Giustizia e (in)giustizia
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Re: Giustizia e (in)giustizia
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Articolo 21 - INTERNI
"Dalla P2 alla P3. Un sistema di potere politico-affaristico che viene da lontano e stravolge la Costituzione"
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di Gianni Rossi
Oggi è Presidente del movimento Libertà e giustizia, ma per molti anni è stata una giornalista di punta per le inchieste proprio sulla P2, la massoneria deviata e gli intrighi di palazzo, prima a Panorama e poi a La Repubblica. Questa è Sandra Bonsanti, con la quale abbiamo condiviso un percorso professionale proprio tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, a cercare di far luce sui “misteri” d’Italia. E con chi, se non con lei, potevamo conversare sugli ultimi scandali del potere politico, affaristico, di questi giorni che sta coinvolgendo il regime berlusconiano?
Sandra, che effetto ti fa risentire parlare di P2 e P3, a 30 anni dagli scandali che seguisti come giornalista? Credi che quel sistema non sia mai stato smantellato o siamo ad una nuova organizzazione?
“Sicuramente quel sistema non è stato mai smantellato del tutto. Però, quello che vediamo adesso non è la stessa cosa di allora. E’ diverso, può sembrare più da “poveracci”, ma questo non significa che sia meno pericolosa o che in questo momento non sia in grado di produrre danni molto gravi ad un sistema sotto pressione e assolutamente minacciato giorno dopo giorno da quella che era proprio la vecchia P2. E’ un qualcosa che si aggiunge a quello che c’era allora.”
Massoneria deviata, mafia e politica d’affari è un intreccio sempre presente nella storia italiana. Perché secondo te?
“E’ vero quello che tu dici, anche se molto complesso. Spesso si è tentato di “nobilitare” questa “devianza”, facendo riferimento a situazioni internazionali come la guerra fredda o il fatto che in Italia ci fosse il maggiore e più potente partito comunista europeo e, quindi, la necessità di non mutare gli equilibri atlantici, riconosciuti da quell’epoca. Credo che non fosse così, ma anche se c’era qualcosa di simile, in realtà si è nobilitata una vicenda molto più legata a cose italiane: come la guerra tra bande nella vecchia DC, tipo una perenne rincorsa al potere, come dispensatore di ricchezze e di vantaggi politici. Questo, purtroppo, deriva anche dalla scarsa sensibilità istituzionale che c’è in Italia, dal fatto che non si è saputo insegnare il rispetto per la Costituzione, già a partire dalla sua nascita fino alla fine del Novecento. E’ una responsabilità che la classe politica ma anche la società civile, la scuola, noi giornalisti ci portiamo dietro. Tutti noi siamo un po’ responsabili di questo degrado di cultura istituzionale. Solo se ci rendiamo conto di questa responsabilità, potremo forse cambiare il passo per il futuro, di rappresentare una speranza per i giovani. Non siamo stati abbastanza severi con noi stessi e con la classe politica, che stava tradendo l’ispirazione iniziale insita nella Costituzione.”
Come è possibile che 30 anni dopo alcuni personaggi, che manovravano dietro quel sistema, ancora circolino ed abbiano credibilità nella politica affaristica?
“E’ accaduto appunto perché siamo passati da un Presidente della Repubblica come Sandro Peritni, che non riceveva personalità che fossero ritenuti amici o conoscenti di Gelli, ad una fase di rilassamento. La P2 in tutti questi anni “si è inabissata”, come fa la mafia, e ha aspettato tempi migliori, ripresentandoci il suo progetto di Rinascita pari pari. E in gran parte riuscendo a realizzarlo, cosa che no era riuscito a Licio Gelli.”
Ci sono stati errori di comportamento e anche di mancate leggi da parte dell’opposizione democratica, dal tempo della P2 a tangentopoli, fino a questo periodo di regime berlusconiano? Insomma cosa fare per cambiare lo stato delle cose?
“Errori legislativi macroscopici ne sono stati fatti: come quello di non far approvare la legge sul conflitto di interessi e di pensare che non interessasse all’opinione pubblica. Adesso, si vede che non era una cosa astratta, ma concreta. Senza quella legge la RAI da servizio pubblico è passata al servizio del governo, significa l’impossibilità di informare correttamente. Lo stesso disegno di legge Alfano sulle intercettazioni è figlia di questa cecità dell’opposizione. Non voglio infierire, ma penso che l’aver abbassato l’attenzione da parte dell’opposizione ci abbia portato a questa situazione. Temo che ci siano state anche solidarietà oscure. La storia con la “S” maiuscola sarà spietata, quando verrà ricostruita questa vicenda, sia con gli attuali vincitori sia con gli oppositori morbidi. E forse noi giornalisti e membri della società civile ci porteremo dietro il rimorso di non aver fatto tutto quello che potevamo fare.”
http://archivio.articolo21.org/1488/not ... otere.html
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Articolo 21 - INTERNI
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di Gianni Rossi
Oggi è Presidente del movimento Libertà e giustizia, ma per molti anni è stata una giornalista di punta per le inchieste proprio sulla P2, la massoneria deviata e gli intrighi di palazzo, prima a Panorama e poi a La Repubblica. Questa è Sandra Bonsanti, con la quale abbiamo condiviso un percorso professionale proprio tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, a cercare di far luce sui “misteri” d’Italia. E con chi, se non con lei, potevamo conversare sugli ultimi scandali del potere politico, affaristico, di questi giorni che sta coinvolgendo il regime berlusconiano?
Sandra, che effetto ti fa risentire parlare di P2 e P3, a 30 anni dagli scandali che seguisti come giornalista? Credi che quel sistema non sia mai stato smantellato o siamo ad una nuova organizzazione?
“Sicuramente quel sistema non è stato mai smantellato del tutto. Però, quello che vediamo adesso non è la stessa cosa di allora. E’ diverso, può sembrare più da “poveracci”, ma questo non significa che sia meno pericolosa o che in questo momento non sia in grado di produrre danni molto gravi ad un sistema sotto pressione e assolutamente minacciato giorno dopo giorno da quella che era proprio la vecchia P2. E’ un qualcosa che si aggiunge a quello che c’era allora.”
Massoneria deviata, mafia e politica d’affari è un intreccio sempre presente nella storia italiana. Perché secondo te?
“E’ vero quello che tu dici, anche se molto complesso. Spesso si è tentato di “nobilitare” questa “devianza”, facendo riferimento a situazioni internazionali come la guerra fredda o il fatto che in Italia ci fosse il maggiore e più potente partito comunista europeo e, quindi, la necessità di non mutare gli equilibri atlantici, riconosciuti da quell’epoca. Credo che non fosse così, ma anche se c’era qualcosa di simile, in realtà si è nobilitata una vicenda molto più legata a cose italiane: come la guerra tra bande nella vecchia DC, tipo una perenne rincorsa al potere, come dispensatore di ricchezze e di vantaggi politici. Questo, purtroppo, deriva anche dalla scarsa sensibilità istituzionale che c’è in Italia, dal fatto che non si è saputo insegnare il rispetto per la Costituzione, già a partire dalla sua nascita fino alla fine del Novecento. E’ una responsabilità che la classe politica ma anche la società civile, la scuola, noi giornalisti ci portiamo dietro. Tutti noi siamo un po’ responsabili di questo degrado di cultura istituzionale. Solo se ci rendiamo conto di questa responsabilità, potremo forse cambiare il passo per il futuro, di rappresentare una speranza per i giovani. Non siamo stati abbastanza severi con noi stessi e con la classe politica, che stava tradendo l’ispirazione iniziale insita nella Costituzione.”
Come è possibile che 30 anni dopo alcuni personaggi, che manovravano dietro quel sistema, ancora circolino ed abbiano credibilità nella politica affaristica?
“E’ accaduto appunto perché siamo passati da un Presidente della Repubblica come Sandro Peritni, che non riceveva personalità che fossero ritenuti amici o conoscenti di Gelli, ad una fase di rilassamento. La P2 in tutti questi anni “si è inabissata”, come fa la mafia, e ha aspettato tempi migliori, ripresentandoci il suo progetto di Rinascita pari pari. E in gran parte riuscendo a realizzarlo, cosa che no era riuscito a Licio Gelli.”
Ci sono stati errori di comportamento e anche di mancate leggi da parte dell’opposizione democratica, dal tempo della P2 a tangentopoli, fino a questo periodo di regime berlusconiano? Insomma cosa fare per cambiare lo stato delle cose?
“Errori legislativi macroscopici ne sono stati fatti: come quello di non far approvare la legge sul conflitto di interessi e di pensare che non interessasse all’opinione pubblica. Adesso, si vede che non era una cosa astratta, ma concreta. Senza quella legge la RAI da servizio pubblico è passata al servizio del governo, significa l’impossibilità di informare correttamente. Lo stesso disegno di legge Alfano sulle intercettazioni è figlia di questa cecità dell’opposizione. Non voglio infierire, ma penso che l’aver abbassato l’attenzione da parte dell’opposizione ci abbia portato a questa situazione. Temo che ci siano state anche solidarietà oscure. La storia con la “S” maiuscola sarà spietata, quando verrà ricostruita questa vicenda, sia con gli attuali vincitori sia con gli oppositori morbidi. E forse noi giornalisti e membri della società civile ci porteremo dietro il rimorso di non aver fatto tutto quello che potevamo fare.”
http://archivio.articolo21.org/1488/not ... otere.html
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Re: Giustizia e (in)giustizia
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P3 (inchiesta)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Con il termine P3 si fa riferimento ad una inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura della Repubblica di Roma su una presunta associazione segreta.
Secondo la procura la presunta associazione sarebbe finalizzata al pilotaggio di appalti, sentenze e al dossieraggio. Nel registro degli indagati stilato dalla procura figurano l'ex-coordinatore del PdL Denis Verdini, il senatore Marcello Dell'Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, il coordinatore del PdL in Campania Nicola Cosentino, il faccendiere Flavio Carboni, l'imprenditore Arcangelo Martino e il magistrato tributarista Pasquale Lombardi. Questi ultimi tre, arrestati l'8 luglio 2010, vengono considerati i vertici dell'organizzazione.
L'inizio delle indagini
Nel maggio 2010, il faccendiere sardo Flavio Carboni, già imputato durante il processo Calvi, viene indagato per concorso in corruzione, nell'ambito di un'inchiesta sugli appalti per l'energia eolica in Sardegna, insieme ad alcuni personaggi di spicco della politica locale e nazionale. Secondo gli investigatori Carboni avrebbe influenzato decisioni riguardanti il settore delle energie rinnovabili, arrivando a indicare la nomina del presidente dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, Ignazio Farris, anch'egli indagato. Dalle indagini emersero diversi incontri tra gli indagati, alcuni dei quali, secondo lo stesso Carboni, alla presenza del senatore Marcello Dell'Utri.[2] Ulteriori sviluppi hanno in seguito portato i magistrati inquirenti a ipotizzare i reati di riciclaggio e associazione per delinquere, in relazione alla scoperta di consistenti fondi (circa cinque milioni di euro) provenienti da aziende collegate alla criminalità organizzata.[3]
L'8 luglio 2010 Carboni, Martino e Lombardi vengono arrestati. Il gip giustifica l'ordinanza affermando che la sfera di influenza di Carboni non agiva solamente con iniziative volte a realizzare impianti di produzione di energia eolica in Sardegna, ottenendo la nomina di persone a lui gradite e in contatto con Cappellacci e Verdini. Sempre secondo il gip, infatti, Carboni avrebbe più volte, coadiuvato da Arcangelo Martino e dall'ex componente di commissioni tributarie Pasquale Lombardi, provato a entrare nell'attività delle istituzioni, anche per quanto riguarda le decisioni giudiziarie. Nel settembre 2009 Carboni avrebbe fatto pressioni sui giudici della Corte Costituzionale per essere a conoscenza in anticipo dell'esito della sentenza sul Lodo Alfano, legge che prevedeva la sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato, tra le quali il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Carboni, a questo fine, avrebbe dato vita, nel marzo 2010, a riunioni private con Verdini, Dell'Utri, il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo e i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Carboni avrebbe agito per sostenere la riammissione della lista del Pdl del candidato di centrodestra per le elezioni regionali del 2010 e presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni presso il TAR e, sempre per quanto riguarda le elezioni regionali italiane del 2010, tentando di supportare Nicola Cosentino come candidato presidente della Campania, screditando allo stesso tempo l'altro possibile candidato, oggi Presidente della Regione, Stefano Caldoro, attraverso la realizzazione di dossier su presunte frequentazioni di transessuali da parte dello stesso presidente della regione. Gli accusati sono sospettati anche di aver favorito la promozione a presidente della Corte d'appello di Milano del pm Alfonso Marra.[4]
La chiusura dell'inchiesta
Nell'agosto 2011 la Procura delle Repubblica di Roma annuncia di aver chiuso l'inchiesta (così denominata dalla stampa, in riferimento alla loggia P2 di Licio Gelli). Risultano indagati, oltre a Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi anche Denis Verdini, Marcello Dell'Utri, Ugo Cappellacci, Giacomo Caliendo e Nicola Cosentino.
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P3 (inchiesta)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Con il termine P3 si fa riferimento ad una inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura della Repubblica di Roma su una presunta associazione segreta.
Secondo la procura la presunta associazione sarebbe finalizzata al pilotaggio di appalti, sentenze e al dossieraggio. Nel registro degli indagati stilato dalla procura figurano l'ex-coordinatore del PdL Denis Verdini, il senatore Marcello Dell'Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, il coordinatore del PdL in Campania Nicola Cosentino, il faccendiere Flavio Carboni, l'imprenditore Arcangelo Martino e il magistrato tributarista Pasquale Lombardi. Questi ultimi tre, arrestati l'8 luglio 2010, vengono considerati i vertici dell'organizzazione.
L'inizio delle indagini
Nel maggio 2010, il faccendiere sardo Flavio Carboni, già imputato durante il processo Calvi, viene indagato per concorso in corruzione, nell'ambito di un'inchiesta sugli appalti per l'energia eolica in Sardegna, insieme ad alcuni personaggi di spicco della politica locale e nazionale. Secondo gli investigatori Carboni avrebbe influenzato decisioni riguardanti il settore delle energie rinnovabili, arrivando a indicare la nomina del presidente dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, Ignazio Farris, anch'egli indagato. Dalle indagini emersero diversi incontri tra gli indagati, alcuni dei quali, secondo lo stesso Carboni, alla presenza del senatore Marcello Dell'Utri.[2] Ulteriori sviluppi hanno in seguito portato i magistrati inquirenti a ipotizzare i reati di riciclaggio e associazione per delinquere, in relazione alla scoperta di consistenti fondi (circa cinque milioni di euro) provenienti da aziende collegate alla criminalità organizzata.[3]
L'8 luglio 2010 Carboni, Martino e Lombardi vengono arrestati. Il gip giustifica l'ordinanza affermando che la sfera di influenza di Carboni non agiva solamente con iniziative volte a realizzare impianti di produzione di energia eolica in Sardegna, ottenendo la nomina di persone a lui gradite e in contatto con Cappellacci e Verdini. Sempre secondo il gip, infatti, Carboni avrebbe più volte, coadiuvato da Arcangelo Martino e dall'ex componente di commissioni tributarie Pasquale Lombardi, provato a entrare nell'attività delle istituzioni, anche per quanto riguarda le decisioni giudiziarie. Nel settembre 2009 Carboni avrebbe fatto pressioni sui giudici della Corte Costituzionale per essere a conoscenza in anticipo dell'esito della sentenza sul Lodo Alfano, legge che prevedeva la sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato, tra le quali il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Carboni, a questo fine, avrebbe dato vita, nel marzo 2010, a riunioni private con Verdini, Dell'Utri, il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo e i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Carboni avrebbe agito per sostenere la riammissione della lista del Pdl del candidato di centrodestra per le elezioni regionali del 2010 e presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni presso il TAR e, sempre per quanto riguarda le elezioni regionali italiane del 2010, tentando di supportare Nicola Cosentino come candidato presidente della Campania, screditando allo stesso tempo l'altro possibile candidato, oggi Presidente della Regione, Stefano Caldoro, attraverso la realizzazione di dossier su presunte frequentazioni di transessuali da parte dello stesso presidente della regione. Gli accusati sono sospettati anche di aver favorito la promozione a presidente della Corte d'appello di Milano del pm Alfonso Marra.[4]
La chiusura dell'inchiesta
Nell'agosto 2011 la Procura delle Repubblica di Roma annuncia di aver chiuso l'inchiesta (così denominata dalla stampa, in riferimento alla loggia P2 di Licio Gelli). Risultano indagati, oltre a Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi anche Denis Verdini, Marcello Dell'Utri, Ugo Cappellacci, Giacomo Caliendo e Nicola Cosentino.
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Re: Giustizia e (in)giustizia
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Chiusa l'inchiesta sulla P3
"Era una società segreta"
http://www.repubblica.it/cronaca/2011/0 ... -20164965/
^^^^^^^
Non solo l'eolico nella grande rete di Verdini
L'indagine sugli affari in Sardegna si allarga
http://www.lastampa.it/2010/05/08/itali ... agina.html
^^^^^^^
Il gip: «Carboni cercò di influire sulla
Consulta per la decisione su Lodo Alfano»
«Incontro da Verdini per stabilire la strategia». Pressioni anche per far riammettere la Lista Formigoni.
In 60 pagine l'ordinanza di custodia cautelare in carcere
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cr ... 8853.shtml
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Chiusa l'inchiesta sulla P3
"Era una società segreta"
http://www.repubblica.it/cronaca/2011/0 ... -20164965/
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Non solo l'eolico nella grande rete di Verdini
L'indagine sugli affari in Sardegna si allarga
http://www.lastampa.it/2010/05/08/itali ... agina.html
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Il gip: «Carboni cercò di influire sulla
Consulta per la decisione su Lodo Alfano»
«Incontro da Verdini per stabilire la strategia». Pressioni anche per far riammettere la Lista Formigoni.
In 60 pagine l'ordinanza di custodia cautelare in carcere
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cr ... 8853.shtml
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Re: Giustizia e (in)giustizia
Renzi primo: prodromi e tendenze
Posted in Comune&Metropoli
Renzi primo: prodromi e tendenze
di AOMAME HARUKI.
Proseguiamo la discussione sul renzismo aperta dal → testo di Marco Bascetta.
“Renzi è circondato, però, da mezze tacche: gli ex lacchè di Berlusconi. (…) Schifani, Alfano: personaggi non certo di livello. Berlusconi ha sbagliato con le giovani donne, ma soprattutto circondandosi di personaggi di bassa levatura… Penso a Verdini, un mediocre uomo di finanza; è un massone… credo, ma non della nostra squadra”. (Licio Gelli)
“Dietro i finanziamenti milionari a Renzi c’è Israele e la destra americana”. (Ugo Sposetti, ultimo tesoriere dei DS)
“Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all’italiana. Lui (Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience”. (Gad Lerner)
Il 22 febbraio 2014 l’Italia entra ufficialmente nell’era del ‘Renzi primo’. Cosa porti con sé la nascita del governo Renzi è forse ancora un rebus, per alcuni versi. La nuova era si presenta inedita, si presta a bilanci per ora solo provvisori e approssimativi, si apre ad una prospettiva non chiara tranne che per un aspetto: il nuovo ‘imperatore’, Matteo Renzi da Rignano sull’Arno, ha tutte le carte in regola per restare sul trono molto a lungo. Perché l’era che porta il suo nome sarà anche inedita, sarà piena di annunci proiettati sulla rottura degli schemi del passato, ma si poggia su solidi intrecci di potere, antichi e riciclati, da lasciare immaginare una dinastia duratura. Quella messa in moto da Renzi è una vera e propria macchina da guerra che si muove molto abilmente tra media e propaganda, affari e finanziamenti, legami politici italiani e internazionali. L’improvvisazione è solo un effetto voluto di una strategia di presa del potere che parte da lontano, da quando dieci anni fa Renzi fu eletto per la prima volta presidente della provincia di Firenze. Già da quella posizione il giovane di Rignano riuscì a calamitare attenzioni, interessi e speranze. Come quella del patron di Mediaset, Fedele Confalonieri, che già nel 2010 aveva deciso: «Non saranno i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi. Sarà un giovane».
La benedizione di Confalonieri.
Era esattamente l’11 dicembre 2010. A Roma il governo Berlusconi soffriva del ‘tradimento’ di Gianfranco Fini, ma non cadeva. Confalonieri parlava a Firenze, ad un’iniziativa di ‘Progetto Città’, organizzata da Andrea Ceccherini. «Firenze vanta due giovani campioni che potrebbero diventare leader nazionali – diceva Confalonieri – ognuno nel proprio campo, però: per il centrodestra vedo Andrea Ceccherini, per il centrosinistra potrebbe essere Matteo Renzi. Mi sembrano due fuoriclasse». Ma evidentemente, il riferimento a Ceccherini era semplicemente un piccolo omaggio al padrone di casa, nulla di più. Confalonieri già guardava a Renzi. E non era l’unico nel centrodestra.
Verdini, il macellaio, banchiere.
Già allora era forte il legame tra l’attuale premier e il berlusconiano toscanissimo Denis Verdini: l’ex macellaio diventato banchiere e poi politico, consigliere del leader di Forza Italia nonché di Renzi su riforme e legge elettorale. Denis è arrivato nel campo visivo di Renzi prima di Confalonieri, prima di Berlusconi. Denis ha visto Matteo crescere. Non è un caso che sia lui adesso l’architrave sul quale il premier ha piantato il ‘Patto del Nazareno’ con Berlusconi.
Editore di quotidiani locali – come il Giornale della Toscana, il Cittadino di Siena, Metropoli – Verdini era legato da vecchia amicizia con il padre di Matteo, Tiziano Renzi, che di mestiere faceva appunto il distributore di giornali. Amicizia e frequentazioni in famiglia, Denis nota il ‘promettente’ Matteo. Di fatto non lo perde di vista. Marzo 2005, Renzi è arrivato da solo un anno alla presidenza della provincia. A Firenze il capo della Croce Rossa Maurizio Scelli organizza una kermesse al Pala Mandela: i giovani di Silvio dovevano essere lì ad attendere Berlusconi. L’evento si rivela un flop ma qualcosa produce: la prima stretta di mano tra Matteo e Silvio. È Verdini a fare le presentazioni: «Silvio, c’è una persona che devi assolutamente conoscere. Non è dei nostri. Ma è bravo»”. A Berlusconi brillano gli occhi.
Nel 2008 Verdini inviterà Renzi al decennale del Giornale della Toscana in una sontuosa villa fiorentina, tra parlamentari e notabili di Forza Italia. Un invito d’obbligo, si dirà, perché all’epoca Renzi era già presidente della provincia. Ancor di più se si pensa che proprio da quella presidenza, il giovane di Rignano sull’Arno aveva lanciato la sua Florence Multimedia, società organizzatrice di eventi nonché erogatrice di pubblicità e dunque di soldi per i giornali di Verdini. Il capo di Florence Multimedia è Andrea Bacci, amico di Riccardo Fusi, ex patron della Btp costruzioni, nonché socio in affari di Verdini: proprio su un sospetto movimento di 400 milioni di euro tra la Btp e il Credito cooperativo fiorentino di Verdini indagò Bankitalia nel 2010. Per non parlare dell’arcinota telefonata intercettata tra Bacci e Fusi, in cui i due pianificavano l’arrivo di Matteo Renzi alla trasmissione di Mediaset Amici niente meno che in elicottero. Obiettivo era mettere a segno un colpo ancor più mediatico, strafare, come se non bastasse la sola partecipazione del ‘Renzie Fonzie’ allo show di Maria De Filippi. In ogni caso, niente elicottero, non se ne fece nulla e pare che Renzi nemmeno sapesse del piano.
Verdini, padre della Costituzione.
Fino al Verdini di oggi. Pare che Denis entra ed esca da Palazzo Chigi anche senza farsi annunciare dal protocollo. Sulla scrivania di Renzi ci sono proiezioni, sondaggi e studi elettorali commissionati da Verdini. Da ex macellaio diventato banchiere e rinviato a giudizio per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino, a padre della Costituzione. Roba che ha fatto infuriare persino un ‘amico’ di Renzi, l’imprenditore Diego Della Valle: «La Carta è stata scritta da persone come Einaudi, non la facciamo cambiare dall’ultimo arrivato che seduto in un bar con un gelato in mano decide cosa fare. Su queste cose bisogna stare molto attenti…». Il “fiorentino” Della Valle ce l’ha con il conterraneo Verdini, è anche arrabbiato con Renzi che pare stia ricucendo il legame con Sergio Marchionne, ma soprattutto ce l’ha con il premier che sembra l’abbia scaricato non poco.
Il Patto di sangue Pd-Fi.
Intrecci di potere e politica, affari e scambi per assicurare quel pizzico di cambiamento necessario a mantenere lo stesso sistema. La trattativa sulla legge elettorale contempla un patto blindato a due: Pd-Fi, per assicurare all’Italia un assetto maggioritario ma non rivoluzionato, bensì composto dagli attori che propone la tradizione. Conducono qui le antiche frequentazioni con Verdini, i ponti costruiti con l’ex Cavaliere, l’affetto e la stima che confondono destra e sinistra, lasciando tracimare tutto in un unico indistinto. Renzi lo chiama “Partito della Nazione”. Berlusconi, dall’alto dei suoi 78 anni gravati dai guai di giustizia, ormai vola più basso, pensa alla sopravvivenza personale e politica e ringrazia il nuovo patrono: Matteo.
Nel rapporto tra Renzi e Berlusconi c’è sicuramente la questione del futuro di Mediaset: il rapporto stesso con l’imperatore è una buona garanzia di continuità aziendale. E poi le rassicurazioni sui guai giudiziari dell’ex Cavaliere. Quella “pacificazione”, di cui parla bene Confalonieri, convinto che Renzi ne sia “il segnale”. E insiste: «Io ci credo. Non è roba da inciuci. Ma è la fine di un periodo storico. Io l’ho vissuto così l’incontro tra Berlusconi e Renzi nella sede del Pd al Nazareno. Penso che sia possibile, adesso, un’Italia diversa. Senza più Ludovico il Moro che chiama i francesi. Insomma un paese normale». Tanto che c’è chi è convinto che lo stesso Verdini voglia approfittare del nuovo clima pacificato per mettersi a posto i propri guai giudiziari. Il senatore del Pd Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corsera, lo ha messo nero su bianco in una lettera a Berlusconi: «Il suo amico Verdini deve rispondere della bancarotta del Credito Cooperativo Fiorentino e di altre imputazioni…. I processi non sono ancora entrati nel vivo. giovanni_galli_maradonaE qui diventa interessante vedere se lo Stato e le istituzioni si costituiranno parte civile laddove possibile o se chiuderanno un occhio e, ove lo facessero, se schiereranno i migliori avvocati o se troveranno il Giovanni Galli della situazione per giocare a perdere come accade alle elezioni amministrative fiorentine. Verdini ha maggiori possibilità di ottenere vantaggi dalla benevolenza del Principe rispetto a lei».
Già: Giovanni Galli era l’ex portiere nazionale che proprio Verdini schierò contro Renzi alle comunali di Firenze nel 2009. Galli non parò, Matteo mise a segno il colpo e molti pensarono che fosse una partita già scritta, Galli schierato apposta per perdere. Però ora nella tela di potere che ‘regge’ Renzi non ci sono solo le promesse e le garanzie sul futuro. Ma anche gli affari del presente.
Anche Verdini finanzia Renzi?
Dal 2009, cioè dalla prima elezione a sindaco di Firenze ad oggi, Renzi e la sua “macchina da guerra” raccolgono ben 4 milioni di euro. Servono per finanziare le campagne elettorale per le primarie, sono la rampa di lancio per il salto decisivo dalla Toscana alla politica nazionale. Quattro milioni di euro, raccolti tra finanziatori privati dalle tre fondazioni renziane: la “Festina lente” e la “Link”, le prime due nate, e poi la “Big bang”, che da un anno fa ha cambiato nome e si chiama ‘Open’. Molti finanziatori sono noti e si trovano sul sito di ‘Open’. Si va dall’imprenditore mezzo fiorentino e mezzo genovese Fabrizio Landi, che Renzi ha messo nel cda di Finmeccanica, a Jacopo Mazzei, ‘marchese’ dell’aristocrazia fiorentina, membro del consiglio di sorveglianza di Banca Intesa, fino al famoso – suo malgrado – Davide Serra, il broker delle ‘Cayman’, come fu bollato dagli anti-renziani quando si scoprì della sua presenza a Milano alla cena di finanziamento per Renzi per le primarie del 2012. Ma molti finanziatori sono ancora ignoti. Soprattutto non si sa se nelle casse di Renzi siano arrivati i soldi di Verdini, i soldi del centrodestra. A domanda, gli esperti renziani rispondono sempre con un no comment. Un silenzio di cui si trova traccia negli articoli di vari quotidiani e siti internet.
Marco Carrai, il fund raiser senza puzza sotto il naso.
Insieme ad Alberto Bianchi, Carrai è da sempre fund raiser strategico di Renzi, pronto a tornare a in piena attività per le cene di auto-finanziamento annunciate per l’autunno. ‘Marchino’, come lo chiamano tutti per la corporatura di certo non imponente, è il personaggio chiave della tela dei rapporti costruiti da Renzi con il mondo che conta: in Italia e all’estero, dall’alta borghesia fiorentina fino a Israele e gli Usa, passando per Londra. Di fatto è il “Gianni Letta” di Renzi, soprannome coniato dalla stampa: azzeccatissimo. A questo 38enne di Greve in Chianti Renzi deve moltissimo. Dai contatti con Tony Blair ai legami con figure di peso della politica americana, progressista e di destra. Ma prima va spiegato chi è Carrai, l’uomo che concentra su di se decine e decine di cariche in società pubbliche e private.
È il fondatore della Big bang, consigliere comunale, poi consigliere dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, amministratore delegato della Firenze Parcheggi, presidente di aeroporto di Firenze Spa. E ancora membro della Banca di Credito Cooperativo di Impruneta e della Banca di Credito Cooperativo del Chianti fiorentino. E poi: consigliere di Cki Srl, presidente di Cambridge Management Consulting Srl, direttore generale di Your Future Srl e socio di quest’ultima, della menzionata Cambridge, di D&C Srl, Panta Rei Srl, ItalianRoom Srl, Imedia Srl, Car.Im Srl e indirettamente anche di C&T Crossmedia Srl. Non è finita, anzi arriva il bello. Carrai è socio di Wadi Ventures Management Company Sarl, società registrata in Lussemburgo e comproprietaria di Wadi Ventures, in cui Marchino è membro del consiglio di sorveglianza.
Carrai e la tela di potere da Israele agli Usa.
Wadi Ventures è un fondo speculativo lanciato da un altro supporter renziano e amico di Carrai: Marco Bernabè, figlio dell’ex numero uno di Telecom, Franco Bernabè, forti legami di famiglia con Tel Aviv. Magari sarà anche per tutto questo che di recente, in un articolo sul Messaggero, Carrai ha chiesto che «nel semestre europeo l’Italia difenda la voce di Israele”. Perché, spiega Carrai, “sarebbe anche riduttivo che oggi in nome della realpolitik, che tanto danno ha fatto a questo continente, un’unica voce non si levasse per condannare senza se e senza ma quello che a poca distanza da noi sta accadendo in Israele ai danni di un Popolo, a cui la storia europea ha tanto da chiedere scusa».
Non solo Israele. Per Renzi, Carrai significa anche Washington. Dove incredibilmente Marchino riesce a instaurare legami con figure di mondi opposti. Da un lato, Matt Browne, 41 anni, ex collaboratore di Tony Blair, ora nel think tank neo-progressista con John Podesta (ex braccio destro di Clinton, ingaggiato da Barack Obama). Dall’altro, una vecchia conoscenza delle trame più oscure del passato italiano: Michael Ledeen, 73 anni, consulente strategico della Casa Bianca con Ronald Reagan e George W. Bush, ma soprattutto consulente strategico della Cia. Un incarico che lo ha portato ad essere la mente della linea dura nella Guerra Fredda di Reagan contro Mosca, la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, nonché consulente del nostro Sismi nella Strategia della tensione degli anni ’70. Bene, questo anziano signore è ora consulente di Renzi in politica estera. Chiacchierano spesso. E la cosa in giro si sa, tanto che il New York Post ha scritto che i maggiori ammiratori di Matteo negli Usa stanno negli ambienti della destra neo-con, legati alle lobby pro-Israele e pro-Arabia Saudita. Di sicuro, è con Ledeen e con gli ambienti di destra Usa che il sindaco di Firenze ha costruito i suoi primi rapporti oltreoceano, tanto che nel 2012 non riuscì a ottenere un incontro con Bill Clinton in visita a Firenze. Renzi avrebbe voluto farne il suo testimonial della campagna per le primarie contro Bersani, ma l’ex presidente Usa non si concesse.
Macbeth_stregheOra è diverso, la macchina da guerra renziana è riuscita a bilanciare i legami con Ledeen tessendo contatti anche nel mondo progressista a stelle e strisce. Browne lo trova normale. «Quando un politico straniero con grandi ambizioni visita Washington è giusto che stabilisca rapporti con tutte e due le parti politiche. Ma gli incontri di quel genere sono diversi da quelli in cui si scambiano idee, valori e modi di far politica. Dubito che discuta di queste cose con conservatori», dice al Sole24ore. Ledeen dice che con Renzi parla «delle cose che mi illudo di conoscere, Medio Oriente, Russia, chi sale e chi scende nella scena politica americana».
Chi sale e chi scende nella corte di Renzi sarà materia di studio dei prossimi anni. Tante se ne vedranno, come in tutte le lunghe dinastie che si rispettino. Nuovi acquisti e abbandoni, antichi cortigiani o paggi di primo pelo. Il tutto senza steccati ideologici, oltre destra e sinistra, a sfidare le antiche definizioni pur usando personaggi del passato, come Verdini o Ledeen. In fondo, siccome nato dal ‘letticidio’, il mondo renziano è un po’ come il Macbeth: lì dove «il bello è brutto il brutto è bello», ammonivano le streghe shakespeariane.
CONTINUA
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Renzi primo: prodromi e tendenze
di AOMAME HARUKI.
Proseguiamo la discussione sul renzismo aperta dal → testo di Marco Bascetta.
“Renzi è circondato, però, da mezze tacche: gli ex lacchè di Berlusconi. (…) Schifani, Alfano: personaggi non certo di livello. Berlusconi ha sbagliato con le giovani donne, ma soprattutto circondandosi di personaggi di bassa levatura… Penso a Verdini, un mediocre uomo di finanza; è un massone… credo, ma non della nostra squadra”. (Licio Gelli)
“Dietro i finanziamenti milionari a Renzi c’è Israele e la destra americana”. (Ugo Sposetti, ultimo tesoriere dei DS)
“Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all’italiana. Lui (Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience”. (Gad Lerner)
Il 22 febbraio 2014 l’Italia entra ufficialmente nell’era del ‘Renzi primo’. Cosa porti con sé la nascita del governo Renzi è forse ancora un rebus, per alcuni versi. La nuova era si presenta inedita, si presta a bilanci per ora solo provvisori e approssimativi, si apre ad una prospettiva non chiara tranne che per un aspetto: il nuovo ‘imperatore’, Matteo Renzi da Rignano sull’Arno, ha tutte le carte in regola per restare sul trono molto a lungo. Perché l’era che porta il suo nome sarà anche inedita, sarà piena di annunci proiettati sulla rottura degli schemi del passato, ma si poggia su solidi intrecci di potere, antichi e riciclati, da lasciare immaginare una dinastia duratura. Quella messa in moto da Renzi è una vera e propria macchina da guerra che si muove molto abilmente tra media e propaganda, affari e finanziamenti, legami politici italiani e internazionali. L’improvvisazione è solo un effetto voluto di una strategia di presa del potere che parte da lontano, da quando dieci anni fa Renzi fu eletto per la prima volta presidente della provincia di Firenze. Già da quella posizione il giovane di Rignano riuscì a calamitare attenzioni, interessi e speranze. Come quella del patron di Mediaset, Fedele Confalonieri, che già nel 2010 aveva deciso: «Non saranno i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi. Sarà un giovane».
La benedizione di Confalonieri.
Era esattamente l’11 dicembre 2010. A Roma il governo Berlusconi soffriva del ‘tradimento’ di Gianfranco Fini, ma non cadeva. Confalonieri parlava a Firenze, ad un’iniziativa di ‘Progetto Città’, organizzata da Andrea Ceccherini. «Firenze vanta due giovani campioni che potrebbero diventare leader nazionali – diceva Confalonieri – ognuno nel proprio campo, però: per il centrodestra vedo Andrea Ceccherini, per il centrosinistra potrebbe essere Matteo Renzi. Mi sembrano due fuoriclasse». Ma evidentemente, il riferimento a Ceccherini era semplicemente un piccolo omaggio al padrone di casa, nulla di più. Confalonieri già guardava a Renzi. E non era l’unico nel centrodestra.
Verdini, il macellaio, banchiere.
Già allora era forte il legame tra l’attuale premier e il berlusconiano toscanissimo Denis Verdini: l’ex macellaio diventato banchiere e poi politico, consigliere del leader di Forza Italia nonché di Renzi su riforme e legge elettorale. Denis è arrivato nel campo visivo di Renzi prima di Confalonieri, prima di Berlusconi. Denis ha visto Matteo crescere. Non è un caso che sia lui adesso l’architrave sul quale il premier ha piantato il ‘Patto del Nazareno’ con Berlusconi.
Editore di quotidiani locali – come il Giornale della Toscana, il Cittadino di Siena, Metropoli – Verdini era legato da vecchia amicizia con il padre di Matteo, Tiziano Renzi, che di mestiere faceva appunto il distributore di giornali. Amicizia e frequentazioni in famiglia, Denis nota il ‘promettente’ Matteo. Di fatto non lo perde di vista. Marzo 2005, Renzi è arrivato da solo un anno alla presidenza della provincia. A Firenze il capo della Croce Rossa Maurizio Scelli organizza una kermesse al Pala Mandela: i giovani di Silvio dovevano essere lì ad attendere Berlusconi. L’evento si rivela un flop ma qualcosa produce: la prima stretta di mano tra Matteo e Silvio. È Verdini a fare le presentazioni: «Silvio, c’è una persona che devi assolutamente conoscere. Non è dei nostri. Ma è bravo»”. A Berlusconi brillano gli occhi.
Nel 2008 Verdini inviterà Renzi al decennale del Giornale della Toscana in una sontuosa villa fiorentina, tra parlamentari e notabili di Forza Italia. Un invito d’obbligo, si dirà, perché all’epoca Renzi era già presidente della provincia. Ancor di più se si pensa che proprio da quella presidenza, il giovane di Rignano sull’Arno aveva lanciato la sua Florence Multimedia, società organizzatrice di eventi nonché erogatrice di pubblicità e dunque di soldi per i giornali di Verdini. Il capo di Florence Multimedia è Andrea Bacci, amico di Riccardo Fusi, ex patron della Btp costruzioni, nonché socio in affari di Verdini: proprio su un sospetto movimento di 400 milioni di euro tra la Btp e il Credito cooperativo fiorentino di Verdini indagò Bankitalia nel 2010. Per non parlare dell’arcinota telefonata intercettata tra Bacci e Fusi, in cui i due pianificavano l’arrivo di Matteo Renzi alla trasmissione di Mediaset Amici niente meno che in elicottero. Obiettivo era mettere a segno un colpo ancor più mediatico, strafare, come se non bastasse la sola partecipazione del ‘Renzie Fonzie’ allo show di Maria De Filippi. In ogni caso, niente elicottero, non se ne fece nulla e pare che Renzi nemmeno sapesse del piano.
Verdini, padre della Costituzione.
Fino al Verdini di oggi. Pare che Denis entra ed esca da Palazzo Chigi anche senza farsi annunciare dal protocollo. Sulla scrivania di Renzi ci sono proiezioni, sondaggi e studi elettorali commissionati da Verdini. Da ex macellaio diventato banchiere e rinviato a giudizio per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino, a padre della Costituzione. Roba che ha fatto infuriare persino un ‘amico’ di Renzi, l’imprenditore Diego Della Valle: «La Carta è stata scritta da persone come Einaudi, non la facciamo cambiare dall’ultimo arrivato che seduto in un bar con un gelato in mano decide cosa fare. Su queste cose bisogna stare molto attenti…». Il “fiorentino” Della Valle ce l’ha con il conterraneo Verdini, è anche arrabbiato con Renzi che pare stia ricucendo il legame con Sergio Marchionne, ma soprattutto ce l’ha con il premier che sembra l’abbia scaricato non poco.
Il Patto di sangue Pd-Fi.
Intrecci di potere e politica, affari e scambi per assicurare quel pizzico di cambiamento necessario a mantenere lo stesso sistema. La trattativa sulla legge elettorale contempla un patto blindato a due: Pd-Fi, per assicurare all’Italia un assetto maggioritario ma non rivoluzionato, bensì composto dagli attori che propone la tradizione. Conducono qui le antiche frequentazioni con Verdini, i ponti costruiti con l’ex Cavaliere, l’affetto e la stima che confondono destra e sinistra, lasciando tracimare tutto in un unico indistinto. Renzi lo chiama “Partito della Nazione”. Berlusconi, dall’alto dei suoi 78 anni gravati dai guai di giustizia, ormai vola più basso, pensa alla sopravvivenza personale e politica e ringrazia il nuovo patrono: Matteo.
Nel rapporto tra Renzi e Berlusconi c’è sicuramente la questione del futuro di Mediaset: il rapporto stesso con l’imperatore è una buona garanzia di continuità aziendale. E poi le rassicurazioni sui guai giudiziari dell’ex Cavaliere. Quella “pacificazione”, di cui parla bene Confalonieri, convinto che Renzi ne sia “il segnale”. E insiste: «Io ci credo. Non è roba da inciuci. Ma è la fine di un periodo storico. Io l’ho vissuto così l’incontro tra Berlusconi e Renzi nella sede del Pd al Nazareno. Penso che sia possibile, adesso, un’Italia diversa. Senza più Ludovico il Moro che chiama i francesi. Insomma un paese normale». Tanto che c’è chi è convinto che lo stesso Verdini voglia approfittare del nuovo clima pacificato per mettersi a posto i propri guai giudiziari. Il senatore del Pd Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corsera, lo ha messo nero su bianco in una lettera a Berlusconi: «Il suo amico Verdini deve rispondere della bancarotta del Credito Cooperativo Fiorentino e di altre imputazioni…. I processi non sono ancora entrati nel vivo. giovanni_galli_maradonaE qui diventa interessante vedere se lo Stato e le istituzioni si costituiranno parte civile laddove possibile o se chiuderanno un occhio e, ove lo facessero, se schiereranno i migliori avvocati o se troveranno il Giovanni Galli della situazione per giocare a perdere come accade alle elezioni amministrative fiorentine. Verdini ha maggiori possibilità di ottenere vantaggi dalla benevolenza del Principe rispetto a lei».
Già: Giovanni Galli era l’ex portiere nazionale che proprio Verdini schierò contro Renzi alle comunali di Firenze nel 2009. Galli non parò, Matteo mise a segno il colpo e molti pensarono che fosse una partita già scritta, Galli schierato apposta per perdere. Però ora nella tela di potere che ‘regge’ Renzi non ci sono solo le promesse e le garanzie sul futuro. Ma anche gli affari del presente.
Anche Verdini finanzia Renzi?
Dal 2009, cioè dalla prima elezione a sindaco di Firenze ad oggi, Renzi e la sua “macchina da guerra” raccolgono ben 4 milioni di euro. Servono per finanziare le campagne elettorale per le primarie, sono la rampa di lancio per il salto decisivo dalla Toscana alla politica nazionale. Quattro milioni di euro, raccolti tra finanziatori privati dalle tre fondazioni renziane: la “Festina lente” e la “Link”, le prime due nate, e poi la “Big bang”, che da un anno fa ha cambiato nome e si chiama ‘Open’. Molti finanziatori sono noti e si trovano sul sito di ‘Open’. Si va dall’imprenditore mezzo fiorentino e mezzo genovese Fabrizio Landi, che Renzi ha messo nel cda di Finmeccanica, a Jacopo Mazzei, ‘marchese’ dell’aristocrazia fiorentina, membro del consiglio di sorveglianza di Banca Intesa, fino al famoso – suo malgrado – Davide Serra, il broker delle ‘Cayman’, come fu bollato dagli anti-renziani quando si scoprì della sua presenza a Milano alla cena di finanziamento per Renzi per le primarie del 2012. Ma molti finanziatori sono ancora ignoti. Soprattutto non si sa se nelle casse di Renzi siano arrivati i soldi di Verdini, i soldi del centrodestra. A domanda, gli esperti renziani rispondono sempre con un no comment. Un silenzio di cui si trova traccia negli articoli di vari quotidiani e siti internet.
Marco Carrai, il fund raiser senza puzza sotto il naso.
Insieme ad Alberto Bianchi, Carrai è da sempre fund raiser strategico di Renzi, pronto a tornare a in piena attività per le cene di auto-finanziamento annunciate per l’autunno. ‘Marchino’, come lo chiamano tutti per la corporatura di certo non imponente, è il personaggio chiave della tela dei rapporti costruiti da Renzi con il mondo che conta: in Italia e all’estero, dall’alta borghesia fiorentina fino a Israele e gli Usa, passando per Londra. Di fatto è il “Gianni Letta” di Renzi, soprannome coniato dalla stampa: azzeccatissimo. A questo 38enne di Greve in Chianti Renzi deve moltissimo. Dai contatti con Tony Blair ai legami con figure di peso della politica americana, progressista e di destra. Ma prima va spiegato chi è Carrai, l’uomo che concentra su di se decine e decine di cariche in società pubbliche e private.
È il fondatore della Big bang, consigliere comunale, poi consigliere dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, amministratore delegato della Firenze Parcheggi, presidente di aeroporto di Firenze Spa. E ancora membro della Banca di Credito Cooperativo di Impruneta e della Banca di Credito Cooperativo del Chianti fiorentino. E poi: consigliere di Cki Srl, presidente di Cambridge Management Consulting Srl, direttore generale di Your Future Srl e socio di quest’ultima, della menzionata Cambridge, di D&C Srl, Panta Rei Srl, ItalianRoom Srl, Imedia Srl, Car.Im Srl e indirettamente anche di C&T Crossmedia Srl. Non è finita, anzi arriva il bello. Carrai è socio di Wadi Ventures Management Company Sarl, società registrata in Lussemburgo e comproprietaria di Wadi Ventures, in cui Marchino è membro del consiglio di sorveglianza.
Carrai e la tela di potere da Israele agli Usa.
Wadi Ventures è un fondo speculativo lanciato da un altro supporter renziano e amico di Carrai: Marco Bernabè, figlio dell’ex numero uno di Telecom, Franco Bernabè, forti legami di famiglia con Tel Aviv. Magari sarà anche per tutto questo che di recente, in un articolo sul Messaggero, Carrai ha chiesto che «nel semestre europeo l’Italia difenda la voce di Israele”. Perché, spiega Carrai, “sarebbe anche riduttivo che oggi in nome della realpolitik, che tanto danno ha fatto a questo continente, un’unica voce non si levasse per condannare senza se e senza ma quello che a poca distanza da noi sta accadendo in Israele ai danni di un Popolo, a cui la storia europea ha tanto da chiedere scusa».
Non solo Israele. Per Renzi, Carrai significa anche Washington. Dove incredibilmente Marchino riesce a instaurare legami con figure di mondi opposti. Da un lato, Matt Browne, 41 anni, ex collaboratore di Tony Blair, ora nel think tank neo-progressista con John Podesta (ex braccio destro di Clinton, ingaggiato da Barack Obama). Dall’altro, una vecchia conoscenza delle trame più oscure del passato italiano: Michael Ledeen, 73 anni, consulente strategico della Casa Bianca con Ronald Reagan e George W. Bush, ma soprattutto consulente strategico della Cia. Un incarico che lo ha portato ad essere la mente della linea dura nella Guerra Fredda di Reagan contro Mosca, la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, nonché consulente del nostro Sismi nella Strategia della tensione degli anni ’70. Bene, questo anziano signore è ora consulente di Renzi in politica estera. Chiacchierano spesso. E la cosa in giro si sa, tanto che il New York Post ha scritto che i maggiori ammiratori di Matteo negli Usa stanno negli ambienti della destra neo-con, legati alle lobby pro-Israele e pro-Arabia Saudita. Di sicuro, è con Ledeen e con gli ambienti di destra Usa che il sindaco di Firenze ha costruito i suoi primi rapporti oltreoceano, tanto che nel 2012 non riuscì a ottenere un incontro con Bill Clinton in visita a Firenze. Renzi avrebbe voluto farne il suo testimonial della campagna per le primarie contro Bersani, ma l’ex presidente Usa non si concesse.
Macbeth_stregheOra è diverso, la macchina da guerra renziana è riuscita a bilanciare i legami con Ledeen tessendo contatti anche nel mondo progressista a stelle e strisce. Browne lo trova normale. «Quando un politico straniero con grandi ambizioni visita Washington è giusto che stabilisca rapporti con tutte e due le parti politiche. Ma gli incontri di quel genere sono diversi da quelli in cui si scambiano idee, valori e modi di far politica. Dubito che discuta di queste cose con conservatori», dice al Sole24ore. Ledeen dice che con Renzi parla «delle cose che mi illudo di conoscere, Medio Oriente, Russia, chi sale e chi scende nella scena politica americana».
Chi sale e chi scende nella corte di Renzi sarà materia di studio dei prossimi anni. Tante se ne vedranno, come in tutte le lunghe dinastie che si rispettino. Nuovi acquisti e abbandoni, antichi cortigiani o paggi di primo pelo. Il tutto senza steccati ideologici, oltre destra e sinistra, a sfidare le antiche definizioni pur usando personaggi del passato, come Verdini o Ledeen. In fondo, siccome nato dal ‘letticidio’, il mondo renziano è un po’ come il Macbeth: lì dove «il bello è brutto il brutto è bello», ammonivano le streghe shakespeariane.
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Re: Giustizia e (in)giustizia
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20 mar 2014 17:25
FIRENZE, IL BALLO DEL MASSONE
– DAI RENZI AI VERDINI, TUTTI COL GREMBIULINO E COMPASSO?
– SUL WEB LEGGENDE E COMPLOTTISMI SUL PRESUNTO LEGAME TRA IL PADRE DEL PREMIER E VERDINI
Vedi:
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... -74008.htm
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FIRENZE, IL BALLO DEL MASSONE
– DAI RENZI AI VERDINI, TUTTI COL GREMBIULINO E COMPASSO?
– SUL WEB LEGGENDE E COMPLOTTISMI SUL PRESUNTO LEGAME TRA IL PADRE DEL PREMIER E VERDINI
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http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... -74008.htm
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Re: Giustizia e (in)giustizia
Caro Zione, non capisco per quale motivo mi vedi caduto nella trappola gelliana?camillobenso ha scritto:Cmq resta il fatto che se un cittadino qualunque non si sente protetto dalle sue istituzioni,(nessun ordinamento di sicurezza questo te lo puo' garantire) in presenza di una dilagante delinquenza, che gli resta per proteggersi ?
Certo non e' cosa piacevole sentire che per difendersi uno e' costretto ad armarsi . Io sarei abbastanza restio su questo ma davanti a questo perpetrarsi di episodi probabilmente me ne farei na ragione.
PANCHO
Allora, caro pancho, ti chiedo:
Perché c’è questa predisposizione a cadere nella trappola gelliana?
Io non la faccio cosi complicata come la fa alcuni e non mi sento di essere associato ai vari Maroni, Salvini e a quant'altri, solo perché affermo quanto ho detto sopra.
Rispetto gli altri e per tale motivo voglio essere rispettato e se ancor di più qualcuno vuole "violentarsi" materialmente non hanno trovato la persona giusta e cioe' quella che non reagisce.
C'e' qualcosa di male in tutto questo?
Solo perché alcuni se ne servono di queste incongruenze?
Risolviamole e cosi vedrai che i vari Salvini e co. spariranno dalla ns. vista.
tutto qui...finora
Piuttosto, direi, non facciamoci fregare dai soliti gelliani e leghisti e non al contrario e diamo proprio noi l'esempio che cambiare si puo' piuttosto di non vedere il problema.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Giustizia e (in)giustizia
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Ultima modifica di camillobenso il 29/10/2015, 6:44, modificato 1 volta in totale.
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Re: Giustizia e (in)giustizia
camillobenso ha scritto:CONTINUA
ANDANDO A CONCLUSIONE CON LA DOMANDA DI PARTENZA:
Il ventennio Berlusconiano è servito a Silvietto, tessera 1816 della P2 a salvare le sue aziende e non a varcare la soglia del carcere. Obiettivo centrato.
Ma nel contempo Silvietto doveva pagare il prezzo alla P2 diventata P3.
Doveva portare a termine Il Piano di rinascita democratica.
Questo Silvietto non l’ha portato a termine per raggiunti limiti di età.
E’ per questo che una decina di anni fa, Verdini ha messo gli occhi sul giovane La Qualunque, e gli ha spianato la strada per arrivare a completare l’opera intrapresa da Silvietto.
Il combinato disposto dell’Italicum per come è stato approvato e dell’impostazione del nuovo Senato faceva parte del disegno per controllare il potere secondo il disegno gelliano.
Non c’è più bisogno di fare la Marcia su Roma come 90 anni fa. A Roma ci sono già arrivati 21 anni fa.
E non c’è più bisogno delle squadracce fasciste e dell’olio di ricino e il santo manganello. Oggi funziona tutto meglio con la televisione e gli insegnamenti del dottor Goebbels.
Ma qualcosa non funziona ancora.
Non si riesce a far partire la guerra tra poveri che induca il governo a promulgare leggi speciali. Ci stanno provando in tutti i modi.
Con la disoccupazione, con i migranti, e adesso con le incazzature singole che spingono all’omicidio.
Quando La Qualunque arriva, gli italiani chiedevano lavoro, lavoro, lavoro.
Lui invece nelle riforme ci infila l’Italicum, il nuovo Senato, che agli italiani non frega assolutamente niente.
Un piazzista mediamente intelligente, capirebbe che prenderebbe più voti e consenso risolvendo il problema della sicurezza.
Ma lui deve seguire il disegno gelliano del potere e non solo. Dei problemi degli italiani se ne frega.
Marino perché si è comportato da pollo?
Erano mesi che gli segnalavano la riparazione delle buche.
Sarebbe bastato inforcare la bicicletta e girare con una segretaria per prendere nota dei punti in cui riparare le buche nelle vie di Roma.
Ai romani sarebbe bastato far vedere la buona volontà e poi riparare il manto stradale. Perché il Marziano non ha messo in atto un’azione del genere è un mistero.
Non lo è invece per La Qualunque.
Per ridurre la criminalità in fasi storiche come queste occorre ampliare le pene pecuniarie e detentive in modo esageratamente sproporzionato al fine di rendere sconveniente l’accesso al crimine.
I vecchi ladri agivano senza armi, perché la possibilità di agire con un arma era sconveniente per la professione.
Non valeva la pena beccarsi le aggravanti per il possesso di armi o l’averle usate. Mica erano fessi. Avrebbero interrotto l’attività.
Ma non aspettatevi che La Qualunque vada ad intaccare tangenti e furti dell’élite politica e dirigenziale, giocandosi il consenso.
Per innalzare le pene in modo che non sia più conveniente per nessuno vuol dire perdere consensi.
Ma gli italiani non possono cedere e rinunciare a soluzioni civili per arrivare ad accettare che si vada al Far West.
Finchè abbiamo ancora il possesso dell’uso della ragione, USIAMOLO.
La soluzione della Banda de “El Grinta”, lasciamola alla minoranza fascio-leghista che vuole sparare per uccidere.
Lunedì scorso, un amico leghista mi ha chiesto al Bar dell’Esselunga se non provavo fastidio per la presenza di donne mussulmane al Bar.
La risposta è stata No, perché la loro presenza non mi da fastidio. Donne arabe al Bar che ridono e scherzano per conto loro, per me significa che si adattano ai valori occidentali rifiutando le usanze islamiche. Non sono mai accompagnate dai loro uomini che molto probabilmente sono al lavoro. E quindi si sfogano.
I leghisti invece provano un fastidio naturale per la sola presenza di persone diverse. SOTTOLINEANO CHE NON DOVREBBERO STARE QUI, COME SE NOI FOSSIMO I PADRONI DEL PIANETA TERRA.
La stessa insofferenza la riservano sull’idea di proprietà privata senza conoscere il Codice Penale. Vogliono solo ammazzare chi li disturba. Impegnarsi perché lo Stato faccia rispettare le leggi non ci pensano neppure.
Vogliono solo cambiare le leggi per avere la libertà di uccidere.
Questo vuol dire regredire come società civile.
E’ a questo che dobbiamo arrivare????????
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Re: Giustizia e (in)giustizia
Caro Amico, non vedo ancora per quali motivi te pensi che io con le mie posizioni possa cadere nel "girone" dei gelliani.camillobenso ha scritto:camillobenso ha scritto:CONTINUA
ANDANDO A CONCLUSIONE CON LA DOMANDA DI PARTENZA:
Il ventennio Berlusconiano è servito a Silvietto, tessera 1816 della P2 a salvare le sue aziende e non a varcare la soglia del carcere. Obiettivo centrato.
Ma nel contempo Silvietto doveva pagare il prezzo alla P2 diventata P3.
Doveva portare a termine Il Piano di rinascita democratica.
Questo Silvietto non l’ha portato a termine per raggiunti limiti di età.
E’ per questo che una decina di anni fa, Verdini ha messo gli occhi sul giovane La Qualunque, e gli ha spianato la strada per arrivare a completare l’opera intrapresa da Silvietto.
Il combinato disposto dell’Italicum per come è stato approvato e dell’impostazione del nuovo Senato faceva parte del disegno per controllare il potere secondo il disegno gelliano.
Non c’è più bisogno di fare la Marcia su Roma come 90 anni fa. A Roma ci sono già arrivati 21 anni fa.
E non c’è più bisogno delle squadracce fasciste e dell’olio di ricino e il santo manganello. Oggi funziona tutto meglio con la televisione e gli insegnamenti del dottor Goebbels.
Ma qualcosa non funziona ancora.
Non si riesce a far partire la guerra tra poveri che induca il governo a promulgare leggi speciali. Ci stanno provando in tutti i modi.
Con la disoccupazione, con i migranti, e adesso con le incazzature singole che spingono all’omicidio.
Quando La Qualunque arriva, gli italiani chiedevano lavoro, lavoro, lavoro.
Lui invece nelle riforme ci infila l’Italicum, il nuovo Senato, che agli italiani non frega assolutamente niente.
Un piazzista mediamente intelligente, capirebbe che prenderebbe più voti e consenso risolvendo il problema della sicurezza.
Ma lui deve seguire il disegno gelliano del potere e non solo. Dei problemi degli italiani se ne frega.
Marino perché si è comportato da pollo?
Erano mesi che gli segnalavano la riparazione delle buche.
Sarebbe bastato inforcare la bicicletta e girare con una segretaria per prendere nota dei punti in cui riparare le buche nelle vie di Roma.
Ai romani sarebbe bastato far vedere la buona volontà e poi riparare il manto stradale. Perché il Marziano non ha messo in atto un’azione del genere è un mistero.
Non lo è invece per La Qualunque.
Per ridurre la criminalità in fasi storiche come queste occorre ampliare le pene pecuniarie e detentive in modo esageratamente sproporzionato al fine di rendere sconveniente l’accesso al crimine.
I vecchi ladri agivano senza armi, perché la possibilità di agire con un arma era sconveniente per la professione.
Non valeva la pena beccarsi le aggravanti per il possesso di armi o l’averle usate. Mica erano fessi. Avrebbero interrotto l’attività.
Ma non aspettatevi che La Qualunque vada ad intaccare tangenti e furti dell’élite politica e dirigenziale, giocandosi il consenso.
Per innalzare le pene in modo che non sia più conveniente per nessuno vuol dire perdere consensi.
Ma gli italiani non possono cedere e rinunciare a soluzioni civili per arrivare ad accettare che si vada al Far West.
Finchè abbiamo ancora il possesso dell’uso della ragione, USIAMOLO.
La soluzione della Banda de “El Grinta”, lasciamola alla minoranza fascio-leghista che vuole sparare per uccidere.
Lunedì scorso, un amico leghista mi ha chiesto al Bar dell’Esselunga se non provavo fastidio per la presenza di donne mussulmane al Bar.
La risposta è stata No, perché la loro presenza non mi da fastidio. Donne arabe al Bar che ridono e scherzano per conto loro, per me significa che si adattano ai valori occidentali rifiutando le usanze islamiche. Non sono mai accompagnate dai loro uomini che molto probabilmente sono al lavoro. E quindi si sfogano.
I leghisti invece provano un fastidio naturale per la sola presenza di persone diverse. SOTTOLINEANO CHE NON DOVREBBERO STARE QUI, COME SE NOI FOSSIMO I PADRONI DEL PIANETA TERRA.
La stessa insofferenza la riservano sull’idea di proprietà privata senza conoscere il Codice Penale. Vogliono solo ammazzare chi li disturba. Impegnarsi perché lo Stato faccia rispettare le leggi non ci pensano neppure.
Vogliono solo cambiare le leggi per avere la libertà di uccidere.
Questo vuol dire regredire come società civile.
E’ a questo che dobbiamo arrivare????????
Ho solo posto un problema e nulla più e cioè il diritto che uno possa difendersi in casa qualora qualcuno decide malavitosamente decida di entrare.
Tutto qui, Amico mio. Tutto qui. Per il resto ti posso dire che lo concordo.
Quindi, se dobbiamo parlare sul solo problema che ho posto questo mi sta bene però non cadiamo nella rapporta di coloro che su questo punto vedono una caduta verso il Far West.
Le leggi attuali italiane sulle armi e sugli acquisti di queste non sono quelle americane quindi il Far West non lo vedo proprio.
In un momento particolare di una qualsiasi regione del mondo in cui si verificassero crescite delinquenziali/malavitose non ci sarebbero corpi di polizia in grado di fronteggiarle.
O militarizzi lo stato o qualcosa devi trovare nel frattempo e cioè prima che si capiscano le cause di tutto questo.
Pene sicure e dure per coloro che delinquono e se qualcuno intende rischiare lo stesso entrando in casa tua deve sapere fin dall'inizio che rischia grosso.
Se lpoi ci scappa il morto poiché la reazione è sempre incontrollabile, io non enfatizzerei più di tanto l'accaduto come fanno ora i media.
Un'omicidio stradale fatto da chi è ubriaco o sotto altri effetti dovrebbe destare maggiore discussione o no?
Son pensieri di destra e quindi gelliani questi o non sono piuttosto problemi seri che spettano anche ad una sinistra?
Fare rispettare le leggi con severità vuol dire essere di destra?
Tutto qui, Amicone
Un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Giustizia e (in)giustizia
Ho solo posto un problema e nulla più e cioè il diritto che uno possa difendersi in casa qualora qualcuno decide malavitosamente decida di entrare.
Tutto qui, Amico mio.
pancho
il problema che tu hai posto, caro pancho, è un problema sorto agli onori della cronaca perché il pistoleros di Kansas City, El Grinta, ha ucciso un ragazzo di 22 anni.
Dalle prime notizie di cronaca l’Italia si è spaccata subito in due.
Da una parte chi ritiene giusto uccidere e chi non lo ritiene.
Parecchia confusione l’ha determinata la mancata conoscenza della legge in vigore.
Ed esattamente:
Legittima difesa: cosa dice l’articolo 52 del codice penale
Pubblicato il 5 luglio 2013 13:27 | Ultimo aggiornamento: 5 luglio 2013 13:28
ROMA – L’articolo 52 del codice penale, quello che contempla la “legittima difesa“, prevede che
“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Quando la difesa è legittima?
Quando si verificano un’aggressione e una reazione, sottoposte entrambe a determinate condizioni:
Aggressione
Oggetto dell’attacco deve essere un diritto, qualunque esso sia indistintamente, di qualsiasi natura (il codice parla di “offesa”);
La minaccia al diritto attaccato deve essere ingiusta, ovvero contraria all’ordinamento giuridico;
Deve sussistere un pericolo attuale: non basta la probabilità di un eventuale accadimento, potendo in tal caso il soggetto leso invocare l’intervento dello Stato.
Reazione:
La reazione deve essere necessaria per salvare il diritto minacciato;
La reazione deve essere proporzionata all’offesa.
Varie sono le questioni giuridiche sollevate dalla legittima difesa.
La prima: è legittima la reazione violenta di chi poteva sottrarsi all’aggressione fuggendo?
“Ci si chiede se sia legittima la difesa di chi aveva la possibilità di evitare l’offesa con la fuga. Per la dottrina prevalente il problema va risolto in base al criterio del bilanciamento degli interessi per cui il soggetto non è tenuto a fuggire in tutti quei casi in cui la fuga esporrebbe beni suoi personali (es.: pericolo di infarto per il cardiopatico) o di terzi (es.: rischio di investire i passanti con una fuga in macchina) a lesioni uguali o superiori alla lesione che provocherebbe all’aggressore difendendosi. La giurisprudenza sul punto è oscillante”.
La seconda questione controversa è quella della “difesa proporzionata all’offesa”:
“Secondo l’orientamento oggi prevalente, il giudizio di proporzione tra difesa e offesa va formulato non solo con riguardo al rapporto tra mezzi difensivi a disposizione dell’aggredito e mezzi offensivi, ma anche con riguardo alla proporzione tra male minacciato e male inflitto (espressione del principio del bilanciamento degli interessi).
La proporzionalità sussiste ove il male provocato dall’aggredito all’aggressore risulta essere inferiore, uguale o tollerabilmente superiore a quello subito; pertanto, non vi è proporzione quando con un bastone o con altro corpo contundente si uccida chi, con lo stesso, si limitava a percuotere.
La dottrina ha, altresì, precisato che se non è giustificato uccidere per difendere un bene patrimoniale, può invece essere giustificato infliggere una lieve ferita per difendere un patrimonio di rilevantissima entità.
Il giudizio di proporzione va effettuato con un giudizio ex ante e deve essere relativistico.
La risoluzione dei dubbi che possono sorgere nella varietà dei casi è rimessa al prudente apprezzamento del giudice”.
È proporzionata all’offesa la difesa da una minaccia poi rivelatasi non reale?
“È configurabile una legittima difesa putativa essa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la sola differenza che la situazione di pericolo non esiste obiettivamente, ma è supposta erroneamente dall’agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti.
Tale erroneo convincimento deve avere un fondamento obiettivo, cioè deve trovare riscontro in elementi di fatto che, malamente interpretati, abbiano fatto sorgere la ragionevole opinione della necessità di difendersi.
Alla stregua di tali principi, ad esempio, non è punibile il proprietario di una gioielleria che, ritenendo reale un tentativo di rapina a mano armata simulato, reagisca uccidendo l’apparente aggressore.
In tal caso sussiste anche proporzione tra beni in conflitto, dato che la minaccia incombe non solo sul patrimonio, ma anche sulla vita del gioielliere e dei suoi clienti.
La legittima difesa ha subito delle modifiche dalla legge 59 del 2006:
“Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
La riforma del 2006 ha quindi introdotto una presunzione assoluta (iuris et de iure) di proporzione fra difesa e offesa, nei casi di reazione avvenuta durante la commissione di delitti di violazione del domicilio ed in presenza di un pericolo di aggressione fisica. Sono equiparati al domicilio i luoghi di esercizio di attività economiche. Perché si possa operare la presunzione di proporzione è necessario che ci si trovi:
In uno dei casi previsti dall’articolo 614, commi 1 e 2 c.p.
Che colui che pone in essere la legittima difesa abbia il diritto di trovarsi in quel luogo
Che vi sia un pericolo per l’incolumità della persona
Che la legittima difesa sia operata attraverso un’arma o un altro strumento di coercizione legittimamente detenuto da chi la adopera.
Se manca anche una di queste condizioni la presunzione di proporzione non opera; ciò non toglie che la legittima difesa possa essere comunque riconosciuta se la proporzione tra difesa ed offesa è effettivamente presente (art. 52 comma 1 c.p.).
CONTINUA
Tutto qui, Amico mio.
pancho
il problema che tu hai posto, caro pancho, è un problema sorto agli onori della cronaca perché il pistoleros di Kansas City, El Grinta, ha ucciso un ragazzo di 22 anni.
Dalle prime notizie di cronaca l’Italia si è spaccata subito in due.
Da una parte chi ritiene giusto uccidere e chi non lo ritiene.
Parecchia confusione l’ha determinata la mancata conoscenza della legge in vigore.
Ed esattamente:
Legittima difesa: cosa dice l’articolo 52 del codice penale
Pubblicato il 5 luglio 2013 13:27 | Ultimo aggiornamento: 5 luglio 2013 13:28
ROMA – L’articolo 52 del codice penale, quello che contempla la “legittima difesa“, prevede che
“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Quando la difesa è legittima?
Quando si verificano un’aggressione e una reazione, sottoposte entrambe a determinate condizioni:
Aggressione
Oggetto dell’attacco deve essere un diritto, qualunque esso sia indistintamente, di qualsiasi natura (il codice parla di “offesa”);
La minaccia al diritto attaccato deve essere ingiusta, ovvero contraria all’ordinamento giuridico;
Deve sussistere un pericolo attuale: non basta la probabilità di un eventuale accadimento, potendo in tal caso il soggetto leso invocare l’intervento dello Stato.
Reazione:
La reazione deve essere necessaria per salvare il diritto minacciato;
La reazione deve essere proporzionata all’offesa.
Varie sono le questioni giuridiche sollevate dalla legittima difesa.
La prima: è legittima la reazione violenta di chi poteva sottrarsi all’aggressione fuggendo?
“Ci si chiede se sia legittima la difesa di chi aveva la possibilità di evitare l’offesa con la fuga. Per la dottrina prevalente il problema va risolto in base al criterio del bilanciamento degli interessi per cui il soggetto non è tenuto a fuggire in tutti quei casi in cui la fuga esporrebbe beni suoi personali (es.: pericolo di infarto per il cardiopatico) o di terzi (es.: rischio di investire i passanti con una fuga in macchina) a lesioni uguali o superiori alla lesione che provocherebbe all’aggressore difendendosi. La giurisprudenza sul punto è oscillante”.
La seconda questione controversa è quella della “difesa proporzionata all’offesa”:
“Secondo l’orientamento oggi prevalente, il giudizio di proporzione tra difesa e offesa va formulato non solo con riguardo al rapporto tra mezzi difensivi a disposizione dell’aggredito e mezzi offensivi, ma anche con riguardo alla proporzione tra male minacciato e male inflitto (espressione del principio del bilanciamento degli interessi).
La proporzionalità sussiste ove il male provocato dall’aggredito all’aggressore risulta essere inferiore, uguale o tollerabilmente superiore a quello subito; pertanto, non vi è proporzione quando con un bastone o con altro corpo contundente si uccida chi, con lo stesso, si limitava a percuotere.
La dottrina ha, altresì, precisato che se non è giustificato uccidere per difendere un bene patrimoniale, può invece essere giustificato infliggere una lieve ferita per difendere un patrimonio di rilevantissima entità.
Il giudizio di proporzione va effettuato con un giudizio ex ante e deve essere relativistico.
La risoluzione dei dubbi che possono sorgere nella varietà dei casi è rimessa al prudente apprezzamento del giudice”.
È proporzionata all’offesa la difesa da una minaccia poi rivelatasi non reale?
“È configurabile una legittima difesa putativa essa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la sola differenza che la situazione di pericolo non esiste obiettivamente, ma è supposta erroneamente dall’agente a causa di un erroneo apprezzamento dei fatti.
Tale erroneo convincimento deve avere un fondamento obiettivo, cioè deve trovare riscontro in elementi di fatto che, malamente interpretati, abbiano fatto sorgere la ragionevole opinione della necessità di difendersi.
Alla stregua di tali principi, ad esempio, non è punibile il proprietario di una gioielleria che, ritenendo reale un tentativo di rapina a mano armata simulato, reagisca uccidendo l’apparente aggressore.
In tal caso sussiste anche proporzione tra beni in conflitto, dato che la minaccia incombe non solo sul patrimonio, ma anche sulla vita del gioielliere e dei suoi clienti.
La legittima difesa ha subito delle modifiche dalla legge 59 del 2006:
“Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
La riforma del 2006 ha quindi introdotto una presunzione assoluta (iuris et de iure) di proporzione fra difesa e offesa, nei casi di reazione avvenuta durante la commissione di delitti di violazione del domicilio ed in presenza di un pericolo di aggressione fisica. Sono equiparati al domicilio i luoghi di esercizio di attività economiche. Perché si possa operare la presunzione di proporzione è necessario che ci si trovi:
In uno dei casi previsti dall’articolo 614, commi 1 e 2 c.p.
Che colui che pone in essere la legittima difesa abbia il diritto di trovarsi in quel luogo
Che vi sia un pericolo per l’incolumità della persona
Che la legittima difesa sia operata attraverso un’arma o un altro strumento di coercizione legittimamente detenuto da chi la adopera.
Se manca anche una di queste condizioni la presunzione di proporzione non opera; ciò non toglie che la legittima difesa possa essere comunque riconosciuta se la proporzione tra difesa ed offesa è effettivamente presente (art. 52 comma 1 c.p.).
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