La presidente della Commissione antimafia, intervistata dal Corriere della Sera, sottolinea l'esigenza di un cambiamento nel Pd. In caso contrario, non esclude la spaccatura. E attacca Renzi: "Il voto di domenica dimostra che è iniziata la parabola discendente" 26 novembre 2014



“Se il Pd torna a essere il partito dell’Ulivo, che unisce e accompagna il Paese, non ci sarà bisogno di alternative. Ma se il Pd è quello di questi ultimi mesi, è chiaro che ci sarà bisogno di una forza politica nuova”. Il presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, in un’intervista al Corriere della Sera ipotizza una spaccatura all’interno del Pd e nega che una tale forza sarebbe minoritaria: “Tutt’altro che minoritaria -afferma- una forza di sinistra, competitiva con il partito della nazione. E allora servirà, oltre alle idee, la classe dirigente“.
Secondo Bindi “Renzi sbaglia quando si paragona al partito a vocazione maggioritaria di Veltroni, che prese il 33% e ridusse la sinistra radicale a prefisso telefonico. Quello era collocato nel centrosinistra e non ambiva a fare il partito pigliatutto. Se il Pd è quello di questi mesi una nuova forza a sinistra non sarà residuale, ma competitiva. E sarà un bene per il Paese, se non vogliamo che il confronto si riduca ai due Matteo. Sarà una sinistra riformista e plurale, ma sarà una sinistra.

A parte quello che dice la Bindi , a Firenze c'è stata la settimana scorsa la controLeopolda in cui vari esponenti della sinistra sono intervenuti e se non erro dopo il prossimo sciopero generale dovrebbe partire questo nuovo soggetto politico per essere pronto , come dice Civati, a prendere il volo ( il gufo dispiega le ali). Una cosa da non dimenticare : la lista "L'Altra.." alle europee aveva superato il 4% senza essere presente tra i media, era una presenza per i pochi addetti ai lavori, e adesso alle regionali idem, da notare che mentre tutti hanno perso voti (anche la lega rispetto alle regionali 2010)
i votanti di "L'Altra ..." (compreso SEL) li hanno mantenuti.

Civati alla controLeopolda tra le altre cose ha detto che questo nuovo soggetto politico dovrebbe andare da Prodi a Rodotà.

Ieri Landini ha escluso di fare il laeder di questo nuovo soggetto e allora resta il problema di trovare qualcuno che sfondi gli schermi, Civati non ha questi requisiti, Vendola ha già fatto la sua stagione, ma ci sono tanti giovani che opportunamente accompagnati e con addetti ai lavori di marketing potrebbero risolvere il problema.

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 26/11/2014, 12:28
da camillobenso
L'ARTICOLO DELLA BINDI DEL CORRIERE

Bindi: si torni all’Ulivo o noi usciamo Matteo ha deluso, è già in caduta
L’esponente della sinistra: se il Pd non cambia ci sarà bisogno di una nuova forza. Renzi? Fa il salvatore della patria come Grillo, Salvini e il Berlusconi dell’esordio
di Monica Guerzoni


ROMA «Non ci siamo divisi...».
La minoranza si è spaccata in tre, presidente Rosy Bindi.
«Gli obiettivi di chi ha votato no e di chi ha lasciato l’Aula, come me, erano gli stessi. Marcare la distanza netta da un provvedimento che, eliminando il diritto al reintegro, considera il lavoro come una merce».
L’indennizzo non basta?
«È un passo indietro profondo, secolare, rispetto alla dignità del lavoratore richiamata dal Papa. Oltre a non condividere il merito io ho voluto prendere le distanze dal messaggio che il premier ha costruito in questi mesi. Le sue parole hanno scavato un solco tra il governo, il segretario del Pd e il mondo del lavoro, la parte più sofferente dell’Italia. Abbiamo visto la delegittimazione del sindacato e una provocazione davvero lontana dalla situazione reale degli italiani».
Pensa che l’astensionismo nasca da qui?
«Tra Emilia e Calabria il Pd ha perso 750 mila voti. Se alle Regionali avessero votato gli stessi elettori delle Europee dovremmo dire che oggi il Pd è tornato al 30%, un numero più vicino al 25 di Bersani che non al 41 di Renzi».

Rosi Bindi: "L'astensionismo va preso sul serio"
La presidente della Commissione parlamentare antimafia a Milano per un vertice su Expo | agr - Corriere TV
http://video.corriere.it/rosi-bindi-l-a ... 65482eed13

L’astensionismo è ininfluente, secondo lui.
«Affermazione molto grave. L’astensionismo è un problema per la democrazia di un Paese, per il Pd e anche per il governo. Il premier ha fatto campagna in prima persona e ha lanciato dal podio dell’Emilia uno dei messaggi piu gravi quando ha detto che lui crea lavoro, mentre il sindacato organizza gli scioperi. Con le Regionali Renzi si è unito ai tanti salvatori della patria a cui gli italiani amano affidarsi, per poi sperimentare la cocente delusione».
Rimpiange Enrico Letta?
«Il paragone non è con Letta. È con Grillo, con Salvini, con il Berlusconi dei primi anni. La rottura della politica col Paese reale è profonda e sembra rimarginarsi quando gli italiani si affidano al salvatore di turno, per poi delusi andare a ingrossare l’unico partito che vince, quello dell’astensione. Il voto di domenica dimostra che è iniziata la parabola discendente, anche di Renzi».
Gufa perché rottamata?
«Sono stati rottamati 750 mila elettori in un colpo solo, non la Bindi. Questa categoria è servita a Renzi per vincere, ma ora, per continuare a governare, deve prendere per mano la povertà, le periferie, il dissesto del territorio, la crisi industriale. Chi guida i processi politici deve indicare il cammino, la speranza, e responsabilizzare tutti nella fatica della paziente ricostruzione».

La minoranza chiederà il congresso anticipato?
«Il gioco interno al Pd non interessa agli italiani, figuriamoci a me. Quel che mi interessa è che ci sia una forza politica che abbia il coraggio di ricostruire il tessuto democratico e affrontare una crisi economica sempre piu grave».
Progetta la scissione?
«Dico che questa è la funzione del Pd, se ha memoria delle origini, se non vagheggia l’idea del partito unico della nazione e se è un partito riformista, ma di sinistra. Quello sul Jobs act è stato un primo passaggio di merito, ma ora ce ne sono altri non meno importanti».
La riforma costituzionale?
«Appunto. Così è irricevibile, umilia il Parlamento e lo rende subalterno al governo».
La legge di Stabilità?
«Non può essere una mera, finta restituzione delle tasse, c’è bisogno di sostegno vero al lavoro e agli investimenti».
E l’Italicum, lei lo vota?
«Se il patto del Nazareno non ha più futuro, nessuno pensi di portare avanti quella legge elettorale con sostegni diversi in Parlamento. C’è da dare al Paese una legge che assicuri il bipolarismo, non attraverso i nominati e il premio di maggioranza al partito unico».
E se Renzi va a votare?
«Questo risultato dovrebbe farlo riflettere, non è tempo di facili ricorsi alle urne. Voglio sperare che al di là del messaggio grave, sbagliato e pericoloso che ha mandato all’Italia, Renzi abbia un momento di ripensamento serio. Spero cambi stile e accetti il confronto. E si ricordi che il segno di chi ha la responsabilità più alta è unire, non dividere».
Perché non uscite per fondare una forza alternativa, guidata da Landini? «Se il Pd torna a essere il partito dell’Ulivo, che unisce e accompagna il Paese, non ci sarà bisogno di alternative. Ma se il Pd è quello di questi ultimi mesi, è chiaro che ci sarà bisogno di una forza politica nuova».
Una forza minoritaria?
«Tutt’altro che minoritaria, una forza di sinistra, competitiva con il partito della nazione. E allora servirà, oltre alle idee, la classe dirigente».
La sinistra fuori dal Pd non è un ferro vecchio?
«Renzi sbaglia quando si paragona al partito a vocazione maggioritaria di Veltroni, che prese il 33% e ridusse la sinistra radicale a prefisso telefonico. Quello era collocato nel centrosinistra e non ambiva a fare il partito pigliatutto. Se il Pd è quello di questi mesi una nuova forza a sinistra non sarà residuale, ma competitiva. E sarà un bene per il Paese, se non vogliamo che il confronto si riduca ai due Matteo. Sarà una sinistra riformista e plurale, ma sarà una sinistra. Sarà il Pd».
Il voto sul Quirinale sarà una resa dei conti?
«Quando dovremo confrontarci su quella scelta, spero più tardi possibile, io auspico che venga fatta ricercando l’unità del Paese. Fu un bene bocciare la riforma del centrodestra, che riduceva il capo dello Stato a portiere del Quirinale».
Perché Renzi dovrebbe cercare un nome non condiviso?
«Ci sono molti modi per ridurre il ruolo del Colle, come rinunciare alla ricerca della personalità più autorevole per considerarla strumentale alla politica del governo. Sarà fondamentale trovare la persona che più unisce e la cui autorevolezza sia considerata indiscussa, da tutti».

26 novembre 2014 | 07:01
© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/politica/14_nove ... 1e19.shtml

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 26/11/2014, 17:54
da iospero
da L'Huffington Post

Fabrizio Barca
Crollo dei votanti alle Regionali, un brutto segnale per la democrazia. Tutto va ben madama la marchesa?
Pubblicato: 24/11/2014 17:47
"Tutto va ben madama la marchesa"... o quasi: questa è la reazione dominante delle classi dirigenti del paese di fronte al crollo del numero di votanti in Calabria e soprattutto in Emilia-Romagna. "In Emilia-Romagna? Beh, ma cosa ti aspettavi dopo gli scandali! In Calabria? Ma, "loro" votano pure in troppi (un po' di razzismo non fa mai male)! E poi senza opposizione credibile ... perché andare a votare? E, per dircela fra di noi, è un bene che a votare siano in meno ... come in tutti i 'paesi civili'".

Intendiamoci. Prima di tutto un augurio ai neo-Presidenti eletti, e la speranza che in Calabria sia l'inizio del cambiamento: quella terra può farcela. Ma a livello nazionale il tema è un altro. Nessuno deve nascondere la testa sotto la sabbia. Alla marchesa della canzone dobbiamo spiegare perché il marito si è suicidato e perché la casa è andata a fuoco.

Il crollo dei votanti non è, caro Pierluigi (Battista) - che hai il merito di essere allarmato -, la "reazione ritorsiva dei corpi intermedi", ma la "reazione ritorsiva dei cittadini disintermediati". E delusi anche dall'ultimo tentativo, quello (per versi generoso, per versi autoritario) di Cinque Stelle, di offrire loro una "relazione diretta con il Palazzo". I fatti sono chiari. Fra Stato e cittadini, singoli o organizzati, si è aperta da tempo una faglia che ora si allarga. Perché, ovunque, trenta anni di liberismo hanno minato la capacità dello Stato di rispondere in modo discrezionale e partecipato ai bisogni dei cittadini. Perché in Europa ciò è aggravato dall'insostenibilità di un'Unione Monetaria che non si completa in Unione Politica.

Perché in Italia pesa uno Stato normo-centrico che non presidia l'attuazione degli interventi, succube di azzeccagarbugli e progettifici, incapace al suo interno di premiare il merito; uno Stato a cui i cittadini si rivolgono per "aiuto", non per fare valere diritti, e che dunque essi disprezzano. E perché, unici nel mondo occidentale, abbiamo preso sul serio l'idea che "i partiti sono un residuo del novecento"; abbiamo vissuto la loro identificazione con lo Stato (e la corruzione e decadimento che ne sono discesi) come l'annuncio della loro fine, non come il campanello di allarme per la loro ricostruzione.

La rinunzia al diritto di voto avviene in misura assai più grave che in contesti simili di Germania o Spagna, simile solo a quella statunitense o britannica (guardatevi i numeri, ne vale la pena). Ma soprattutto da noi è ben più pericolosa. Per tre ragioni. Perché, soprattutto nei paesi anglosassoni, ai cittadini viene offerta la possibilità di giudicare i propri eletti sulla base dei risultati del loro operato, e di punirli, disertando i loro servizi: un metodo che produce ineguaglianza, ma che risponde a criteri almeno astratti di giustizia. Perché in altri paesi - si pensi alla Germania - ai cittadini e ai lavoratori sono offerte e riconosciute piattaforme di partecipazione che "li tirano dentro" nei processi decisionali; e che essi hanno imparato a usare. Perché solo da noi incombe l'Anti-Stato, ossia la criminalità organizzata: quando annusa il distacco fra Stato e cittadini, si fa avanti con i propri "servizi"; come avviene in questi giorni.

E allora, si eviti, per carità, di minimizzare questo brutto giorno della democrazia italiana. E se ne eviti anche un uso strumentale, addossando la responsabilità solo alle nuove classi dirigenti che guidano il paese, come se l'ideologia della semplificazione, del partito leggero, del leader che dialoga con i cittadini, della demolizione dei corpi intermedi non costituiscano la farina dell'ultimo ventennio. E si prenda di petto il tema di ricostruirli, questi benedetti partiti. Il PD ha l'occasione di farlo. Porteremo nella Commissione di studio che il Partito ha avviato il contributo dei mille volontari che, consapevoli dei propri limiti, ma anche della propria forza, stanno sperimentando una nuova forma di partito, proprio nel PD. Leggete e fate leggere!

Vedo che Barca e Bersani sperano di cambiare il PD dall'interno. TANTI AUGURI !!!

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 01/12/2014, 0:27
da camillobenso
Forse, questo grafico pubblicato da Ricolfi riesce a dare maggiormente l'idea di cosa significa oggi "disoccupazione" che i singoli dati.

Disoccupazione mai così alta nella storia d’Italia
(LUCA RICOLFI).
30/11/2014 di triskel182

Immagine

È incredibile, la capacità dei governanti di manipolare i fatti pur di non dirci come vanno le cose. Negli ultimi giorni l’Istat ha fornito i dati sulle forze di lavoro nel terzo trimestre, e ha anticipato i dati provvisori di ottobre. Dati drammatici, ad avere il coraggio di guardarli in faccia. E invece no, immediatamente dopo la diffusione delle cifre Istat si è scatenata la corsa a travisarli. E’ così che abbiamo appreso che i dati trimestrali dell’Istat ci presentano «una sostanziale e progressiva crescita degli occupati nell’ultimo anno», quantificata in 122 mila occupati in più. E che anche l’incremento della disoccupazione, pari a 166 mila disoccupati in più, non ci deve preoccupare perché «va messo in relazione alla crescita del numero di persone che cercano lavoro». Come dire: se aumenta il tasso di disoccupazione è perché la gente è meno scoraggiata e «più persone tornano a cercare lavoro».

Sui trucchi usati per manipolare i fatti non vale neppure la pena soffermarsi, tanto sono ingenui e vecchi (alcuni li insegniamo all’università, sotto il titolo «come si fa una cattiva ricerca»). Sui fatti, invece, è il caso di riflettere un po’.

Occupati in termini reali

Primo fatto: l’occupazione in termini reali sta diminuendo. Che cos’è l’occupazione in termini reali? E’ la quantità di occupati al netto della cassa integrazione. Se, per evitare le distorsioni della stagionalità, confrontiamo l’ultimo dato disponibile (ottobre 2014) con quello di 12 mesi prima (ottobre 2013), la situazione è questa: gli occupati nominali (comprensivi dei cassintegrati) sono rimasti praticamente invariati (l’Istat fornisce una diminuzione di 1000 unità), le ore di cassa integrazione sono aumentate in una misura che corrisponde a circa 140 mila posti di lavoro bruciati. Dunque negli ultimi 12 mesi l’occupazione reale è diminuita.

Apparentemente la diminuzione è di circa 140 mila unità, ma si tratta di una valutazione ancora eccessivamente ottimistica: gli ultimi dati Istat, relativi al terzo trimestre 2014, mostrano che, sul totale degli occupati, si stanno riducendo sia la quota di lavoratori a tempo pieno sia la quota di lavoratori italiani. Il che, tradotto in termini concreti, significa che aumentano sia il peso dei posti di lavoro part-time «involontari» (donne che lavorano poche ore, ma non per scelta) sia il peso dei posti di lavoro di bassa qualità, tipicamente destinati agli immigrati.

I senza lavoro

Secondo fatto: la disoccupazione sta aumentando. I disoccupati erano 3 milioni e 124 mila nell’ottobre del 2013, sono saliti a 3 milioni e 410 mila nell’ottobre del 2014. L’aumento è di ben 286 mila unità, di cui 130 mila nei 4 mesi del governo Letta, e 156 mila negli 8 mesi del governo Renzi. La spiegazione secondo cui l’aumento sarebbe dovuto a una maggiore fiducia, che farebbe diminuire il numero di lavoratori scoraggiati, riprende una vecchia teoria degli Anni 60 ma è incompatibile con i meccanismi attuali del mercato del lavoro italiano, che mostrano con molta nitidezza precisamente quel che suggerisce il senso comune: gli aumenti di disoccupazione dipendono dal peggioramento, e non dal miglioramento, delle condizioni del mercato del lavoro.

Sulla disoccupazione, tuttavia, ci sarebbe qualcosa da aggiungere. In questi giorni sentiamo ripetere, dai giornali e dalle tv, che il tasso di disoccupazione non solo è ulteriormente aumentato rispetto a 12 mesi fa (1 punto in più), non solo è molto alto in assoluto (13,2%), non solo è fra i più alti dell’Eurozona, ma sarebbe anche il più alto degli ultimi 37 anni, ossia dal 1977.

I dati del 1977

Ebbene, anche questa, già di per sé una notizia drammatica, detta così è ancora troppo ottimistica. Se dici che siamo al massimo storico dal 1977, o che «siamo tornati al 1977», qualcuno potrebbe supporre che nel 1977 il tasso di disoccupazione italiano fosse più alto di oggi, o perlomeno fosse altrettanto alto.



Non è così. Nel 1977 il tasso di disoccupazione era molto minore rispetto ad oggi (7,2% contro 13,2%). La ragione per cui si continua a parlare del 1977 come una sorta di spartiacque è che la serie storica dell’Istat con cui attualmente lavoriamo parte dal 1977. Ma questo non significa che sugli anni prima del 1977 non si sappia niente. Prima del 1977 c’era la vecchia serie 1959-1976. E prima ancora c’erano i dati del collocamento, della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali, dei censimenti demografici, a partire da quello del 1861, anno dell’unità d’Italia. Tutte fonti meno sofisticate di quelle di oggi, ma sufficienti a darci un’idea degli ordini di grandezza. Mi sono preso la briga di controllare queste fonti, nonché i notevoli lavori che sono stati pubblicati sui livelli di disoccupazione dal 1861 a oggi e la conclusione è tragica.



Unità d’Italia e dopoguerra

Mai, nella storia d’Italia, il tasso di disoccupazione è stato ai livelli di oggi. Altroché 1977. La disoccupazione era più bassa di oggi anche nel periodo 1959-1976, per cui abbiamo una serie storica Istat. Era più bassa anche negli anni della ricostruzione, dal 1946 al 1958. Ed era più bassa durante il fascismo, persino negli anni dopo la crisi del 1929. Quanto al periodo che va dall’unità d’Italia all’epoca giolittiana, è difficile fare paragoni con l’oggi, se non altro perché è proprio allora che prende lentamente forma il concetto moderno di disoccupazione, ma basta un’occhiata ai censimenti e agli studi che li hanno analizzati (splendidi quelli di Manfredi Alberti, borsista Istat) per rendersi conto che, comunque si definisca il fenomeno, siamo sempre abbondantemente al di sotto dei livelli attuali.

Il governo Renzi

Di tutto questo Renzi e i suoi non hanno nessunissima colpa. Il legno storto del mercato del lavoro non si raddrizza in pochi mesi, e forse neppure in parecchi anni. Quel che dispiace, però, è che anche le nostre giovani marmotte, giunte al potere, si arrampichino sugli specchi come tutti gli anziani paperi che le hanno precedute. Come cittadino, preferirei un governo che, sull’occupazione e la disoccupazione, ci dicesse la verità, e mostrasse con i fatti, non con le parole, di aver capito il dramma del lavoro in Italia. Quel che vedo, invece, è un ceto politico che irride i sindacati, si è mostrato del tutto inadeguato sul progetto europeo «Garanzia giovani», stanzia pochissimi soldi per ridurre il costo del lavoro (1,9 miliardi nel 2015), mentre ne stanzia tantissimi sul bonus da 80 euro, misura meravigliosa ma che premia solo chi un lavoro già ce l’ha.

Il guaio, purtroppo, è sempre quello. In Italia la sinistra, oggi come ieri, protegge innanzitutto i lavoratori già garantiti. La destra ha da sempre un occhio di riguardo per i lavoratori autonomi. Quanto a tutti gli altri, precari, lavoratori in nero, giovani e donne fuori dal mercato del lavoro, nessuno se ne preoccupa sul serio, e meno che mai i sindacati. Fino a quando?

Da La Stampa del 30/11/2014.

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 12/12/2014, 17:51
da iospero
12 DICEMBRE SCIOPERO GENERALE, ART. 18 PER TUTT* E REDDITO DI BASE GENERALIZZATO


Una grande giornata di lotta di lavoratori, precari, pensionati, disoccupati, giovani e anziani, nativi e immigrati, da Nord a Sud.
Mentre una politica che é ormai il megafono della Troika svuota le urne, creando una crisi democratica senza precedenti, le piazze si riempiono di un popolo stanco di troppi populisti.
Ciò che il liberismo, ma anche Renzi e Salvini, vogliono dividere, lo sciopero generale riunisce.
Diciamo no al Jobs Act, allo Sblocca Italia e alla Legge di stabilità.
Denunciamo che il piano Juncker non é che il riciclaggio di vecchi fondi già stanziati, non è di 300 miliardi ma di circa 15 miliardi reali.
Chiediamo un’altra Europa che dice basta all’austerità, ridiscute e rinegozia il debito, lancia un vero piano per il lavoro e una economia sostenibile.

Chiediamo l’articolo 18 esteso a tutti e un reddito di base generalizzato. Tutte/i in piazza!

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 12/12/2014, 20:45
da camillobenso
iospero ha scritto:12 DICEMBRE SCIOPERO GENERALE, ART. 18 PER TUTT* E REDDITO DI BASE GENERALIZZATO


Una grande giornata di lotta di lavoratori, precari, pensionati, disoccupati, giovani e anziani, nativi e immigrati, da Nord a Sud.
Mentre una politica che é ormai il megafono della Troika svuota le urne, creando una crisi democratica senza precedenti, le piazze si riempiono di un popolo stanco di troppi populisti.
Ciò che il liberismo, ma anche Renzi e Salvini, vogliono dividere, lo sciopero generale riunisce.
Diciamo no al Jobs Act, allo Sblocca Italia e alla Legge di stabilità.
Denunciamo che il piano Juncker non é che il riciclaggio di vecchi fondi già stanziati, non è di 300 miliardi ma di circa 15 miliardi reali.
Chiediamo un’altra Europa che dice basta all’austerità, ridiscute e rinegozia il debito, lancia un vero piano per il lavoro e una economia sostenibile.

Chiediamo l’articolo 18 esteso a tutti e un reddito di base generalizzato. Tutte/i in piazza!
Una giornata di ordinaria guerriglia.

Sciopero generale, scontri a Milano e Torino. Decine di feriti

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12 ... i/1268916/

Cronaca con video

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 30/12/2014, 16:58
da erding
Partiti, istituzioni, Europa: la fiducia va a picco, cittadini sempre più soli.
Il Papa unica speranza



Dall'indagine Demos 2014 emerge una nazione spaesata sfiancata da crisi, fisco e corruzione.
Il quadro già negativo del 2013 peggiora ancora. Anche la magistratura in calo

di ILVO DIAMANTI


UN PAESE spaesato. Senza riferimenti. Frustrato dai problemi economici, dall'inefficienza e dalla corruzione politica. Affaticato. E senza troppe illusioni nel futuro. È l'Italia disegnata dalla XVII indagine su "Gli Italiani e lo Stato", condotta da Demos (per Repubblica). Pare una replica del Rapporto 2013. Se possibile: peggiorata. Tuttavia, c'è una novità: il senso di solitudine. Perché oggi, molto più che nel passato, anche recente, i cittadini si sentono "soli". Di fronte allo Stato, alle istituzioni, alla politica. Ma anche nel lavoro. E nella stessa comunità.

LE TABELLE

1. Soli di fronte allo Stato. Valutato con fiducia dal 15% dei cittadini. Metà, rispetto al 2010, 4 punti meno di un anno fa. Un livello basso, ma non molto diverso, ormai, rispetto agli altri governi territoriali. Perché meno del 20% dei cittadini si fida delle Regioni e meno del 30% dei Comuni. Insomma siamo un Paese senza Stato, secondo le tradizioni. Ma abbiamo perduto anche il territorio. Mentre l'Europa appare sempre più lontana, visto che poco più di un italiano su quattro crede nella UE.

2. D'altra parte, gli italiani si sentono sempre più lontani dalla politica. E, in primo luogo, dai partiti. Ormai non li stima davvero nessuno. Per la precisione, il 3%. Cioè, una quota pari al margine d'errore statistico. Poco meno del Parlamento, comunque (7%). Una conferma del clima di sfiducia che mette apertamente in discussione la "democrazia rappresentativa". Interpretata, in primo luogo, proprio dai partiti, insieme al Parlamento.

3. Al di là dell'ampiezza, colpisce la "velocità" con cui sta crescendo la sfiducia verso i soggetti politici e le istituzioni di rappresentanza democratica. Rispetto al 2010, infatti, la credibilità dello Stato, dei partiti e del Parlamento è dimezzata. Mentre la fiducia nei Comuni e nelle Regioni è calata di oltre 10 punti percentuali. La perdita di riferimenti territoriali ha investito anche l'Unione Europea. Vista con favore dal 27% degli italiani: 22 punti meno del 2010. E 5 punti meno dell'anno scorso.

4. La stessa figura del Presidente della Repubblica appare coinvolta da questo clima di spaesamento. Giorgio Napolitano, "costretto" a subentrare a se stesso, per non creare pericolosi vuoti di potere, ha pagato le tensioni politiche e istituzionali. Anche per questo la fiducia nel Presidente, è scesa dal 71 al 44%, dal 2010 ad oggi. E di 5 punti rispetto all'anno scorso. D'altronde, tutti i livelli e i soggetti di "governo" hanno perduto consenso in misura significativa rispetto allo scorso anno: partiti, Parlamento, Comuni, Regioni. Lo Stato.

5. E ciò suggerisce, come si è già detto, che sia in discussione la credibilità stessa della democrazia rappresentativa. Sfidata apertamente da alcuni soggetti politici, come il M5s, che le oppongono la democrazia "diretta". Solo il 46% degli italiani ritiene, peraltro, che "senza partiti non ci possa essere democrazia". Mentre il 50% pensa il contrario (nel 2010 era il 42%). Certo, i due terzi dei cittadini credono che la democrazia sia ancora la peggior forma di governo, ad esclusione di tutte le altre (come sosteneva Churchill). Ma la scommessa democratica, nel 2008, era sostenuta da una quota di cittadini molto più ampia: il 72%.

6. Insomma, fra gli italiani si è diffusa una certa "stanchezza democratica". Anche perché la nostra democrazia, il nostro Stato, si dimostrano sempre più inefficienti. Non per caso, è cresciuta l'insoddisfazione verso i servizi pubblici. E l'insofferenza verso il sistema fiscale appare, ormai, senza limiti. Come il ri-sentimento verso la corruzione politica. Vizi nazionali, di "lunga durata", che circa 7 italiani su 10 considerano ulteriormente in crescita.

7. Tuttavia, la sfiducia nel governo centrale e locale, la degenerazione della politica e dell'azione dei partiti, manifestata dagli scandali per corruzione non hanno rafforzato la credibilità della Magistratura. Che, fra i cittadini, ha subìto un pesante calo di fiducia. Dal 50%, nel 2010, al 33% oggi. Quasi 17 punti in meno, in quattro anni. E 7 nell'ultimo.

8. Così si spiega lo sguardo scettico verso l'immediato futuro. Per la maggioranza (relativa: 40%) degli italiani, infatti, l'anno che verrà non sarà né migliore né peggiore dell'anno appena finito. Semplicemente: uguale. Cioè, senza istituzioni, senza governo. Senza sicurezza, visto che perfino la fiducia nelle Forze dell'ordine - apprezzate, comunque, da due italiani su tre - è scesa di 7 punti, rispetto al 2010, 3 dei quali perduti nell'ultimo anno. D'altronde, anche gli indici di partecipazione politica e sociale sono in declino. Mentre la fiducia nelle organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori e, ancor più, dei sindacati, è calata sensibilmente. E quasi 6 persone su 10 diffidano degli "altri", in generale.

9. In pochi anni, dunque, abbiamo perduto i principali riferimenti della vita pubblica e sociale. E abbiamo impoverito quel capitale di partecipazione e di fiducia necessario alla società, alle istituzioni e alla stessa economia per funzionare, non solo per svilupparsi. Anzi, se proprio vogliamo essere precisi, c'è una sola figura che oggi disponga di grande credito. Papa Francesco. Lo apprezzano 9 italiani su 10. Quasi tutti, insomma. Tuttavia, il Papa è un'autorità "religiosa", a capo di un "altro" Stato. La sua grandissima popolarità (che, peraltro, è "personalizzata" e non si estende alla Chiesa) potrebbe suggerire che, ormai, non c'è speranza. E non ci resta che affidarci alla provvidenza divina...

10. Al di là delle battute, l'indagine di Demos sottolinea un rischio concreto. L'assuefazione alla sfiducia. Nelle istituzioni, negli altri, nel futuro. E, anzitutto, in noi stessi. Spinti, per inerzia, a "dare per scontato" che le cose non possano cambiare. Senza interventi "dall'alto". Così, "l'incertezza" rischia di apparire una condanna. Mentre è il "segno" del nostro tempo. "Incerto", ma non "segnato", pre-destinato. L'incertezza: significa che nulla è (ancora) scritto. Che l'anno che verrà non è ancora (av)venuto. Dipende anche da noi "segnarne" il percorso.

http://www.repubblica.it/politica/2014/ ... f=HREC1-24

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 30/12/2014, 17:59
da camillobenso
10. Al di là delle battute, l'indagine di Demos sottolinea un rischio concreto. L'assuefazione alla sfiducia. Nelle istituzioni, negli altri, nel futuro. E, anzitutto, in noi stessi. Spinti, per inerzia, a "dare per scontato" che le cose non possano cambiare. Senza interventi "dall'alto". Così, "l'incertezza" rischia di apparire una condanna. Mentre è il "segno" del nostro tempo. "Incerto", ma non "segnato", pre-destinato. L'incertezza: significa che nulla è (ancora) scritto. Che l'anno che verrà non è ancora (av)venuto. Dipende anche da noi "segnarne" il percorso.

Ilvo Diamanti


Ho appena avuto modo di precisare in altro 3D,
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 534#p35534
che Davigo ha definito una decina di giorni fa che lo stato degli italiani è quello della RASSEGNAZIONE, che erding mi aveva preceduto di soli 21 minuti con questo articolo di Ilvo Diamanti.

Quando l'intelligenza non è acqua. Diamanti e Davigo vedono entrambi la RASSEGNAZIONE di un popolo intero.

Io ci vedo una delle tante malattie tricolori.

Qualche giorno fa ho scoperto di non essere il solo a credere che se non ci fossero state le armate alleate attestate lungo la linea Gotica, col piffero che dopo l'8 settembre del 1943 gli italiani sarebbero diventati resistenziali.

Solo una minoranza durante il fascismo ha sentito la necessità di affrontarlo a viso aperto.

Giacomo Matteotti l'ha fatto ed è stato eliminato. Don Minzoni l'ha fatto ed è stato fatto fuori dalle squadracce fasciste.

Antonio Gramsci eliminato in carcere.

Sandro Pertini, Luigi Longo, Umberto Terracini, Giorgio Amendola, Lelio Basso, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Eugenio Colorni, Giovanni Roveda, Walter Audisio, Camilla Ravera, Giuseppe Di Vittorio, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, confinati a Ventotene.

I fratelli Rosselli eliminati dai fascisti in Francia. Don Sturzo aveva abbandonato preventivamente l'Italia.

Credo che gli italiani siano fatti così. Erano rassegnati sotto il fascismo e lo sono ancora di più oggi. Anche perché hanno la conoscenza, rispetto ai tricolori di allora della storia d'Italia di questi ultimi quasi cent'anni.

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 30/12/2014, 22:11
da camillobenso
Qualcuno di noi proviene dal forum Ulivo.it. Altri dal forum di Gianni, altri ancora da quello di mariok.

Già dal forum dell’Ulivo.it ci eravamo impegnati affinché si potessero cambiare le cose per avvicinarci ad una vera democrazia, perché per una ragione o per un'altra siamo sempre stati lontani dal vivere all’interno di un Paese democratico con standard minimi. Nei forum successivi avevamo avuto la percezione che non solo questo obiettivo non era raggiungibile, ma ci siamo impegnati a mettere in guardia i partecipanti al forum affinché si attivassero per evitare che i segnali del degrado evidente della società italiana potessero arrivare a punti fatali di non ritorno.

Leggendo oggi prima Ilvo Diamanti, poi Dagospia che ospitava e commentava un articolo di Macioce de Il Giornale, che prendeva spunto dall’articolo di Diamanti, mi sto rendendo conto che il lavoro fatto in più di 10 anni non è servito a nulla. Stiamo progressivamente scivolando verso un sistema che avevamo a maggioranza rifiutato nella primavera del 1945.

Non mi stupisce affatto che Macioce scriva che oggi, al termine del 2014, un italiano su tre affermi in assoluta tranquillità di pensare di tornare ad un regime autoritario.

Questo perché vivendo nella ex Stalingrado d’Italia, una città di sinistra che ininterrottamente ha espresso un sindaco di sinistra dal 1946, da un anno ho avuto la possibilità di accertare che l’affermazione quantitativa dichiarata da Macioce è più che verosimile.

Chiedo quindi ai partecipanti di questo forum, anche da parte di chi abitualmente si limita solo a leggere di esprimere il proprio pensiero. Per forza dobbiamo percorrere questa strada fino in fondo senza cercare di evitare che si vada a parare in una nuova avventura dittatoriale?

Siamo proprio così tutti mal messi, tutti impotenti, rassegnati, disgustati da dover accettare che l’unica soluzione sia quella di tornare ad una forma dittatoriale?

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 30/12/2014, 22:24
da camillobenso
Immagine

30 DIC 2015 18:14
- VOGLIAMO IL DUCETTO!

– UN ITALIANO SU TRE SOGNA L’ARRIVO DI QUALCUNO CHE FACCIA IL MIRACOLO E “METTA A POSTO LE COSE”

– INSIEME ALL’ANARCHIA DEL NON VOTO, CRESCE LO SCETTICISMO NEI CONFRONTI DELLA DEMOCRAZIA


La voglia di un “uomo della provvidenza” emerge dall’indagine “Demos 2014” di Ilvo Diamanti. A spingere verso il sogno autoritario sono la stanchezza, la paura, la voglia di certezze, la fame e la disperazione…



Vittorio Macioce per “Il Giornale”

Non si fida dello Stato e neppure dei partiti. Non crede nell'Europa. È stanco di politica e politici e alla fine sostiene che la democrazia è solo un gioco di poteri e poltrone.

È chiaro che ha paura del presente e non vede il futuro e così come ultima speranza ancora una volta aspetta, quasi messianico, l'arrivo di qualcuno che faccia il miracolo, squarci la crisi, metta a posto le cose.

È la fiducia nell'uomo forte, nell'uomo della provvidenza. L'indagine Demos2014, narrata da Ilvo Diamanti, rileva che tra gli italiani si va diffondendo una certa «stanchezza democratica».

Uno su tre comincia a pensare che, vista la situazione, non è peccato scommettere su un regime autoritario. È stanchezza. È paura. È voglia di certezze. È fame. È disperazione. È scelta. È visione del mondo. È cultura e ideologia. Quello che volete, ma è un numero che sta lì e torna sul tavolo della politica. È l'altra faccia di chi non vota, diserta le urne ed è così disilluso da starsene a casa o così incavolato da mandare tutti a quel paese. Tutti e due, chi spera nell'uomo forte e chi si tira fuori, non si aspettano nulla dalla democrazia.

Le crisi svelano il volto degli italiani. Torna l'istinto, riaffiorano tentazioni più o meno nascoste nel dna, riappare la nostra storia. Forse perché il passato ci resta dentro. È l'Italia guelfa e ghibellina che stanca di veleni e vendette cerca la pace affidando tutto il potere delle città a un signore, spesso un capitano di ventura, che nel suo nome assopisce guerre e libertà.

È il sogno imperiale di Dante, che vede la sua Italia come una nave senza nocchiero in gran tempesta. È il ragionar politico di Machiavelli, che si innamora di Cesare Borgia e disegna su di lui l'abito del Principe. Il Principe come figura morale, che tiene a bada gli appetiti dei baroni feudali, schiaccia le oligarchie e realizza il sogno dell'Italia unità, senza le scorribande dello straniero di turno.

Strana razza gli italiani. Faticano a credere in se stessi e negli altri. Qui il sogno americano puzza sempre di losco: figurati se ha fatto tutto da solo! Quando tutto va più o meno bene si confrontano con il potere come clientes. Non facciamoci illusioni per noi la democrazia è stata , purtroppo, soprattutto questo. «A Fra' che te serve?».

Questa domanda rassicura. Poi ci sono quelli che con sguardo moralistico pretendono di cambiare il carattere degli italiani. Si lamentano, come fece Mario Monti, che non assomigliano ai tedeschi. C'è chi si affida alla variabile estera. Allo straniero, quello che arriva da oltre le Alpi. Non importa se indossa il pastrano di Napoleone o il vestito grigio di Bruxelles.

L'idea è che certi risultati si possono raggiungere solo se ci vengono imposti dall'esterno. Ognuno così di fronte all'orizzonte senza speranza si sceglie il suo feticcio di provvidenza: l'uomo forte, lo straniero, l'utopia della rivoluzione, l'anarchia del non voto, la fuga o il ritorno a casa. Queste scelte hanno in comune lo scetticismo nei confronti del Parlamento, dei partiti, della democrazia.

È la ricerca dello straordinario, di qualcosa che ti porti via dalla melma in cui stai sprofondando. È la poca convinzione che qualcuno di quei signori vestiti da classe dirigente sappia davvero cosa fare. Ci vuole un volto, qualcuno che incarni la speranza, magari anche con un certo talento per il melodramma o con un curriculum da avventuriero.

La speranza è lo sbarco impossibile di Garibaldi, non importa se strumento inconsapevole delle arti politiche e diplomatiche di Camillo Benso conte di Cavour. L'uomo forte è quel giornalista rivoluzionario che si spoglia del rosso e veste il nero per chiudere con una marcia su Roma la stagione giolittiana. È quell'Italia che nel dopoguerra si riconosce nel «partito novello principe» teorizzato da Gramsci e reso reale da Togliatti, tanto da avere proprio qui in Italia il partito comunista più forte e votato d'Europa.

Questa che torna nel 2014 è insomma una vecchia storia. Il sospetto è che gli italiani diano ragione al monologo di Dostoevskij del Grande Inquisitore. L'uomo in genere non vuole la libertà, ma il pane. Non vuole l'incertezza. Non vuole svegliarsi ogni mattina con il tormento di doversi inventare qualcosa per sopravvivere. Non sopporta la precarietà. Non regge il peso della scelta.

Ci vuole coraggio, ma in Italia il coraggio quasi sempre viene pagato con cattiva moneta. È tartassato. È visto male. È frenato dalla burocrazia. Non conviene. Meglio delegare tutto il peso su uno solo, l'uomo della provvidenza. E in fondo se poi fallisce si fa presto a sputargli addosso.