La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Titolo di apertura del TG7 di Mentana :
PRECIPITA LA SITUAZIONE IN LIBIA
Sul Fatto Quotidiano per il momento c'è solo una striscia:
•Ultima ora•
isis attacca pozzi di petrolio in libia e rapisce 150 persone: "domani li uccidiamo"
Titolo di apertura del TG7 di Mentana :
PRECIPITA LA SITUAZIONE IN LIBIA
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isis attacca pozzi di petrolio in libia e rapisce 150 persone: "domani li uccidiamo"
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Libia, media: “Isis ha preso 150 ostaggi in impianti petroliferi. Li ucciderà venerdì”
Non si ferma l’ondata di attacchi delle formazioni jihadiste in Libia. Dopo l’attentato kamikaze a Zliten che ha causato 74 morti e oltre 100 feriti, l’offensiva a Misurata e Khoms e gli attacchi ai terminal petroliferi di Sidra e Ras Lanouf, oltre 150 persone tra militari e guardie sono state catturate dall’Isis nell’area degli impianti di stoccaggio del petrolio nell’est del Paese. Lo riferisce una fonte della sicurezza citata dai media libici. I 150 sono detenuti nella prigione di Nawfaliya. Lo Stato islamico ha annunciato che “diversi prigionieri” verranno giustiziati venerdì a Ben Jawad.
Ne dà notizia una fonte della sicurezza di Sidra, dove la settimana scorsa cinque cisterne petrolifere erano in fiamme – insieme con altre due a Ras Lanuf – in seguito a combattimenti tra uomini dell’Isis e guardiani delle installazioni. Secondo analisti internazionali, la strategia dei sostenitori del Califfato tenderebbe a creare un collegamento tra il territorio di Sirte, che controllano, e la cosiddetta “mezzaluna petrolifera“, a est di quella città.
Anche il sito Alwasat conferma la notizia, aggiungendo che i detenuti sono quasi tutti “pensionati” che si sarebbero rifiutati di aderire all’Isis. Sarebbero stati catturati durante gli scontri avvenuti a Sidra e a Wadi Kahila il 4 ed il 5 gennaio. Secondo la stessa fonte alcuni militari, appartenenti all’esercito libico, sarebbero stati uccisi, mentre alcuni impiegati civili sarebbero stati messi in libertà.
In giornata Al Qaeda nel Maghreb islamico aveva minacciato l’Italia. “L’Italia romana ha occupato Tripoli. Se ne pentirà”, scandiva il numero due dell’organizzazione, l’algerino Abu Ubaydah Yusuf Al Anabi, in un video di 23 minuti e 24 secondi il cui contenuto è stato rivelato dall’agenzia mauritana ‘al-Akhbar’, che ne ha ricevuto una copia. Nel filmato si avvertono anche gli “invasori” italiani che si pentiranno e che saranno “umiliati e sottomessi”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... i/2376613/
Libia, media: “Isis ha preso 150 ostaggi in impianti petroliferi. Li ucciderà venerdì”
Non si ferma l’ondata di attacchi delle formazioni jihadiste in Libia. Dopo l’attentato kamikaze a Zliten che ha causato 74 morti e oltre 100 feriti, l’offensiva a Misurata e Khoms e gli attacchi ai terminal petroliferi di Sidra e Ras Lanouf, oltre 150 persone tra militari e guardie sono state catturate dall’Isis nell’area degli impianti di stoccaggio del petrolio nell’est del Paese. Lo riferisce una fonte della sicurezza citata dai media libici. I 150 sono detenuti nella prigione di Nawfaliya. Lo Stato islamico ha annunciato che “diversi prigionieri” verranno giustiziati venerdì a Ben Jawad.
Ne dà notizia una fonte della sicurezza di Sidra, dove la settimana scorsa cinque cisterne petrolifere erano in fiamme – insieme con altre due a Ras Lanuf – in seguito a combattimenti tra uomini dell’Isis e guardiani delle installazioni. Secondo analisti internazionali, la strategia dei sostenitori del Califfato tenderebbe a creare un collegamento tra il territorio di Sirte, che controllano, e la cosiddetta “mezzaluna petrolifera“, a est di quella città.
Anche il sito Alwasat conferma la notizia, aggiungendo che i detenuti sono quasi tutti “pensionati” che si sarebbero rifiutati di aderire all’Isis. Sarebbero stati catturati durante gli scontri avvenuti a Sidra e a Wadi Kahila il 4 ed il 5 gennaio. Secondo la stessa fonte alcuni militari, appartenenti all’esercito libico, sarebbero stati uccisi, mentre alcuni impiegati civili sarebbero stati messi in libertà.
In giornata Al Qaeda nel Maghreb islamico aveva minacciato l’Italia. “L’Italia romana ha occupato Tripoli. Se ne pentirà”, scandiva il numero due dell’organizzazione, l’algerino Abu Ubaydah Yusuf Al Anabi, in un video di 23 minuti e 24 secondi il cui contenuto è stato rivelato dall’agenzia mauritana ‘al-Akhbar’, che ne ha ricevuto una copia. Nel filmato si avvertono anche gli “invasori” italiani che si pentiranno e che saranno “umiliati e sottomessi”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... i/2376613/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Petrolio libico sotto attacco
La guerra sempre più vicina
Sempre più insistenti le voci su reparti speciali già pronti nel Paese: l'avanzata jihadista adesso va contenuta
I porti del greggio nel mirino da settimane. Sempre più insistenti le voci su forze speciali già in azione
Andrea Cortellari - Gio, 21/01/2016 - 20:32
Ieri lo aveva detto Martin Koebler, inviato delle Nazioni Unite per la Libia: "Le forze libiche sono divise, Isis no; e guadagna terreno ogni giorno".
Se della veridicità di questa dichiarazione serviva una prova ulteriore, è arrivata oggi con l'ennesimo attacco jihadista al porto petrolifero di Ras Lanuf, nella Cirenaica.
Non è la prima volta che gli uomini leali al sedicente Califfo Abu Bakr al-Baghdadi prendono di mira le risorse petrolifere della Libia, le cui divisioni interne hanno creato un terreno fertile a una certa espansione dell'Isis, delle cui mire si è ricevuto un chiaro segnale quando l'interesse dei jihadisti si era spostato sulla città di Agedabia (Ajdabiya), a un centinaio di chilometri da Sirte e non distante dai principali porti petroliferi del Paese.
Nell'attacco di oggi alle installazioni petrolifere "almeno due cisterne della compagnia Harouge Oil Operations" sono state incendiate, secondo fonti anonime citate dalla stampa egiziana. Poche ore prima le milizie avevano respinto un attacco kamikaze su Derna. E nelle ultime settimane gli assalti ai terminal si sono moltiplicati, a Ras Lanuf come a Sidra, poco più a ovest.
Enormi colonne di fumo si alzano dalla cisterne prese di mira dai terroristi, colpite da alcuni missili. La Compagnia nazionale del petrolio (Noc) descrive una "tragedia umanitaria e ambientale", a cui si era provato a far fronte con lo svuotamento dei grandi depositi di greggio, mai completato.
Mentre le mire dei jihadisti da settimane si sono spostate saldamente sul sabotaggio del petrolio libico, la formazione di un governo rappresenta un primo passo - del tutto insufficiente - verso il riavvicinamento delle fazioni tra cui la Libia è divisa. Un nuovo esecutivo di 32 ministri è stato nominato, ma preferisce per ora il ruolo di un governo in esilio (a Tripoli) che quello di compagine di "accordo nazionale", non godendo dell'appoggio di tutti.
Il tam-tam su un possibile intervento è continuo e quello che ormai pare certo - ne parlano fonti militari anonime su diversi giornali - è che nel Paese sono attive forze speciali italiane, francese, inglesi e americane, che agirebbe accanto alle milizie ritenute più affidabili e avrebbero portato a termine missioni "chirurgiche" per eliminare elementi jihadisti di spicco.
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lib ... 15617.html
Petrolio libico sotto attacco
La guerra sempre più vicina
Sempre più insistenti le voci su reparti speciali già pronti nel Paese: l'avanzata jihadista adesso va contenuta
I porti del greggio nel mirino da settimane. Sempre più insistenti le voci su forze speciali già in azione
Andrea Cortellari - Gio, 21/01/2016 - 20:32
Ieri lo aveva detto Martin Koebler, inviato delle Nazioni Unite per la Libia: "Le forze libiche sono divise, Isis no; e guadagna terreno ogni giorno".
Se della veridicità di questa dichiarazione serviva una prova ulteriore, è arrivata oggi con l'ennesimo attacco jihadista al porto petrolifero di Ras Lanuf, nella Cirenaica.
Non è la prima volta che gli uomini leali al sedicente Califfo Abu Bakr al-Baghdadi prendono di mira le risorse petrolifere della Libia, le cui divisioni interne hanno creato un terreno fertile a una certa espansione dell'Isis, delle cui mire si è ricevuto un chiaro segnale quando l'interesse dei jihadisti si era spostato sulla città di Agedabia (Ajdabiya), a un centinaio di chilometri da Sirte e non distante dai principali porti petroliferi del Paese.
Nell'attacco di oggi alle installazioni petrolifere "almeno due cisterne della compagnia Harouge Oil Operations" sono state incendiate, secondo fonti anonime citate dalla stampa egiziana. Poche ore prima le milizie avevano respinto un attacco kamikaze su Derna. E nelle ultime settimane gli assalti ai terminal si sono moltiplicati, a Ras Lanuf come a Sidra, poco più a ovest.
Enormi colonne di fumo si alzano dalla cisterne prese di mira dai terroristi, colpite da alcuni missili. La Compagnia nazionale del petrolio (Noc) descrive una "tragedia umanitaria e ambientale", a cui si era provato a far fronte con lo svuotamento dei grandi depositi di greggio, mai completato.
Mentre le mire dei jihadisti da settimane si sono spostate saldamente sul sabotaggio del petrolio libico, la formazione di un governo rappresenta un primo passo - del tutto insufficiente - verso il riavvicinamento delle fazioni tra cui la Libia è divisa. Un nuovo esecutivo di 32 ministri è stato nominato, ma preferisce per ora il ruolo di un governo in esilio (a Tripoli) che quello di compagine di "accordo nazionale", non godendo dell'appoggio di tutti.
Il tam-tam su un possibile intervento è continuo e quello che ormai pare certo - ne parlano fonti militari anonime su diversi giornali - è che nel Paese sono attive forze speciali italiane, francese, inglesi e americane, che agirebbe accanto alle milizie ritenute più affidabili e avrebbero portato a termine missioni "chirurgiche" per eliminare elementi jihadisti di spicco.
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lib ... 15617.html
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Repubblica 22.1.16
Tunisia
Tra i giovani di Kasserine “Tradite le promesse ora un’altra Primavera”
Cinque anni dopo la caduta di Ben Ali, la morte di Ridha ha provocato nuove tensioni nella città culla della rivolta. Il sogno è un lavoro dignitoso. Il governo ha garantito nuovi impieghi, ma nessuno ci crede: “Perché dovremmo dire no all’Is?”
di Giampaolo Cadalanu
KASSERINE (TUNISIA). Quando il ragazzo con il giubbotto blu sale sulla balaustra del primo piano, la folla al governatorato di Kasserine grida di orrore. Il giovane ha in mano una bottiglia di alcol, fa in tempo a rovesciarsene metà sul cappelletto lavorato a maglia e sulle spalle, poi una mano gliela spinge via, un’altra gli strappa l’accendino, braccia disperate gli impediscono di buttarsi. «Non cambia nulla, sono già morto», grida il ragazzo, avvinghiato a una colonna. Poi gli amici riescono a tirarlo giù, lo portano via.
Nel cortile, in mezzo alla gente attonita, c’è anche il padre di Ridha Yahyaoui, il ventiseienne fulminato dall’alta tensione la settimana scorsa mentre minacciava di buttarsi assieme ad altri disoccupati. L’uomo stringe sotto braccio il ritratto del figlio, quasi nascosto perché, dice, non vuole causare ancora disordini. Ma la rabbia di Kasserine non ha bisogno di nuovi stimoli. Altri disoccupati tentano di darsi alle fiamme davanti agli uffici delle autorità locali, la sera si replica il copione degli scontri: sassate e lacrimogeni nel cortile del governatorato, copertoni incendiati nel crocicchio della piazza centrale. E il fuoco della contestazione si propaga a Jendouba, a Beja, a Skhira, a Sidi Bouzid, lambendo persino il centro della capitale. I feriti sono decine, un poliziotto resta ucciso.
Nell’angolo più sfortunato della Tunisia il tempo sembra tornato a prima del 2011. Sono passati cinque anni dalla fuga di Ben Ali e la prima rivolta della Primavera araba, l’unica scampata al fondamentalismo, rischia di tornare al punto di partenza. Il tema delle rivendicazioni è sempre il sogno di un lavoro dignitoso. La disoccupazione è sopra il 15 per cento, in provincia supera il 30. Così anche il luogo del malcontento è lo stesso, il centro sottosviluppato del paese. Ieri era la Sidi Bouzid che ha visto il sacrificio di Mohamed Bouazizi, oggi la Kasserine del martire Rizha.
Qui gli ulivi lasciano il posto a fichi d’India e agavi, quasi a togliere ogni illusione sulla generosità della terra. Le rovine romane di Sbeïtla parlano di grandiosità, ma suggeriscono solo rimpianti. Sui muri di periferia, la scritta in inglese “We are the revolution”, la rivoluzione siamo noi, sbiadisce. E dopo la speranza, la delusione è più amara. Munir scoppia in singhiozzi mostrando i curricula dei cinque figli: «Ho cucinato il pane per trent’anni, per farli studiare. E devo continuare, perché sono l’unica a guadagnare». A due passi dal blindato con i soldati che controllano l’accesso, sul cancello c’è una scritta che recita: «Kasserine — Un potenziale enorme e multiple opportunità di investimento». Pochi ci credono, fra i 5mila arrivati dalle sette del mattino al governatorato, con certificati, fotocopie e illusioni. E la richiesta diventa protesta, con gli slogan di cinque anni fa: «Dégage!», vattene! O: «Il popolo vuole un’altra rivoluzione, un’altra primavera».
Il governatore si è asserragliato nel suo ufficio, militari in mimetica e giubbotto antiproiettile controllano i dimostranti. Lo ha ribadito il presidente Beji Caïd Essebsi: il diritto a manifestare è sacro e va tutelato. Ma ci vuole pazienza. Dopo la morte del giovane Yahyaoui, il governo ha promesso cinquemila impieghi pubblici per la gente di qui. Fra i senza lavoro nessuno ci crede: molti sarebbero “regolarizzazioni” di persone già impiegate, o lavori con un salario mensile da fame: 150 dinari, meno di 75 euro. Per ora l’impegno è poco specifico, ma si parla di aiuti a nuovi progetti economici. Sarebbe perfetto per Moncef, cinquantenne piccolo editore, che ha chiuso per mancanza di credito. Lui non si illude: «Non so più che fare. Sono pronto a rinunciare alla cittadinanza tunisina». Si contano gli anni di disoccupazione, per lo più in doppia cifra. Una madre si lamenta: se le cose stanno così, perché i ragazzi dovrebbero dire di no al terrorismo? Stando ai media tunisini, l’appello dell’integralismo funziona: sarebbero sette i giovani arrestati mentre salivano sul monte Chaambi, roccaforte jihadista, pronti ad “arruolarsi”.
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Tunisia
Tra i giovani di Kasserine “Tradite le promesse ora un’altra Primavera”
Cinque anni dopo la caduta di Ben Ali, la morte di Ridha ha provocato nuove tensioni nella città culla della rivolta. Il sogno è un lavoro dignitoso. Il governo ha garantito nuovi impieghi, ma nessuno ci crede: “Perché dovremmo dire no all’Is?”
di Giampaolo Cadalanu
KASSERINE (TUNISIA). Quando il ragazzo con il giubbotto blu sale sulla balaustra del primo piano, la folla al governatorato di Kasserine grida di orrore. Il giovane ha in mano una bottiglia di alcol, fa in tempo a rovesciarsene metà sul cappelletto lavorato a maglia e sulle spalle, poi una mano gliela spinge via, un’altra gli strappa l’accendino, braccia disperate gli impediscono di buttarsi. «Non cambia nulla, sono già morto», grida il ragazzo, avvinghiato a una colonna. Poi gli amici riescono a tirarlo giù, lo portano via.
Nel cortile, in mezzo alla gente attonita, c’è anche il padre di Ridha Yahyaoui, il ventiseienne fulminato dall’alta tensione la settimana scorsa mentre minacciava di buttarsi assieme ad altri disoccupati. L’uomo stringe sotto braccio il ritratto del figlio, quasi nascosto perché, dice, non vuole causare ancora disordini. Ma la rabbia di Kasserine non ha bisogno di nuovi stimoli. Altri disoccupati tentano di darsi alle fiamme davanti agli uffici delle autorità locali, la sera si replica il copione degli scontri: sassate e lacrimogeni nel cortile del governatorato, copertoni incendiati nel crocicchio della piazza centrale. E il fuoco della contestazione si propaga a Jendouba, a Beja, a Skhira, a Sidi Bouzid, lambendo persino il centro della capitale. I feriti sono decine, un poliziotto resta ucciso.
Nell’angolo più sfortunato della Tunisia il tempo sembra tornato a prima del 2011. Sono passati cinque anni dalla fuga di Ben Ali e la prima rivolta della Primavera araba, l’unica scampata al fondamentalismo, rischia di tornare al punto di partenza. Il tema delle rivendicazioni è sempre il sogno di un lavoro dignitoso. La disoccupazione è sopra il 15 per cento, in provincia supera il 30. Così anche il luogo del malcontento è lo stesso, il centro sottosviluppato del paese. Ieri era la Sidi Bouzid che ha visto il sacrificio di Mohamed Bouazizi, oggi la Kasserine del martire Rizha.
Qui gli ulivi lasciano il posto a fichi d’India e agavi, quasi a togliere ogni illusione sulla generosità della terra. Le rovine romane di Sbeïtla parlano di grandiosità, ma suggeriscono solo rimpianti. Sui muri di periferia, la scritta in inglese “We are the revolution”, la rivoluzione siamo noi, sbiadisce. E dopo la speranza, la delusione è più amara. Munir scoppia in singhiozzi mostrando i curricula dei cinque figli: «Ho cucinato il pane per trent’anni, per farli studiare. E devo continuare, perché sono l’unica a guadagnare». A due passi dal blindato con i soldati che controllano l’accesso, sul cancello c’è una scritta che recita: «Kasserine — Un potenziale enorme e multiple opportunità di investimento». Pochi ci credono, fra i 5mila arrivati dalle sette del mattino al governatorato, con certificati, fotocopie e illusioni. E la richiesta diventa protesta, con gli slogan di cinque anni fa: «Dégage!», vattene! O: «Il popolo vuole un’altra rivoluzione, un’altra primavera».
Il governatore si è asserragliato nel suo ufficio, militari in mimetica e giubbotto antiproiettile controllano i dimostranti. Lo ha ribadito il presidente Beji Caïd Essebsi: il diritto a manifestare è sacro e va tutelato. Ma ci vuole pazienza. Dopo la morte del giovane Yahyaoui, il governo ha promesso cinquemila impieghi pubblici per la gente di qui. Fra i senza lavoro nessuno ci crede: molti sarebbero “regolarizzazioni” di persone già impiegate, o lavori con un salario mensile da fame: 150 dinari, meno di 75 euro. Per ora l’impegno è poco specifico, ma si parla di aiuti a nuovi progetti economici. Sarebbe perfetto per Moncef, cinquantenne piccolo editore, che ha chiuso per mancanza di credito. Lui non si illude: «Non so più che fare. Sono pronto a rinunciare alla cittadinanza tunisina». Si contano gli anni di disoccupazione, per lo più in doppia cifra. Una madre si lamenta: se le cose stanno così, perché i ragazzi dovrebbero dire di no al terrorismo? Stando ai media tunisini, l’appello dell’integralismo funziona: sarebbero sette i giovani arrestati mentre salivano sul monte Chaambi, roccaforte jihadista, pronti ad “arruolarsi”.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Rischiamo la guerra nucleare
Gli Usa elaborano una nuova strategia "ready to kill". Putin: "Aumentare la nostra potenza". La Corea testa la bomba H
di Matteo Carnieletto
16 minuti fa
http://www.occhidellaguerra.it/sara-guerra-nucleare/
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di Matteo Carnieletto
16 minuti fa
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
TERRORISMO
Isis, video con i terroristi di Parigi
«Vi combatteremo ovunque»
Nel filmato i terroristi lanciano minacce prima delle azioni nella capitale francese: «Non smetteremo mai: nei viaggi turistici, in quelli di lavoro,
mentre dormite nelle vostre case». Il video con i nove attentatori
http://www.corriere.it/esteri/16_gennai ... 1687.shtml
TERRORISMO
Isis, video con i terroristi di Parigi
«Vi combatteremo ovunque»
Nel filmato i terroristi lanciano minacce prima delle azioni nella capitale francese: «Non smetteremo mai: nei viaggi turistici, in quelli di lavoro,
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Facendo finta di niente.
Quei sottomarini di Putin pronti alla battaglia
Nel 1990 la Marina dell’Unione Sovietica contava una flotta di 240 sottomarini
Franco Iacch - Lun, 25/01/2016 - 10:51
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Mosca riprenderà i primi pattugliamenti strategici lungo le latitudini meridionali a copertura di possibili obiettivi con i nuovi sottomarini classe Borei. Ad eseguirli saranno i nuovissimi Borei. Il settimo sottomarino classe Borei- Progetto955/A, “Imperator Aleksandr III”, è entrato ufficialmente in produzione il 18 dicembre scorso. Il comando supremo dei sottomarini classe Borey, nella penisola di Kamchatka, è operativo dallo scorso ottobre. La base è totalmente autosufficiente ed in grado di equipaggiare, rifornire ed armare l’intera classe.
I primi tre Borei-Progetto 955, sono lo “Yury Dolgoruky” K535 che si è unito alla Flotta del Nord nel gennaio del 2013, seguito dal K-550 "Aleksandr Nevskij" alla fine di dicembre dello stesso anno. Il “Vladimir Monomakh” K-551 è entrato in servizio nel 2014. Il quarto Borei, lo “Knyaz Vladimir” (Progetto 955/A) è in costruzione dal luglio 2012 presso il cantiere Sevmash, nel nord della Russia. La costruzione del quinto sottomarino a propulsione nucleare il "Knyaz Oleg" è iniziata nel luglio dello scorso anno. I lavori sul “Generalissimus Suvorov” sono iniziati alo scorso novembre. L’ultimo della classe, lo “Knyaz Pozharskiy”, dovrebbe essere avviato nel dicembre del prossimo anno. Nonostante le indiscrezioni, non ci sono conferme su altri due possibili sottomarini. I sottomarini di quarta generazione classe Borei comporranno la spina dorsale del deterrente nucleare strategico della Marina russa. Andranno a sostituire i sottomarini classe Typhoon, Delta-3 e Delta-4. Entro il 2020, la Marina russa conta di operare su un totale di otto sottomarini balistici classe Borei: tre 955 e cinque 955-A. Considerando le modifiche strutturali, non sarebbe un errore definire i sottomarini 955-A come una classe Borei-II.
Progettata su uno scafo idrodinamico pensato per ridurre le emissioni di rumore a banda larga, la classe Borei è la prima nella marina russa ad utilizzate una propulsione “pump-jet”. I sottomarini Borei sono lunghi 170 metri, con un diametro di 13 metri ed una velocità massima in immersione di 46 chilometri all'ora conferita dal reattore nucleare OK-650. La profondità operativa è attestata sui 380 metri (test massimo avvenuto a 450 metri). Ad oggi l’intera classe non può ancora entrare in servizio deterrente perché non possiede l’armamento per compierlo. Ogni Borei dovrebbe trasportare da sedici a venti missili “Bulava” (solo per i 955A), ognuno dei quali dotato da sei a dieci testate Mirv. I russi nutrono ottimismo per i missili “Bulava” ed i sottomarini classe Borei, a cui è demandata la deterrenza nucleare almeno fino al 2050 (dopo l’abbandono degli studi sul missile R-39UTTH Bark). I lanci di prova si concluderanno entro l’anno. I missili saranno lanciati dai sottomarini della Flotta del Nord e del Pacifico. Il missile a tre stadi “Bulava”, nome in codice Nato SS-N-30 Mace, è la versione navale del più avanzato missile balistico russo, l’SS-27 Topol-M. Può essere lanciato anche in movimento. Trasporta fino a 10 testate Mirv, può colpire bersagli fino ad otto mila chilometri di distanza ed è progettato per equipaggiare esclusivamente i sottomarini nucleari classe Borei (le modifiche sui Typhoon sono state ritenute troppo costose). Nonostante i numerosi fallimenti dovuti a difetti di fabbricazione, l'esercito russo sostiene che non vi è alcuna alternativa al “Bulava”. A causa del fallimento durante i test dei nuovi missili intercontinentali “Bulava”, i Borei non sono ancora in grado di svolgere il loro compito primario e cioè la deterrenza nucleare. Ogni missile “Bulava” (lungo 12,1 metri, diametro di 2,1 metri e pesante 36,8 tonnellate) è armato con 6-10 testate termonucleari per 96-196 testate a sottomarino. La possibile copertura di obiettivi sensibili, considerando la gittata di ottomila chilometri, potrebbe essere il Mare di Barents ed il Mare di Okhotsk. Se i russi lanciassero da queste aree, potrebbero colpire qualsiasi punto degli Stati Uniti continentali Il primo Borei, lo “Yury Dolgoruky” K535, è costato al governo russo poco meno di 720 milioni di dollari, inclusi capitoli di ricerca e sviluppo.
Il Cremlino attualmente affida il pattugliamento nucleare strategico ad alcuni sottomarini ereditati dalla Marina Sovietica. Ancora in servizio l’unico superstite della classe Typhoon, il TK-208 Dmitriy Donskoy 824. E’ il più grande sottomarino mai entrato in servizio ed è stato opportunamente modificato per lanciare i missili Bulava.
Mosca ha ancora in linea di fuoco sei sottomarini classe Delta-IV. Equipaggiati con dodici missili SS-N-23 Skiff, ognuno dei quali dotato di quattro testate MIRV da 100 kilotoni, rappresentano l’attuale spina dorsale russa del deterrente strategico. Risultano in servizio il K51 Verkhoturye, il K-84 Ekaterinburg, il K-18 Karelia, il K-114 Tula, il K-117 Bryansk ed il K-407 Novomoskovsk. Qualora la situazione lo richiedesse, il Cremlino potrebbe rischierare in pattugliamento strategico anche tre Delta III: Il K-223 Podolsk, il K-433 Svyatoy Georgiy Pobedonosets ed il K-44 Ryazan.
Entrati in servizio a metà degli anni ’80, il Cremlino mantiene ancora in servizio la terza generazione di sottomarini lanciamissili antinave rappresentata dalla classe Oscar-II. Sono stati progettati nello specifico ruolo “carrier-killer”, per contrastare cioè le portaerei americane ed impedire la loro proiezione strategica. In servizio risultano sei battelli classe Oscar-II: il K-150 Tomsk, il K-442 Chelyabinsk, il K-410 Smolensk, il K-119 Voronezh, il K-456 Vilyuchinsk ed il K-186 Omsk. I russi hanno sempre mantenuto un certo riserbo sull’intera classe Oscar. Nonostante non sia mai stato confermato, il Cremlino sta sviluppando una versione migliorata della classe Oscar-II con due battelli, il "Belgorod" ed il "Khabarovsk". Il destino di questi ultimi sottomarini è particolare: rientrano nell’esclusiva categoria delle “armi del giorno dopo”. Il "Belgorod" ed il "Khabarovsk” saranno i primi sottomarini ad essere equipaggiato con siluri radioattivi a propulsione nucleare in grado di contaminare i target economici delle coste nemiche come le aree di pesca. Saranno armati con il sistema “Ocean Multipurpose System: Status-6”, stato progettato per “provocare danni inaccettabili, contaminando vaste zone costiere nemiche rendendole completamente senza vita per lunghi periodi di tempo”. Il prototipo dovrebbe essere pronto entro il 2019 con prove in mare previste per l’anno successivo. E’ un ICBM sottomarino con una testata al cobalto, un'arma nucleare strategica. Lo Status-6 è stato concepito per essere un sistema missilistico automatico di rappresaglia. Qualora gli USA dovessero spazzare via la leadership russa con un attacco preventivo, gli Status-6 verrebbero lanciati dalle profondità del mare. La sua testata al cobalto sarebbe devastante per le risorse naturali come la pesca ed i giacimenti di petrolio offshore. Lo Status-6 è stato progettato per affamare dal mare i sopravvissuti ad un olocausto nucleare.
Sono 17 i sottomarini nucleari d'attacco in servizio con la Marina russa. In pattugliamento quattro sottomarini classe Victor III, il B-388 Petrazavodsk, il B-138 Obninsk, il B414 Danil Moskovskiy ed il B-448 Tambov. Restano in servizio anche dieci temibili Akula, uno dei capolavori dell’ingegneria navale russa. Risutano attivi il K-317 Pantera, il K-331 Magadan, il K-154 Tigr, il K-391 Bratsk, il K-157 Vepr, il K-459 Kuzbass, il K-328 Leopard, il K-295 Samara ed il K-461 Volk. Da ritenere attivo anche il K-335 Gepard, unico classe Akulla-III realizzato.
Lo scafo interamente in titanio della classe Sierra, rappresentava un incubo per la NATO e gli Stati Uniti. Silenziosi e pesantemente armati, erano anche costosissimi. Mosca riuscì a completarne soltanto quattro, demolendo il quinto battello in costruzione. Risultano operativi due Sierra-II: il K-534 Pskov ed il K-336 Nizhniy. La spina dorsale dei nuovi sottomarini nucleari d’attacco sarà rappresentata dalla classe Yasen.
Il “K-329 Severodvinsk”, primo sottomarino d’attacco russo progetto 885 classe “Yasen”, ha completato le prove finali nel dicembre del 2013 ed è stato consegnato alla Marina con molte perplessità. Una commissione governativa istituita per l’occasione ha poi dato il via libera per la messa in servizio con alcune migliorie che sarebbero state adottate nei successivi Yasen. Lo Stato Maggiore della Marina non sarebbe stato pienamente convinto del “Severodvinsk” per problemi tecnici non meglio specificati. Il sottomarino d'attacco nucleare multiruolo classe “Yasen” ha un dislocamento in immersione di 13.800 tonnellate. E’ lungo di 119 metri, con una velocità massima di trentuno nodi in immersione. Può immergersi fino a 600 metri, anche se la profondità operativa si attesta sui 500 metri. Ha un equipaggio di novanta uomini, tra cui trentadue ufficiali. I sottomarini classe Yasen sono considerati (dai russi) come i migliori battelli del pianeta. Alcune caratteristiche, le poche fino ad oggi trapelate, parlano di un doppio scafo in acciaio amagnetico in modo da rendere minima la traccia acustica e, quindi una maggiore capacità di sopravvivenza del battello rispetto ai già temibilissimi Akula I/II. Si tratta di un sottomarino monoalbero alimentato da un reattore termo-nucleare OK-650V da 200 MW raffreddato ad acqua. La torre di comando ha una forma ovale idrodinamica, mentre lo scafo è suddiviso in dieci scomparti. I classe Yasen (sette le unità previste oltre al Severodvinsk) saranno equipaggiati anche con i missili da crociera supersonici Kalibr con un’autonomia di volo di circa 2500 km. I contratti firmati dal ministero della Difesa russo e la United Shipbuilding Corporation nell'ambito del programma di approvvigionamento dei sistemi d’arma, prevedono equipaggiamenti per altri sette sommergibili classe “Yasen” entro il 2020. Le migliorie proposte dalla commissione della Marina russa sono già state implementate nel secondo, terzo e quarto sottomarino della serie: il “Kazan”, il “Novosibirsk” ed il “Krasnoyarsk”. Faranno parte del “Progetto 885m”, la classe Yasen-M aggiornata.
I russi, infine, possiedono venti sottomarini d’attacco diesel-elettrici appartenenti alla classe Kilo ed Improved Kilo. L’ultima evoluzione è la classe Varshavyanka. Il quarto Varshavyanka, il ‘Krasnodar’, è entrato in servizio lo scorso novembre. I sottomarini diesel-elettrici classe “Varshavyanka” entro il 2016 equipaggeranno la Flotta da Guerra del Mar Nero. Questi sottomarini rappresentano un elemento chiave della strategia navale russa nel Mediterraneo, dove Mosca ha formato una task force permanente composta da dieci navi di superficie. La costruzione del primo sottomarino, il ‘Novorossiysk’ ha preso il via nell’ agosto del 2010, seguito dal “Rostov Na Donu” nel novembre 2011, dalla “Stary Oskol” nell’agosto del 2012 e dal quarto battello, il “Krasnodar” entrato in cantiere il venti febbraio del 2014. Il quinto battello, il ‘Veliky Novgorod’ ed il sesto, il ‘Kolpino’, sono in costruzione dal 30 ottobre dello scorso anno. La Flotta del Mar Nero non riceveva nuovi sottomarini da 23 anni ed operava soltanto con ‘L’Alrosa’, battello classe Kilo entrato in servizio nel 1990. I sottomarini russi soprannominati dalla US Navy come "Buchi Neri nell'oceano / Black Holes in the ocean", una volta immersi non sarebbero più identificabili. I classe Varshavyanka (Progetto 636m) sono propulsi da motori a diesel-elettrici a bassissima emissione di rumore e possono colpire bersagli a lunghe distanze senza essere rilevati dai radar antisommergibile nemici. La classe Varshavyanka è una versione migliorata della Kilo (quest'ultimo al di sotto dei cinque nodi di velocità risulta invisibile ai sonar passivi), con tecnologia stealth avanzata. Ha un dislocamento di 3.100 tonnellate, raggiunge una velocità di 20 nodi, può immergersi fino a 300 metri e trasportare equipaggi di 52 persone. I sottomarini, armati con 18 siluri, mine ed otto missili da crociera “Kalibr 3M54” (NATO SS-N-27 Sizzler), svolgeranno missioni anti-sommergibile (Hunter Killer) in acque relativamente poco profonde. Tutti e sei sottomarini saranno impiegati presso la base navale “Novorossiysk” entro il 2016. Il ‘Novorossiysk’ è già in servizio nel Mar Nero dal 22 agosto dello scorso anno. Il ‘Rostov-on-Don’ e lo ‘Stary Oskol’, raggiungeranno la base di Novorossiysk dopo che avranno concluso la fase di sperimentazione con la Flotta del Nord.
Discorso a parte, infine, per la classe “Lada”, inizialmente prevista per entrare in servizio con la Flotta da Guerra del Baltico. Nonostante le smentite, il Cremlino avrebbe stornate i finanziamenti per il nuovo progetto Kalina". I nuovi sottomarini di quinta generazione classe ‘Kalina’, potrebbero entrare in produzione tra il 2020 ed il 2025. Lo sviluppo del sistema AIP dovrebbe essere completato entro il 2017, con primo battello dotato di propulsione indipendente dall'aria pronto entro il 2018. Il nuovo sistema di propulsione è stato sviluppato presso il cantiere Sevmash, il più grande del paese. La classe Lada entrerà comunque nella storia. Il secondo battello, il “Kronstadt” e probabilmente l’ultimo della classe, il “Sebastopoli”, saranno i primi ad essere equipaggiati con il sistema indipendente dall’aria.
I sistemi AIP consentono al sottomarino non nucleare di operare senza l’utilizzo dell’aria esterna. I vantaggi, almeno concettualmente, sono molti. Mentre per il reattore di un sottomarino nucleare si deve pompare continuamente liquido di raffreddamento, generando una certa quantità di rumore rilevabile, i battelli non nucleari alimentati a batteria con sistema AIP, navigherebbero in silenzio. Un sottomarino propulso con sistema AIP, potrebbe operare per missioni di pattugliamento o deterrenza per 30/40 giorni. Un sottomarino classe ‘Lada’ è equipaggiato con sei tubi lanciasiluri da 533 mm e può sparare missili da crociera. E’ progettato per difendere le basi navali e le linee di comunicazione sul mare. Può essere efficacemente impiegato sia contro navi di superficie che contro sommergibili in ruolo Hunter Killer.
La Marina russa, ad oggi, dispone di 56 sottomarini in servizio attivo. Nel 1990 la Marina dell’Unione Sovietica possedeva una flotta di 240 sottomarini.
Facendo finta di niente.
Quei sottomarini di Putin pronti alla battaglia
Nel 1990 la Marina dell’Unione Sovietica contava una flotta di 240 sottomarini
Franco Iacch - Lun, 25/01/2016 - 10:51
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Mosca riprenderà i primi pattugliamenti strategici lungo le latitudini meridionali a copertura di possibili obiettivi con i nuovi sottomarini classe Borei. Ad eseguirli saranno i nuovissimi Borei. Il settimo sottomarino classe Borei- Progetto955/A, “Imperator Aleksandr III”, è entrato ufficialmente in produzione il 18 dicembre scorso. Il comando supremo dei sottomarini classe Borey, nella penisola di Kamchatka, è operativo dallo scorso ottobre. La base è totalmente autosufficiente ed in grado di equipaggiare, rifornire ed armare l’intera classe.
I primi tre Borei-Progetto 955, sono lo “Yury Dolgoruky” K535 che si è unito alla Flotta del Nord nel gennaio del 2013, seguito dal K-550 "Aleksandr Nevskij" alla fine di dicembre dello stesso anno. Il “Vladimir Monomakh” K-551 è entrato in servizio nel 2014. Il quarto Borei, lo “Knyaz Vladimir” (Progetto 955/A) è in costruzione dal luglio 2012 presso il cantiere Sevmash, nel nord della Russia. La costruzione del quinto sottomarino a propulsione nucleare il "Knyaz Oleg" è iniziata nel luglio dello scorso anno. I lavori sul “Generalissimus Suvorov” sono iniziati alo scorso novembre. L’ultimo della classe, lo “Knyaz Pozharskiy”, dovrebbe essere avviato nel dicembre del prossimo anno. Nonostante le indiscrezioni, non ci sono conferme su altri due possibili sottomarini. I sottomarini di quarta generazione classe Borei comporranno la spina dorsale del deterrente nucleare strategico della Marina russa. Andranno a sostituire i sottomarini classe Typhoon, Delta-3 e Delta-4. Entro il 2020, la Marina russa conta di operare su un totale di otto sottomarini balistici classe Borei: tre 955 e cinque 955-A. Considerando le modifiche strutturali, non sarebbe un errore definire i sottomarini 955-A come una classe Borei-II.
Progettata su uno scafo idrodinamico pensato per ridurre le emissioni di rumore a banda larga, la classe Borei è la prima nella marina russa ad utilizzate una propulsione “pump-jet”. I sottomarini Borei sono lunghi 170 metri, con un diametro di 13 metri ed una velocità massima in immersione di 46 chilometri all'ora conferita dal reattore nucleare OK-650. La profondità operativa è attestata sui 380 metri (test massimo avvenuto a 450 metri). Ad oggi l’intera classe non può ancora entrare in servizio deterrente perché non possiede l’armamento per compierlo. Ogni Borei dovrebbe trasportare da sedici a venti missili “Bulava” (solo per i 955A), ognuno dei quali dotato da sei a dieci testate Mirv. I russi nutrono ottimismo per i missili “Bulava” ed i sottomarini classe Borei, a cui è demandata la deterrenza nucleare almeno fino al 2050 (dopo l’abbandono degli studi sul missile R-39UTTH Bark). I lanci di prova si concluderanno entro l’anno. I missili saranno lanciati dai sottomarini della Flotta del Nord e del Pacifico. Il missile a tre stadi “Bulava”, nome in codice Nato SS-N-30 Mace, è la versione navale del più avanzato missile balistico russo, l’SS-27 Topol-M. Può essere lanciato anche in movimento. Trasporta fino a 10 testate Mirv, può colpire bersagli fino ad otto mila chilometri di distanza ed è progettato per equipaggiare esclusivamente i sottomarini nucleari classe Borei (le modifiche sui Typhoon sono state ritenute troppo costose). Nonostante i numerosi fallimenti dovuti a difetti di fabbricazione, l'esercito russo sostiene che non vi è alcuna alternativa al “Bulava”. A causa del fallimento durante i test dei nuovi missili intercontinentali “Bulava”, i Borei non sono ancora in grado di svolgere il loro compito primario e cioè la deterrenza nucleare. Ogni missile “Bulava” (lungo 12,1 metri, diametro di 2,1 metri e pesante 36,8 tonnellate) è armato con 6-10 testate termonucleari per 96-196 testate a sottomarino. La possibile copertura di obiettivi sensibili, considerando la gittata di ottomila chilometri, potrebbe essere il Mare di Barents ed il Mare di Okhotsk. Se i russi lanciassero da queste aree, potrebbero colpire qualsiasi punto degli Stati Uniti continentali Il primo Borei, lo “Yury Dolgoruky” K535, è costato al governo russo poco meno di 720 milioni di dollari, inclusi capitoli di ricerca e sviluppo.
Il Cremlino attualmente affida il pattugliamento nucleare strategico ad alcuni sottomarini ereditati dalla Marina Sovietica. Ancora in servizio l’unico superstite della classe Typhoon, il TK-208 Dmitriy Donskoy 824. E’ il più grande sottomarino mai entrato in servizio ed è stato opportunamente modificato per lanciare i missili Bulava.
Mosca ha ancora in linea di fuoco sei sottomarini classe Delta-IV. Equipaggiati con dodici missili SS-N-23 Skiff, ognuno dei quali dotato di quattro testate MIRV da 100 kilotoni, rappresentano l’attuale spina dorsale russa del deterrente strategico. Risultano in servizio il K51 Verkhoturye, il K-84 Ekaterinburg, il K-18 Karelia, il K-114 Tula, il K-117 Bryansk ed il K-407 Novomoskovsk. Qualora la situazione lo richiedesse, il Cremlino potrebbe rischierare in pattugliamento strategico anche tre Delta III: Il K-223 Podolsk, il K-433 Svyatoy Georgiy Pobedonosets ed il K-44 Ryazan.
Entrati in servizio a metà degli anni ’80, il Cremlino mantiene ancora in servizio la terza generazione di sottomarini lanciamissili antinave rappresentata dalla classe Oscar-II. Sono stati progettati nello specifico ruolo “carrier-killer”, per contrastare cioè le portaerei americane ed impedire la loro proiezione strategica. In servizio risultano sei battelli classe Oscar-II: il K-150 Tomsk, il K-442 Chelyabinsk, il K-410 Smolensk, il K-119 Voronezh, il K-456 Vilyuchinsk ed il K-186 Omsk. I russi hanno sempre mantenuto un certo riserbo sull’intera classe Oscar. Nonostante non sia mai stato confermato, il Cremlino sta sviluppando una versione migliorata della classe Oscar-II con due battelli, il "Belgorod" ed il "Khabarovsk". Il destino di questi ultimi sottomarini è particolare: rientrano nell’esclusiva categoria delle “armi del giorno dopo”. Il "Belgorod" ed il "Khabarovsk” saranno i primi sottomarini ad essere equipaggiato con siluri radioattivi a propulsione nucleare in grado di contaminare i target economici delle coste nemiche come le aree di pesca. Saranno armati con il sistema “Ocean Multipurpose System: Status-6”, stato progettato per “provocare danni inaccettabili, contaminando vaste zone costiere nemiche rendendole completamente senza vita per lunghi periodi di tempo”. Il prototipo dovrebbe essere pronto entro il 2019 con prove in mare previste per l’anno successivo. E’ un ICBM sottomarino con una testata al cobalto, un'arma nucleare strategica. Lo Status-6 è stato concepito per essere un sistema missilistico automatico di rappresaglia. Qualora gli USA dovessero spazzare via la leadership russa con un attacco preventivo, gli Status-6 verrebbero lanciati dalle profondità del mare. La sua testata al cobalto sarebbe devastante per le risorse naturali come la pesca ed i giacimenti di petrolio offshore. Lo Status-6 è stato progettato per affamare dal mare i sopravvissuti ad un olocausto nucleare.
Sono 17 i sottomarini nucleari d'attacco in servizio con la Marina russa. In pattugliamento quattro sottomarini classe Victor III, il B-388 Petrazavodsk, il B-138 Obninsk, il B414 Danil Moskovskiy ed il B-448 Tambov. Restano in servizio anche dieci temibili Akula, uno dei capolavori dell’ingegneria navale russa. Risutano attivi il K-317 Pantera, il K-331 Magadan, il K-154 Tigr, il K-391 Bratsk, il K-157 Vepr, il K-459 Kuzbass, il K-328 Leopard, il K-295 Samara ed il K-461 Volk. Da ritenere attivo anche il K-335 Gepard, unico classe Akulla-III realizzato.
Lo scafo interamente in titanio della classe Sierra, rappresentava un incubo per la NATO e gli Stati Uniti. Silenziosi e pesantemente armati, erano anche costosissimi. Mosca riuscì a completarne soltanto quattro, demolendo il quinto battello in costruzione. Risultano operativi due Sierra-II: il K-534 Pskov ed il K-336 Nizhniy. La spina dorsale dei nuovi sottomarini nucleari d’attacco sarà rappresentata dalla classe Yasen.
Il “K-329 Severodvinsk”, primo sottomarino d’attacco russo progetto 885 classe “Yasen”, ha completato le prove finali nel dicembre del 2013 ed è stato consegnato alla Marina con molte perplessità. Una commissione governativa istituita per l’occasione ha poi dato il via libera per la messa in servizio con alcune migliorie che sarebbero state adottate nei successivi Yasen. Lo Stato Maggiore della Marina non sarebbe stato pienamente convinto del “Severodvinsk” per problemi tecnici non meglio specificati. Il sottomarino d'attacco nucleare multiruolo classe “Yasen” ha un dislocamento in immersione di 13.800 tonnellate. E’ lungo di 119 metri, con una velocità massima di trentuno nodi in immersione. Può immergersi fino a 600 metri, anche se la profondità operativa si attesta sui 500 metri. Ha un equipaggio di novanta uomini, tra cui trentadue ufficiali. I sottomarini classe Yasen sono considerati (dai russi) come i migliori battelli del pianeta. Alcune caratteristiche, le poche fino ad oggi trapelate, parlano di un doppio scafo in acciaio amagnetico in modo da rendere minima la traccia acustica e, quindi una maggiore capacità di sopravvivenza del battello rispetto ai già temibilissimi Akula I/II. Si tratta di un sottomarino monoalbero alimentato da un reattore termo-nucleare OK-650V da 200 MW raffreddato ad acqua. La torre di comando ha una forma ovale idrodinamica, mentre lo scafo è suddiviso in dieci scomparti. I classe Yasen (sette le unità previste oltre al Severodvinsk) saranno equipaggiati anche con i missili da crociera supersonici Kalibr con un’autonomia di volo di circa 2500 km. I contratti firmati dal ministero della Difesa russo e la United Shipbuilding Corporation nell'ambito del programma di approvvigionamento dei sistemi d’arma, prevedono equipaggiamenti per altri sette sommergibili classe “Yasen” entro il 2020. Le migliorie proposte dalla commissione della Marina russa sono già state implementate nel secondo, terzo e quarto sottomarino della serie: il “Kazan”, il “Novosibirsk” ed il “Krasnoyarsk”. Faranno parte del “Progetto 885m”, la classe Yasen-M aggiornata.
I russi, infine, possiedono venti sottomarini d’attacco diesel-elettrici appartenenti alla classe Kilo ed Improved Kilo. L’ultima evoluzione è la classe Varshavyanka. Il quarto Varshavyanka, il ‘Krasnodar’, è entrato in servizio lo scorso novembre. I sottomarini diesel-elettrici classe “Varshavyanka” entro il 2016 equipaggeranno la Flotta da Guerra del Mar Nero. Questi sottomarini rappresentano un elemento chiave della strategia navale russa nel Mediterraneo, dove Mosca ha formato una task force permanente composta da dieci navi di superficie. La costruzione del primo sottomarino, il ‘Novorossiysk’ ha preso il via nell’ agosto del 2010, seguito dal “Rostov Na Donu” nel novembre 2011, dalla “Stary Oskol” nell’agosto del 2012 e dal quarto battello, il “Krasnodar” entrato in cantiere il venti febbraio del 2014. Il quinto battello, il ‘Veliky Novgorod’ ed il sesto, il ‘Kolpino’, sono in costruzione dal 30 ottobre dello scorso anno. La Flotta del Mar Nero non riceveva nuovi sottomarini da 23 anni ed operava soltanto con ‘L’Alrosa’, battello classe Kilo entrato in servizio nel 1990. I sottomarini russi soprannominati dalla US Navy come "Buchi Neri nell'oceano / Black Holes in the ocean", una volta immersi non sarebbero più identificabili. I classe Varshavyanka (Progetto 636m) sono propulsi da motori a diesel-elettrici a bassissima emissione di rumore e possono colpire bersagli a lunghe distanze senza essere rilevati dai radar antisommergibile nemici. La classe Varshavyanka è una versione migliorata della Kilo (quest'ultimo al di sotto dei cinque nodi di velocità risulta invisibile ai sonar passivi), con tecnologia stealth avanzata. Ha un dislocamento di 3.100 tonnellate, raggiunge una velocità di 20 nodi, può immergersi fino a 300 metri e trasportare equipaggi di 52 persone. I sottomarini, armati con 18 siluri, mine ed otto missili da crociera “Kalibr 3M54” (NATO SS-N-27 Sizzler), svolgeranno missioni anti-sommergibile (Hunter Killer) in acque relativamente poco profonde. Tutti e sei sottomarini saranno impiegati presso la base navale “Novorossiysk” entro il 2016. Il ‘Novorossiysk’ è già in servizio nel Mar Nero dal 22 agosto dello scorso anno. Il ‘Rostov-on-Don’ e lo ‘Stary Oskol’, raggiungeranno la base di Novorossiysk dopo che avranno concluso la fase di sperimentazione con la Flotta del Nord.
Discorso a parte, infine, per la classe “Lada”, inizialmente prevista per entrare in servizio con la Flotta da Guerra del Baltico. Nonostante le smentite, il Cremlino avrebbe stornate i finanziamenti per il nuovo progetto Kalina". I nuovi sottomarini di quinta generazione classe ‘Kalina’, potrebbero entrare in produzione tra il 2020 ed il 2025. Lo sviluppo del sistema AIP dovrebbe essere completato entro il 2017, con primo battello dotato di propulsione indipendente dall'aria pronto entro il 2018. Il nuovo sistema di propulsione è stato sviluppato presso il cantiere Sevmash, il più grande del paese. La classe Lada entrerà comunque nella storia. Il secondo battello, il “Kronstadt” e probabilmente l’ultimo della classe, il “Sebastopoli”, saranno i primi ad essere equipaggiati con il sistema indipendente dall’aria.
I sistemi AIP consentono al sottomarino non nucleare di operare senza l’utilizzo dell’aria esterna. I vantaggi, almeno concettualmente, sono molti. Mentre per il reattore di un sottomarino nucleare si deve pompare continuamente liquido di raffreddamento, generando una certa quantità di rumore rilevabile, i battelli non nucleari alimentati a batteria con sistema AIP, navigherebbero in silenzio. Un sottomarino propulso con sistema AIP, potrebbe operare per missioni di pattugliamento o deterrenza per 30/40 giorni. Un sottomarino classe ‘Lada’ è equipaggiato con sei tubi lanciasiluri da 533 mm e può sparare missili da crociera. E’ progettato per difendere le basi navali e le linee di comunicazione sul mare. Può essere efficacemente impiegato sia contro navi di superficie che contro sommergibili in ruolo Hunter Killer.
La Marina russa, ad oggi, dispone di 56 sottomarini in servizio attivo. Nel 1990 la Marina dell’Unione Sovietica possedeva una flotta di 240 sottomarini.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Isis pronta a nuovi attacchi:
5mila i foreign fighters in Ue
L'allarme dell'Europol: "Ci saranno attentati su larga scala in tutta Europa". Nel mirino soprattutto la Francia
di Marco Vassallo
21 minuti fa
La strategia dell'Isis "sta diventando globale". È quello che emerge dal rapporto dell’Europol, l'ufficio di Polizia Europeo, diramato a margine della riunione informale dei ministri degli Interni dell’Unione europea.
Secondo il documento ci sarebbero 5 mila foreign fighters, tutti uniti e pronti a colpire l'Europa. Un'allarme vero e proprio. Secondo gli esperti gli jihadisti starebbero "preparando nuovi attacchi terroristici, anche nello stile di quello recente a Mumbai, da attuare nell’Ue e in particolare in Francia". Inoltre "gli attacchi saranno anzitutto diretti a obiettivi ordinari, per sfruttare l’impatto che questo genera".
Torna quindi la paura attentanti, lo stesso direttore di Europol Rob Wainwright ha confermato quello che si legge nel documento. "L'Isis sta programmando attacchi su larga scala in Europa". Come se non bastasse, secondo le analisi, i terroristi "hanno una forte capacità di mettere a segno attentati su larga scala" spiega Wainwright.
Torna quindi la paura attentati, ma sappiamo contro chi combattiamo. L'Europa prova a reagire alla paura. Come? Attraverso il centro antiterrorismo europeo (Ect). Dalle varie capitali europee arrivano dai 40-50 esperti in seno a Europol. Gli obiettvi sono chiari e semplici: coordinamento fra le Intelligence, la creazione di un data base comune e il sostegno alle inchieste nazionali sui casi di terrorismo. E la conferma del lavoro arriva ancora dal direttore di Europol: "Tutti i Paesi Ue lavorano per prevenire".
Stando alle stime di Europol, i foreign fighters schedati nei database dell’Intelligence europeo sarebbero 3700. Oltre al numero che di per sé è allarmante, il fattore che preoccupa di più gli esperti emerge dalle analisi sul comportamento. Personaggi "attenti allo stile europeo" che in molti casi, come si legge sul rapporto della polizia europea, "almeno uno su cinque è stata diagnostica una malattia mentale, mentre l’80% ha avuto precedenti penali".
Dettaglio che non viene trascurato dall'intellicence e nemmeno da possibili reclutatori che "è possibile usino questi indicatori per fare proseliti". Infatti con questo particolare stato mentale "è più facile convincerli che facendosi esplodere potranno morire da martiri". Non solo, infatti da quanto emerge lo Stato Islamico avrebbe sviluppato "un commando di azione esterna addestrato per attacchi stile forze speciali nello scenario internazionale".
Il rapporto Europol spiega che "gli attacchi di Parigi e le indagini sembrano indicare un passaggio verso una strategia più ampia di globalizzazione dell'Isis, di attacchi in modo specifico contro la Francia, ma anche la possibilità di attacchi contro altri Stati membri Ue in un prossimo futuro". Ebbene sì, la Francia sarebbe ancora nel mirino dei terroristi: "Ci sono tutte le ragioni per aspettarsi che l'Isis, o terroristi che si ispirano all'Isis o un altro gruppo terroristico ispirato da motivi religiosi, possa condurre di nuovo un attacco in Europa, in particolare in Francia, con lo scopo di provocare morti di massa tra la popolazione civile".
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/nuo ... 16590.html
Isis pronta a nuovi attacchi:
5mila i foreign fighters in Ue
L'allarme dell'Europol: "Ci saranno attentati su larga scala in tutta Europa". Nel mirino soprattutto la Francia
di Marco Vassallo
21 minuti fa
La strategia dell'Isis "sta diventando globale". È quello che emerge dal rapporto dell’Europol, l'ufficio di Polizia Europeo, diramato a margine della riunione informale dei ministri degli Interni dell’Unione europea.
Secondo il documento ci sarebbero 5 mila foreign fighters, tutti uniti e pronti a colpire l'Europa. Un'allarme vero e proprio. Secondo gli esperti gli jihadisti starebbero "preparando nuovi attacchi terroristici, anche nello stile di quello recente a Mumbai, da attuare nell’Ue e in particolare in Francia". Inoltre "gli attacchi saranno anzitutto diretti a obiettivi ordinari, per sfruttare l’impatto che questo genera".
Torna quindi la paura attentanti, lo stesso direttore di Europol Rob Wainwright ha confermato quello che si legge nel documento. "L'Isis sta programmando attacchi su larga scala in Europa". Come se non bastasse, secondo le analisi, i terroristi "hanno una forte capacità di mettere a segno attentati su larga scala" spiega Wainwright.
Torna quindi la paura attentati, ma sappiamo contro chi combattiamo. L'Europa prova a reagire alla paura. Come? Attraverso il centro antiterrorismo europeo (Ect). Dalle varie capitali europee arrivano dai 40-50 esperti in seno a Europol. Gli obiettvi sono chiari e semplici: coordinamento fra le Intelligence, la creazione di un data base comune e il sostegno alle inchieste nazionali sui casi di terrorismo. E la conferma del lavoro arriva ancora dal direttore di Europol: "Tutti i Paesi Ue lavorano per prevenire".
Stando alle stime di Europol, i foreign fighters schedati nei database dell’Intelligence europeo sarebbero 3700. Oltre al numero che di per sé è allarmante, il fattore che preoccupa di più gli esperti emerge dalle analisi sul comportamento. Personaggi "attenti allo stile europeo" che in molti casi, come si legge sul rapporto della polizia europea, "almeno uno su cinque è stata diagnostica una malattia mentale, mentre l’80% ha avuto precedenti penali".
Dettaglio che non viene trascurato dall'intellicence e nemmeno da possibili reclutatori che "è possibile usino questi indicatori per fare proseliti". Infatti con questo particolare stato mentale "è più facile convincerli che facendosi esplodere potranno morire da martiri". Non solo, infatti da quanto emerge lo Stato Islamico avrebbe sviluppato "un commando di azione esterna addestrato per attacchi stile forze speciali nello scenario internazionale".
Il rapporto Europol spiega che "gli attacchi di Parigi e le indagini sembrano indicare un passaggio verso una strategia più ampia di globalizzazione dell'Isis, di attacchi in modo specifico contro la Francia, ma anche la possibilità di attacchi contro altri Stati membri Ue in un prossimo futuro". Ebbene sì, la Francia sarebbe ancora nel mirino dei terroristi: "Ci sono tutte le ragioni per aspettarsi che l'Isis, o terroristi che si ispirano all'Isis o un altro gruppo terroristico ispirato da motivi religiosi, possa condurre di nuovo un attacco in Europa, in particolare in Francia, con lo scopo di provocare morti di massa tra la popolazione civile".
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Corriere 25.1.16
Un Islam disunito non può battere l’Isis
risponde Sergio Romano
Le faccio una domanda breve: com’è possibile che Siria e Iraq (soprattutto la Siria) con eserciti che comprendono decine di migliaia di soldati, dotati di armamenti moderni e di aviazioni che sono dotate di aeromobili di ultima o penultima generazione, non riescano ad avere ragione dei tagliagole dell’Isis, numericamente inferiori, in uomini e mezzi?
Lamberto Gori
Caro Gori,
Occorre anzitutto una premessa. I conflitti medio-orientali, in questo momento, non sono mai esclusivamente politici e territoriali. Sono anche, contemporaneamente, religiosi. Il grande revival musulmano degli ultimi decenni ha avuto l’effetto di riattizzare il fuoco, mai completamente spento, dell’antica faida tra sunniti e sciiti sulla legittima discendenza del Profeta. Può accadere quindi che due forze si combattano per l’esercizio del potere ma abbiano, ciascuna nel proprio campo, una componente religiosa, diversa da quella del gruppo dirigente, per la quale i legami confessionali sono più importanti del rapporto di cittadinanza.
È il caso della Siria dove il presidente Bashar Al Assad può contare sulla fedeltà dei suoi confratelli alauiti (una branca della grande famiglia sciita), ma deve guardarsi le spalle dai suoi cittadini sunniti. Era il caso dell’Iraq di Saddam Hussein, dove il dittatore poteva contare sulle tribù sunnite, ma doveva tenere a bada la maggioranza sciita.
L’Isis è indubbiamente una feroce organizzazione terroristica, ma è sunnita e può contare sulla simpatia, se non addirittura complicità, delle potenze sunnite, soprattutto quando si batte contro un nemico sostenuto direttamente o indirettamente dal regime sciita di Teheran. Abbiamo assistito così, in questi ultimi tempi, a situazioni che sono per noi paradossali. La Turchia combatte il terrorismo curdo all’interno dei propri confini, ma ha chiuso gli occhi per molto tempo sui volontari islamisti (i foreign fighters ) che attraversavano la frontiera turco-siriana per andare a combattere contro gli alauiti di Bashar Al Assad.
L’Arabia Saudita sostiene che l’Iran «esporta terrorismo» (lo ha detto ancora una volta il 21 gennaio con un articolo del suo ministro degli Esteri apparso sull’ International New York Times ), ma non ha fatto mancare la sua assistenza ad alcuni esponenti dell’estremismo sunnita. Il governo sciita iracheno ha un evidente interesse a combattere l’Isis sul proprio territorio, ma a Mossul, nell’estate del 2014, non ha potuto contare sui quadri sunniti del suo esercito.
Sono queste, caro Gori, le ragioni per cui eserciti relativamente moderni e bene armati non sono ancora riusciti a neutralizzare le formazioni dell’Isis in Iraq e in Siria.
La situazione cambierebbe forse se un incontro al vertice fra religiosi sunniti e sciiti proclamasse al mondo che l’Isis è il nemico di tutti.
Corriere 25.1.16
Un Islam disunito non può battere l’Isis
risponde Sergio Romano
Le faccio una domanda breve: com’è possibile che Siria e Iraq (soprattutto la Siria) con eserciti che comprendono decine di migliaia di soldati, dotati di armamenti moderni e di aviazioni che sono dotate di aeromobili di ultima o penultima generazione, non riescano ad avere ragione dei tagliagole dell’Isis, numericamente inferiori, in uomini e mezzi?
Lamberto Gori
Caro Gori,
Occorre anzitutto una premessa. I conflitti medio-orientali, in questo momento, non sono mai esclusivamente politici e territoriali. Sono anche, contemporaneamente, religiosi. Il grande revival musulmano degli ultimi decenni ha avuto l’effetto di riattizzare il fuoco, mai completamente spento, dell’antica faida tra sunniti e sciiti sulla legittima discendenza del Profeta. Può accadere quindi che due forze si combattano per l’esercizio del potere ma abbiano, ciascuna nel proprio campo, una componente religiosa, diversa da quella del gruppo dirigente, per la quale i legami confessionali sono più importanti del rapporto di cittadinanza.
È il caso della Siria dove il presidente Bashar Al Assad può contare sulla fedeltà dei suoi confratelli alauiti (una branca della grande famiglia sciita), ma deve guardarsi le spalle dai suoi cittadini sunniti. Era il caso dell’Iraq di Saddam Hussein, dove il dittatore poteva contare sulle tribù sunnite, ma doveva tenere a bada la maggioranza sciita.
L’Isis è indubbiamente una feroce organizzazione terroristica, ma è sunnita e può contare sulla simpatia, se non addirittura complicità, delle potenze sunnite, soprattutto quando si batte contro un nemico sostenuto direttamente o indirettamente dal regime sciita di Teheran. Abbiamo assistito così, in questi ultimi tempi, a situazioni che sono per noi paradossali. La Turchia combatte il terrorismo curdo all’interno dei propri confini, ma ha chiuso gli occhi per molto tempo sui volontari islamisti (i foreign fighters ) che attraversavano la frontiera turco-siriana per andare a combattere contro gli alauiti di Bashar Al Assad.
L’Arabia Saudita sostiene che l’Iran «esporta terrorismo» (lo ha detto ancora una volta il 21 gennaio con un articolo del suo ministro degli Esteri apparso sull’ International New York Times ), ma non ha fatto mancare la sua assistenza ad alcuni esponenti dell’estremismo sunnita. Il governo sciita iracheno ha un evidente interesse a combattere l’Isis sul proprio territorio, ma a Mossul, nell’estate del 2014, non ha potuto contare sui quadri sunniti del suo esercito.
Sono queste, caro Gori, le ragioni per cui eserciti relativamente moderni e bene armati non sono ancora riusciti a neutralizzare le formazioni dell’Isis in Iraq e in Siria.
La situazione cambierebbe forse se un incontro al vertice fra religiosi sunniti e sciiti proclamasse al mondo che l’Isis è il nemico di tutti.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
28 gen 2016 13:26
TRIPOLI, BEL SUOL D’ORRORE
- RENZI: “L' ITALIA È PRONTA ALLA GUERRA IN LIBIA CONTRO L’ISIS”
- L' OFFENSIVA NASCERÀ SOTTO FORMA DI RAID AEREI
- PREOCCUPATO DAI SONDAGGI E DAL RISCHIO ATTENTATI, IL PREMIER VUOLE EVITARE UN COINVOLGIMENTO DEI NOSTRI SOLDATI NEGLI SCONTRI DI TERRA -
Il governo ha già stanziato i soldi: 600 milioni per finanziare l’intervento - Il New York Times fa sapere che secondo i funzionari di Washington "la campagna in Libia potrebbe iniziare nel giro di settimane”-Il silenzio davanti al Parlamento di Renzi e del ministro della Difesa Pinotti, anziché tranquillizzare inquieta... -
Fausto Carioti per “Libero Quotidiano”
L' Italia sta per andare in guerra in Libia contro l' Isis.
Il giorno dopo le rivelazioni pubblicate dal New York Times e riprese da Libero ed altri quotidiani, a Roma si raccolgono solo conferme: l' accordo politico con gli Stati Uniti è stato raggiunto (ovviamente all' insaputa del Parlamento), i dettagli operativi sono pronti da tempo e i soldi per finanziare l' intervento, almeno nella fase iniziale, sono già stati accantonati.
Lo stesso premier, Matteo Renzi, intervistato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, avverte che ormai manca poco: «L' Italia è pronta, perché non possiamo permettere il terrore in un Paese che è a poche miglia nautiche dall' Europa».
Imbeccato dall' amministrazione statunitense, due giorni fa il New York Times ha riportato che secondo i funzionari di Washington «la campagna in Libia potrebbe iniziare nel giro di settimane. Prevedono che sia condotta con l' aiuto di un manipolo di alleati europei, tra cui Gran Bretagna, Francia e Italia».
L' offensiva militare nascerà sotto forma di intervento aereo, per creare una barriera che divida i combattenti dell' Isis in Libia dai loro colleghi mujaheddin in nord Africa e nell' Africa subsahariana.
Ma, avverte lo stesso quotidiano, «anche se il Pentagono e i suoi alleati dovessero riuscire a colpire gli obiettivi dello stato islamico con successo, non vi è certezza sulla presenza di una forza di terra affidabile in grado di controllare il terreno».
Così la condotta della guerra passerebbe dai piloti ai soldati e la curva delle vittime s' impennerebbe.
Ieri avrebbe dovuto essere il giorno delle smentite.
E invece non ce n' è stata manco una. Ci sono stati invece imbarazzi e qualche ammissione.
Tra gli imbarazzati il ministro dell' Interno, Angelino Alfano, che pesa le parole ma non esclude nulla: «Non c' è alcuna decisione presa e tenuta nascosta.
Qualora dovesse esserci avverrebbe nel massimo della trasparenza, di fronte al Parlamento e al paese».
A rompere gli indugi, in serata, provvede Renzi dicendo alla Faz che il sostegno militare potrà essere dato a «un governo libico riconosciuto a livello internazionale» e che l' Italia non sarà sola, ma farà «la sua parte nell' ambito di una operazione internazionale».
I soldi che potrebbero servire a finanziare l' intervento militare sono già stati messi da parte, senza clamori e saltando a piè pari la Commissione Difesa.
Il Pd Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, spiega infatti che «i margini sulla flessibilità concessi nella legge di stabilità 2016 sono stati in parte dirottati, per oltre 600 milioni, su un apposito fondo della presidenza del Consiglio che può essere utilizzato per ogni evenienza, tra cui le missioni internazionali ed eventuali nuovi impegni militari».
E si tratta di risorse aggiuntive rispetto ai 930 milioni già stanziati nel fondo missioni internazionali.
C' è di più. Secondo quanto risulta a Libero, la campagna di Libia coordinata dagli americani con Italia, Francia e pochi altri Paesi è in gestazione da tempo.
Non solo sotto l' aspetto politico, ma anche dal punto di vista operativo: si può partire in qualunque momento.
Benché all' inizio fosse riluttante all' idea di un coinvolgimento diretto, il governo italiano si è deciso a intervenire innanzitutto perché la presenza stabile dello stato islamico in Libia rappresenta un pericolo elevatissimo per la sicurezza del nostro Paese. Se c' erano dubbi residui, l' estendersi del contagio islamista alla Tunisia li ha spazzati via.
Il resto delle motivazioni le fornisce la competizione con la Francia: Roma, per i rapporti politici e commerciali che ha con Egitto, Algeria e Tunisia, non può permettersi di lasciare campo libero a Parigi. Fonti vicine alle trattative confermano che ormai è tutto pronto e si attendono solo le condizioni politiche minime per avviare l' operazione: l' insediamento di un governo di unità nazionale libico bisognoso di aiuto militare sarebbe la giustificazione perfetta.
Anche se sarà presentata all' opinione pubblica in tutt' altro modo, la sfida militare si annuncia lunga e difficile e la strategia che dovrà guidarla non è ancora chiara. Preoccupato com' è per i sondaggi e il rischio di attentati, l' ultima cosa che si augura Renzi è un coinvolgimento dei soldati italiani negli scontri di terra. Eventualità che per ora non è prevista.
Ma alla prova dei fatti tutto dipenderà dall' andamento del conflitto: se gli altri saranno costretti a scendere dall' aereo per mettere gli scarponi sul terreno e affiancare l' esercito libico contro l' Isis, sarà difficile per noi tirarci indietro.
Intanto il silenzio davanti al Parlamento di Renzi e del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, anziché tranquillizzare inquieta.
TRIPOLI, BEL SUOL D’ORRORE
- RENZI: “L' ITALIA È PRONTA ALLA GUERRA IN LIBIA CONTRO L’ISIS”
- L' OFFENSIVA NASCERÀ SOTTO FORMA DI RAID AEREI
- PREOCCUPATO DAI SONDAGGI E DAL RISCHIO ATTENTATI, IL PREMIER VUOLE EVITARE UN COINVOLGIMENTO DEI NOSTRI SOLDATI NEGLI SCONTRI DI TERRA -
Il governo ha già stanziato i soldi: 600 milioni per finanziare l’intervento - Il New York Times fa sapere che secondo i funzionari di Washington "la campagna in Libia potrebbe iniziare nel giro di settimane”-Il silenzio davanti al Parlamento di Renzi e del ministro della Difesa Pinotti, anziché tranquillizzare inquieta... -
Fausto Carioti per “Libero Quotidiano”
L' Italia sta per andare in guerra in Libia contro l' Isis.
Il giorno dopo le rivelazioni pubblicate dal New York Times e riprese da Libero ed altri quotidiani, a Roma si raccolgono solo conferme: l' accordo politico con gli Stati Uniti è stato raggiunto (ovviamente all' insaputa del Parlamento), i dettagli operativi sono pronti da tempo e i soldi per finanziare l' intervento, almeno nella fase iniziale, sono già stati accantonati.
Lo stesso premier, Matteo Renzi, intervistato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, avverte che ormai manca poco: «L' Italia è pronta, perché non possiamo permettere il terrore in un Paese che è a poche miglia nautiche dall' Europa».
Imbeccato dall' amministrazione statunitense, due giorni fa il New York Times ha riportato che secondo i funzionari di Washington «la campagna in Libia potrebbe iniziare nel giro di settimane. Prevedono che sia condotta con l' aiuto di un manipolo di alleati europei, tra cui Gran Bretagna, Francia e Italia».
L' offensiva militare nascerà sotto forma di intervento aereo, per creare una barriera che divida i combattenti dell' Isis in Libia dai loro colleghi mujaheddin in nord Africa e nell' Africa subsahariana.
Ma, avverte lo stesso quotidiano, «anche se il Pentagono e i suoi alleati dovessero riuscire a colpire gli obiettivi dello stato islamico con successo, non vi è certezza sulla presenza di una forza di terra affidabile in grado di controllare il terreno».
Così la condotta della guerra passerebbe dai piloti ai soldati e la curva delle vittime s' impennerebbe.
Ieri avrebbe dovuto essere il giorno delle smentite.
E invece non ce n' è stata manco una. Ci sono stati invece imbarazzi e qualche ammissione.
Tra gli imbarazzati il ministro dell' Interno, Angelino Alfano, che pesa le parole ma non esclude nulla: «Non c' è alcuna decisione presa e tenuta nascosta.
Qualora dovesse esserci avverrebbe nel massimo della trasparenza, di fronte al Parlamento e al paese».
A rompere gli indugi, in serata, provvede Renzi dicendo alla Faz che il sostegno militare potrà essere dato a «un governo libico riconosciuto a livello internazionale» e che l' Italia non sarà sola, ma farà «la sua parte nell' ambito di una operazione internazionale».
I soldi che potrebbero servire a finanziare l' intervento militare sono già stati messi da parte, senza clamori e saltando a piè pari la Commissione Difesa.
Il Pd Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, spiega infatti che «i margini sulla flessibilità concessi nella legge di stabilità 2016 sono stati in parte dirottati, per oltre 600 milioni, su un apposito fondo della presidenza del Consiglio che può essere utilizzato per ogni evenienza, tra cui le missioni internazionali ed eventuali nuovi impegni militari».
E si tratta di risorse aggiuntive rispetto ai 930 milioni già stanziati nel fondo missioni internazionali.
C' è di più. Secondo quanto risulta a Libero, la campagna di Libia coordinata dagli americani con Italia, Francia e pochi altri Paesi è in gestazione da tempo.
Non solo sotto l' aspetto politico, ma anche dal punto di vista operativo: si può partire in qualunque momento.
Benché all' inizio fosse riluttante all' idea di un coinvolgimento diretto, il governo italiano si è deciso a intervenire innanzitutto perché la presenza stabile dello stato islamico in Libia rappresenta un pericolo elevatissimo per la sicurezza del nostro Paese. Se c' erano dubbi residui, l' estendersi del contagio islamista alla Tunisia li ha spazzati via.
Il resto delle motivazioni le fornisce la competizione con la Francia: Roma, per i rapporti politici e commerciali che ha con Egitto, Algeria e Tunisia, non può permettersi di lasciare campo libero a Parigi. Fonti vicine alle trattative confermano che ormai è tutto pronto e si attendono solo le condizioni politiche minime per avviare l' operazione: l' insediamento di un governo di unità nazionale libico bisognoso di aiuto militare sarebbe la giustificazione perfetta.
Anche se sarà presentata all' opinione pubblica in tutt' altro modo, la sfida militare si annuncia lunga e difficile e la strategia che dovrà guidarla non è ancora chiara. Preoccupato com' è per i sondaggi e il rischio di attentati, l' ultima cosa che si augura Renzi è un coinvolgimento dei soldati italiani negli scontri di terra. Eventualità che per ora non è prevista.
Ma alla prova dei fatti tutto dipenderà dall' andamento del conflitto: se gli altri saranno costretti a scendere dall' aereo per mettere gli scarponi sul terreno e affiancare l' esercito libico contro l' Isis, sarà difficile per noi tirarci indietro.
Intanto il silenzio davanti al Parlamento di Renzi e del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, anziché tranquillizzare inquieta.
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