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Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 03/05/2016, 17:13
da camillobenso
NON DITEMI CHE QUANDO UN PAESE ACCETTA UNA NORMALITA' COME QUESTA NON E' UN PAESE FINITO E SENZA SPERANZA.



GIUSTIZIA & IMPUNITÀ
Milano, ristorante ai Navigli: il comizio del tangentaro è compreso nel menù
di Nando dalla Chiesa | 2 maggio 2016
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Nando dalla Chiesa
Docente universitario, scrittore e politico


Questa è una storia da pazzi che può capitare solo in un paese da pazzi. È ambientata in un ristorante milanese, zona Navigli. Ci arrivo alle nove di sera, appuntamento in famiglia. Mi siedo dando le spalle al tavolo messo in perpendicolare dietro al nostro e in un minuto mi rendo conto che ne provengono concetti e parole che mi urticano. E mi allarmano. Per costume non ascolto i discorsi altrui, nemmeno le urla da tarzan sui cellulari in treno. Ma qui è proprio impossibile. Sono dietro di me, e parlano ad alta, altissima voce. Domina tra loro una specie di predicatore. Ci vuol poco per capire che è il capo, un miles gloriosus della scienza della corruzione. Con il tono di chi tutto sa e ha visto, e uno sgradevolissimo birignao aziendale, spiega ad altri tre commensali i trucchi delle aste e degli appalti.

soldi euro 675

Racconta i segreti. Come maneggiare le percentuali, come partecipare alle aste, come trovare la persona giusta, perché in questi casi ci vuole, dice, una persona di buon senso. Mi volto di sbieco, è pure abbastanza giovane, largo ai giovani d’altronde. E che il tipo sappia perfettamente come farsi largo, non c’è dubbio. Non ha nessun pudore a parlare di affari sottobosco. Non credo mi abbia riconosciuto, ma c’è pur sempre accanto a lui una famiglia di adulti, c’è un ristoratore per bene che sta facendo il suo lavoro, c’è una giovane cameriera. Tutti possono sentire, anche perché il mister è un fiume in piena. Semplicemente se ne fotte. Parla di come piazzare gente in Finmeccanica, tutti lì vanno a finire, garantisce. In un turpiloquio continuo, un c… dopo l’altro, e un inesauribile invito a interlocutori assenti a non rompergli i c…, racconta di quando era in Telecom, della Bergamo-Brescia, poi esalta i pregi della sanità, e questi li sapevo anch’io avendoli studiati.

A un certo punto dice anche il suo nome: “Mettiamo che io, A. B., venga chiamato…”. Penso: ma non può essere così fesso da fare anche il suo nome in pubblico con quello che sta dicendo. E invece un commensale trenta secondi dopo lo chiama esattamente Andrea. Allora è vero. Affarista e stupido, è evidente. Ora non diteci più che fanno affari perché hanno un’intelligenza diabolica. No, qui siamo rasoterra. Spiega che stanno interessandosi del polo fieristico di Rimini, questo lo sento distintamente, mi sembra che lo metta in sequenza anche con quello di Bologna. Gli altri tre lo stanno a sentire. Ogni tanto fanno una domanda, uno ha l’accento bresciano o bergamasco, difficile capirlo da dieci parole.

Il discorso diventa un vero comizio. “Il messaggio è: se fai quello che dicono loro alla fine guadagni”. Racconta di quando per aiutare un notissimo manager (di cui fa il nome) di un colosso della revisione contabile si è sporcato la fedina penale (“interna”, precisa subito: ovvero la sua deontologia), mostra progressivamente una consumata abilità nel parlare con perifrasi e allusioni che tutti però possono decifrare, spiega che ci vuole sempre uno “che dirige il traffico”. A questo punto mi arrabbio, vorrei sbottare, gridargli che sono loro, questi deficienti, a mandare in rovina l’Italia, poi penso che se mi riconoscesse si confermerebbe nella sua sicumera: solo dei moralisti incalliti possono sbraitare, il paese è con noi.

Mia moglie mi scatta una foto: viene molto bene, anche perché così il tipo viene immortalato a futura memoria. Prendo un tovagliolo, che ho conservato, e inizio a scriverci quel che sento. A. B. non vede nulla, è preso dalla sua sacra missione di predicatore. Dice che gli piace mettersi il cappello dello “strategy” (fantastico!), che bisogna fare un gioco di squadra e che lui ha il suo uomo all’Avana. Uno dei commensali gli domanda con deferente speranza se si può davvero fare un gioco di squadra. Lui rassicura, bonario e inclusivo, ogni tanto battendo il pugno sul tavolo. Dice che ci vogliono “persone cazzute” (e voi, fessacchiotti, andate a Boston a studiare business!?) e che “abbiano un mercato”. Invoglia il gruppo a procedere: facciamo delle consulenze, “mettiamo su una squadra di manager e ci diamo un obiettivo”. Uno chiede se staranno tutti insieme, lui garantisce di sì.

Alla fine ho il nome, la foto, i discorsi. Mi domando con che faccia, quando vengono intercettati, questi si risentano per la violazione della privacy visto che mi hanno assordato, contro la mia volontà, per due ore. Direte voi: ma dove sta la bella notizia delle Storie italiane? Amici, la bella notizia è che a furia di impunità sono diventati fessi. Non bisogna più nemmeno scoprirli.

Da Il Fatto Quotidiano del 30 Aprile 2016

di Nando dalla Chiesa | 2 maggio 2016


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... u/2689318/


COME SE NE VIENE FUORI?????????????????????????

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 03/05/2016, 23:14
da camillobenso
LA RECENSIONE DEL FATTO QUOTIDIANO



CINEMA
‘Lui è tornato’, e se Hitler riapparisse oggi?
di Francesca Petretto | 2 maggio 2016
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Francesca Petretto
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E se una mattina qualunque del 2014 a Berlino, Lui tornasse? Se mentre i bimbi giocano indisturbati in un giardino pubblico, nei pressi di quello che un tempo fu il bunker nel quale si tolse la vita insieme alla neo moglie Eva Braun, Lui riapparisse avvolto da una nuvola di fumo, in alta uniforme? A questi curiosi interrogativi prova a dare una risposta il giornalista Timur Vernes nel suo best-seller Lui è tornato, nel quale immagina, con sagace ironia e grande lucidità di pensiero, il ritorno di Hitler nella Berlino dei giorni nostri. Un successo editoriale sorprendente, con oltre 2 milioni di copie vendute solo in Germania, tradotto in 41 Paesi. Dal libro è stato tratto l’omonimo film, per la regia di David Wnendt che, neanche a dirlo, in Germania ha sbancato il botteghino, ma che purtroppo in Italia ha avuto solo tre giorni di programmazione, 26, 27 e 28 aprile; sarà tutta via disponibile su Netflix. Io sono riuscita a vederlo in extremis giusto l’ultima sera e ne sono felice, perché il film è davvero straordinario.

31kDb+Em0oL._SX355_BO1,204,203,200_Siamo nel 2014, Adolf Hitler viene catapultato nel futuro e si risveglia a Berlino nello stesso punto in cui il 30 aprile del 1945 si tolse la vita. Come fosse letteralmente risorto dalle ceneri, vaga per la città con la sua uniforme logora e strappata, una città decisamente diversa da quella che ha lasciato. Confuso e disorientato cerca di scoprire in quale epoca storica si trovi e quale sia l’attuale situazione politico-sociale: non appena scopre in che modo è cambiata la sua Germania, rimane sgomento e si rende conto di essere mancato per troppo tempo. Ben presto capisce che nulla di ciò che negli anni ha faticosamente costruito, esiste più: la Germania moderna è multietnica e globalizzata, guidata da una donna (la Merkel) che egli stesso definisce “una donna tozza che infonde lo stesso ottimismo di un salice piangente”; manca una guida dunque, un punto di riferimento per un paese destrutturato e impaurito dallo straniero.

E qui il film raggiunge il suo scopo: siamo davvero sicuri che i tempi siano così cambiati rispetto al 1933, quando il neo cancelliere Hitler salì al potere della Germania nazista? Più ci si addentra nella storia, più matura questa agghiacciante considerazione; tra l’altro il film è un interessante mix tra linguaggio cinematografico e documentaristico: con l’aiuto di uno sprovveduto cameraman Hitler fa il giro della Germania per sondare i pareri della gente, molte delle interviste sono reali e raccolgono le reazioni spontanee della gente alla vista del redivivo Hitler: i risultati sono a tratti sconcertanti. Alcuni degli intervistati affermano che “se fosse il vero Hitler, la seguirei”, inoltre molti dei discorsi di Hitler sull’immigrazione e sulla necessità di ricostituire dei lager, trovano in alcuni casi consensi e acclamazione.

Nel film si crea ad un certo punto una pericolosa commistione tra cinema e realtà che appassiona e spaventa allo stesso tempo. Il tono è tendenzialmente quello della commedia, ma, alla pungente ironia delle battute, si aggiunge l’inquietante consapevolezza di alcune affermazioni di Hitler: “Lei si è mai chiesto perché il popolo mi segue? Perché in fondo siete tutti come me…abbiamo gli stessi valori…”. Non appena scopre il potere che i nuovi media e internet hanno sulla gente, come se la storia si ripetesse tragicamente, li sfrutta in maniera arguta per raccogliere consensi e per cercare di carpire informazioni utili al suo scopo: si, ma qual è lo scopo del risorto Hitler? Lo stesso di sempre: riempire il vuoto ideologico di una società moderna alla deriva e affondare gli artigli nella sua debole carne.

Attraverso il suo carisma e la grande capacità comunicativa che trascende le epoche storiche, si impone come personaggio di punta in televisione – che definisce “uno straordinario strumento di propaganda” – si presta ad interviste, ospitate, selfie e simpatici siparietti, diventa una star del web. Per tutti questo Hitler non è altro che un buffone, un matto che si traveste da führer, ma che gli somiglia in maniera sorprendente (grazie al lavoro straordinario dell’attore Oliver Masucci); questo genera una sorta di macabra ammirazione per la figura storica, una morbosa curiosità tipica del nostro tempo di reality show e di fanatismo malato. Tutti sembrano ubriacarsi di questa novità, fino a perdere piano piano coscienza della realtà. Tutti tranne una vecchia signora ebrea affetta da demenza senile che, vedendosi piombare Hitler in casa, non lo scambia per un attore come tutti gli altri, ma lo riconosce e comincia ad urlare in preda al panico “Sei tale e quale ad allora e dici le stesse cose di allora. Anche all’epoca, all’inizio, ridevano di te. Io so bene chi sei, non l’ho dimenticato!”.

Dopo queste parole, il silenzio in sala si è fatto gelido, insopportabile. Il viaggio nel futuro di Hitler, ha riportato noi in un passato buio e angosciante e mentre le immagini scorrevano sullo schermo, mi sentivo pervasa da una sensazione di ansia e di paura. Il film (e prima ancora il libro) offre uno spunto di riflessione prezioso sul valore della memoria storica, sulla reale capacità degli esseri umani di imparare dai propri errori e un quadro tristemente chiaro dell’attuale situazione politica, sociale e culturale dell’Europa e del mondo. Verso il finale, quando l’intorpidimento delle coscienze sta dando i suoi frutti e tutti ormai lo considerano una star, il suo fidato cameraman, l’uomo che lo ha “scoperto”e portato alla ribalta, capisce di avere a che fare col vero Adolf Hitler, terrorizzato e sconvolto tenta di ucciderlo. Ma Hitler non muore e l’inquietante messaggio finale è affidato alle sue parole: “Non puoi uccidermi, perché una parte di me è in tutti voi”. Lui è tornato o forse non è mai andato via?

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 06/05/2016, 18:39
da camillobenso
ATTENZIONE E CURIOSITA' SUL MALE IMPERSONIFICATO,
CONTINUANO




6 MAG 2016 12:10
1. ROMANZI, SAGGI, FILM: HITLER E’ VIVO PIÙ CHE MAI E AFFASCINA SEMPRE PIU' IL PUBBLICO

2. NON C’È SOLO LA RISTAMPA IN GERMANIA DEL "MEIN KAMPF", CHE DOPO ESSERE STATO VIETATO PER 70 ANNI, E’ ANDATO A RUBA MA ANCHE LA PELLICOLA SATIRICA “LUI E’ TORNATO”

3. IN UN’EUROPA CHE VA A DESTRA, LACERATA DALLE MIGRAZIONI E SVUOTATA DALLA CRISI DELLE IDENTITÀ NAZIONALI, IL FUHRER RESTA UN’OSSESSIONE PERVERSA E IL NAZI-PENSIERO INCURIOSISCE E SEDUCE SOPRATTUTTO I GIOVANI, MAI ABBASTANZA IMMUNIZZATI AL MALE

4. E SE NEL DOPOGUERRA, L'OPINIONE PUBBLICA SI VERGOGNAVA DEGLI ORRORI NAZISTI OGGI SVASTICHE, BRACCIA TESE E SIMBOLI NAZI SEMBRANO "NORMALIZZATI", MAINSTREAM, QUASI POP



http://www.dagospia.com/rubrica-2/media ... 124173.htm

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 09/05/2016, 14:01
da camillobenso
LA VERITA' SI SAPRA' MAI????

TEMO PROPRIO DI NO.

IN GERMANIA PERO' CON: LUI E' TORNATO, LA SUGGESTIONE E' FORTE.





Altro che suicidio. Hitler fuggì dall’Italia?
09/05/2016 Enzo Caniatti CRONACHE DI ALGAMA


Le (poco note) verità storiche dietro il thriller di Enzo Caniatti “Il signor Wolf”, che ipotizza la fuga di Adolf Hitler dall’Italia. E che prende il nome dall’ Operazione Wolf, la missione segreta che Stalin affidò ad una speciale dell’NKVD (il servizio segreto sovietico antesignano del KGB) per accertarsi che, a Berlino, il Fuhrer fosse veramente morto.

LINK AL LIBRO:


http://www.algama.it/2016/04/14/lultimo ... rmidabile/

LA TELA DEL RAGNO
(Di Enzo Caniatti)

Tra i carcerati nazisti era nota come Spinne (ragno). All’apparenza non aveva nulla di segreto ed era ben nota anche alle forze alleate che controllavano i campi di internamento. Secondo alcune fonti era nata spontaneamente a opera di un piccolo gruppo di SS internate nel campo di Glasenbach in Austria per mantenere i contatti con le proprie famiglie e “darsi una mano” tra vecchi camerati. Secondo altre invece la Spinne era qualcosa di ben più sinistro. Noto ben presto in tutte le zone occupate dagli Alleati, il comitato di mutuo soccorso si incaricava di fare pervenire ai parenti le lettere dei prigionieri. Attraverso questa innocente via venne stabilita un’efficiente rete di contatti fra i nazisti che si trovavano internati e l’organizzazione clandestina messa a punto prima del crollo del Terzo Reich. Pochi ne conoscevano il nome O.D.E.S.S.A (Organisation der SS-Angehšrigen) ovvero Organizzazione dei membri della SS.
Non esistono documenti ufficiali che ne provino l’esistenza, ma secondo alcuni storici e ricercatori Odessa era, e probabilmente è ancora, la più segreta organizzazione di mutuo soccorso degli ex appartenenti all’Ordine Nero. A metterla in piedi furono due alti gerarchi del partito nazista noti comeHitler At Nazi Rally la Sfinge e lo Sfregiato: il Reichsleiter Martin Bormann e l’Obergruppenfuhrer Ernst Kaltenbrunner. Il cinico e pragmatico segretario del Partito e il massimo responsabile dell’insieme delle polizie naziste raggruppate sotto lo RSHA. Da Kaltenbrunner dipendevano anche la Gestapo e la mostruosa macchina di morte dei campi di sterminio che il Dottore si applicò a perfezionare. Refrattario al mondo occulto del suo grande méntore il Reichsfuhrer-SS Heinrich Himmler, Kaltenbrunner ne eseguiva coscienziosamente gli ordini, ma non condivideva il suo ottimismo sulla vittoria della Germania o, in seconda battuta, sulla possibilità, una volta uscito di scena Hitler, di trovare un accordo con gli Alleati e salvare se stessi e il regime nazista. Apprezzava invece il cinico pragmatismo di Bormann col quale finì per stringere una segreta alleanza che probabilmente lo avrebbe condotto a prendere il posto di Himmler se questi fosse caduto in disgrazia agli occhi di Hitler. Quando però ciò avvenne, mancò il tempo per la nomina ufficiale. Sia la Sfinge Bormann che lo Sfregiato Kaltenbrunner non avevano alcuna intenzione di suicidarsi: prepararono quindi per tempo un piano di fuga non soltanto per sé, ma anche per i loro accoliti. Impossibile attualmente stabilire quale delle due menti ideò l’organizzazione segreta che, immediatamente dopo la caduta del Terzo Reich, iniziò a occuparsi degli “orfani” della croce uncinata.

Da documenti del CIC (il servizio di informazione americano) risulta che a Bad Aussee in Austria, prima della fine delle ostilità, fu installata una centrale SS dove si fabbricavano false carte d’identità e falsi passaporti. L’ordine di mettere in piedi una stamperia segreta era venuto da Kaltenbrunner che nella zona di Bad-Ischl, Ebensee, i monti dei Morti e Mitterndorf aveva creato un ridotto alpino forte di 1500 uomini. Un’intera rotativa era stata trasportata in gran segreto, un pezzo per volta, a Bad Aussee: qui era stata rimontata pronta a entrare in funzione qualora il Reich millenario avesse cessato d’esistere. Kaltenbrunner non riuscì a usufruire dei servigi dell’organizzazione. Catturato, fu colpito da ictus: ciò non impedì però ai giudici del tribunale internazionale di Norimberga di condannarlo all’impiccagione per crimini di guerra e contro l’umanità.

Lo RSHA non lasciò comunque allo sbando gli uomini del suo formidabile apparato poliziesco. Sul solo territorio tedesco non c’erano meno di 45.000 funzionari e impiegati della Gestapo e 65.000 membri dell’SD (il servizio di sicurezza delle SS). Risulterebbe che quantomeno i quadri più elevati ottennero “nuove identità” fabbricate dai servizi specializzati del RSHA. Furono inoltre stabiliti codici segreti per comunicare, al riparo da controlli di censura da parte dei vincitori. Quando i nazisti lasciavano i campi di internamento, venivano subito arruolati nella nuova organizzazione clandestina.

LE VIE DEI RATTI

Gli investigatori della Commissione per i Crimini di Guerra, gli agenti dell’OSS (il servizio segreto americano antesignano della CIA) e del CIC scoprirono nel 1947 gli itinerari seguiti dai gerarchi nazisti per fuggire dalla Germania.

Individuarono tre principali direttrici. La prima conduceva dalla Germania all’Austria e all’Italia e di qui alla Spagna. La seconda puntava verso i Paesi arabi del Vicino Oriente e la terza consentiva di raggiungere alcuni Paesi del Sud America. Che partissero da Berlino, Brema, Francoforte, Augusta, Stoccarda o Monaco la prima meta era l’Allgäu, un’isolata zona boschiva nella Baviera meridionale vicina ai confini svizzeri e austriaci. Molti percorsi convergevano su Memmingen, pittoresca cittadina medievale nel cuore dell’Allgäu tra la Baviera e il Wurttemberg. Lì partivano due vie. Un itinerario conduceva a Lindau sul lago di Costanza, dove si biforcava di nuovo in un percorso verso Bregenz in Austria e in un altro verso la Svizzera. Apparve presto evidente che queste vie di fuga erano state attentamente preparate non certo da individui isolati, ma da una complessa organizzazione clandestina che disponeva di uomini, mezzi e un fiume di denaro. Gli investigatori scoprirono che tra i nazisti il percorso Nord-Sud era noto come “l’asse B-B” ovvero Brema-Bari. Il CIC chiamò le vie di fuga, in modo più appropriato, “Rat Lines”, le vie dei ratti.

L’ENIGMATICO MAGGIORE RAUFF

Il maggiore SS Walter Rauff è un personaggio poco noto dell’universo nazista, eppure, secondo alcune fonti, questo abile capo dell’SD per l’Italia del Nord fu l’uomo di punta scelto da Kaltenbrunner e Bormann per preparare la via di fuga ai gerarchi nazisti verso l’Italia sotto la protezione delle alte gerarchie del Vaticano. Rauff nacque a Kšthen, vicino a Dressau, nel 1906 e, sino al Natale del 1942, la sua fu la vita di un oscuro funzionario dell’SD inviato come delegato generale in Tunisia. Un avamposto di trascurabile importanza, dove la popolazione araba non dimostrava grande simpatia per i tedeschi e non aveva intenzione di perseguitare la ricca comunità ebraica che vi era insediata da molti secoli e con la quale conduceva eccellenti affari. Tutto cambiò quel Natale, quando Rauff fu convocato a Berlino dove incontrò prima Kaltenbrunner e poi Bormann. Quali furono gli ordini non è dato saperlo ma, tornato in Tunisia, Rauff trasferì il suo quartiere generale da Cartagine a Tunisi e l’organico passò da 48 a più di 200 uomini. Con un colpo di mano Rauff fece arrestare tutti i più importanti e influenti rabbini, notabili e commercianti della comunità ebraica di Tunisi. Li fece condurre a Cartagine e li informò che aveva ricevuto ordine da Berlino di trasferire tutti gli ebrei in Germania. Da abile giocatore attese che il suo auditorio fosse in preda allo sgomento e allo sconforto prima di proporre “un patto”: lui aveva il potere di rimandare a data indefinita il trasferimento, in cambio però la comunità ebraica doveva versare mezza tonnellata d’oro.

Alcune testimonianze sostengono che il prezzo del riscatto fu effettivamente versato in più rate, anche se non fu mai registrato o inviato a Berlino. Si dice che Rauff riuscì a far trasportare l’oro in Portogallo attraverso il Marocco spagnolo. Qui fu fuso e venduto sulle piazze di Londra e Amsterdam. Lo Sturmbannfuhrer non approfittò però del bottino, che servì invece a finanziare la rete segreta ideata dai suoi capi. Dopo il successo dell’operazione Tunisi, le quotazioni di Rauff salirono notevolmente. Risulta che incontrò ben otto volte Bormann, il quale gli affidò probabilmente l’incarico più delicato: sondare gli umori delle gerarchie vaticane in previsione di una richiesta d’aiuto per salvare i “cattolici” nazisti dai “senza Dio” bolscevichi.

Nominato, nell’autunno 1943, capo dell’SD dell’Italia del Nord, Rauff iniziò a tessere la sua tela recandosi più volte a Roma. Rinnegando, in quanto SS, i dogmi pagani del suo capo supremo – il Reichsfuhrer-SS Heinrich Himmler – Rauff, grazie ai buoni uffici di monsignor Hudai, capo spirituale dei cattolici tedeschi nella Penisola, strinse solidi rapporti con alcuni prelati che avevano libero accesso in Vaticano e conquistò alla sua causa monaci francescani, gesuiti, domenicani, preti croati, padri superiori di conventi posti in posizioni strategiche sulle potenziali vie di fuga. La maggioranza di loro non era assolutamente nazista, ma riteneva che la croce uncinata fosse il male minore davanti alla travolgente avanzata di falce e martello. Grazie a questa rete di connivenze e protezioni Rauff assicurò all’organizzazione una serie di rifugi gli uni collegati agli altri, che partendo da Roma permettevano di raggiungere i porti di Genova e Bari.

L’ORA DI O.D.E.S.S.A.

Per alcuni ricercatori la rete Spinne e le Vie dei Ratti furono solo il preludio, in attesa che fosse pronta a entrare in funzione la complessa e tentacolare organizzazione nota come Odessa. In Germania gli americani che avevano vinto la guerra erano tornati negli Stati Uniti, sostituiti nei vari organi che davano la caccia ai criminali di guerra da funzionari che avevano vissuto in patria o combattuto su altri fronti. L’oscuro e labirintico universo nazista era a loro del tutto sconosciuto. Le ricerche divennero meno capillari e i controlli più blandi. Era il momento ideale per i grandi criminali rimasti nascosti in rifugi sicuri di lasciare la Germania e rifarsi una nuova vita in qualche ospitale Paese del Sud America. Della loro fuga si occupò Odessa. Fra i suoi principali “clienti” ci furono Eichmann, il burocrate dello sterminio; Mengele, il dottor morte di Auschwitz, e probabilmente lo stesso Bormann. In brevissimo tempo l’Odessa creò una capillare rete di contatti e di trasporti. Riuscì per esempio a inserire suoi uomini tra gli autisti tedeschi reclutati dagli americani per trasportate sull’autostrada da Monaco a Salisburgo The Stars and Stripes, il giornale dell’esercito statunitense. I corrieri avevano fatto domanda di assunzione sotto falsi nomi e a Monaco i servizi di sicurezza americani avevano “dimenticato” di controllare la loro identità.

Risultato: nascosti al sicuro tra i pacchi di giornali su camion militari americani che nessuna guardia di confine si sarebbe mai sognata di controllare, viaggiavano piccoli e grandi criminali della croce uncinata. La rete era completa ed efficiente. Ogni 60 – 70 chilometri c’era una Anlaufstelle (scalo), composta da un minimo di tre a un massimo di cinque persone. Il gruppo conosceva solo l’ubicazione dei due scali più vicini: quello dal quale provenivano i fuggiaschi e il successivo verso il quale dovevano essere condotti. Le Anlaufstellen erano ben mimetizzate: un capanno di caccia abbandonato, una baita, un’anonima locanda, un alpeggio isolato vicino al confine. Qui i viaggiatori restavano per qualche giorno o anche settimane in attesa che fosse venuto il momento propizio per la prossima tappa del lungo viaggio; a volte lunghissimo visto che spesso li conduceva per mare negli ospitali lidi dell’America Latina dove li attendeva una nuova vita sotto l’ala protettrice di Odessa. Gli scali vennero costituiti lungo tutto il confine austro-tedesco e soprattutto a Ostermiething, nell’alta Austria, a Zell am See nel distretto di Salisburgo e a Igls, presso Innsbruck nel Tirolo. Vi era poi una cosiddetta “via dei monasteri” fra l’Austria e l’Italia. Gli enormi capitali necessari per gestire un simile movimento venivano sia dal bottino “messo da parte” sia dalle imprese più o meno lecite che operavano all’ombra di Odessa. Per esempio si scoprì che a Lindau era stata costituita una società di “esportazioni e importazioni” con sedi al Cairo e a Damasco gestita da un certo Haddad Said che in realtà altri non era che lo SS-Hauptsturmfuhrer Franz Ršstel: organizzava gli espatri dei suoi camerati.

LA FINE DI HITLER

Tra le ipotesi più sconcertanti c’è quella che Odessa abbia aiutato a fuggire verso gli ospitali lidi del sud America anche Adolf Hitler: il suo presunto suicidio, avvalorato dalla storiografia ufficiale, sarebbe quindi soltanto un’abile messa in scena.

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 09/05/2016, 15:54
da Maucat
Un interessante serie andata in onda su History Channel pochi mesi fa ha praticamente dimostrato che il Fuhrer è fuggito da Berlino prima del fatidico 30 Aprile 1945 e si è rifugiato in Sud America dove qualche traccia sembra stia affiorando.
Personalmente ritengo che la storia del suicidio nel Bunker della Cancelleria sia stata creata e avallata dagli Alleati in combutta coi Sovietici per non ammettere la fuga di Hitler e mettere una pietra sopra la sua figura annunciandone la morte. Gli Alleati confidavano nel fatto che il Fuhrer sarebbe rimasto nascosto all'opinione pubblica mondiale. 8-)

La verità su Hitler come quella sull'assassinio di JFK, come quella sulla morte di Lenin, come quella sulla morte di Giovanni Paolo I ecc. ecc. non si saprà mai.

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 11/07/2016, 11:38
da camillobenso
La guerra del grano nel Paese della pasta
Prezzi a picco, rischiano 300mila aziende

Mancanza di norme e limiti nella capacità di stoccaggio: il costo del frumento è ai minimi storici
I produttori accusano gli industriali: “Bisogna dividere le perdite. Stop alle importazioni selvagge”

Economia & Lobby
Secondo Coldiretti le valutazioni sono crollate del 31% rispetto all’anno scorso: i valori sono ormai al di sotto dei costi di produzione. Flessioni dovute “alla mancanza di norme che regolano il mercato” e “alle importazioni speculative”. Per Confagricoltura invece pesa anche l’insufficiente capacità di stoccaggio. Il risultato, comunque, è che “dal grano al pane i prezzi aumentano del 1.450%” di Luisiana Gaita
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Produzione grano, agricoltori contro industriali: “Si accollino perdite. Stop ai prezzi da discount a causa dell’import”
Economia
Secondo Coldiretti le valutazioni sono crollate del 31% rispetto all’anno scorso: i valori sono ormai al di sotto dei costi di produzione. Flessioni dovute “alla mancanza di norme che regolano il mercato” e "alle importazioni speculative". Per Confagricoltura invece pesa anche l'insufficiente capacità di stoccaggio. Il risultato, comunque, è che "dal grano al pane i prezzi aumentano del 1.450%"
di Luisiana Gaita | 11 luglio 2016
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Più informazioni su: Pane, Pasta
La produzione di grano in Italia è a un bivio. Sono cambiate le esigenze dell’industria del pane e della pasta, il prezzo viene definito da un mercato globale in un contesto internazionale instabile e i produttori di cereali italiani si ritrovano (da soli e senza garanzie) a fare i conti con le importazioni massicce di grano dall’estero, la mancanza di norme che regolino il mercato mondiale e limiti notevoli nella capacità di stoccaggio. Ecco la cornice che fa da contorno alla crisi del grano in Italia, diventata ormai guerra tra i produttori di frumento e l’industria.

Secondo le stime di Coldiretti i prezzi del grano duro nel 2016 sono crollati del 31% rispetto all’anno scorso con valori al di sotto dei costi di produzione. Seminare e coltivare un ettaro di grano costa poco meno di quanto non ci si guadagni. In pericolo ci sono 300mila aziende agricole e 2 milioni di ettari di terreno, soprattutto al Sud, dove in alcune aree l’unica alternativa alla coltivazione di frumento è la desertificazione. Ma esiste un rischio anche per i consumatori se per acquistare un chilogrammo di pane occorrono in valore tra i 10 e i 15 chili di grano. “Si è ulteriormente allargata la forbice tra i costi di produzione e quelli fissati per il consumatore”, dice a ilfattoquotidiano.it Paolo Abballe, dell’area economica di Coldiretti. Ed ecco i dati del paradosso: “Dal grano al pane i prezzi aumentano del 1.450% con il frumento che oggi è pagato come trenta anni fa. Dal grano duro alla pasta il prezzo cresce invece del 400 per cento”. Anche il Codacons è intervenuto con un esposto. Come uscire dalla crisi? “Sfatiamo il mito che il nostro grano non è di qualità”, spiega il responsabile dell’area Produzioni cerealicole di Confagricoltura, Mario Salvi. Che aggiunge: “Il punto è che spesso quello ad alto contenuto proteico viene mescolato con frumento più scadente dal punto di vista delle caratteristiche organolettiche”.

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PREZZI A PICCO ALLE BORSE MERCI - Agli inizi di maggio i prezzi del grano duro fino facevano riferimento al vecchio raccolto: 242,50 euro a tonnellata sul mercato di Milano, 240,50 euro a Foggia e 246,50 euro a Bologna. Le prime quotazioni relative al raccolto 2016 sono state deludenti. Poi è andata anche peggio. Il 29 giugno la commissione prezzi della Camera di commercio di Foggia, per non alimentare le tensioni tra produttori e industriali, non ha quotato il grano che veniva scambiato a 16 euro al quintale. I cerealicoltori hanno minacciano di non rendere disponibile il proprio prodotto ai marchi che vendono pasta in Italia. Il 6 luglio la quotazione è andata avanti senza la commissione, disertata in segno di protesta. Tutti in discesa i prezzi fissati (dal 10 al 15% in meno) rispetto all’ultima quotazione utile del 22 giugno. La situazione è negativa ovunque. Se un quintale di frumento duro nazionale vale 19 euro a Foggia, a Bologna resta appena sopra i 20 euro solo il grano duro fino. Emblematici i dati di Coldiretti Cagliari: 40 anni fa il prezzo del grano era più alto di quello di adesso.

LA GUERRA TRA AGRICOLTORI E INDUSTRIA – Il presidente di Confagricoltura Mario Guidi ha lanciato l’allarme sui “prezzi da discount” e sul rischio che “dal prossimo anno sia sempre meno la pasta made in Italy, fatta con grano italiano”. Poi la stoccata: “L’industria non pensi che quest’anno anche noi agricoltori faremo i saldi di stagione”. Secondo Confagricoltura il produttore non può essere l’unico soggetto della filiera a rimetterci: “Occorre distribuire le perdite, come i guadagni, tra agricoltori, stoccatori, molini e pastifici”. Eppure all’orizzonte nulla di nuovo. Italmopa (Associazione industriali mugnai d’Italia) ha stimato che la produzione nazionale 2016 di frumento duro supera le 5,5 milioni di tonnellate, il livello più elevato dell’ultimo decennio (Confagricoltura stima 5 milioni). “Il raccolto è stato comunque inferiore – ha detto il presidente Ivano Vacondio – rispetto alle esigenze quantitative dell’industria e con lacune dal punto di vista qualitativo”. E c’è da preoccuparsi se gli stessi mugnai temono “che l’attuale livello dei prezzi disincentivi la produzione in molte aree”.

LA QUESTIONE DELLE IMPORTAZIONI – I pastai affermano che è necessario importare grano a causa del basso tasso proteico di quello italiano, ma per Coldiretti le flessioni dei prezzi sono dovute “alla mancanza di norme che regolano il mercato mondiale”, leggi l’etichettatura di origine obbligatoria e la tracciabilità, “al divario dei prezzi corrisposti alla produzione rispetto al consumo e alle importazioni speculative”. L’Italia produce, infatti, 3 milioni di tonnellate di frumento tenero all’anno per la produzione di pane e biscotti, pari al 50% del fabbisogno, e oltre 4 milioni di tonnellate di grano duro per la pasta (il 60% del fabbisogno). Il resto va importato. Così nel 2015 sono stati acquistati dall’estero circa 4,8 milioni di tonnellate di frumento tenero e 2,3 milioni di tonnellate di grano duro. Nello stesso periodo, però, sono più che quadruplicati gli arrivi di grano dall’Ucraina, fino a superare i 600 milioni di chili, e raddoppiati quelli dalla Turchia per un totale di circa 50 milioni di chili. “Ogni anno alle importazioni di grano destinato all’industria se ne aggiungono altre in chiave speculativa da diversi Paesi – aggiunge Abballe – che si concentrano nel periodo a ridosso della raccolta e che influenzano i prezzi delle materie prime anche attraverso un mercato non sempre trasparente”. Da tempo Coldiretti ha puntato sul progetto della filiera corta “per promuovere le produzioni di qualità in ambito locale – spiega Paolo Abballe – potenziandone la sostenibilità produttiva e ridistribuire il valore aggiunto che c’è in termini di commercializzazione del prodotto”.

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LE PREVISIONI DI QUEST’ANNO – Negative anche le previsioni di Confagricoltura, che però è più prudente sul nodo importazioni. “Quest’anno il nostro raccolto è stato più cospicuo, quindi i mugnai avranno molta disponibilità e, in questi casi, il prezzo rischia di scendere”, dichiara a ilfattoquotidiano.it Mario Salvi, responsabile settore cereali di Confagricoltura. A ottobre arriverà anche il frumento canadese “più caro, ma dal contenuto proteico abbastanza alto da garantire comunque un guadagno maggiore all’industria”. E i prezzi del prodotto italiano caleranno ancora di più. Ma perché le importazioni si concentrano nel periodo a ridosso del raccolto italiano? “I grossi importatori di cereali – spiega Salvi – acquistano da diversi Paesi a settembre, quando il raccolto italiano è stato chiuso e inizia a essere disponibile quello canadese”. Speculazioni? “Più semplicemente – aggiunge – gli industriali creano una scorta strategica in caso il prezzo del grano italiano salga, ma negli ultimi anni il fenomeno delle importazioni a settembre è diventato regolare. Bisogna coglierne i segnali”.

L’AMMODERNAMENTO NECESSARIO – Il ricorso alle importazioni serve a non fare salire i prezzi “ma non parlerei di speculazione”, aggiunge Salvi. Secondo cui bisogna invece concentrarsi sulle strutture logistiche di consorzi agrari, cooperative e produttori privati. In Italia si raccoglie grano di ottima qualità, ma capita che venga mescolato con frumento a basso contenuto proteico a causa delle scarse capacità di stoccaggio, mentre gli industriali lavorano con terzi che tengono il grano stoccato fino a quando non serve. “Occorre una stagione di miglioramento tecnologico delle strutture” sottolinea Salvi. I silos troppo grandi, ad esempio, non sono adatti perché se non si riempiono il prodotto può rovinarsi e così si tende a mischiare grani di qualità diversa. “Si potrebbero utilizzare i silobag – continua Salvi – sacchi a tenuta quasi ermetica che consentono sistemi temporanei di stoccaggio”.

IL SOSTEGNO – Per investire nel futuro, però, servono finanziamenti: “La strada più semplice sulla carta è quella dei Piani di sviluppo rurale a livello regionale per l’ammodernamento di strutture di commercializzazione, in particolare quelle collettive”. Ma l’iter burocratico è molto complesso, tanto che nell’ultimo lustro sono stati restituiti (perché inutilizzati) centinaia di milioni di euro. L’altra possibilità è quella di utilizzare fondi nazionali, principalmente agevolazioni sugli interessi, che vengono concessi dallo Stato attraverso il ministero dell’Agricoltura a valere sui piani nazionali di filiera, finanziati in parte a conto capitale e per il resto a tasso di interesse agevolato. La Commissione Agricoltura della Camera sta avviando intanto la discussione sulle risoluzioni per il rilancio del settore, depositate nei giorni scorsi. Tra queste quella per predisporre un piano nazionale presentata dal Movimento 5 Stelle, che sollecita i decreti attuativi della legge 91/2015 con cui il deputato grillino Giuseppe L’Abbate ha istituito le Commissioni Uniche Nazionali in sostituzione delle Borse Merci, datate 1913. Secondo Confagricoltura, però, il primo passo è mettere fine “a una campagna denigratoria che va avanti da dieci anni contro la struttura logistica italiana che si ritiene inadatta a stoccare il grano secondo qualità. E questo è un grande alibi”. Da soli i piccoli produttori privati, le cooperative e i consorzi agrari (già fortemente indebitati) possono poco “servono finanziamenti – conclude Salvi – e il sostegno di tutte le parti della filiera per migliorare la capacità di stoccaggio. Altrimenti non c’è piano che tenga”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... t/2891657/

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 11/07/2016, 11:54
da camillobenso
DI FRONTE A QUANTO STA ACCADENDO COSA DECIDIAMO DI CANTARE????

1) Sbatti, sbatti le palline che questa sera vien papà……
(originale : Batti, batti le manine che questa sera vien papà……)

oppure:

2) Ma che c'è frega ma che ce 'mporta
https://www.youtube.com/watch?v=oeghzPOfnT4

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 14/07/2016, 7:18
da camillobenso
La mattina del 14 Luglio 2016, LIBRE Associazione di idee, ci propone un tema che ci fa ritornare al titolo del celebre film francese del 1939, "ALBA TRAGICA".



LIBRE news

5 Stelle e zero idee: l’Italia non ha alternative al peggio

Scritto il 14/7/16 • nella Categoria: idee Condividi


C’è qualcosa di sconcertante nel tempismo con cui, all’indomani del voto sul Brexit, il Movimento 5 Stelle si è precipitato a dichiarare la propria assoluta contrarietà all’uscita dall’Unione Europea e dalla tenaglia suicida dell’euro.

Il partito fondato da Grillo e Casaleggio, che ha costruito la sua narrazione propagandistica sulla riappropriazione della sovranità da parte dei cittadini, è come se gettasse la maschera: fa sapere infatti che non muoverà un dito contro la colossale macchina europea edificata per abolire ogni sovranità democratica utilizzando proprio la leva finanziaria per impedire agli Stati di investire in occupazione.

A quanto pare, tutto quello che faranno, i 5 Stelle, sarà – al massimo – sostituire il Pd, magari ripulendo il volto del personale politico, ma senza disturbare il manovratore.

Non una parola, dai grillini, su come costruire un piano-B per restituire salute economica al paese.

E silenzio assoluto anche sul vasto e assordante background della geopolitica, fra terrorismo opaco, fiumi di profughi e guerre alle porte.

Nessuna vera indicazione: né sulla politica economica, né sulla politica estera.

Era tutto previsto fin dall’inizio, sostegono alcuni critici come Gianfranco Carpeoro, secondo cui i 5 Stelle sono stati, da sempre, la carta di riserva degli Stati Uniti per contenere la protesta e impedire all’Italia di esprimere una politica autonoma.

In altre parole: se cade Renzi arriva Di Maio, ma non cambia assolutamente nulla.

Un ex pentastellato come Bartolomeo Pepe, ai microfoni di “Forme d’Onda”, mette la parte il risentimento dell’ex per lasciare spazio all’amarezza e alla preoccupazione: denuncia la manipolazione verticistica di cui la stragrande maggioranza degli stessi 5 Stelle (elettori ed eletti) sarebbe vittima, e su Di Maio esprime un giudizio ben poco lusinghiero: il super-canditato grillino sarebbe «un bravo attore, una scatola senza contenuti», reduce da svariate ricognizioni nei centri di potere – politici, diplomatici, finanziari – per rassicurare i padroni del vapore e spiegare loro che, coi 5 Stelle a Palazzo Chigi, non avranno nulla da temere.

Se il senatore Pepe – un coraggioso attivista antimafia – racconta il profondo travaglio personale col quale ha vissuto la disillusione e quindi lo strappo dal gruppo Grillo-Casaleggio, al pubblico resta un senso di desolazione: si sta avvicinando il momento delle grandi decisioni, e l’Italia non ha una squadra da schierare in campo.

La meteora Renzi sta evaporando, il centrodestra non esiste più, i 5 Stelle non esprimono un’alternativa di governo.

Tra i loro più fermi detrattori, il profetico Paolo Barnard: già all’indomani delle politiche 2013 si era affrettato a proporre ai grillini un piano di piena occupazione messo a punto da un team di economisti guidato da Warren Mosler. Valore: 2 milioni di posti di lavoro.

Bellissimo, risposero, ma Grillo e Casaleggio non ne vogliono sapere.

Dopo tre anni di piccolo cabotaggio e conquiste di Comuni e città, con l’Europa in frantumi e l’Italia sempre più in bilico, dai 5 Stelle non è finora pervenuta nessuna soluzione strutturale per riconvertire il declino italiano strappando il paese allo strapotere dell’élite finanziaria internazionale. “There is no alternative”, diceva Margaret Thatcher.

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 14/07/2016, 19:07
da camillobenso
IN '70 ANNI LA REPUBBLICA SI E' LOGORATA FINO QUESTO PUNTO.

IL RACCONTABALLE DI RIGNANO CHE HA ILLUSO IL 30% DEGLI ITALIANI VOTANTI NON E' IN GRADO DI RISOLVERE IL PROBLEMA.

SE CI SARA' IL CAMBIO CON I 5S E' ILLUSORIO CHE LORO POSSANO RISOLVERE QUESTO PROBLEMA.

NON BASTA GRIDARE "ONESTA',....ONESTA'".

QUA CI VA DI MEZZO LA PELLE.



Il ras dei Lavori pubblici più forte dell'Antimafia
Il dirigente del Comune Marcello Cammera, al centro dell'inchiesta Reghium, è rimasto al suo posto. La sua figura era da tempo chiacchierata. Per questo due anni fa la presidente Rosy Bindi aveva chiesto la sua rimozione
di Giovanni Tizian

http://espresso.repubblica.it/inchieste ... =HEF_RULLO

Re: Come se ne viene fuori ?

Inviato: 13/08/2016, 14:14
da camillobenso
Parolaio lui, Mussoloni, il Ducetto di Rignano, come lo ha definito De Lucia nel suo recente libro.

Ma parolai anche gli italians che fanno commenti alla Feltri. mentre il Titanic Italia è quasi tutto immerso a livello "pelo d'acqua".



13 AGO 2016 11:25
1. CON IL PIL INCHIODATO A ZERO, LE PROMESSE DEL PREMIER PAROLAIO SONO IRREALIZZABILI


2. FELTRI: IL PREMIER PROMETTEVA TAGLI, MA LA SPENDING REVIEW NON È MAI ARRIVATA. DA DIECI ANNI RESTIAMO APPESI A UN’ECONOMIA CHE NON CRESCE E STROZZA IL PAESE


3. LO CERTIFICA ANCHE IL ‘SOLE 24 ORE’: PADOAN NON HA PIU' I SOLDI PER LA MANOVRA D’AUTUNNO. E SENZA LE ‘CARAMELLE’ SU IRPEF E PENSIONI, RENZI PERDE IL REFERENDUM



1. RESTIAMO APPESI A UN PIL CHE NON CRESCE MAI
Vittorio Feltri per ‘Libero Quotidiano’


Sono stati resi noti i dati più recenti relativi all' economia. Brutti, deprimenti. Siamo sempre appesi a un Pil che non aumenta mai o aumenta troppo poco rispetto alle attese.

Da almeno dieci anni sentiamo la stessa predica: dobbiamo favorire la crescita. Crescita di qua e crescita di là, un mantra che illude e stordisce al tempo stesso.

Ogni due per tre gli esperti (non solo del governo) si affannano in calcoli complicati per dirci che le cose tra poco andranno meglio, la realtà invece dimostra che vanno peggio.
Non so in base a quali elementi essi si abbandonino a previsioni ottimistiche, sta di fatto che non ci azzeccano.

L' impressione è che non siano abili a far di conto, ma che si limitino a consultare le stelle: compulsano le effemeridi anziché le statistiche e compilano oroscopi in cui soltanto gli stolti credono. Noi poveri tapini leggiamo, saremmo tentati di fidarci degli aruspici che si spacciano per tecnici e immancabilmente ci pentiamo di aver dato loro retta. Poi c' è chi si stupisce che i sacerdoti della politica e dell' economia non godano più della stima generale.

Diminuiscono gli elettori che si recano al seggio e aumentano gli apoti più disposti a bere birra e vino che non le bischerate sgorganti dalle bocche della verità falsa. Domina lo scetticismo nell' opinione pubblica che ragiona in modo semplice e diretto e rifiuta le elucubrazioni che spargono nebbia sull' evidenza. Ecco cosa manca: la chiarezza, e forse anche l' onestà, perfino quella intellettuale.


L' auspicata crescita non ci sarà mai finché gli imprenditori, anziché essere agevolati dallo Stato nel loro lavoro, saranno costretti ad operare in un ambiente ostile, che ritiene chiunque intraprenda una attività industriale, artigianale e commerciale un potenziale ladro, evasore fiscale e sfruttatore della manodopera. Se non cambia il clima, se non si placa la voracità del fisco, se non cambia la mentalità (intossicata dai residui del comunismo) è impossibile svoltare e, quindi, incrementare la produzione nonché la occupazione e, di conseguenza, i consumi che sono il termometro del benessere.

Chi può creare nuovi posti di lavoro se non i vituperati imprenditori? Non di sicuro il governo, che non ha stabilimenti e aziende. Il quale governo deve soltanto aiutare le imprese a reggere la concorrenza straniera e non vessarle con una tassazione che le induce a delocalizzare o a vendersi ai cinesi. Ovvio, chi non ce la fa più a tirare avanti perché massacrato da varie imposte e balzelli se ne guarda dall' espandersi e cerca piuttosto di fuggire o di cedere a buon prezzo l' opificio, allo scopo di campare di rendita.


Ma c' è un problema insuperabile. Se l' esecutivo taglia le tasse in misura acconcia, il bilancio italiano - già pieno di buchi - diventa un gruviera e il debito pubblico ingigantisce, cosicchè l' Europa ci strangola riducendoci come la Grecia. Ma se non le taglia, l' agognata e strombazzata crescita sarà una chimera. Non se ne esce neanche col buttafuori. Renzi aveva promesso: realizzerò la miracolosa spending review. Invece non ha messo mano alle forbici. Non ne è stato capace per motivi che ignoriamo. Pertanto siamo ancora legati a un Pil che non va su nemmeno con la gru.

E lui, il premier, non ci spiega perché ha aborrito le cesoie e insiste con gli zero virgola del Prodotto interno lordo cui si aggrappa nella speranza di un improbabile miracolo.
Caro Matteo, siamo messi male. Conviene andare in mona e poi rimanerci perché governare un Paese ingovernabile è come scalare l' Everest a piedi nudi. Ma se lei manco ci prova, che senso ha fare l' alpinista?