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Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 05/10/2014, 17:41
da pancho
@Zione
Lo stesso dicasi per quel simpaticone irresistibile di Fabrizio Cicchitto, da quando era craxiano, una quarantina di anni fa. Mai condiviso un solo pensiero.
Per l'esattezza, Signorile e Cicchitto erano nella corrente Lombardiana e non Craxiana. Ancor peggio quindi. Se il primo ha avuto un po' di dignita' sparendo, il secondo questa dignità se l'e' messa in quel posto. Anzi per la poltrona ha cambiato pelle.

un salutone da Juan

Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 05/10/2014, 19:25
da camillobenso
Da destra verso destra, Renzi e il modello Reagan
(Furio Colombo).
05/10/2014 di triskel182
.

Considerate il “trattamento di fine rapporto” da distribuire, frammentato in piccole parti, subito, in busta-paga. Paghiamolo a rate. Poi il progetto è stato forse ritirato, ma l’idea resta. A te, capo del Governo, serve per dire: ti ho dato cento euro in più. Per la persona che lavora, vuol dire un lieve respiro, più tasse, e niente soldi alla fine di una vita di lavoro. Per Roosevelt era il cuore del New Deal. Si chiamava (si chiama) Social Security ed è una somma di danaro modesta, certa, indipendente dalla pensione pubblica o privata, che hai o che non hai. La Social Security viene accantonata su un conto di ogni cittadino americano, per ogni anno di vita attiva. Entrando nella vita attiva, entri nella Social Security, ricevi un numero che ti identifica per tutta la vita, e che va indicato, con il nome e l’indirizzo, in ogni documento.

Il principio è che, alla fine della vita di lavoro, tutti (tutti, dall’amministratore delegato al netturbino) ricevono un assegno ogni mese, che viene automaticamente inviato all’ultimo indirizzo al compimento dei 65 anni. È una cifra modesta, rispetto alla vita attiva, ma viene data sempre, per sempre. Non concepisce eccezioni o rinunce, ed è stata ispirata al presidente del New Deal dall’immagine dei giorni peggiori del crollo del capitalismo americano negli Anni Trenta. Molti raccontano ancora di alcuni ricchi che si buttavano dai grattacieli. Roosevelt aveva negli occhi l’immagine (milioni di poveri) che tentavano di sopravvivere ma non avevano nulla. E venivano abbattuti a fucilate quando tentavano di passare il confine di un altro Stato americano sperando in un lavoro che non c’era. LA PAROLA New Deal, che noi adesso citiamo come un evento politico della storia americana, si può tradurre “Nuovo accordo fra lo Stato e i suoi cittadini”. Significa “Non sarai mai più abbandonato”. Roosevelt infatti ha pensato che lo Stato e i governi esistono per questo: non abbandonare i cittadini. Da allora tutti i presidenti che hanno tentato di rimuovere o ridurre la Social Security (anche negli USA si dice “fare le riforme”) su questo punto vengono battuti. Perché l’Italia, adesso, dovrebbe ispirarsi a un sistema fallito, il capitalismo d’avventura dei ricchi, visto che ha già definitivamente rifiutato l’altro sistema simmetrico e fallito, il comunismo? Nessuno sa dirci chi ha ordinato, o autorevolmente consigliato, di andare sempre un po’ più a destra. Dati i fallimenti paurosi incassati dalla storia (l’ultimo, la finanza americana che ha scosso il mondo nel 2008, e a cui Obama, presidente “di sinistra”, ha posto rimedio nel 2014) può essere il disegno di chi ha a cuore un futuro politico? Eppure i segnali di una clamorosa svolta a destra sono chiari. E non sono (come spesso accade in Italia), vecchia destra fascista. Sono una dichiarazione aperta del capitalismo puro e semplice che rivuole i diritti incontrastati che aveva prima che un secolo di riforme imponessero un minimo di equilibrio. Al punto che il Ministro dei Beni Culturali e il sindaco di Roma, uniscono la forza e il prestigio delle loro immagini e licenziano in tronco, via messaggio telefonico, tutta l’ orchestra e tutto il coro dell’Opera di Roma, che sta dando noie sindacali. Impossibile non vedere la coincidenza simbolica ma anche politica con il non dimenticato primo atto presidenziale di Ronald Reagan (1980): il licenziamento in tronco di tutti i controllori di volo che erano in sciopero contro gli orari eccessivi e pericolosi, quando Reagan è arrivato alla Casa Bianca. Reagan era un personaggio affabile, simpatico, eccellente comunicatore, e si pensava che avrebbe portato alla presidenza americana poca ideologia e molto buon senso. Invece ha iniziato in modo sistematico il cammino da destra verso destra che nel mondo continua ancora: lo smantellamento del New Deal roosveltiano, una lotta senza quartiere ai sindacati (vilipesi e accusati di tutto nei modi più grotteschi), il prosciugamento dei fondi federali alle università e alle attività culturali, il principio secondo cui hai diritto alle cure mediche se puoi, e se hai una assicurazione privata (che comunque decide sulle tue cure) oppure non entrerai in alcun ospedale (si ricordi, in proposito il documentario di Michael Moore, il regista che racconta e filma i casi di malati gravi americani espulsi dai loro ospedali per insolvenza). Nasce a questo punto, nella visione conservatrice di Reagan, l’idea di rovesciare la credenza socialistoide secondo cui chi ha di più deve dare di più.

REAGAN taglia le tasse in modo da stabilire che chi ha di più deve dare di meno. In tal modo, migliorando sempre di più la qualità della vita in alto, ci saranno più incentivi a chiedere servizi a chi sta in basso, e ci sarà più lavoro. Modesto, ma ci sarà. Ciascuno al suo posto. Ma aumenterà la voglia, tipica dei più intraprendenti, di “fare impresa”. Il principio ispiratore era, ed ancora, lo smantellamento progressivo dello Stato che “non risolve il problema perchè è il problema”. Lo Stato, come apparato organizzativo che tutela i cittadini, viene ridotto, “snellito”, se necessario umiliato (perchè blocca lo slancio della nostra iniziativa) in modo da ri-orientare noi tutti, la nostra fiducia, il nostro impegno, il nostro voto, verso il privato e il privatizzato, in nome di una benefica concorrenza che naturalmente non esiste, dati gli incroci di interessi commerciali e finanziari che attraversano il mondo Ecco dunque dove stiamo andando: da destra verso destra. La strada delle “riforme” è ancora lunga.

Da Il Fatto Quotidiano del 05/10/2014.

Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 08/10/2014, 13:30
da camillobenso
Su Jobs Act e Tfr si incrina il gradimento di Matteo

(Wanda Marra).
08/10/2014 di triskel182


L’ESECUTIVO PERDE NOVE PUNTI IN TRE MESI. OGGI IL PROVVEDIMENTO CERCHERÀ LA FIDUCIA IN SENATO. LA RAGIONERIA HA GIÀ ESPRESSO DUBBI SULLE COPERTURE.

Stasera il Senato dirà sì all’abolizione dell’articolo 18 e Matteo Renzi otterrà la cancellazione di uno dei “totem” (parole sue) della sinistra italiana. Ma se il rullo compressore va avanti, asfaltando più o meno tutto quel che trova sul suo cammino, senza distinzioni, il gradimento comincia a scendere. Un sondaggio della Lorien Consulting, realizzato tra il 4 e il 5 ottobre, fotografa un calo del 9% o negli ultimi tre mesi per il governo, che sarebbe ora al 53%. Tra rivolte della sinistra dem annunciate, ma non realizzate, scrittura in corsa dell’emendamento, tutte le questioni centrali (a partire da quella che riguarda l’applicazione dell’articolo 18 ai licenziamenti disciplinari) rimandate ai decreti attuativi, oggi Renzi avrà la fiducia del Senato sulla legge delega sul lavoro.

Nel frattempo, corre a Milano per il vertice sull’occupazione con la Merkel e Hollande: obiettivo reale, sventolare il jobs act. E photo opportunity da non buttare via con i due in conferenza stampa. Intanto, lavora sulla manovra, tra nodi insolubili. Evidentemente, però, la caoticità del metodo e la poca chiarezza su come escano fuori effettivamente i provvedimenti, comincia a farsi sentire. Se 3 italiani su 4 indicano la riforma come una priorità, solo il 49% conosce il Job Act e, tra questi, solo il 50% ne da complessivamente un giudizio positivo. Insomma, la riforma raccoglie il consenso più o meno informato di solo un quarto degli italiani. Che, però, sono d’accordo sulla necessità di ridurre le forme contrattuali per una forma unica a tutele crescenti (condivisa da quasi il 90% dei cittadini), sulle riforme degli ammortizzatori sociali e dei servizi per l’impiego. Peccato che per capire davvero cosa c’è dentro il provvedimento, bisognerà aspettare i decreti attuativi. Accettata (74% di giudizio “abbastanza positivo”) anche la riforma dell’articolo 18. ALTRO PUNTO CRITICO, secondo la Lorien, è proprio la proposta di destinare una parte del TFR direttamente in busta paga: il 52% ritiene che un provvedimento di questo tipo metterebbe in difficoltà le imprese, solo il 16% lo ritiene utile, mentre il 21% pensa che non cambierà nulla. In realtà non è chiaro se questa riforma riuscirà a farsi. Dopo la giornata di oggi, Renzi ha bisogno di spostare i riflettori su un’altra questione. Dunque, si passa al Tfr. Il premier vorrebbe fermamente riformarlo, a partire dal 2015. E la cabina di regia economica è al lavoro per introdurla nella legge di stabilità. Nelle intenzioni dovrà essere volontario e la tassazione dovrà rimanere la stessa che avrebbe se fosse erogato a fine rapporto. Dunque forfettaria. Un altro punto fermo è che non dovrebbero esserne gravate le imprese. Che dovrebbero poter contare sulle banche. Un triangolo difficile da tenere insieme. “SO CHE ARRIVERÀ un momento in cui il consenso inizierà a scendere. Ma tutte le volte che vedo i risultati dei sondaggi mi dico che continuiamo ad avere un consenso altissimo, tra i più alti d’Europa”, diceva Renzi a Ferrara, durante l’intervista condotta in piazza da tre giornalisti stranieri. Un’eventualità che evidentemente si aspetta. Davanti a lui, sul palco, un uovo rotto: gliene avevano tirate tre ed è stata la prima volta. Un segnale che qualcosa evidentemente sta cambiando. Spiega Nando Pagnoncelli (Ipsos): “C’è una lieve flessione, ma riguarda un punto e mezzo – due. E poi, il paragone con giugno è fuorviante: era subito dopo le europee, al massimo del consenso”. Però, il 41% è un risultato che già fa parte del passato. “Renzi sale, sale costantemente”, dice invece Roberto Weber (Ixè). Che nota qualche difficoltà nel Pd, per quanto non quantificabile. Lo stesso Pd che secondo la Lorien Consulting avrebbe perso 400 mila elettori e un milione di simpatizzanti. In effetti, vista la figura fatta in questi giorni, non stupisce. Una delle più sofferte direzioni degli ultimi mesi era arrivata a una mediazione, per quanto minima, impegnando il governo a inserire nella riforma del lavoro i licenziamenti disciplinari. Ma come saranno delimitati? “C’è una norma molto chiara della direzione Pd”, spiegava Renzi ieri in conferenza stampa a Palazzo Chigi. Ma per “chiarire le fattispecie” del reintegro, bisogna “avere la pazienza di attendere i decreti legislativi”. E poi precisava che non ci sarà nulla di scritto, farà una dichiarazione in Aula Poletti. Mentre si diceva sicuro: “Non temo agguati sulla fiducia dal Pd”. Le minoranze confermano, il dissenso anche quello minimo, non si esprimerà in un voto. E insomma, la mediazione ottenuta in direzione resterà un impegno a voce. Intanto, ieri la Ragioneria dello Stato ha fatto qualche rilievo – prevedibile – sulla mancanza dei soldi per gli ammortizzatori sociali per la riforma. Trattandosi di una dichiarazione di intenti, nulla che il governo non possa correggere. Però, il testo per la fiducia (anche a causa della lunghezza della discussione), arriverà a Palazzo Madama oggi a ora di pranzo e il voto in serata. A vertice europeo finito. Ma in fondo, poco male.

Da Il Fatto Quotidiano del 08/10/2014.

Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 08/10/2014, 23:03
da camillobenso
Jobs act, proteste M5s e Lega in Aula. Libri contro Grasso. Renzi: “Sceneggiate”
Caos al Senato prima della fiducia sulla riforma del lavoro. Grillini e Carroccio gridano e interrompono il discorso di Poletti. Poi lanciano fogli e pure il regolamento di Palazzo Madama contro il presidente. Arrivano quasi alle mani anche i parlamentari di Pd e Sel. Minoranza democratica in crisi, il senatore Tocci si dimette. Il premier: "Possono contestarci, ma cambieremo il Paese"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 8 ottobre 2014Commenti (1934)
l
Renzi voleva fare presto e magari, come dicono Cinque Stelle e Forza Italia, ricevere la notizia della fiducia incassata proprio durante il vertice con gli altri leader europei a Milano, la Merkel e gli altri. E invece il Senato è sempre il Senato ed è stata un’altra giornata di passione anche sul Jobs act, simile alle “battaglie” sulle riforme istituzionali della scorsa estate. A metà giornata i grillini alzano la voce e interrompono il discorso del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, qualcuno porta al suo banco “un’elemosina” da 50 centesimi, il presidente Piero Grasso sospende la seduta e espelle il capogruppo M5s Vito Petrocelli. Alla ripresa dei lavori Poletti vuole accelerare e rinuncia al discorso e consegna un documento scritto. Ma Cinque Stelle e Lega Nord cominciano a fare ostruzionismo chiedendo la parola in serie sul calendario dei lavori (per introdurre gli argomenti più diversi). E infine ancora il caos totale: Palazzo Madama respinge la proposta di rinviare il voto di fiducia chiesto dal governo sulla riforma del lavoro e riparte la protesta: Lega e M5s occupano i banchi del governo, Grasso diventa il mirino di un lancio di fogli e libri, tra cui il regolamento del Senato diventato proiettile per merito del capogruppo del Carroccio Gianmarco Centinaio: “Gliel’ho lanciato, è vero, ma non volevo fargli male, ho buona mira e sapevo che non l’avrei colpito”. Arrivano quasi alle mani perfino senatori Pd e Sel, che sono entrati in Parlamento come potenziali alleati di governo.


La sostanza è che non si vota prima di tarda sera e non solo per il casino in Aula, ma perché bisogna aspettare ancora l’ok della commissione Bilancio. “Le reazioni di una parte delle opposizioni fanno parte più delle sceneggiate che della politica – dichiara il presidente del Consiglio – Se tutte le volte che andiamo a presentare riforme in Senato dobbiamo assistere a queste sceneggiate. Io non sono preoccupato ma è un segno di mancanza di rispetto da chi dà vita a queste sceneggiate”. Ostenta sicurezza: come aveva detto poco prima, infatti, “possono contestarci ma la verità vera è che questo paese lo cambiamo”.


E in tutto questo si perde un po’ il merito della questione. Al centro della discussione c’è l’articolo 18, che però nel disegno di legge delega non viene mai citato. E se Matteo Renzi dice di non temere imboscate, i problemi riguardano il testo. In Aula si voterà infatti il maxi-emendamento che riguarda tra le altre cose gli incentivi ai contratti a tempo indeterminato. Ma anche se non è specificato, Palazzo Chigi assicura che la fiducia è sull’articolo 18. Una posizione ribadita dal ministro del Lavoro che durante il suo intervento è stato contestato dal Movimento 5 stelle. “L’articolo 18 – ha detto Poletti – non è l’alfa e l’omega della nostra riflessione. Io rispetto tutte le considerazioni ma credo siano forse state eccessive in senso positivo e negativo. Si tratta di un argomento rilevante ma meno decisivo”. E il presidente del Consiglio Matteo Renzi da Milano assicura: “Possono contestarci, ma cambieremo il Paese”. La minoranza Pd intanto ha presentato un documento con 35 firme (26 senatori e 9 deputati), ma in sostanza finisce lì: quasi tutti voteranno la fiducia, alcuni non parteciperanno, altri potrebbero dare le dimissioni. Uno l’ha già fatto, è Walter Tocci, già barricadero sulla riforma del Senato: “Voto la fiducia e mi dimetto”.


Poletti: “Indennità in licenziamenti economici, reintegro in discriminatori e disciplinari gravi”
In particolare sull’articolo 18 Poletti ha spiegato che sarà prevista la possibilità del reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare particolarmente gravi, previa qualificazione specifica della fattispecie”. Saranno invece eliminati “i licenziamenti economici e sostituendolo con un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità”. Poi la questione del riordino dei contratti e dell’abolizione dei contratti a progetto. La “scelta fondamentale per ridurre la precarietà per i lavoratori e dare certezza alle imprese è un drastico riordino delle tipologie contrattuali con l’abolizione delle forme più permeabili agli abusi e più precarizzanti, come i contratti di collaborazione a progetto”. E con orgoglio rivendica: “Noi non ci limitiamo a lamentarci del fatto che ci sono pochi contratti a tempo indeterminato e troppi precari. Noi agiamo per modificare questa situazione”.


Petrocelli fa “l’elemosina” a Poletti, Grasso lo espelle e lui resta in Aula
Le proteste dei grillini nell’Aula del Senato sono cominciate pochi minuti dopo l’inizio dell’intervento del ministro Poletti. “Andate a casa” hanno gridato i senatori M5s contro il ministro che è stato più volte interrotto. Tra i più accesi il capogruppo Vito Petrocelli. In piedi anche i senatori della Lega. Grasso alla fine ha espulso Petrocelli che però è rimasto nell’emiciclo per “fare resistenza”. I parlamentari M5s si sono anche messi intorno a Petrocelli, a mò di scudo umano, per impedire che i commessi lo portino fuori.


Il motivo dell’espulsione è il gesto che il capogruppo M5s ha fatto al ministro del Lavoro: un’elemosina di 50 centesimi che il grillino ha consegnato a Poletti. Ma secondo Petrocelli il motivo dell’espulsione è un altro. “Sono stato espulso per aver mostrato in Aula un foglio bianco – dichiara – Il foglio rappresenta la delega in bianco che il governo vuole farci firmare con la fiducia sul Jobs Act. Per la prima volta un capogruppo viene espulso dal Senato per aver mostrato un cartello perfettamente bianco, rasentiamo l’assurdo”.

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Parlamentari Sel e Pd De Petris e Cociancich arrivano quasi alle mani
In serata succede l’impensabile. Ad arrivare quasi alle mani sono i parlamentari di Pd e Sel, cioè coloro che un anno e mezzo fa erano alleati per vincere insieme le elezioni. “Vergogna”. “Come ti permetti”. Tra le urla, sono arrivati quasi al contatto fisico la senatrice di Sel Loredana De Petris e il senatore Pd Roberto Cociancich. Sel protestava contro il presidente Grasso per aver messo in votazione in tempi strettissimi le richieste di variazione del calendario, quando – racconta De Petris – Cociancich ha urlato ai vendoliani “Vergogna”. “Loro violano i regolamento, mentre noi chiediamo di avere solo un po’ di tempo per esaminare il maxiemendamento, e si permettono di gridare a noi ‘vergogna’. A quel punto si creano tensioni cui di solito non partecipiamo. Io mi sono avvicinata a Cociancich – prosegue la senatrice – e gli ho detto ‘come ti permettì. Ma nessun contatto fisico, dopo ci siamo chiesti scusa e lì è finita”. “E’ stato Cociancich – racconta la capogruppo di Sinistra ecologia e Libertà – che ha cominciato ad insultare ed è stato lui che ha cominciato a ricorrere alle mani. E quando poi dai banchi dietro ai nostri ho cominciato a sentire insulti del tipo ‘sono fascistì rivolti a noi di Sel, non ci ho visto più. Noi di Sel cerchiamo sempre di mantenere un certo aplomb in Aula. Ma dal Pd stavolta la provocazione che è arrivata è stata troppo grande e io ho reagito”. A proposito di una senatrice del Pd (la storica Emma Fattorini) che dichiara di essere rimasta vittima dello scontro anche fisico tra la De Petris e Cociancich, la parlamentare di Sel si giustifica: “forse con il ciondolo del bracciale l’avrò anche toccata, ma è stato del tutto involontario…”.

Nella delega non c’è l’articolo 18. Palazzo Chigi: “Ma Renzi l’ha sempre detto”
A polemica si aggiunge polemica, visto che nel disegno di legge delega non viene mai citato l’articolo 18, che non sarà l’alfa e l’omega come dice Poletti ma è stato per settimane il centro del confronto tra le parti. Un’ambiguità a parole che evidenziano Pippo Civati e Rosi Bindi. “Ma se la delega non cita l’articolo 18″, scrive il parlamentare della minoranza Pd sul suo blog, “come farà il governo a ‘decretare’ sull’art. 18? Prima di presentare emendamenti (che non emendano granché) e di mettere la fiducia su una legge delega vaga e imprecisa, varrebbe la pena di rileggersi l’articolo 76 della Costituzione (e magari anche l’articolo 77). La furbizia di non mettere in delega alcun riferimento all’articolo 18 per ottenere la fiducia comporta una banale conseguenza. Che in base a questa delega il governo non potrà legittimamente modificare l’articolo 18. E, se lo farà, chiunque potrà ricorrere alla Corte costituzionale e avere ragione, come dimostra una vasta giurisprudenza in questo senso. Ma tanto non è importante essere, importante è sembrare”.

Forza Italia vota contro, Alfano soddisfatto
Ha annunciato che voterà contro Forza Italia: “Il Senato vota un atto vuoto e sconosciuto. Un imbroglio. Il Jobs Act è un vuoto compromesso, ma Matteo Renzi lo presenta come una riforma epocale”, scrive su twitter il presidente dei deputati azzurri Renato Brunetta, che subito dopo aggiunge: “Con la riforma del lavoro di Renzi come sarà votata oggi i mercati non investiranno in Italia”. Si dice invece soddisfatto il ministro dell’interno Angelino Alfano. “Grande soddisfazione”, ha detto intervistato da Agorà, “siamo contenti del voto di fiducia sulla delega sul Jobs Act. Il Parlamento dà la delega al Consiglio dei ministri. Un punto di equilibrio positivo che può consentire una riforma del mercato del lavoro che è superato da tutti gli altri paesi”. Ha poi sottolineato “l’orgoglio” del suo partito per aver “aperto il varco” e il supporto a Renzi per superare “le resistenze della vecchia sinistra”.




http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10 ... e/1147416/

Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 08/10/2014, 23:29
da camillobenso
L’INTERVISTA - L’EX FEDELISSIMO DEL PREMIER
Renzi, l’accusa di Richetti
«Governa pensando ai consensi»
«Prevalgono ambiguità e velocità. Invece servono misure impopolari»

di Andrea Garibaldi


ROMA «No, io non attacco Renzi. Ma non posso nascondere i problemi che sono sotto gli occhi di tutti». Matteo Richetti, emiliano quarantenne, tre anni fa era chiamato «braccio destro» di Renzi, con Civati e Faraone fu uno dei primi «rottamatori». Dice che «il cammino fatto assieme a Matteo è di grande valore», ma che ora «non si deve arretrare di un centimetro».

Quali problemi sono sotto gli occhi di tutti?
«Il primo lo chiamerei ambiguità. Se sulla riforma del lavoro il segretario del Pd, il capogruppo alla Camera e il presidente della commissione Lavoro esprimono tre voti differenti, qualcosa non va. Ma, facendo una sintesi, direi che la velocità sta prevalendo sulla profondità».

Parla ancora della questione lavoro?
«Avrei riscritto completamente lo Statuto dei lavoratori. Avrei eliminato gli intoccabili, protetti anche dall’articolo 18, e i nuovi schiavi delle partite Iva. Avrei cercato di superare le dicotomie lavoro/impresa e subordinati/autonomi».

Il governo è pressato dall’esigenza di «fare subito».
«È vero. E per questo bisogno di risultati è naturale che venga posta la fiducia sul Jobs act . Tuttavia, stiamo cercando di cambiare il Paese, ma le famiglie faticano ad avvertirlo. Dovremmo attuare le cose che abbiamo preparato per anni con Matteo».


Per esempio?
«Dieci ministeri, 10 Regioni, con abolizione di quelle a statuto speciale, 1000 Comuni. Poi, una legge choc : ogni procedimento tra cittadini e imprese contro la Pubblica amministrazione o viene risolto in trenta giorni o va in favore del ricorrente. Inoltre, nessuna indennità pubblica superiore ai quattromila euro al mese per due anni».


Invece, secondo lei, cosa sta succedendo?
«Non si governa tenendo sul tavolo i dati del gradimento elettorale. L’Italia può salvarsi solo se si faranno cose anche impopolari. Su fisco, giustizia, lavoro. L’Italia va “sganasciata” e continuo a credere che solo Renzi abbia la forza di farlo».

Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 09/10/2014, 7:13
da cielo 70
camillobenso ha scritto: «Avrei riscritto completamente lo Statuto dei lavoratori. Avrei eliminato gli intoccabili, protetti anche dall’articolo 18, e i nuovi schiavi delle partite Iva. Avrei cercato di superare le dicotomie lavoro/impresa e subordinati/autonomi».
Sarà lui intoccabile. Meno male che non è più il consigliere di Renzi. Non è colpa di chi è difeso dall'art. 18 se ci sono quelli con le partite Iva. Ma da chi è composta la sinistra?

Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 09/10/2014, 9:22
da Maucat
cielo 70 ha scritto:
camillobenso ha scritto: «Avrei riscritto completamente lo Statuto dei lavoratori. Avrei eliminato gli intoccabili, protetti anche dall’articolo 18, e i nuovi schiavi delle partite Iva. Avrei cercato di superare le dicotomie lavoro/impresa e subordinati/autonomi».
Sarà lui intoccabile. Meno male che non è più il consigliere di Renzi. Non è colpa di chi è difeso dall'art. 18 se ci sono quelli con le partite Iva. Ma da chi è composta la sinistra?
Questa gente non è e non è mai stata di sinistra...

Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 11/10/2014, 7:46
da erding
Renzismo terminale- Marco Revelli ( da Il Manifesto)
9 ottobre 2014

L’accelerazione impressa da Matteo Renzi nel suo “semestre europeo” lascia sul terreno cumuli di macerie (a cominciare da quelle del suo partito). E apre almeno tre grandi questioni, clamorosamente evidenti in questi giorni solo a volerle vedere: una questione istituzionale, annunciatasi fin dalla battaglia d’estate sul (e contro il) Senato. Una “nuova” questione sociale: nuova perché si poteva pensare che già col governo Monti si fosse arrivati a mordere sull’osso del mondo del lavoro, e invece ora si affondano i colpi ben sotto la cintura. Infine una grave questione democratica, resa drammatica dall’intrecciarsi delle prime due, e dal ruolo che la crisi gioca nel dettarne modi e tempi di sviluppo.

Renzi – nonostante le retoriche che ne accompagnano e potremmo dire ne costituiscono l’azione – non rappresenta una possibile soluzione della crisi economica e sociale italiana. Non ha né la forza (nei rapporti inter-europei) né le idee per aprire anche solo uno spiraglio. Ma condensa in sé – nella propria stessa persona, nel proprio linguaggio e nei propri comportamenti quotidiani, oltre che nelle misure che impone – il modo con cui la crisi lavora. E’, si potrebbe dire, il lavoro della crisi tradotto in politica: ne converte in pratica di governo tutto il potenziale destabilizzante. Ne accompagna e ne garantisce lo sfondamento dei residui livelli di resistenza e di ostacolo al libero dispiegarsi del potere del denaro da parte di ciò che resta dei corpi sociali e delle loro consolidate tutele. Ne conduce a compimento la liquidazione dei patti che avevano costituito il tessuto connettivo della “vecchia” società industriale, e delle culture che ne avevano accompagnato sviluppo e conflitto.

In questo senso Renzi non è l’alternativa all’intervento “d’ufficio” della Troika, un male minore rispetto a quello toccato alla “povera Grecia” che ha dovuto subire i tre Commissari-guardiani. Renzi è la Troika, interiorizzata. E’ la forma con cui l’Europa dell’Austerità e del Rigore governa il nostro Paese. Nell’unico modo possibile nelle condizioni date: con una formidabile pressione dall’esterno, e con un’altrettanto forte carica di populismo all’interno. Se li si leggono con un po’ d’attenzione si vedrà che i punti del suo programma, imposti con stile gladiatorio e passo di corsa a un mondo politico attonito, ricalcano fedelmente il famigerato Memorandum che ha prodotto la morte sociale della Grecia: privatizzazioni con la motivazione di far cassa, in realtà per metter sul mercato tutto ciò che può costituire un buon affare; abbattimento delle garanzie e del potere contrattuale del lavoro in nome dei “diritti dell’impresa”; ridimensionamento del pubblico impiego in termini di spesa e di occupazione; rimozione degli ostacoli alla rapidità decisionale da parte delle forme tradizionali della rappresentanza politica e sociale.

Se collocati in questo quadro si spiegano, allora, quelli che altrimenti sembrerebbero solo una sequela di strappi, forzature, ostentazioni di arroganza, maleducazione, guasconeria e improvvisazione (che pure non manca). E’ evidente infatti che un simile progetto non può essere messo in atto con mezzi “ordinari”. Richiede un’eccezionalità emergenziale, sia per quanto riguarda lo sfondamento dell’assetto costituzionale: e a questo è servito l’auto da fé in diretta di uno dei simboli della democrazia rappresentativa, la “camera alta”. Sia per quanto attiene al livello simbolico: ed è quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi con l’umiliazione ostentata del movimento sindacale e del mondo del lavoro. Perché se maramaldeggiare con i brandelli residui dell’articolo 18 e con ciò che resta dello Statuto dei lavoratori non porterà un solo posto di lavoro, come è chiaro pressoché a tutti, è pur vero che la celebrazione del sacrificio spettacolare, in piena piazza mediatica, secondo i vecchi riti dell’ordalia, continua ad avere un effetto simbolico straordinario. Tanto più se la vittima sacrificale – l’homo sacer direbbe Agamben -, è uno dei protagonisti centrali del nostro passato prossimo come, appunto, il lavoro nella forma politico-sociale del movimento dei lavoratori.

Imporne la degradazione pubblica. Liquidarlo in otto minuti d’introduzione e un’oretta di udienza. Abbattere anche le residue garanzie perché, come ho sentito dire autorevolmente, occorre liberare gli imprenditori dall’ ”arbitrio di un giudice” (sic!), significa nell’immaginario collettivo rovesciare il mondo. Riscrivere l’articolo uno della Costituzione affermando che “L’Italia è un’oligarchia plebiscitaria fondata sull’impresa” e, al secondo comma, che “la sovranità appartiene ai mercati, i quali l’esercitano in modi e forme discrezionali, senza limiti di legge”. Ha ragione Susanna Camusso nell’affermare che l’unica cosa che interessa al premier è presentarsi all’Europa degli affari con lo scalpo dei lavoratori in mano. Con un’aggiunta: che Renzi quello scalpo lo vuole usare anche nei confronti dei suoi, e di un elettorato frantumato, impoverito, rancoroso per le umiliazioni subìte spesso senza trovare adeguata difesa da parte dei propri rappresentanti politici e sindacali, da catturare con l’immagine forte di una vittoria sacrificale.

Per questo dico – e sono consapevole del peso delle parole – che siamo in presenza di una “emergenza democratica”. Non solo perché il “renzismo” ha già cambiato il DNA del suo partito d’origine, trasformandolo in un ectoplasma risucchiato in alto, tra le mura di Palazzo Chigi, e avviandosi verso quello che a ragione è stato definito il “partito unico del Premier”. Non solo perché, parallelamente, ha ridotto un Parlamento amputato a ufficio di segreteria del Governo, chiamato a firmarne le carte (come si è visto ieri), mentre col patto del Nazareno ha definitivamente omologato l’antropologia politica, rendendo pressoché indistinguibili quelle che un tempo erano state “due Italie” eticamente e culturalmente diverse e ampliando così, d’incanto, il serbatoio di voti a cui attingere. Ma soprattutto perché con Renzi si conclude una vera e propria mutazione genetica del nostro sistema politico e istituzionale, con la verticalizzazione brutale di tutti i processi, concentrati nella figura apicale del Premier; la riconduzione del potere Legislativo non solo “sotto”, ma “dentro” il potere Esecutivo, come sua appendice secondaria; la tendenziale liquidazione dei corpi intermedi – la “società di mezzo”, come la chiama De Rita, comprendente le variegate forme di aggregazione e di rappresentanza sociale -, che potrebbero fare da ostacolo al rapporto diretto del Capo col “suo” Popolo, fascinato (“sciamanizzato”) retoricamente secondo la classica immagine del Demagogo. Con la pessima tecnica di convertire la disperazione in speranza mediante espedienti verbali e l’evocazione del “miracolo”. Una forma di plebiscitarismo dell’illusione, che lascia tutti i problemi irrisolti, ma che premia enormemente in termini di potere personale.

Ora se questo è vero, o anche solo in parte condiviso, quello che s’impone, d’urgenza, è non solo un’opposizione convinta e intransigente sui singoli provvedimenti (che è condizione necessaria, anche se non sufficiente) ma, al di là di ciò, la costruzione di una proposta ampia – politica, sociale, culturale, morale – in grado di contrastare questo processo all’altezza della sfida che lancia. Un fronte articolato, imperniato sui diritti e sul lavoro, capace di radunare tutto ciò che ancora nello spazio rarefatto della politica “resiste” ma soprattutto in grado di mobilitare forze nuove, oggi disperse, con linguaggi, idee, forme organizzative innovative e aperte. Di fare e conquistare opinione e impegno.

Lo dico con molto rispetto per posizioni che so vicine a questo sentire, come quella espressa sul Manifesto da Airaudo e Marcon: se ci limitassimo ad assemblare semplici pezzi di classe politica – ciò che resta della sinistra politica “che non si arrende”, i “refrattari” dell’arena parlamentare o delle sue immediate vicinanze -, se pensassimo che il “renzismo” si arresta mobilitando per linee interne la cosiddetta “minoranza” del Pd (alla cui patetica prova abbiamo assistito ieri) saldata a ciò che rimane del tradizionale e ormai cancellato “centro-sinistra” proponendone una nuova piccola casa, temo che non andremmo molti avanti. E anzi, forniremmo a Matteo Renzi un bersaglio perfetto contro cui sparare a palle incatenate, nominandosi campione del nuovo contro tutto ciò che sa di “residuo”.

Serve al contrario, a mio avviso, sfidarlo sul terreno alto dell’alternativa a tutto campo, italiana ma in un quadro a dimensione europea (perché è pur sempre lì che si gioca la partita che conta), dello stile politico e dell’egemonia culturale. Un processo inclusivo di tutti, senza esami del DNA, aperto, innovativo, in grado di riportare dentro quella ampia sinistra diffusa che sta fuori dalla sempre più ristretta sinistra politica. La “chimica” della lista L’altra Europa con Tsipras ha, in qualche modo, anticipato questo approccio (anche nel suo respiro europeo) e costituito un primo passo. Oggi, nelle nuove dimensioni, è a sua volta insufficiente a reggere la sfida: il suo milione e centomila elettori può esserne un nucleo iniziale, non l’intero corpo. Ma credo che sia su quella strada che occorra incamminarci, assumendo intanto come prima tappa la piazza del 25 ottobre. Altre ne verranno.
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Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 13/10/2014, 17:09
da peanuts

Re: Il "nuovo" governo Renzi

Inviato: 20/10/2014, 20:14
da paolo11
Caserma nuova il ministero non versa un euro
ASOLO. Caserma dei carabinieri: il ministero non paga. Appello del sindaco Mauro Migliorini: «C’era un accordo preliminare, lo Stato non può comportarsi così». Nel 2012 la stazione dei carabinieri...
ASOLO. Caserma dei carabinieri: il ministero non paga. Appello del sindaco Mauro Migliorini: «C’era un accordo preliminare, lo Stato non può comportarsi così». Nel 2012 la stazione dei carabinieri di Asolo si trasferisce in via dei Tartari a Casella. Per costruire la nuova caserma sono stati utilizzati i soldi delle casse comunali. Dal 2013 è stato accorpato anche il comando dei carabinieri di Onè. «Si tratta di un'unica struttura con due stazione e due comandanti», sottolinea Migliorini, «Per precedenti accordi con prefettura e ministero, all'Arma non viene richiesto nemmeno il precedente canone locatorio di 4.648,12 euro annui». Invece tramite un atto di impegno tra Comune e ministero dell'Interno del 20 agosto 2013, l'assunzione delle spese di conduzione e gestione delle utenze che sono a carico del ministero. «A oggi, nonostante diversi solleciti alla Prefettura», dice il sindaco, «non ho ricevuto alcuna risposta, che l'Ufficio Competente si faccia carico di quanto gli compete e saldi quanto già versato dal Comune di Asolo». Ovvero 27.747 euro per gas metano, manutenzioni, acquisto materiale, fornitura di energia elettrica e acquedotto, asporto rifiuti. (v.m.)
18 ottobre
http://tribunatreviso.gelocal.it/cronac ... 1.10143368
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Questa l'ho sentita ora nel tg3 del Veneto.
Paolo11