Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Bankia dovrà essere nazionalizzata, la Catalogna chiede aiuto al governo centrale spagnolo... dato che tali enti hanno finanziato a più non posso le squadre del Real Madrid e del Barcellona cosa metteranno a garanzia: Cristiano Ronaldo, Kaka. Messi e Iniesta...?
Se viene giù la Spagna dopo tocca a noi...
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Re: Come se ne viene fuori ?
Più che un vaffa è un "no grazie".
Nessuno che trovi il coraggio di dirgli che hanno dimostrato di non poter gestire onestamente neanche un condominio, figurarsi se gli mettiamo in mano la costituzione.
Mentre i tecnici continuano a fare il lavoro sporco (mi sembra di aver scritto già alcuni mesi fa' che dopo il settore privato avrebbero attaccato i dipendenti pubblici), questi nostri buontemponi giocano a fare i padri costituenti.corriere.it ha scritto:LA BATTUTA DI BERSANI - Si inizia dal segretario del Pd che critica la scelta dei tempi, più che la sostanza della proposta. «Noi abbiamo comunque un'altra idea di riforma costituzionale: siamo per un sistema parlamentare rafforzato, dopodiché non abbiamo mai considerato una bestemmia parlare di semipresidenzialismo». E poi aggiunge: «Ma per affrontare "credibilmente" una riforma di questo tipo non ci sono i tempi, dunque può venire il sospetto non si voglia far nulla di nulla. Io vorrei ricordare - aggiunge - che un meccanismo di legge elettorale con doppio turno di collegio ha una sua logica, anche a prescindere da un sistema semipresidenziale o meno. Ha una sua logica di stabilizzazione, di dare agli elettori la possibilità di scegliersi i loro rappresentanti, di dare un criterio di governabilità al sistema». Poi Bersani si lascia andare a una battuta sulla ricandidatura dell'ex premier: «Berlusconi si ricandida? Mai pensato andasse al mare».) Per Beppe Fioroni del Pd si tratta invece di mascherare con la riforma il mantenimento dello status quo: «Berlusconi e il gattopardismo elettorale. Cambiare tutto cambiare sempre ci regala una legge elettorale stile Penelope», scrive il deputato su Twitter.
Nessuno che trovi il coraggio di dirgli che hanno dimostrato di non poter gestire onestamente neanche un condominio, figurarsi se gli mettiamo in mano la costituzione.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Presidenzialismo, Di Pietro: “Un raggiro”
Il leader Idv boccia senza appello la riforma costituzionale proposta stamane da Silvio Berlusconi e Angelino Alfano. Presidenzialismo alla francese: ecco l’idea del Pdl per garantire la governabilità. A stretto giro la risposta di Antonio Di Pietro: “E’ un raggiro, uno strumento mediatico per allungare i tempi e far saltare le uniche due riforme essenziali: quella elettorale e il dimezzamento del numero dei parlamentari”. Il presidente dell’Italia dei Valori coglie l’occasione per mettere in guardia il Partito democratico: “Domani io e Vendola faremo un appello pubblico a Bersani affinché esca dall’attendismo” di Manolo Lanaro
25 maggio 2012
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/05/ ... ro/198232/
Per non fare il minimo indispensabile puntano al massimo.
Impensabile che da QUESTO parlamento, di nominati, compravenduti, incapaci, possa uscire qualcosa di buono.
Ma ...Bersani esiste!?
Il leader Idv boccia senza appello la riforma costituzionale proposta stamane da Silvio Berlusconi e Angelino Alfano. Presidenzialismo alla francese: ecco l’idea del Pdl per garantire la governabilità. A stretto giro la risposta di Antonio Di Pietro: “E’ un raggiro, uno strumento mediatico per allungare i tempi e far saltare le uniche due riforme essenziali: quella elettorale e il dimezzamento del numero dei parlamentari”. Il presidente dell’Italia dei Valori coglie l’occasione per mettere in guardia il Partito democratico: “Domani io e Vendola faremo un appello pubblico a Bersani affinché esca dall’attendismo” di Manolo Lanaro
25 maggio 2012
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/05/ ... ro/198232/
Per non fare il minimo indispensabile puntano al massimo.
Impensabile che da QUESTO parlamento, di nominati, compravenduti, incapaci, possa uscire qualcosa di buono.
Ma ...Bersani esiste!?
Re: Come se ne viene fuori ?
L’europarlamento dice sì alla Tobin Tax. Chi l’ha proposta? Una socialista greca
Approvato un testo legislativo per una tassazione sulle transazioni finanziarie. Tra le novità anche l'invito a proseguire l'iter anche se non c'è l'accordo di tutti i Paesi. Anni Podimata, la relatrice ellenica del Pse: "Non possiamo essere tenuti in ostaggio da una manciata di Stati membri"
di Alessio Pisanò | 24 maggio 2012
Il Parlamento europeo dice sì all’introduzione di una tassazione sulle transazioni finanziarie in Europa. E questa volta si tratta di un testo legislativo che si inserisce in un percorso, lungo ed irto di ostacoli, ma che ha come obiettivo una reale e concreta Tobin Tax all’europea. Interessanti le novità votate dall’Europarlamento: l’invito ad andare avanti anche se non c’è l’accordo di tutti i Paesi Ue (ovviamente all’interno di quelli favorevoli) e poi giù le mani dai fondi pensione. La curiosità è che a curare la relazione è un’eurodeputata socialista del Paese più inguaiato economicamente: la Grecia.
Vista la bagarre scoppiata in sede di Consiglio europeo le ultime volte che si è provato a parlare di Tobin tax, con tanto di strappo britannico come non si vedeva da anni, la novità più interessante è proprio l’invito dei deputati, in caso non fosse appunto possibile raggiungere un accordo per creare una Tobin tax in tutta l’Unione, a proseguire attraverso la procedura di cooperazione rafforzata che permette a un gruppo di Paesi di adottare legislazioni comuni (così come avvenuto per il brevetto europeo dopo il rifiuto italiano e spagnolo). Insomma, chi ci sta bene, gli altri pazienza.
“Essendo l’Unione europea il più grande mercato finanziario, spetta a noi fare il primo passo. Non possiamo essere tenuti in ostaggio da una manciata di Stati membri”, ha detto la relatrice greca Anni Podimata. “Siamo in linea con le richieste dei cittadini europei la maggioranza dei quali (66% dati Eurobarometro, ndr) desidera una Ttf”, ha proseguito la deputata. “Desiderano che il settore finanziario, che ha causato la crisi, paghi la sua giusta parte. Mi auguro che anche il Consiglio sia all’altezza della situazione e non rifugga da decisioni che sono richieste dalla maggioranza”.
Il Parlamento chiede infatti una tassa sulle transazioni finanziarie da quasi due anni e la Commissione ha presentato una proposta legislativa nel 2011. Con questo voto favorevole, i deputati hanno dato l’ok alle aliquote fiscali proposte dalla Commissione (0,1% per azioni e obbligazioni e 0,01% per i derivati). Secondo le stime ufficiali della Commissione, anche senza l’adesione di Londra, si stima che il gettito prodotto dalla Tobin Tax con un’aliquota dello 0,05% ammonterebbe a ben 450 miliardi di dollari l’anno. Risorse che potrebbero finire del bilancio europeo destinato ad aiutare i Paesi più in difficoltà e le fasce di popolazione più colpite dalla crisi.
Il testo approvato dall’Europarlamento chiede anche di rendere “economicamente sconveniente” un tentativo di aggirare ed evadere la Ttf. Prendendo esempio dalla normativa britannica sul bollo (“Duty Stamp”), i deputati propongono di collegare la proprietà giuridica di un prodotto finanziario al pagamento della tassa. In tal modo, se la tassa non è stata corrisposta, la proprietà del titolo non sarebbe garantita. Poiché l’aliquota è bassa, l’effetto dovrebbe essere quello invogliare a pagarla. E poi via libera al cosiddetto “principio di emissione” per obbligare anche le istituzioni finanziarie con sede fuori da un’eventuale zona Ttf a pagare la tassa, nel caso commerciassero titoli originariamente emessi all’interno della zona.
La Podimata, ertasi a paladina greca della lotta alla grande finanza, ci aveva già provato l’anno scorso a sponsorizzare la causa della Tobin Tax in Europa con l’approvazione di una risoluzione a sua firma sempre nell’Aula di Strasburgo. La differenza è che, questa volta, il testo approvato ha più peso nel percorso legislativo che potrà portare (forse) un giorno all’introduzione di una simile tassazione. “La Ttf rappresenta una parte integrante della strategia per uscire dalla crisi. Porterà una distribuzione più equa del peso della crisi e non causerà una ri-localizzazione al di fuori dell’Ue, poiché il costo di quest’ultima è superiore al pagamento della tassa”, ha detto la Podimata. Adesso la parola passa, ancora una volta al Consiglio europeo, quindi ai Paesi membri.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05 ... ca/241200/
Approvato un testo legislativo per una tassazione sulle transazioni finanziarie. Tra le novità anche l'invito a proseguire l'iter anche se non c'è l'accordo di tutti i Paesi. Anni Podimata, la relatrice ellenica del Pse: "Non possiamo essere tenuti in ostaggio da una manciata di Stati membri"
di Alessio Pisanò | 24 maggio 2012
Il Parlamento europeo dice sì all’introduzione di una tassazione sulle transazioni finanziarie in Europa. E questa volta si tratta di un testo legislativo che si inserisce in un percorso, lungo ed irto di ostacoli, ma che ha come obiettivo una reale e concreta Tobin Tax all’europea. Interessanti le novità votate dall’Europarlamento: l’invito ad andare avanti anche se non c’è l’accordo di tutti i Paesi Ue (ovviamente all’interno di quelli favorevoli) e poi giù le mani dai fondi pensione. La curiosità è che a curare la relazione è un’eurodeputata socialista del Paese più inguaiato economicamente: la Grecia.
Vista la bagarre scoppiata in sede di Consiglio europeo le ultime volte che si è provato a parlare di Tobin tax, con tanto di strappo britannico come non si vedeva da anni, la novità più interessante è proprio l’invito dei deputati, in caso non fosse appunto possibile raggiungere un accordo per creare una Tobin tax in tutta l’Unione, a proseguire attraverso la procedura di cooperazione rafforzata che permette a un gruppo di Paesi di adottare legislazioni comuni (così come avvenuto per il brevetto europeo dopo il rifiuto italiano e spagnolo). Insomma, chi ci sta bene, gli altri pazienza.
“Essendo l’Unione europea il più grande mercato finanziario, spetta a noi fare il primo passo. Non possiamo essere tenuti in ostaggio da una manciata di Stati membri”, ha detto la relatrice greca Anni Podimata. “Siamo in linea con le richieste dei cittadini europei la maggioranza dei quali (66% dati Eurobarometro, ndr) desidera una Ttf”, ha proseguito la deputata. “Desiderano che il settore finanziario, che ha causato la crisi, paghi la sua giusta parte. Mi auguro che anche il Consiglio sia all’altezza della situazione e non rifugga da decisioni che sono richieste dalla maggioranza”.
Il Parlamento chiede infatti una tassa sulle transazioni finanziarie da quasi due anni e la Commissione ha presentato una proposta legislativa nel 2011. Con questo voto favorevole, i deputati hanno dato l’ok alle aliquote fiscali proposte dalla Commissione (0,1% per azioni e obbligazioni e 0,01% per i derivati). Secondo le stime ufficiali della Commissione, anche senza l’adesione di Londra, si stima che il gettito prodotto dalla Tobin Tax con un’aliquota dello 0,05% ammonterebbe a ben 450 miliardi di dollari l’anno. Risorse che potrebbero finire del bilancio europeo destinato ad aiutare i Paesi più in difficoltà e le fasce di popolazione più colpite dalla crisi.
Il testo approvato dall’Europarlamento chiede anche di rendere “economicamente sconveniente” un tentativo di aggirare ed evadere la Ttf. Prendendo esempio dalla normativa britannica sul bollo (“Duty Stamp”), i deputati propongono di collegare la proprietà giuridica di un prodotto finanziario al pagamento della tassa. In tal modo, se la tassa non è stata corrisposta, la proprietà del titolo non sarebbe garantita. Poiché l’aliquota è bassa, l’effetto dovrebbe essere quello invogliare a pagarla. E poi via libera al cosiddetto “principio di emissione” per obbligare anche le istituzioni finanziarie con sede fuori da un’eventuale zona Ttf a pagare la tassa, nel caso commerciassero titoli originariamente emessi all’interno della zona.
La Podimata, ertasi a paladina greca della lotta alla grande finanza, ci aveva già provato l’anno scorso a sponsorizzare la causa della Tobin Tax in Europa con l’approvazione di una risoluzione a sua firma sempre nell’Aula di Strasburgo. La differenza è che, questa volta, il testo approvato ha più peso nel percorso legislativo che potrà portare (forse) un giorno all’introduzione di una simile tassazione. “La Ttf rappresenta una parte integrante della strategia per uscire dalla crisi. Porterà una distribuzione più equa del peso della crisi e non causerà una ri-localizzazione al di fuori dell’Ue, poiché il costo di quest’ultima è superiore al pagamento della tassa”, ha detto la Podimata. Adesso la parola passa, ancora una volta al Consiglio europeo, quindi ai Paesi membri.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05 ... ca/241200/
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Re: Come se ne viene fuori ?
Comunicazione inviata alla redazione di La Repubblica
Spettabile Redazione di La Repubblica,
la situazione italiana è più grave di quella che ordinariamente Voi riportate. L’elettorato italiano nel mese di maggio ha raso al suolo il Pdl, la Lega Nord e bloccato al palo l’Udc.
Non possiamo permetterci che nuovamente il caro estinto di Hardcore possa anche minimamente incidere sulla politica italiana in questa fase transitoria estremamente delicata.
Due giorni fa avete riportato su La Repubblica l’informativa in cui il caro estinto è dato come fermamente intenzionato a spacchettare il Pdl creando una nuova formazione del tutto personale fondata su liste civiche, di cui sarebbero già stati selezionati 300 candidati nella sede del teatro delle burlesque in terra briantea.
Oggi, con Angelino senza quid, il caro estinto ha ribaltato la situazione proponendo il doppio turno con l’elezione diretta del capo dello Stato.
Dopo che il buldozer elettorale ha spianato lunedì scorso il Pdl, sarebbe opportuno che un nuovo buldozer spianasse definitivamente il caro estinto nella fase in cui tenta di riproporsi con una proposta senza senso nel quadro politico italiano.
Vi chiedo pertanto, se potete commissionare un sondaggio ponendo la semplice domanda: “Chi votereste come presidente della Repubblica se foste voi a dover scegliere?”
Gli ultimi sondaggi di Pagnoncelli a Ballarò, nell’autunno dello scorso anno, davano il caro estinto agli ultimi posti. Non credo che la sua situazione personale sia migliorata.
Stroncare sul nascere questa sua proposta “balorda”, significa chiudere un’altra porta ai tentativi di resurrezione.
Casini, chiede un passo indietro del caro estinto per poter dialogare con il Pdl. Montezemolo non intende zavorrarsi con un partito in caduta libera e in pieno caos. Il PPE ha vietato al caro estinto di usare formule nazionali che si richiamano al partito europeo dei popolari.
E’ così che dal cappello a cilindro è sbucato questo coniglio burlesque.
Se viene stroncato subito il caro estinto ritorna all’angolo, nella speranza che non aggravi ulteriormente il percorso difficoltoso che abbiamo davanti
Cordialità,
A.Hopkins
Spettabile Redazione di La Repubblica,
la situazione italiana è più grave di quella che ordinariamente Voi riportate. L’elettorato italiano nel mese di maggio ha raso al suolo il Pdl, la Lega Nord e bloccato al palo l’Udc.
Non possiamo permetterci che nuovamente il caro estinto di Hardcore possa anche minimamente incidere sulla politica italiana in questa fase transitoria estremamente delicata.
Due giorni fa avete riportato su La Repubblica l’informativa in cui il caro estinto è dato come fermamente intenzionato a spacchettare il Pdl creando una nuova formazione del tutto personale fondata su liste civiche, di cui sarebbero già stati selezionati 300 candidati nella sede del teatro delle burlesque in terra briantea.
Oggi, con Angelino senza quid, il caro estinto ha ribaltato la situazione proponendo il doppio turno con l’elezione diretta del capo dello Stato.
Dopo che il buldozer elettorale ha spianato lunedì scorso il Pdl, sarebbe opportuno che un nuovo buldozer spianasse definitivamente il caro estinto nella fase in cui tenta di riproporsi con una proposta senza senso nel quadro politico italiano.
Vi chiedo pertanto, se potete commissionare un sondaggio ponendo la semplice domanda: “Chi votereste come presidente della Repubblica se foste voi a dover scegliere?”
Gli ultimi sondaggi di Pagnoncelli a Ballarò, nell’autunno dello scorso anno, davano il caro estinto agli ultimi posti. Non credo che la sua situazione personale sia migliorata.
Stroncare sul nascere questa sua proposta “balorda”, significa chiudere un’altra porta ai tentativi di resurrezione.
Casini, chiede un passo indietro del caro estinto per poter dialogare con il Pdl. Montezemolo non intende zavorrarsi con un partito in caduta libera e in pieno caos. Il PPE ha vietato al caro estinto di usare formule nazionali che si richiamano al partito europeo dei popolari.
E’ così che dal cappello a cilindro è sbucato questo coniglio burlesque.
Se viene stroncato subito il caro estinto ritorna all’angolo, nella speranza che non aggravi ulteriormente il percorso difficoltoso che abbiamo davanti
Cordialità,
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Re: Come se ne viene fuori ?
E' il PD che da una mano a questo nano malefico il quale disegna progetti costituzionali solo ad uso e consumo personale. Quando questo bugiardo dice che non si candiderà a premier eppoi appoggia il semipresidenzialismo alla francese ebbene egli mostra la sfacciataggine di aspirare alla presidenza della repubblica, ma non ad un presidente di garanzia (ci darebbe la garanzia di bordelli ovunque ed a tutte le tasche) come Napolitano .... no no, ma un presidente operativo qual'è quello francese cioè un vero capo di stato (uno stato che ha sempre calpestato nelle sue istituzioni principali).
Credo che alla minima possibilità che questo possa avvenire, già al solo annuncio di candidatura di B. comporterebbe in me la decisione di scendere in piazza, spero con molti altri, per protestare in modo permanete tipo indignados di Madrid.
un saluto
Credo che alla minima possibilità che questo possa avvenire, già al solo annuncio di candidatura di B. comporterebbe in me la decisione di scendere in piazza, spero con molti altri, per protestare in modo permanete tipo indignados di Madrid.
un saluto
Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: Come se ne viene fuori ?
Accade nel Paese di Merlonia
Il squaglia,..squaglia...
PARLAMENTO
Il Terzo Polo si scioglie alle Camere
Fini e Rutelli in un nuovo gruppo
Dopo le parole del leader centrista, il Terzo Polo è destinato a disgregarsi. Fini e Rutelli pensano a un nuovo gruppo parlamentare dove confluiranno deputati Mpa e delusi del Pdl e del Pd. Il dibattito interno è sulla forma che dovrà assumere la coalizione. E nel frattempo i due strizzano l'occhio a Montezemolo. Rutelli: "Nuovo gruppo? Campa cavallo..."
ROMA - Quella del Terzo Polo sembra una lenta ma inesorabile disgregazione. Dopo le dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini, che ha parlato di una forza al capolinea e di un'idea superata, non dovrebbero tardare le conferme ufficiali, con la formalizzazione della rottura in Parlamento tra le forze dell'Udc, del Fli e dell'Api.
Gianfranco Fini e Francesco Rutelli ,"traditi" dal leader dell'Unione di Centro e dei suoi, preparano il contrattacco. Starebbero infatti pensando a un gruppo parlamentare capace di raccogliere ciò che resta del Terzo Polo dopo il forfait di Casini. E non solo. Nell'intesa dovrebbero confluire oltre ai 26 parlamentari di Fli, i 7 di Api e i 4 Mpa, anche alcuni deputati Pdl, decisi ad abbandonare una nave che ormai pare essere alla deriva. Il gruppo conterebbe attualmente 40 parlamentari.
Un progetto ambizioso, che sembrerebbe essere più di un'idea peregrina e avrebbe già un nome: Patto Nazionale. Fonti vicine ai finiani e ai rutelliani raccontano dell'entusiasmo con cui il leader dell'Api ha parlato ai suoi, dando immediatamente la sua approvazione all'operazione. Anche Fini ne ha discusso ieri con i colonnelli del suo partito in una riunione non priva di qualche tensione, ma che ha sostanzialmente dato il via libera a un progetto che nelle intenzioni di alcuni rappresenta la continuità con l'esperienza del Terzo Polo, nella mente di altri un segnale di fumo a Montezemolo in vista della costruzione di un nuovo e più ampio contenitore.
Il numero uno della Ferrari la scorsa settimana ha avuto contatti telefonici con i leader di Fli e Api. Ma non sembra neanche totalmente esclusa la pista che vorrebbe un suo riavvicinamento all'Udc di Casini.
Gruppo unico o coordinamento. Rutelli spingerebbe per una rete di coordinamento, mentre Fini e i suoi guarderebbero piuttosto alla formazione di un nuovo gruppo parlamentare. E ancora. All'interno dell'Api c'è chi vorrebbe lo scioglimento delle sigle subito e chi, invece, vorrebbe il coordinamento per mantenere ognuno la sua identità.
Tra le idee c'è anche quella di far restare Fli intatto con i suoi 26 deputati e creare un altro gruppo tra Api, Mpa e nuovi moderati in arrivo (da Pdl e Pd). L'operazione consentirebbe di avere due voci nella conferenza dei capigruppo. La soluzione dell'enigma dovrebbe arrivare a breve. Intanto Fli si appresta ad abbandonare la dicitura Terzo Polo per sancire definitavamente la rottura dal leader centrista, anche se voci di corridoio vorrebbero Casini impegnato a convincere Fini a divorziare da Rutelli.
A conferma del fatto che si tratta di un progetto politico di ampio respiro, Fini starebbe valutando l'ipotesi di annullare la convention di giugno e di organizzare un incontro anche con gli altri partiti che dovrebbero par parte della nuova forza.
Le reazioni. "Campa cavallo...". Queste le parole di Rutelli interpellato in merito alla notizia sulla nascita del nuovo gruppo parlamentare che vorrebbe coinvolti l'Api insieme al Fli di Fini. Reazione sorpresa anche da parte di Benedetto Della Vedova, capogruppo alla Camera di Futuro e Libertà, che ha commentato: "La notizia relativa alla costituzione di un nuovo gruppo parlamentare proviene da qualcuno che ha scambiato desideri per la realtà".
(25 maggio 2012)
La Repubblica
Il squaglia,..squaglia...
PARLAMENTO
Il Terzo Polo si scioglie alle Camere
Fini e Rutelli in un nuovo gruppo
Dopo le parole del leader centrista, il Terzo Polo è destinato a disgregarsi. Fini e Rutelli pensano a un nuovo gruppo parlamentare dove confluiranno deputati Mpa e delusi del Pdl e del Pd. Il dibattito interno è sulla forma che dovrà assumere la coalizione. E nel frattempo i due strizzano l'occhio a Montezemolo. Rutelli: "Nuovo gruppo? Campa cavallo..."
ROMA - Quella del Terzo Polo sembra una lenta ma inesorabile disgregazione. Dopo le dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini, che ha parlato di una forza al capolinea e di un'idea superata, non dovrebbero tardare le conferme ufficiali, con la formalizzazione della rottura in Parlamento tra le forze dell'Udc, del Fli e dell'Api.
Gianfranco Fini e Francesco Rutelli ,"traditi" dal leader dell'Unione di Centro e dei suoi, preparano il contrattacco. Starebbero infatti pensando a un gruppo parlamentare capace di raccogliere ciò che resta del Terzo Polo dopo il forfait di Casini. E non solo. Nell'intesa dovrebbero confluire oltre ai 26 parlamentari di Fli, i 7 di Api e i 4 Mpa, anche alcuni deputati Pdl, decisi ad abbandonare una nave che ormai pare essere alla deriva. Il gruppo conterebbe attualmente 40 parlamentari.
Un progetto ambizioso, che sembrerebbe essere più di un'idea peregrina e avrebbe già un nome: Patto Nazionale. Fonti vicine ai finiani e ai rutelliani raccontano dell'entusiasmo con cui il leader dell'Api ha parlato ai suoi, dando immediatamente la sua approvazione all'operazione. Anche Fini ne ha discusso ieri con i colonnelli del suo partito in una riunione non priva di qualche tensione, ma che ha sostanzialmente dato il via libera a un progetto che nelle intenzioni di alcuni rappresenta la continuità con l'esperienza del Terzo Polo, nella mente di altri un segnale di fumo a Montezemolo in vista della costruzione di un nuovo e più ampio contenitore.
Il numero uno della Ferrari la scorsa settimana ha avuto contatti telefonici con i leader di Fli e Api. Ma non sembra neanche totalmente esclusa la pista che vorrebbe un suo riavvicinamento all'Udc di Casini.
Gruppo unico o coordinamento. Rutelli spingerebbe per una rete di coordinamento, mentre Fini e i suoi guarderebbero piuttosto alla formazione di un nuovo gruppo parlamentare. E ancora. All'interno dell'Api c'è chi vorrebbe lo scioglimento delle sigle subito e chi, invece, vorrebbe il coordinamento per mantenere ognuno la sua identità.
Tra le idee c'è anche quella di far restare Fli intatto con i suoi 26 deputati e creare un altro gruppo tra Api, Mpa e nuovi moderati in arrivo (da Pdl e Pd). L'operazione consentirebbe di avere due voci nella conferenza dei capigruppo. La soluzione dell'enigma dovrebbe arrivare a breve. Intanto Fli si appresta ad abbandonare la dicitura Terzo Polo per sancire definitavamente la rottura dal leader centrista, anche se voci di corridoio vorrebbero Casini impegnato a convincere Fini a divorziare da Rutelli.
A conferma del fatto che si tratta di un progetto politico di ampio respiro, Fini starebbe valutando l'ipotesi di annullare la convention di giugno e di organizzare un incontro anche con gli altri partiti che dovrebbero par parte della nuova forza.
Le reazioni. "Campa cavallo...". Queste le parole di Rutelli interpellato in merito alla notizia sulla nascita del nuovo gruppo parlamentare che vorrebbe coinvolti l'Api insieme al Fli di Fini. Reazione sorpresa anche da parte di Benedetto Della Vedova, capogruppo alla Camera di Futuro e Libertà, che ha commentato: "La notizia relativa alla costituzione di un nuovo gruppo parlamentare proviene da qualcuno che ha scambiato desideri per la realtà".
(25 maggio 2012)
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Re: Come se ne viene fuori ?
CRISI
Monti: "Gli eurobond? Sono lontani
l'Italia medierà tra Francia e Germania"
Il premier al Tg1 sottolinea l'importanza del ruolo della comunità europea per uscire dal tunnel della recessione: "C'è una prospettiva di crescita maggiore, ma non dipende solo da noi". "Non ci sono alternative alla via del rigore, altrimenti si costruisce sulle sabbie mobili"
ROMA - "C'è ancora un tunnel, fuori dal quale c'è una prospettiva di crescita maggiore, ma dipenderà moltissimo da cosà farà l'Europa. Riuscirà a evitare una nuova crisi greca, a innescare un nuovo meccanismo di crescita?". Se lo è chiesto il premier Mario Monti nel corso di un'intervista al Tg1. "Sì, siamo in un tunnel - ha detto il capo del governo - ma è anche una strada che ha avuto una curva quando ci si è accorti che andando dritti si sarebbe finiti nel precipizio. Non siamo finiti nel precipizio, ma il terreno è montagnoso e c'è ancora un tunnel fuori. Cosa dipende moltissimo dal fatto che il resto d'Europa sia in crescita e ci aiuti a spingerci in avanti".
"Per far questo - ha aggiunto il premier - chi lavora per l'italia deve passare molto tempo qui a Roma, ma anche molto con gli altri Paesi". Monti ha ribadito che la strada del rigore non ha alternative: "Bisogna mettere a posto i conti di un Paese come di una famiglia o di un'impresa. Questa è una premessa perché un'economia possa crescere. La crescita è essenziale, ma senza il rigore poggerebbe sulle sabbie mobili".
Monti ha poi descritto le relazioni con gli altri Paesi europei. L'Italia, ha detto, ha "un solidissimo rapporto con la Germania della cancelliera Merkel. Ora - ha continuato Monti - sulla scena c'è il nuovo presidente francese Francois Hollande. Possiamo facilitare una sintesi tra le posizioni francesi e le posizioni tedesche proprio per arrivare a una sintesi tra rigore e crescita di cui tutti abbiamo bisogno".
Ma i tempi non saranno veloci. L'introduzione degli eurobond e lo scorporo degli investimenti dal patto di stabilità, "non è ancora una cosa per domani, rimangono riserve da parte tedesca e nessuno vuole fare misure che siano un pugno nell'occhio di un altro importante paese, abbiamo bisogno di coesione", ha spiegato il premier.
"Il fatto che un gran numero di Paesi, sia dell'euro che non, come la Gran Bretagna, si siano espressi a favore degli eurobond - ha aggiunto - farà sì che la questione sarà adesso attentamente considerata anziché rimossa perché non piaceva alla Germania". Quanto ai tempi, Monti ha ribadito che "presto è una parola che mal si concilia con la complessa e pesante realtà europea. Però l'Europa sa anche reagire alle crisi mettendo in campo cose nuove. Il successo del vertice dell'altro ieri a Bruxelles - ha aggiunto - è che questi temi hanno assunto una importanza maggiore del passato".
Pochi gli spiragli prima della primavera del prossimo anno. Per il premier "il cantiere delle riforme, legge elettorale, finanziamento dei partiti e riforme costituzionali sono tutte cose cruciali per consentire agli italiani e al mondo di capire come sarà il sistema Italia del dopo primavera 2013. Prima il mondo politico riuscirà in questo travaglio e più tranquilli saranno gli investitori e più attiva sarà l'economia italiana. Allora il governo tecnico sarà stata una utile parentesi", ha concluso Monti.
(25 maggio 2012)
La Repubblica
Monti: "Gli eurobond? Sono lontani
l'Italia medierà tra Francia e Germania"
Il premier al Tg1 sottolinea l'importanza del ruolo della comunità europea per uscire dal tunnel della recessione: "C'è una prospettiva di crescita maggiore, ma non dipende solo da noi". "Non ci sono alternative alla via del rigore, altrimenti si costruisce sulle sabbie mobili"
ROMA - "C'è ancora un tunnel, fuori dal quale c'è una prospettiva di crescita maggiore, ma dipenderà moltissimo da cosà farà l'Europa. Riuscirà a evitare una nuova crisi greca, a innescare un nuovo meccanismo di crescita?". Se lo è chiesto il premier Mario Monti nel corso di un'intervista al Tg1. "Sì, siamo in un tunnel - ha detto il capo del governo - ma è anche una strada che ha avuto una curva quando ci si è accorti che andando dritti si sarebbe finiti nel precipizio. Non siamo finiti nel precipizio, ma il terreno è montagnoso e c'è ancora un tunnel fuori. Cosa dipende moltissimo dal fatto che il resto d'Europa sia in crescita e ci aiuti a spingerci in avanti".
"Per far questo - ha aggiunto il premier - chi lavora per l'italia deve passare molto tempo qui a Roma, ma anche molto con gli altri Paesi". Monti ha ribadito che la strada del rigore non ha alternative: "Bisogna mettere a posto i conti di un Paese come di una famiglia o di un'impresa. Questa è una premessa perché un'economia possa crescere. La crescita è essenziale, ma senza il rigore poggerebbe sulle sabbie mobili".
Monti ha poi descritto le relazioni con gli altri Paesi europei. L'Italia, ha detto, ha "un solidissimo rapporto con la Germania della cancelliera Merkel. Ora - ha continuato Monti - sulla scena c'è il nuovo presidente francese Francois Hollande. Possiamo facilitare una sintesi tra le posizioni francesi e le posizioni tedesche proprio per arrivare a una sintesi tra rigore e crescita di cui tutti abbiamo bisogno".
Ma i tempi non saranno veloci. L'introduzione degli eurobond e lo scorporo degli investimenti dal patto di stabilità, "non è ancora una cosa per domani, rimangono riserve da parte tedesca e nessuno vuole fare misure che siano un pugno nell'occhio di un altro importante paese, abbiamo bisogno di coesione", ha spiegato il premier.
"Il fatto che un gran numero di Paesi, sia dell'euro che non, come la Gran Bretagna, si siano espressi a favore degli eurobond - ha aggiunto - farà sì che la questione sarà adesso attentamente considerata anziché rimossa perché non piaceva alla Germania". Quanto ai tempi, Monti ha ribadito che "presto è una parola che mal si concilia con la complessa e pesante realtà europea. Però l'Europa sa anche reagire alle crisi mettendo in campo cose nuove. Il successo del vertice dell'altro ieri a Bruxelles - ha aggiunto - è che questi temi hanno assunto una importanza maggiore del passato".
Pochi gli spiragli prima della primavera del prossimo anno. Per il premier "il cantiere delle riforme, legge elettorale, finanziamento dei partiti e riforme costituzionali sono tutte cose cruciali per consentire agli italiani e al mondo di capire come sarà il sistema Italia del dopo primavera 2013. Prima il mondo politico riuscirà in questo travaglio e più tranquilli saranno gli investitori e più attiva sarà l'economia italiana. Allora il governo tecnico sarà stata una utile parentesi", ha concluso Monti.
(25 maggio 2012)
La Repubblica
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Re: Come se ne viene fuori ?
da corriewre.it
«La Germania non affondi l'Europa
Sarebbe la terza volta in cent'anni»
Fischer, ex ministro degli Esteri tedesco: «La cancelliera miope. Se l'euro cade, noi saremo i grandi perdenti»
Dal nostro inviato PAOLO VALENTINO
Joschka Fischer con la moglie Minu Barati (Reuters)Joschka Fischer con la moglie Minu Barati (Reuters)
BERLINO - «Per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l'ordine europeo. Poi ha convinto l'Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l'integrazione d'Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita, con mezzi pacifici e le migliori intenzioni, causasse la distruzione dell'ordine europeo una terza volta. Eppure il rischio è proprio questo». Joschka Fischer sceglie parole pesanti come pietre per lanciare un allarme fatto di passione e ragione, cuore e testa d'europeo. L'ex ministro degli Esteri tedesco è «preoccupato» da una situazione che definisce «seria, molto seria» per l'Europa. Ed è anche scettico, perché non vede in giro «forze e leader, disposti a fare i passi necessari», senza i quali «rischia di essere spazzato via il miracolo di due generazioni di europei: l'investimento massiccio in una costruzione istituzionale, che ha garantito il più lungo periodo di pace e prosperità nella storia del Continente». Lo incontro nella sede della «Joschka Fischer and Company», la società di consulenza strategica che ha fondato da pochi anni. Le finestre del suo ufficio danno sulla Gendarmenmarkt, la piazza dove i re prussiani facevano sfilare i loro reggimenti e il regime comunista della Ddr organizzava i suoi raduni. Ora è il cuore pulsante della nuova Berlino, magnifica capitale di una Germania cui l'Europa in crisi torna a guardare con diffidenza e malumore.
«Mi preoccupa - spiega Fischer - che l'attuale strategia chiaramente non funziona. Va contro la democrazia, come dimostrano i risultati delle elezioni in Grecia, in Francia e anche in Italia. E va contro la realtà: lo sappiamo sin dalla crisi del 1929, dalle politiche deflattive di Herbert Hoover in America e del cancelliere Heinrich Brüning nella Germania di Weimar, che l'austerità in una fase di crisi finanziaria porta solo a una depressione. Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi. Certo l'economia della Germania è in crescita, ma ciò può cambiare rapidamente, anzi sta già cambiando».
L'ex vice-cancelliere del governo rosso-verde invita a non farsi alcuna illusione: l'Europa è oggi sull'orlo di un abisso. «O l'euro cade, torna la re-nazionalizzazione e l'Unione Europea si disintegra, il che porterebbe a una drammatica crisi economica globale, qualcosa che la nostra generazione non mai vissuto. Oppure gli europei vanno avanti verso l'Unione fiscale e l'Unione politica nell'Eurogruppo. I governi e i popoli degli Stati membri non possono più sopportare il peso dell'austerità senza crescita. E non abbiamo più molto tempo, parlo di settimane, forse di pochi mesi».
Ma perché non sarebbe possibile limitare le conseguenze di un'uscita controllata della Grecia dall'Eurozona?
«L'Euro è un progetto politico. Non è che avessimo bisogno della moneta unica agli inizi degli Anni Novanta. Doveva essere il vettore dell'integrazione politica: questa era l'idea di fondo. Nessuno oggi può garantire che se la Grecia abbandona l'euro, non si verifichino un crollo della fiducia, una corsa alle banche in Spagna, in Italia, probabilmente anche in Francia, cioè una valanga finanziaria che seppellirebbe l'Europa. Secondo, cosa pensa che farebbero i greci una volta fuori? Cercherebbero altri partner, come la Russia per esempio, che è già pronta e nessuno ne parla. Diremmo addio all'ampliamento verso Sud-Est, l'integrazione europea dei Balcani sarebbe finita. È una follia: si possono avere opinioni diverse sulla vocazione europea della Turchia, ma non c'è dubbio che i Balcani, regione intrinsecamente instabile, siano parte dell'Europa. Senza contare che la Grecia fuori dall'euro precipiterebbe nel caos».
La discussione attuale si concentra sugli eurobond. Ma per concretizzarli occorrerebbero mesi, se non anni. Non è un falso dibattito, rispetto ai tempi brevi di cui lei parla?
«No, è un dibattito importante. In fondo dietro gli eurobond c'è uno dei prossimi passi da compiere. Gli elementi della soluzione sono quattro: Unione politica e Unione fiscale dell'Eurogruppo, crescita e riforme strutturali. Sono per esempio ammirato dal fatto che in questa fase, l'Italia abbia mobilitato i suoi istinti di sopravvivenza dando vita al governo Monti, che sta lavorando bene. Ma rimango perplesso che Hollande, il nuovo presidente francese del quale apprezzo l'impegno per la crescita, voglia riportare a 60 anni l'età pensionabile. Nessuno di questi elementi va trascurato o annacquato, devono viaggiare insieme se l'Europa vuole davvero superare la sua crisi esistenziale».
Perché la cancelliera Merkel non si muove dalla linea dell'austerità?
«Angela Merkel pensa solo alla sua rielezione. Ma è un calcolo miope e fa un grosso errore. Perché sul piano interno è già molto indebolita. Merkel è forte finché l'economia tedesca è forte. In Germania non c'è crisi economica, ma stiamo attenti perché ci coglierà in modo brutale. Se non ci assumiamo la responsabilità di guidare l'Europa insieme fuori dalla crisi, saranno guai grossi, perché noi saremmo i grandi perdenti, sia sul piano economico che su quello politico».
Quale governo tedesco può fare ciò che lei propone?
«Solo un governo di grande coalizione. Altrimenti, ogni partito all'opposizione sarebbe tentato di sfruttare questa situazione. Ma un governo di unità nazionale ce la farebbe. Non è un passo semplice. "Perché dovremmo farlo?", è la domanda prevalente in Germania"».
Già, perché dovreste farlo?
«Semplice, perché altrimenti vanno a rotoli sessant'anni di unità europea. Fine. Rien ne va plus . Purtroppo non abbiamo più un Helmut Kohl a dircelo».
E come dovrebbero svolgersi gli avvenimenti, qual è il primo passo immediato?
«L'europeizzazione del debito. Il problema, qui la Germania ha ragione, è di evitare che poi le riforme strutturali per migliorare la competitività si fermino o vengano ammorbidite. Non si tratta di europeizzare l'intero debito, ci sono proposte interessanti sul tavolo. Ma il punto di fondo è che la Germania deve garantire con il suo potere economico e le sue risorse la sopravvivenza dell'Eurozona. Bisognerà dire: siamo un'Unione fiscale, restiamo insieme. Sarà difficile, i mercati diranno la loro, le agenzie di rating toglieranno probabilmente la tripla A alla Germania, ma bisognerà resistere e per farlo abbiamo bisogno dell'Unione politica. E qui è la Francia che deve dire sì a un governo comune, con controllo parlamentare comune della zona euro. In gioco è il ruolo globale dell'Europa nel XXI secolo. Vogliamo averne uno? Solo insieme potremo dire qualcosa sul nostro futuro ed essere ascoltati».
Non è troppo tardi per tutto questo?
«No, abbiamo una chance, che probabilmente si aprirà concretamente poco prima del crollo. Bisogna avere nervi saldi, il lusso delle illusioni non ci è concesso. Finora abbiamo solo reagito. Le decisioni dell'Ue hanno sempre inseguito gli avvenimenti. Non abbiamo mai agito in modo strategico. Non basta più».
Cosa vuol dire governo e controllo parlamentare comuni?
«Dimentichiamo per un attimo i 27. Al momento decisivi sono i Paesi dell'Eurozona. I capi di governo agiscono già di fatto da esecutivo europeo, i Parlamenti nazionali hanno la sovranità sul bilancio. Dobbiamo fare passi concreti verso una federazione: nel 1781 c'era una situazione simile in America. Cosa fece Alexander Hamilton? Federalizzò il debito degli Stati, in bancarotta per le spese della Rivoluzione contro gli inglesi. Se non lo avesse fatto, la giovane Confederazione non sarebbe sopravvissuta. Ecco cosa dobbiamo fare anche noi, qui e subito. Purtroppo non siamo governati da leader politici, ma da contabili».
E d'accordo a eleggere un presidente dell'Ue a suffragio universale, come suggerisce Wolfgang Schäuble?
«Non porterebbe nulla. Avrebbe molto più senso se le maggioranze e le opposizioni parlamentari di ogni Stato dell'Eurozona fossero rappresentate in una Eurocamera, dove discutere direttamente, con tutta la legittimità necessaria, l'attenzione mediatica e il coinvolgimento delle popolazioni. Non sarebbe più una creazione esterna come l'Europarlamento, che potrebbe diventare Camera bassa. Mentre i leader sarebbero membri del governo europeo».
L'intervista è finita. Ma Fischer, sempre affascinato dalla Storia, vuole ancora raccontare un aneddoto: «Sono stato spesso a Venezia, ma solo alcuni mesi fa, per la prima volta ho dormito in laguna. Un'esperienza indimenticabile: alle 7 della sera, la città era vuota, nulla sembrava vivo. E allora ho pensato alla Serenissima, alla grande potenza che ha dominato il Mediterraneo e parte del Medio Oriente, esercitando per secoli una forte egemonia economica, politica e culturale, ridotta a un bellissimo museo deserto. Vogliamo che anche l'Europa diventi questo? Non credo, ma potremmo esservi molto vicini».
26 maggio 2012 | 11:05
«La Germania non affondi l'Europa
Sarebbe la terza volta in cent'anni»
Fischer, ex ministro degli Esteri tedesco: «La cancelliera miope. Se l'euro cade, noi saremo i grandi perdenti»
Dal nostro inviato PAOLO VALENTINO
Joschka Fischer con la moglie Minu Barati (Reuters)Joschka Fischer con la moglie Minu Barati (Reuters)
BERLINO - «Per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l'ordine europeo. Poi ha convinto l'Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l'integrazione d'Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita, con mezzi pacifici e le migliori intenzioni, causasse la distruzione dell'ordine europeo una terza volta. Eppure il rischio è proprio questo». Joschka Fischer sceglie parole pesanti come pietre per lanciare un allarme fatto di passione e ragione, cuore e testa d'europeo. L'ex ministro degli Esteri tedesco è «preoccupato» da una situazione che definisce «seria, molto seria» per l'Europa. Ed è anche scettico, perché non vede in giro «forze e leader, disposti a fare i passi necessari», senza i quali «rischia di essere spazzato via il miracolo di due generazioni di europei: l'investimento massiccio in una costruzione istituzionale, che ha garantito il più lungo periodo di pace e prosperità nella storia del Continente». Lo incontro nella sede della «Joschka Fischer and Company», la società di consulenza strategica che ha fondato da pochi anni. Le finestre del suo ufficio danno sulla Gendarmenmarkt, la piazza dove i re prussiani facevano sfilare i loro reggimenti e il regime comunista della Ddr organizzava i suoi raduni. Ora è il cuore pulsante della nuova Berlino, magnifica capitale di una Germania cui l'Europa in crisi torna a guardare con diffidenza e malumore.
«Mi preoccupa - spiega Fischer - che l'attuale strategia chiaramente non funziona. Va contro la democrazia, come dimostrano i risultati delle elezioni in Grecia, in Francia e anche in Italia. E va contro la realtà: lo sappiamo sin dalla crisi del 1929, dalle politiche deflattive di Herbert Hoover in America e del cancelliere Heinrich Brüning nella Germania di Weimar, che l'austerità in una fase di crisi finanziaria porta solo a una depressione. Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi. Certo l'economia della Germania è in crescita, ma ciò può cambiare rapidamente, anzi sta già cambiando».
L'ex vice-cancelliere del governo rosso-verde invita a non farsi alcuna illusione: l'Europa è oggi sull'orlo di un abisso. «O l'euro cade, torna la re-nazionalizzazione e l'Unione Europea si disintegra, il che porterebbe a una drammatica crisi economica globale, qualcosa che la nostra generazione non mai vissuto. Oppure gli europei vanno avanti verso l'Unione fiscale e l'Unione politica nell'Eurogruppo. I governi e i popoli degli Stati membri non possono più sopportare il peso dell'austerità senza crescita. E non abbiamo più molto tempo, parlo di settimane, forse di pochi mesi».
Ma perché non sarebbe possibile limitare le conseguenze di un'uscita controllata della Grecia dall'Eurozona?
«L'Euro è un progetto politico. Non è che avessimo bisogno della moneta unica agli inizi degli Anni Novanta. Doveva essere il vettore dell'integrazione politica: questa era l'idea di fondo. Nessuno oggi può garantire che se la Grecia abbandona l'euro, non si verifichino un crollo della fiducia, una corsa alle banche in Spagna, in Italia, probabilmente anche in Francia, cioè una valanga finanziaria che seppellirebbe l'Europa. Secondo, cosa pensa che farebbero i greci una volta fuori? Cercherebbero altri partner, come la Russia per esempio, che è già pronta e nessuno ne parla. Diremmo addio all'ampliamento verso Sud-Est, l'integrazione europea dei Balcani sarebbe finita. È una follia: si possono avere opinioni diverse sulla vocazione europea della Turchia, ma non c'è dubbio che i Balcani, regione intrinsecamente instabile, siano parte dell'Europa. Senza contare che la Grecia fuori dall'euro precipiterebbe nel caos».
La discussione attuale si concentra sugli eurobond. Ma per concretizzarli occorrerebbero mesi, se non anni. Non è un falso dibattito, rispetto ai tempi brevi di cui lei parla?
«No, è un dibattito importante. In fondo dietro gli eurobond c'è uno dei prossimi passi da compiere. Gli elementi della soluzione sono quattro: Unione politica e Unione fiscale dell'Eurogruppo, crescita e riforme strutturali. Sono per esempio ammirato dal fatto che in questa fase, l'Italia abbia mobilitato i suoi istinti di sopravvivenza dando vita al governo Monti, che sta lavorando bene. Ma rimango perplesso che Hollande, il nuovo presidente francese del quale apprezzo l'impegno per la crescita, voglia riportare a 60 anni l'età pensionabile. Nessuno di questi elementi va trascurato o annacquato, devono viaggiare insieme se l'Europa vuole davvero superare la sua crisi esistenziale».
Perché la cancelliera Merkel non si muove dalla linea dell'austerità?
«Angela Merkel pensa solo alla sua rielezione. Ma è un calcolo miope e fa un grosso errore. Perché sul piano interno è già molto indebolita. Merkel è forte finché l'economia tedesca è forte. In Germania non c'è crisi economica, ma stiamo attenti perché ci coglierà in modo brutale. Se non ci assumiamo la responsabilità di guidare l'Europa insieme fuori dalla crisi, saranno guai grossi, perché noi saremmo i grandi perdenti, sia sul piano economico che su quello politico».
Quale governo tedesco può fare ciò che lei propone?
«Solo un governo di grande coalizione. Altrimenti, ogni partito all'opposizione sarebbe tentato di sfruttare questa situazione. Ma un governo di unità nazionale ce la farebbe. Non è un passo semplice. "Perché dovremmo farlo?", è la domanda prevalente in Germania"».
Già, perché dovreste farlo?
«Semplice, perché altrimenti vanno a rotoli sessant'anni di unità europea. Fine. Rien ne va plus . Purtroppo non abbiamo più un Helmut Kohl a dircelo».
E come dovrebbero svolgersi gli avvenimenti, qual è il primo passo immediato?
«L'europeizzazione del debito. Il problema, qui la Germania ha ragione, è di evitare che poi le riforme strutturali per migliorare la competitività si fermino o vengano ammorbidite. Non si tratta di europeizzare l'intero debito, ci sono proposte interessanti sul tavolo. Ma il punto di fondo è che la Germania deve garantire con il suo potere economico e le sue risorse la sopravvivenza dell'Eurozona. Bisognerà dire: siamo un'Unione fiscale, restiamo insieme. Sarà difficile, i mercati diranno la loro, le agenzie di rating toglieranno probabilmente la tripla A alla Germania, ma bisognerà resistere e per farlo abbiamo bisogno dell'Unione politica. E qui è la Francia che deve dire sì a un governo comune, con controllo parlamentare comune della zona euro. In gioco è il ruolo globale dell'Europa nel XXI secolo. Vogliamo averne uno? Solo insieme potremo dire qualcosa sul nostro futuro ed essere ascoltati».
Non è troppo tardi per tutto questo?
«No, abbiamo una chance, che probabilmente si aprirà concretamente poco prima del crollo. Bisogna avere nervi saldi, il lusso delle illusioni non ci è concesso. Finora abbiamo solo reagito. Le decisioni dell'Ue hanno sempre inseguito gli avvenimenti. Non abbiamo mai agito in modo strategico. Non basta più».
Cosa vuol dire governo e controllo parlamentare comuni?
«Dimentichiamo per un attimo i 27. Al momento decisivi sono i Paesi dell'Eurozona. I capi di governo agiscono già di fatto da esecutivo europeo, i Parlamenti nazionali hanno la sovranità sul bilancio. Dobbiamo fare passi concreti verso una federazione: nel 1781 c'era una situazione simile in America. Cosa fece Alexander Hamilton? Federalizzò il debito degli Stati, in bancarotta per le spese della Rivoluzione contro gli inglesi. Se non lo avesse fatto, la giovane Confederazione non sarebbe sopravvissuta. Ecco cosa dobbiamo fare anche noi, qui e subito. Purtroppo non siamo governati da leader politici, ma da contabili».
E d'accordo a eleggere un presidente dell'Ue a suffragio universale, come suggerisce Wolfgang Schäuble?
«Non porterebbe nulla. Avrebbe molto più senso se le maggioranze e le opposizioni parlamentari di ogni Stato dell'Eurozona fossero rappresentate in una Eurocamera, dove discutere direttamente, con tutta la legittimità necessaria, l'attenzione mediatica e il coinvolgimento delle popolazioni. Non sarebbe più una creazione esterna come l'Europarlamento, che potrebbe diventare Camera bassa. Mentre i leader sarebbero membri del governo europeo».
L'intervista è finita. Ma Fischer, sempre affascinato dalla Storia, vuole ancora raccontare un aneddoto: «Sono stato spesso a Venezia, ma solo alcuni mesi fa, per la prima volta ho dormito in laguna. Un'esperienza indimenticabile: alle 7 della sera, la città era vuota, nulla sembrava vivo. E allora ho pensato alla Serenissima, alla grande potenza che ha dominato il Mediterraneo e parte del Medio Oriente, esercitando per secoli una forte egemonia economica, politica e culturale, ridotta a un bellissimo museo deserto. Vogliamo che anche l'Europa diventi questo? Non credo, ma potremmo esservi molto vicini».
26 maggio 2012 | 11:05
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Re: Come se ne viene fuori ?
da repubblica.it
La formula Krugman per uscire dalla crisi
"Insegnanti e welfare contro la depressione"
Intervista al premio Nobel diventato un "guru" per la nuova sinistra americana. "I governi devono spendere di più", come nel New Deal. C'è chi lo vede già prossimo segretario al Tesoro Usa, se Obama sarà rieletto. Ma lui dice: "Mi basta fare il castigatore delle idee sbagliate"
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
NEW YORK -Paul Krugman "Calma, calma, sono solo un economista". Paul Krugman è divertito, un po' imbarazzato, ma anche abituato: una sua apparizione in pubblico a New York suscita le ovazioni e urla di approvazione degne di una rockstar.
La scena si ripete quando sale sul placoscenico del centro culturale 92Y sulla Lexington Avenue per discutere il suo nuovo libro. Ressa da stadio, folla in delirio. In fondo il tifo popolare se l'è meritato, questo premio Nobel dell'economia trasformatosi in opinionista del New York Times (e Repubblica), censore dei tecnocrati dell'eurozona, keynesiano a oltranza, guru della nuova sinistra americana. Si è conquistato questa "base di massa" perché osa spingersi dove altri non vanno.
Il suo blog è uno strumento di battaglia politica contro l'egemonia culturale della destra. Il suo nuovo libro, nell'edizione americana promette o intima "Fuori da questa depressione, subito!". Depressione? Addirittura? L'editore italiano Garzanti, che lo pubblica a fine mese, non se l'è sentita di usare un termine che evoca gli anni Trenta, le code dei disoccupati alle mense dei poveri, il nazifascismo. E così il titolo italiano suona un po' più tradizionale: "Fuori da questa crisi, adesso".
Perché Krugman non esita invece a usare un termine ben più drammatico? "Quella che attraversiamo - risponde - la chiamo la Depressione Minore, per distinguerla dagli anni Trenta. La differenza è
meno sostanziale di quanto si creda. Anche allora ci fu una prima recessione, poi una ripresa inadeguata, poi la ricaduta. I tassi di disoccupazione reali di cui soffriamo non sono tanto inferiori a quelli di allora. E se guardiamo al numero di disoccupati a lungo termine, che qui in America restano oltre i 4 milioni, siamo proprio a livelli da anni Trenta".
Il messaggio che questo libro martella con insistenza è che il male va combattuto, oggi come allora, con un deciso intervento statale. "Abbiamo bisogno che i nostri governi spendano di più, non di meno - sintetizza il 59enne docente alla Princeton University - perché quando la domanda privata è insufficiente, questa è l'unica soluzione. Assumere insegnanti. Costruire infrastrutture. Fare quello che fu fatto con la seconda guerra mondiale, possibilmente scegliendo spese utili".
Quell'avverbio "subito" che tuona nel titolo del suo libro, Krugman lo esplicita senza esitazioni: se l'Occidente applicasse la ricetta giusta, potremmo essere fuori da questa crisi in 18 mesi. Un anno e mezzo! Attenzione: questa non è una promessa da comizio elettorale. Il bello di Krugman, quello che ti affascina nel personaggio, è l'impegno con cui tiene insieme il suo "ruolo pubblico", di opinionista schierato e aggressivo, con il rigore scientifico del teorico che macina grafici e statistiche come un computer. Capace di passare dall'uno all'altro in pochi istanti, per rispondere all'obiezione politica principale: la sua ricetta oggi appare inascoltata, inapplicabile, impraticabile, perché siamo terrorizzati dal livello del debito pubblico.
Non è solo un problema europeo. Anche qui negli Stati Uniti 15.300 miliardi di dollari di debiti, quasi il 100% del Pil, sembrano un ostacolo insormontabile per la sua terapia keynesiana. "Falso, falso - risponde secco - anzitutto dal punto di vista storico. In passato gli Stati Uniti ebbero un debito ancora superiore, durante le seconda guerra mondiale; la Gran Bretagna per quasi un secolo. Il Giappone ha tuttora un debito statale molto più elevato in percentuale del suo Pil eppure paga interessi dello 0,9% sui suoi buoni del Tesoro. Quindi non esistono soglie di insostenibilità come quelle che ci vengono propagandate. Inoltre è dimostrato, e lo vediamo accadere sotto i nostri occhi, che in tempi di depressione le politiche di austerity aggravano il problema: accentuano la recessione, di conseguenza cade il gettito fiscale, così in seguito ai tagli il debito aumenta anziché diminuire".
Resta però il problema politico, e non solo in Europa dove c'è un ostacolo che si chiama Angela Merkel. Anche qui, Barack Obama non ha osato sfidare i repubblicani con una seconda manovra di spesa pubblica anti-crisi. "Anzitutto perché all'inizio Obama sottovalutò la gravità di questa crisi - risponde Krugman - mentre adesso sta cambiando posizione. Il fatto è che a lui conviene battersi fino in fondo per le sue idee, tenere duro, non cercare compromessi. Se Obama vince a novembre, io credo che governerà meglio nel suo secondo mandato".
Un'altra obiezione frequente alla sua ricetta keynesiana, riguarda la qualità, l'efficacia, la rapidità della spesa pubblica. La macchina burocratica è spesso inefficiente, non solo nell'Europa mediterranea ma anche qui negli Stati Uniti. Krugman ha una risposta anche a questo. "La prima cosa da fare - spiega - è cancellare l'effetto distruttivo dei tagli di spesa. Per esempio, qui negli Stati Uniti, bisogna cominciare col ri-assumere le migliaia di insegnanti licenziati a livello locale. Queste sono manovre di spesa dagli effetti istantanei. In Europa, la manovra equivalente è restituire le prestazioni del Welfare State che sono state ingiustamente tagliate".
Veniamo dunque al malato più grave del momento: l'eurozona. A questo paziente in coma, Krugman sta dedicando un'attenzione smisurata. Spesso i suoi editoriali sul New York Times sono duri attacchi all'austerity d'impronta germanica, appelli ai dirigenti europei perché rinsaviscano prima che sia troppo tardi. "Guardate cos'è accaduto all'Irlanda - dice - cioè a un paese che si può considerare l'allievo modello, il più virtuoso nell'applicare le ricette dell'austerity volute dal governo tedesco. L'Irlanda ha avuto una finta ripresa e poi è ricaduta nella recessione. All'estremo opposto ci sono quei paesi asiatici, dalla Cina alla Corea del Sud, che hanno manovrato con energia le leve della spesa pubblica, e così hanno evitato la crisi".
Krugman considera probabile l'uscita della Grecia dall'euro, ma lo preoccupa di più il "dopo". Denuncia il rischio di un "effetto-domino, se la Germania non cambia strada". Avverte che le conseguenze di una disintegrazione dell'Unione "sarebbero perfino più gravi sul piano politico che su quello economico". I suoi modelli, oltre ai paesi asiatici, sono la Svezia e perfino la piccola Islanda: "Perché dopo la bancarotta ha avuto il coraggio di cancellare tutti i propri debiti con le banche, negare i rimborsi, ed è ripartita dopo una svalutazione massiccia".
Uno schiaffo nei confronti della finanza globale, che il premio Nobel considera legittimo e benefico (per l'Islanda). E su questo conclude toccando una questione scottante: perché anche la sinistra quando va al potere diventa succube dei banchieri? Perché Obama all'inizio del suo primo mandato nominò così tanti consiglieri legati a Wall Street? La risposta di Krugman è fulminante: "Perché danno la sensazione di sapere. Sono davvero impressionanti, quelli di Wall Street: danno a intendere di capirne qualcosa, anche dopo avere distrutto il mondo, o quasi".
Qualcuno già punta su Krugman come prossimo segretario al Tesoro, se Obama viene rieletto a novembre. "Si vede che non hanno mai visto il caos che regna sulla mia scrivania e nel mio ufficio", scherza l'economista più influente e controverso d'America. Poi chiude: "A me piace il mio ruolo attuale, che definirei così: il castigatore delle idee sbagliate".
La formula Krugman per uscire dalla crisi
"Insegnanti e welfare contro la depressione"
Intervista al premio Nobel diventato un "guru" per la nuova sinistra americana. "I governi devono spendere di più", come nel New Deal. C'è chi lo vede già prossimo segretario al Tesoro Usa, se Obama sarà rieletto. Ma lui dice: "Mi basta fare il castigatore delle idee sbagliate"
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
NEW YORK -Paul Krugman "Calma, calma, sono solo un economista". Paul Krugman è divertito, un po' imbarazzato, ma anche abituato: una sua apparizione in pubblico a New York suscita le ovazioni e urla di approvazione degne di una rockstar.
La scena si ripete quando sale sul placoscenico del centro culturale 92Y sulla Lexington Avenue per discutere il suo nuovo libro. Ressa da stadio, folla in delirio. In fondo il tifo popolare se l'è meritato, questo premio Nobel dell'economia trasformatosi in opinionista del New York Times (e Repubblica), censore dei tecnocrati dell'eurozona, keynesiano a oltranza, guru della nuova sinistra americana. Si è conquistato questa "base di massa" perché osa spingersi dove altri non vanno.
Il suo blog è uno strumento di battaglia politica contro l'egemonia culturale della destra. Il suo nuovo libro, nell'edizione americana promette o intima "Fuori da questa depressione, subito!". Depressione? Addirittura? L'editore italiano Garzanti, che lo pubblica a fine mese, non se l'è sentita di usare un termine che evoca gli anni Trenta, le code dei disoccupati alle mense dei poveri, il nazifascismo. E così il titolo italiano suona un po' più tradizionale: "Fuori da questa crisi, adesso".
Perché Krugman non esita invece a usare un termine ben più drammatico? "Quella che attraversiamo - risponde - la chiamo la Depressione Minore, per distinguerla dagli anni Trenta. La differenza è
meno sostanziale di quanto si creda. Anche allora ci fu una prima recessione, poi una ripresa inadeguata, poi la ricaduta. I tassi di disoccupazione reali di cui soffriamo non sono tanto inferiori a quelli di allora. E se guardiamo al numero di disoccupati a lungo termine, che qui in America restano oltre i 4 milioni, siamo proprio a livelli da anni Trenta".
Il messaggio che questo libro martella con insistenza è che il male va combattuto, oggi come allora, con un deciso intervento statale. "Abbiamo bisogno che i nostri governi spendano di più, non di meno - sintetizza il 59enne docente alla Princeton University - perché quando la domanda privata è insufficiente, questa è l'unica soluzione. Assumere insegnanti. Costruire infrastrutture. Fare quello che fu fatto con la seconda guerra mondiale, possibilmente scegliendo spese utili".
Quell'avverbio "subito" che tuona nel titolo del suo libro, Krugman lo esplicita senza esitazioni: se l'Occidente applicasse la ricetta giusta, potremmo essere fuori da questa crisi in 18 mesi. Un anno e mezzo! Attenzione: questa non è una promessa da comizio elettorale. Il bello di Krugman, quello che ti affascina nel personaggio, è l'impegno con cui tiene insieme il suo "ruolo pubblico", di opinionista schierato e aggressivo, con il rigore scientifico del teorico che macina grafici e statistiche come un computer. Capace di passare dall'uno all'altro in pochi istanti, per rispondere all'obiezione politica principale: la sua ricetta oggi appare inascoltata, inapplicabile, impraticabile, perché siamo terrorizzati dal livello del debito pubblico.
Non è solo un problema europeo. Anche qui negli Stati Uniti 15.300 miliardi di dollari di debiti, quasi il 100% del Pil, sembrano un ostacolo insormontabile per la sua terapia keynesiana. "Falso, falso - risponde secco - anzitutto dal punto di vista storico. In passato gli Stati Uniti ebbero un debito ancora superiore, durante le seconda guerra mondiale; la Gran Bretagna per quasi un secolo. Il Giappone ha tuttora un debito statale molto più elevato in percentuale del suo Pil eppure paga interessi dello 0,9% sui suoi buoni del Tesoro. Quindi non esistono soglie di insostenibilità come quelle che ci vengono propagandate. Inoltre è dimostrato, e lo vediamo accadere sotto i nostri occhi, che in tempi di depressione le politiche di austerity aggravano il problema: accentuano la recessione, di conseguenza cade il gettito fiscale, così in seguito ai tagli il debito aumenta anziché diminuire".
Resta però il problema politico, e non solo in Europa dove c'è un ostacolo che si chiama Angela Merkel. Anche qui, Barack Obama non ha osato sfidare i repubblicani con una seconda manovra di spesa pubblica anti-crisi. "Anzitutto perché all'inizio Obama sottovalutò la gravità di questa crisi - risponde Krugman - mentre adesso sta cambiando posizione. Il fatto è che a lui conviene battersi fino in fondo per le sue idee, tenere duro, non cercare compromessi. Se Obama vince a novembre, io credo che governerà meglio nel suo secondo mandato".
Un'altra obiezione frequente alla sua ricetta keynesiana, riguarda la qualità, l'efficacia, la rapidità della spesa pubblica. La macchina burocratica è spesso inefficiente, non solo nell'Europa mediterranea ma anche qui negli Stati Uniti. Krugman ha una risposta anche a questo. "La prima cosa da fare - spiega - è cancellare l'effetto distruttivo dei tagli di spesa. Per esempio, qui negli Stati Uniti, bisogna cominciare col ri-assumere le migliaia di insegnanti licenziati a livello locale. Queste sono manovre di spesa dagli effetti istantanei. In Europa, la manovra equivalente è restituire le prestazioni del Welfare State che sono state ingiustamente tagliate".
Veniamo dunque al malato più grave del momento: l'eurozona. A questo paziente in coma, Krugman sta dedicando un'attenzione smisurata. Spesso i suoi editoriali sul New York Times sono duri attacchi all'austerity d'impronta germanica, appelli ai dirigenti europei perché rinsaviscano prima che sia troppo tardi. "Guardate cos'è accaduto all'Irlanda - dice - cioè a un paese che si può considerare l'allievo modello, il più virtuoso nell'applicare le ricette dell'austerity volute dal governo tedesco. L'Irlanda ha avuto una finta ripresa e poi è ricaduta nella recessione. All'estremo opposto ci sono quei paesi asiatici, dalla Cina alla Corea del Sud, che hanno manovrato con energia le leve della spesa pubblica, e così hanno evitato la crisi".
Krugman considera probabile l'uscita della Grecia dall'euro, ma lo preoccupa di più il "dopo". Denuncia il rischio di un "effetto-domino, se la Germania non cambia strada". Avverte che le conseguenze di una disintegrazione dell'Unione "sarebbero perfino più gravi sul piano politico che su quello economico". I suoi modelli, oltre ai paesi asiatici, sono la Svezia e perfino la piccola Islanda: "Perché dopo la bancarotta ha avuto il coraggio di cancellare tutti i propri debiti con le banche, negare i rimborsi, ed è ripartita dopo una svalutazione massiccia".
Uno schiaffo nei confronti della finanza globale, che il premio Nobel considera legittimo e benefico (per l'Islanda). E su questo conclude toccando una questione scottante: perché anche la sinistra quando va al potere diventa succube dei banchieri? Perché Obama all'inizio del suo primo mandato nominò così tanti consiglieri legati a Wall Street? La risposta di Krugman è fulminante: "Perché danno la sensazione di sapere. Sono davvero impressionanti, quelli di Wall Street: danno a intendere di capirne qualcosa, anche dopo avere distrutto il mondo, o quasi".
Qualcuno già punta su Krugman come prossimo segretario al Tesoro, se Obama viene rieletto a novembre. "Si vede che non hanno mai visto il caos che regna sulla mia scrivania e nel mio ufficio", scherza l'economista più influente e controverso d'America. Poi chiude: "A me piace il mio ruolo attuale, che definirei così: il castigatore delle idee sbagliate".
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