Sicilia 2012, la peggio politica
di Roberto Di Caro
Candidati scelti nei corridoi romani. Partiti ormai alla guerra per bande. E tutti pronti a negoziare le alleanze appena chiuse le urne. Ecco che cosa sta succedendo nell'isola a poche settimane dalle regionali
La guerra più aspra, manco a dirlo, se la fanno a sinistra. Rosario Crocetta, candidato Pd e Udc, contro Claudio Fava, in lizza per Sel più Idv: «Fava attacca solo me. Parenti serpenti, i partiti che lo appoggiano hanno conti da regolare: Leoluca Orlando non mi perdona il mio appoggio a Ferrandelli del Pd alle comunali di maggio a Palermo, l'altra sinistra che quattro anni fa lasciai i Comunisti italiani per il Pd. Comunque non credo che le sue liste supereranno lo sbarramento del 5 per cento...». Fava contro Crocetta: «Mica è di sinistra, Crocetta! Fa tintinnare le medagliette dell'antimafia, vanta che da sindaco di Gela ha fatto arrestare centinaia di mafiosi: ma io non concorro a un posto di commissario di polizia, mi candido a presidente della Regione siciliana...».
Non che gli altri scherzino, vedremo. Ma intanto una cosa è chiara in queste elezioni siciliane del 28 ottobre, test decisivo per definire alleanze e strategie alle politiche nazionali 2013: i grandi partiti non hanno ora di meglio che ritrarsi come la marea a Mont Saint Michel. Pronti a tornare e riprendersi l'intera battigia appena vento e flussi cambieranno. Prego, prima lei: così sono nate le candidature, a destra e a sinistra.
Chi ha lanciato Crocetta, attuale parlamentare europeo, iscritto al Pd, comunista, gay dichiarato? Pier Ferdinando Casini, accordo romano con Pier Luigi Bersani. Il Pd, spaccato in Sicilia sull'appoggio alla giunta dimissionaria di Raffaele Lombardo e fatto a pezzi alle comunali palermitane dall'immarcescibile Orlando, era pronto a sostenere il segretario regionale Udc Giampiero D'Alìa: un bel centrista appoggiato da tutta la foto di Vasto, ballon d'essai per il futuro governo nazionale. Ma Sel e Idv non ci sono stati. Casini ha buttato dunque nella mischia Crocetta, candidatura forte anche per il filo doppio dell'ex sindaco di Gela con la Confindustria della svolta antimafia di Antonello Montante e Ivan Lo Bello. Funzionerà? «Nel Pd i generali si dicono tutti con lui, ma ancora non sappiamo quante truppe lo seguiranno davvero», è l'incognita nel côté Udc dello staff di Crocetta, palazzo dagli alti soffitti affittato nella centralissima via Belmonte e già affollato di attivisti e giovani.
Prego, prima lei, anche nel centrodestra. Ricordate l'alleanza che nel '94 vinse 61 a 0, Dell'Utri e con lui il giovane Gianfranco Micciché pupillo di Silvio destinato ad allori ministeriali? Oggi, per trovare un candidato con una chance di vincere, il Pdl dei leader nazionali Alfano, Schifani, Prestigiacomo ha dovuto cercarlo nella Destra di Storace: Nello Musumeci, per due lustri presidente della Provincia di Catania, a lungo sotto scorta per minacce mafiose, simbolo tutto rosso («Il colore della passione, degli agrumi di Sicilia...». Anche dei comunisti? «Un ammiccamento, sì, gli elettori di sinistra mi hanno sempre votato»). A maggio candidarlo pareva una provocazione, poi si misero di mezzo gli ex An e i sondaggi favorevoli ed eccolo all'hotel Des Palmes di Palermo, prima della presentazione, a spiegare che «i partiti non sono riusciti a selezionare una classe dirigente o l'hanno fatto a costo di un grave deficit di democrazia interna, l'abolizione del voto di preferenza ha rafforzato le oligarchie ma pesantemente indebolito il rapporto con gli elettori, in questa crisi di credibilità l'uomo conta più dell'appartenenza». Analisi inoppugnabile.
E Micciché? Era il candidato predestinato, nonostante il lungo tira e molla con Berlusconi, da sottosegretario la rottura «quando lui bocciò una mia proposta di legge perché la Lega contraria era un partito e io no», poi la costituzione di Forza del Sud e ora Grande Sud, e intanto con Raffaele Lombardo al governo siciliano e poi contro. Invece Micciché si sfila, si candida presidente, mette fuori i suoi manifesti "Sogno siciliano", con due "o" un po' scappellate che si possono leggere anche "sugnu (sono) siciliano". Musumeci ancora adesso dice di lui: «Mi auguro possa ripensarci», il termine ultimo per le candidature è il 28 settembre. Ma lui, nella sua abitazione palermitana di piazza Politeama tutta affreschi, quadri, Marilyn everywhere e accanto ai futuristi di Mario Schifano il rifacimento con i quattro fratelli Micciché, replica durissimo: «Nello è tutt'altro che una persona di basso livello, ma il contagio con questo Pdl rischia di farlo diventare tale. Spero si salvi dal virus di un partito che era un gioiellino e ora vive solo di imbrogli.
Non ho la minima intenzione di fare marcia indietro, sono esaltato e felice, sono l'unico dei candidati che ha un programma vero, e conto di vincere. Futuri accordi? Se necessari, li vedo più facili con Crocetta che con Musumeci...».
Con Micciché, che già ipotizza «non una coalizione pro tempore ma un soggetto politico autonomista, un partito unico che escluda quelli nazionali», sta Raffaele Lombardo. Il vero convitato di pietra di queste elezioni. Il gran manovratore che in tre anni alla presidenza ha cambiato quattro maggioranze, cinque governi e 34 assessori, riuscendo a spaccare nell'ordine l'Udc, il Pdl, il Pd, il piccolo Fli e alla fine anche il suo Mpa, ora Partito dei Siciliani. Un terremoto in nome dell'autonomia, del milazzismo d'antan, dei tagli obbligati alla sanità e di un diluvio di nomine in ogni ente e consiglio d'amministrazione. Finché due rinvii a giudizio, per voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa, non l'hanno costretto alle dimissioni.
Mentre nel suo ufficio catanese pasteggia con un cubetto di parmigiano e un litro di tisana chiedi a Lombardo chi secondo lui gli ha fatto la forca e il suo gioco esce allo scoperto: «Io la forca non me la faccio fare da nessuno: è più prudente fare un passo indietro...». Indietro, non fuori. Anzi. I processi, ora accorpati? «Mi accingo a chiedere il rito abbreviato e l'assoluzione». Lo sproposito dei 18 mila dipendenti regionali? «Duemila meno di quando sono arrivato, e undicimila svolgono funzioni altrove statali». I 26 mila forestali? «Erano 30 mila. Ed equivalgono a duemila a tempo pieno». La Regione sull'orlo del default con un buco di bilancio di 5 miliardi e mezzo, molti di più calcolando i residui attivi di difficile riscossione? «Semplice crisi di liquidità: lo Stato ci versi il miliardo e 200 che ci deve». Il profluvio di nomine un istante prima di lasciare? «Non farle sarebbe stata omissione d'atti d'ufficio! Che mi possono dire, che ho sostituito amici miei con altri amici miei?». Incurante delle nordiste disavventure del Trota, ha deciso di candidare il figlio Toti, universitario 23enne («Bel ragazzo eh, lo voteranno le ragazzine, che dice?»).
Sta di fatto che nei sondaggi nessun candidato supera a oggi il 30 per cento, e anche con gli otto consiglieri assegnati al listino del vincente serve il 40 per avere la maggioranza in aula. Chiunque vinca dovrà fare i conti con Lombardo e Micciché. Se no come? E per fare che cosa? Inciampiamo qui in un'altra somiglianza con le giravolte e contorsioni da cui uscirà il dopo Monti. Succede, per esempio, che
Crocetta svicoli dalla domanda sulle future alleanze dichiarando: «Perché Monti come governa? Fatica, però i provvedimenti passano. Lo tollerano? E mi farò tollerare anch'io fino al voto nazionale. Poi qual è la classe politica così pazza e autolesionista da andarsene a casa dopo sei mesi?». Non fa una grinza. Ci sarebbero di mezzo i programmi, a dire il vero. Ma qui è Micciché a sorridere: «Sottigliezze! Un partito che fa saltare la propria maggioranza per motivi programmatici ancora lo devo vedere...».
Eppure le distanze ci sono, e non di poco conto. Rifiuti. Distribuzione dei contributi europei. Settori di investimento. «Soldi: questo c'è in ballo. Milioni, miliardi», attacca Claudio Fava. In giro elettorale nella Pachino dei pomodorini d'eccellenza messi in crisi da quelli tunisini spacciati per isolani, tra contadini, Legambiente e Gas che sognano agriturismi e bed&breakfast e si ritrovano discariche d'amianto: «Ma come ti arrivano i turisti se spendi 2 milioni per fantomatici eventi e 2 mila euro in totale per la manutenzione di tutti i musei siciliani? Come ti puoi sviluppare se dei 18 miliardi di Agenda Europa '99-2013 riesci a ottenere un misero 8 per cento e lo sparpagli in 40 mila interventi? Cos'è, la cassette delle questue, il bancomat del clientelismo?». La cosa è talmente evidente che pure Micciché ci punta: «Agricoltura e turismo: per me tutto il resto se ne può pure andare. A Termini Imerese non ci voglio altre auto ma una sfilza di studi cinematografici: modello Vendola, certo. E turismo ricco: ma come si fa, se una burocrazia di sorci dice regolarmente di no a ogni imprenditore che arriva, per il puro piacere del potere di far danni? Derattizzare bisogna. Cacciarli. E passare dall'autorizzazione preventiva al sistema del controllo a posteriori: con chi mi firma questa legge sono pronto ad allearmi». Giriamo subito a Crocetta: «Sì, così mi edificano anche sugli scogli! No, ho io il modo», che sarebbe dire all'esercito di dirigenti, o in tre mesi sblocchi le pratiche o ti licenzio». Suona come il miracolo di santa Rosalia. Ma forse è giusto un miracolo la può salvare, la Sicilia.