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Re: Economia

Inviato: 17/12/2014, 8:26
da Maucat
Ottima analisi che sancisce la vittoria da parte dei ricchi della lotta di classe contro tutti gli altri.
A questo punto rimangono ben poche strade percorribili per fermarli e tutte molto in salita.

Re: Economia

Inviato: 17/12/2014, 19:17
da camillobenso
Economia esteri -

Il primo segnale della forte crisi montante è il crollo del prezzo del petrolio, sceso in pochi mesi di oltre il 40%. I consumatori esultano perché ancora non ne conoscono le cause, e la causa principale è che la finanza internazionale ha cominciato ad alleggerire le proprie posizioni (cioè a vendere) per fronteggiare la tensione che si sta creando su tutti i mercati finanziari dovuta alla minore liquidità circolante collegata allo stop dei QE (quantitative easing americani).
Roberto Marchesi (Due post sopra)


Gli effetti del crollo del prezzo del petrolio cominciano a farsi sentire.


Russia, file nei centri commerciali per spendere rubli che si svalutano

La valuta di Mosca continua a perdere terreno rispetto a euro e dollaro. Alcune aziende, come Apple, hanno bloccato le vendite nel Paese per evitare speculazioni in attesa di aggiornare listini, altre, come MdDonald's, hanno ritoccato all'insù i prezzi

di F. Q. | 17 dicembre 2014


La paura che le banconote e monete nelle loro tasche possano diventare carta straccia ha trascinato centinaia di cittadini russi nei centri commerciali.

Davanti ai luoghi dello shopping di Mosca e non solo si sono formate file di persone che vogliono spendere i loro rubli prima che perdano ulteriormente terreno. Mercoledì il dollaro è arrivato a valere 80 rubli e l’euro 100. E la popolazione si sta accaparrando sia generi alimentari, che hanno conosciuto un incremento dei prezzi del 20% rispetto a una settimana fa, sia oggetti hi-tech ed elettronica, pur di disfarsi della valuta in crisi.

Una situazione che potrebbe far gola a chi viene dall’estero, visto che i prezzi di alcuni beni di consumo hanno conosciuto un drastico calo. Un trend che, però, ha già portato diverse aziende a correre ai ripari.

Come la Apple, che si è ritrovata a vendere il nuovo iPhone 6 a un prezzo pari a 587 dollari, quando il valore di mercato sarebbe 847.

L’azienda di Cupertino, in difficoltà nell’adeguare i listini a causa dell’estrema volatilità del cambio, ha quindi bloccato le vendite online per evitare di svendere i propri prodotti e far diventare il mercato russo la patria degli speculatori, pronti ad acquistare l’ultimo telefono o tablet a prezzi stracciati per poi rivenderlo su mercati più redditizi.

Sulla stessa linea anche molte altre multinazionali, come la Pepsi. A causa del crollo del rublo, i grandi distributori di auto straniere hanno sospeso la fornitura ai concessionari, che, di conseguenza, hanno congelato le vendite.

Bloccare le vendite, però, rappresenta comunque una perdita di introiti, quindi altre società hanno deciso invece di alzare i prezzi, perdendo sì mercato, ma evitando anche di svendere i loro prodotti. E’ il caso già citato dei generi alimentari, ma anche della multinazionale dei fast food McDonald’s, che ha ritoccato all’insù del 2,2% il prezzo dei Big Mac, o di Renault-Nissan, che hanno stabilito un aumento dell’8% sulla gamma di AvtoVaz, casa di produzione locale controllata dall’alleanza franco-nipponica, e anche di Ikea, che è stata letteralmente assediata dalla folla di persone corsa ad acquistare gli oggetti d’arredamento. Per questo, il marchio svedese ha annunciato che, da domani, i prezzi verranno ritoccati al rialzo.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12 ... o/1281539/

Re: Economia

Inviato: 17/12/2014, 20:00
da cielo 70
Quindi, in questo sistema economico sempre più discutibile, se l'economia va male va comunque male anche in Italia; se va bene non è detto che vada bene anche qui e c'è sempre la competizione. E ora a questi poteri forti non va bene il prezzo del petrolio troppo basso. Ma quando i prezzi aumentavano in modo incontrollato per anni stavano bene in pochi.

Re: Economia

Inviato: 17/12/2014, 20:41
da camillobenso
cielo 70 ha scritto:Quindi, in questo sistema economico sempre più discutibile, se l'economia va male va comunque male anche in Italia; se va bene non è detto che vada bene anche qui e c'è sempre la competizione. E ora a questi poteri forti non va bene il prezzo del petrolio troppo basso. Ma quando i prezzi aumentavano in modo incontrollato per anni stavano bene in pochi.

Mi sembra una regola inalterata dai tempi delle caverne.

Il più grande, grosso e forzuto della caverna dettava legge.

Poi si sono inventati i re che potevano sopraffare tutti per discendenza.

Nel secondo novecento sono venute meno le case regnanti e si è affermata una nuova aristocrazia. Quella della finanza.

Hanno diritto di vita e di morte su miliardi di sudditi dell'intera umanità.

Re: Economia

Inviato: 22/12/2014, 17:40
da camillobenso
Economia esteri -


ECONOMIA & LOBBY
Rublo e petrolio, la doppia bomba di Putin minaccia Russia ed Europa


Se chiedeste a un banchiere centrale di immaginare la stanza 101 del ministero dell’Amore – quella dove nella distopia orwelliana si materializza la paura assoluta – forse vi risponderebbe che è il luogo dove il tasso di sconto nel cuore della notte viene pompato di 650 punti base per tamponare una virulenta crisi valutaria in cui sono state bruciate riserve per 80 miliardi di dollari. E dove il giorno dopo la moneta crolla di un altro 20 percento, nonostante un accorato appello in televisione.

Da martedì scorso questa stanza 101 è l’ufficio di Elvira Nabiullina, governatrice della Banca centrale russa che ha visto il dollaro scambiato fino a oltre 80 rubli. Il terrore non è rimasto confinato tra le pacchiane volte del santuario del rublo, ma ha ghermito anche l’aspirante Grande Fratello del Cremlino da mesi ormai in scacco sul piano militare in Ucraina, ma soprattutto colpito ripetutamente sotto la linea di galleggiamento economico dal deprezzamento delle materie prime. Se Putin finisse nella polvere, per la terza volta in meno di trent’anni un potere assoluto a Mosca si dissolverebbe per le ripercussioni dei prezzi energetici.

Successe a Mikhail Gorbaciov (che si trascinò l’Urss) e poi a Boris Eltsin impalato dopo la crisi del 1998. E sarebbe una nemesi atroce visto che fu proprio Eltsin al capolinea fisico e morale a piazzare (senza elezioni di sorta) un’allora sconosciuto Putin sul trono del Cremlino. Tuttavia, per quanto lo Zar imprechi quotidianamente contro il complotto planetario e gli speculatori, in stile Berlusconi 2011, la tempistica della crisi economica e di quella ucraina sono una mera una coincidenza.

La Russia putiniana è un imbolsito dinosauro d’argilla che sperpera immense ricchezze in un’orgia di cleptocrazia inefficiente e autoritaria e che ha goduto finora di una stagione irripetibile.

Ma con il calo della domanda per effetto dell’evanescente ripresa globale e l’aumento dell’offerta americana da fonti non convenzionali il mercato del petrolio è entrato in una fase di debolezza destinata a perdurare fino a quando i produttori con i costi di estrazione più onerosi non saranno costretti a chiudere i pozzi.

Gli unici a poter fare qualcosa sarebbero i sauditi che però in un’ottica di lungo periodo preferiscono spazzare via un po’ di concorrenti fastidiosi soprattutto tra i fracker americani. Per la Russia, stritolata in questo meccanismo, le prospettive sono drammatiche. Ragionando a spanne con i capitali in fuga al ritmo di 100 miliardi di dollari l’anno e 120 miliardi di debito in scadenza nel 2015 per evitare un tracollo l’economia russa deve generare un surplus di partite correnti con l’estero di oltre 100 miliardi di dollari. Invece, nella situazione attuale con il petrolio sotto i 60 dollari al barile, le partite correnti puntano verso il rosso. L’unica soluzione consiste nel comprimere la domanda di importazioni, come del resto succede in tutte le crisi valutarie.

In effetti questo processo è già stato innescato perché l’aumento dei tassi colpirà la propensione a investire, mentre l’inflazione, spinta dalla svalutazione, distruggerà il potere di acquisto dei salari e di conseguenza i consumi. Inoltre nel marasma, le banche maggiori, che hanno esposizioni all’estero, saranno sotto pressione, e pertanto l’accesso al credito anche a tassi proibitivi per molte imprese (specie quelle senza solidi legami all’oligarchia) sarà una chimera. Il processo potrà essere attenuato o rallentato con ulteriori acquisti di rubli utilizzando le riserve valutarie, che ufficialmente sono ancora cospicue (360 miliardi di dollari) e probabilmente attingendo dal fondo sovrano che ha circa 78 miliardi di dollari.

Ma nessuno nutre soverchie illusioni: la stessa Banca centrale ha annunciato che l’economia potrebbe contrarsi del 4,5 percento se il petrolio rimane intorno ai 60 dollari. Uno stress test del resto non è lontano visto che le aziende russe nel quarto trimestre devono fronteggiare 35 miliardi di dollari di debiti in scadenza. Nei prossimi giorni il contagio è destinato a propagarsi ad altri mercati emergenti dal Brasile alla Cina in cui già si prevedevano tempi duri per il rafforzamento del dollaro e la fine del quantitative easing (l’acquisto massiccio di titoli di Stato) da parte della Federal Reserve che assicurava abbondante liquidità e afflussi di capitale. Ma un po’ tutti i mercati globali sono in subbuglio con precipitose fughe verso i titoli rifugio, tipo Bund tedeschi e T-Bill americani che volteggiano sui massimi storici.

Per quanto le Borse dei paesi maggiori hanno evitato il panico, il Vix, il maggiore indice della volatilità derivata dalle opzioni (conosciuto sui tradingfloor come “indice della paura”) segue un trend crescente con frequenti singulti. In ogni caso è difficile ipotizzare che in questa situazione tesa siano in molti a voler correre rischi con acquisti di azioni, soprattutto in vista delle feste quando la liquidità sui mercati è minima e ogni intoppo rischia di provocare danni gravi. La vulnerabilità più vistosa deriva dal fatto che il sistema finanziario, drogato dalle banche centrali maggiori, mantiene una leva troppo alta, quindi soffre di esposizioni che rischiano di esplodere per contraccolpi che in circostanze normali sarebbero gestibili. Se non si vuole evocare la tempesta perfetta, è bene tener presente che l’aria siberiana stazionerà ben oltre il nuovo anno e i Paesi più fragili, Italia inclusa, rischiano il congelamento. La banca centrale russa guidata da Elvira Nabiullina ha portato il tasso di interesse russo al 17 per cento. Nel 1998 il suo collega del tempo lo innalzò fino al 100 per cento. Senza riuscire a evitare il default sovrano. Un ricordo utile, si spera, per chi oggi in Italia vagheggia il ritorno alla lira.

il Fatto Quotidiano 17 dicembre 2014

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12 ... a/1289345/

Re: Economia

Inviato: 02/01/2015, 17:33
da camillobenso
Le previsioni di Ollione


L’ECONOMIA NEL 2015
Quello che frena la lumaca europea
Gli Usa avranno una crescita robusta e l’Asia ha di fronte a sé un anno di sviluppo: ma il Vecchio Continente vivrà altri mesi di stagnazione. La ripresa del nostro Paese passa da riforme e da un aumento della domanda interna
di Alan Friedman

Al principio di un nuovo anno pieno di incertezze geopolitiche, le prospettive per l’economia mondiale sono diventate inaspettatamente un pizzico più positive, grazie all’aiuto del crollo recente del prezzo del petrolio.
La congiuntura è sicuramente rosea per gli Stati Uniti, che dovrebbero facilmente riuscire a raggiungere una crescita del 3%, e con poca disoccupazione.

Ci sarà un buon ritmo di espansione anche in Asia, nonostante qualche preoccupazione sull’eventuale rallentamento dell’economia cinese. Il tasso di crescita per Pechino, anche se sta decelerando, dovrebbe arrivare al 7% nel 2015. Il prezzo dell’energia dovrebbe aiutare molto perché la Cina è il più grosso importatore al mondo di petrolio. L’India, intanto, è sotto una nuova e migliorata gestione economica, grazie al suo energico nuovo primo ministro, Narendra Modi, e dovrebbe arrivare a crescere tra il 5 e il 6%.

Solo in Europa, nel Vecchio Mondo, e soprattutto nell’eurozona, le prospettive non sono molto incoraggianti. Nel 2015, in Italia, la gente non dovrebbe percepire una ripresa (anche se potrebbe esserci qualche lieve aumento negli investimenti e consumi) ma piuttosto una sensazione di stagnazione continuativa. Non c’è tanto da festeggiare se l’Italia avrà una crescita tra lo 0,2 e lo 0,5%. La parola stagnazione descrive bene anche un’eurozona che cresce di circa 0,9 punti percentuali, nella quale la Germania non può raggiungere più dell’1% nel 2015 mentre la Francia arriverà a fatica al traguardo dello 0,8.
Quello che potrebbe cambiare lo scenario europeo e migliorare le prospettive in questo Purgatorio che sembra non avere fine sono due variabili: l’effetto della riduzione del prezzo dell’energia e di un deprezzamento o, meglio, di una svalutazione de facto, a mio avviso già in corso, tra moneta europea e dollaro americano.
A livello mondiale, per il Fondo monetario internazionale, il beneficio aggiuntivo del petrolio a 50-60 dollari al barile potrebbe valere una crescita migliorata fino allo 0,8%. In Europa, la riduzione del costo dell’energia per le imprese, se fosse nell’ordine del 40% per tutto il 2015, dovrebbe farsi sentire, e con effetti assolutamente salutari: per le imprese sarebbe quasi come ricevere una sorta di «80 euro». Tutto questo dovrebbe aiutare la crescita italiana. Ma se l’effetto del crollo del prezzo del petrolio è positivo, il costo del rischio geopolitico, come quello che deriva dalle sanzioni contro la Russia e la perdita in termini di commercio tra Mosca e Paesi come Germania e Italia, potrebbe risultare molto negativo. Le stime non sono scientifiche ma si potrebbe immaginare che la guerra economica in corso tra l’Ue e la Russia potrebbe costare in alcuni Stati dell’Ue fino a mezzo punto di Pil, cosa che potrebbe annullare il beneficio derivante dalla riduzione del prezzo dell’energia. Quindi, effetto netto zero.
Se i due fattori, petrolio a basso prezzo e costo geopolitico, si annullassero a vicenda, ci potrebbe comunque essere per l’Ue e per l’Italia un aspetto positivo dovuto al deprezzamento in corso dell’euro contro il dollaro. Se, come sembra probabile, il biglietto verde continuerà a rafforzarsi (poiché l’economia Usa è forte e robusta e la tendenza della Federal reserve è verso un rialzo dei tassi nel 2015) questo potrebbe portare una piccola pioggia di denaro per alcuni imprenditori, per l’export, e potrebbe dare la sensazione nostalgica di una svalutazione della lira, in cui chi vende fuori dell’eurozona potrebbe sentire un effetto positivo del 10 o 15% nel 2015.
Purtroppo, questo effetto salutare si farà sentire quasi solo nel settore del made in Italy, che ammonta a circa 400 o 500 miliardi, ovvero un quarto del Pil. Positivo senz’altro ma non risolve il problema della fievole domanda interna dell’economia italiana. E non risolve il problema che resta sospeso sopra le nostre teste come una spada di Damocle, e cioè il debito pubblico di 2.150 miliardi.
A livello europeo, purtroppo, lo spettro della deflazione è problematico per i Paesi con un livello elevato di debito pubblico. C’è un altro fattore negativo: la probabilità che il governo tedesco resti rigido e rifiuti di incrementare la sua spesa pubblica e gli investimenti per stimolare la propria economia. Un errore. I tedeschi esportano così tanto che forse pensano di potersi permettere di mantenere il rigore a livello interno e approfittare della svalutazione de facto dell’euro. Ma così faranno un danno a se stessi e al resto dell’eurozona; di conseguenza, con la loro crescita di un misero 1% nel 2015, i tedeschi acquisteranno anche meno merci italiane.
L’Europa si trova quindi di fronte un anno di deflazione e stagnazione, e così anche l’Italia. L’anno che ci aspetta potrebbe, per la maggior parte degli italiani, assomigliare agli ultimi dodici mesi. Il tasso di disoccupazione, dovrebbe cominciare a scendere a metà o forse alla fine del 2015, ma lo farà in modo talmente soffice che non si noterà. Contro questo scenario di Purgatorio prolungato, la questione che mi ha sempre spaventato di più è per quanto tempo e in quali condizioni il tessuto sociale italiano possa reggere, dopo anni di scoraggiamento e rassegnazione. Spero che il welfare rappresentato da famiglie estese e altri ammortizzatori sociali possa funzionare bene nel 2015.
Quello che ci attende sarà quindi un altro anno non facile. Ma il 2016 potrebbe essere meglio. Se l’Italia riesce a ritrovare un po’ di domanda interna nel 2015, e se il governo riuscirà ad attivare senza compromessi tutte le riforme messe sul tavolo, allora ci potrebbero essere delle speranze per il 2016. Ma quest’anno, il 2015, sarà ancora un anno di Purgatorio.


2 gennaio 2015 | 15:37
© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/opinioni/15_genn ... 48ef.shtml

Re: Economia

Inviato: 02/01/2015, 20:15
da iospero
Piketty: "Tsipras non è il male meglio di populisti e xenofobi. Il vero pericolo per l'Europa è l'ipocrisia di Juncker e Merkel"

L'economista francese: "Con un governo di sinistra dalla Grecia può partire una rivoluzione democratica: aiuterà a rivedere l'austerity che soffoca l'Unione con meno risorse per pagare i debiti pubblici e più sviluppo"

di EUGENIO OCCORSIO
31 dicembre 2014

ROMA."Non capisco perché le cosiddette cancellerie europee siano così terrorizzate dalla probabile vittoria di Syriza in Grecia. O meglio, lo capisco, però è ora di smontare le loro ipocrisie". Thomas Piketty, docente all'Ecole d'économie parigina, "l'economista più autorevole del 2014" come lo ha definito il Financial Times, è sceso in campo con tutta la sua grinta con un editoriale pubblicato ieri da Liberation . "Serve in Europa una rivoluzione democratica", ha scritto e ce lo ripete chiaro e forte al telefono dall'aeroporto di Parigi mentre sta per imbarcarsi per New York, la città che ha lanciato il suo "Capitale nel XXI secolo" come libro dell'anno grazie all'endorsement del premio Nobel Paul Krugman.

Professore, però Tsipras si è fatto strada sventolando la bandiera dell'uscita dall'euro...
"Sì, ma ora ha molto ammorbidito le sue posizioni. Si è rivelato, all'opposto, un leader fortemente europeista, una posizione che si assesterà ulteriormente se com'è probabile dovrà formare un governo di coalizione, visto che secondo i sondaggi non avrà più del 28% e quindi 138 seggi, 12 in meno della maggioranza. I più probabili alleati come sapete sono il neocostituito partito di centrosinistra Potami e l'altra forza di sinistra democratica Dimar, che gli garantirebbero un altro 8-10%. Certo, Syriza farà valere le sue posizioni in Europa, ma non sarà un male, anzi".

Qualcosa accadrà, insomma. Ma è sicuro che non sarà qualcosa di dirompente?
"Senta, guardiamo la situazione con realismo. La tensione in Europa è arrivata a un punto tale che in un modo o nell'altro scoppierà, entro il 2015. E tre sono le alternative: una nuova crisi finanziaria sconvolgente, l'affermazione delle forze di destra che realizzano la coalizione di cui stanno mettendo le basi incentrata sul Fronte Nazionale in Francia e comprendente la vostra Lega e forse i 5 Stelle, oppure uno choc politico proveniente da sinistra: Syriza, gli spagnoli di Podemos, il Partito democratico italiano, quel che resta dei socialisti francesi. Finalmente alleati e operativi. Lei quale soluzione sceglie? Io la terza".

La famosa "rivoluzione democratica", insomma. Quali dovrebbero essere i primi atti?
"Due punti. Primo, la revisione totale dell'attuale politica basata sull'austerity che sta soffocando qualsiasi possibilità di recupero in Europa, a partire dal Sud dell'eurozona. E questa revisione deve per primissima cosa prevedere una rinegoziazione dei debiti pubblici, un allungamento delle scadenze, eventualmente dei condoni veri e propri di alcune parti. È possibile, glielo assicuro. Vi siete chiesti perché l'America marcia alla grande, così come l'Europa fuori dall'euro come la Gran Bretagna? Ma perché l'Italia deve destinare il 6% del proprio Pil al pagamento degli interessi e solo l'1% al miglioramento delle sue scuole e università? Una politica incentrata solamente sulla riduzione del debito è distruttiva per l'eurozona. Secondo punto: un accentramento presso le istituzioni europee di politiche di base per lo sviluppo comune a partire da quella fiscale, e magari riorientare quest'ultima tassando di più le maggiori rendite personali e industriali. Su queste materie fondamentali si deve votare a maggioranza e non più all'unanimità, e poi vigilare perché tutti si adeguino. Più centralità serve anche su altri fronti a somiglianza di quanto si sta cominciando a fare per le banche. Solo così si potrà omogeneizzare l'economia e sbloccare la frammentazione di 18 politiche monetarie con 18 tassi d'interesse, 19 da inizio gennaio con la Lituania, esposta al flagello della speculazione. Non rendersene conto è miope e, quel che è peggio, profondamente ipocrita".

Le "ipocrisie europee" di cui parlava all'inizio: a cosa si riferisce più precisamente?
"Andiamo con ordine. Il più ipocrita è Jean-Claude Juncker, l'uomo al quale incoscientemente si è data in mano la commissione europea dopo che per vent'anni ha condotto il Lussemburgo a una sistematica depredazione dei profitti industriali del resto d'Europa. Ora pretende di fare il duro e di prendere un giro tutti con un piano da 300 miliardi che però è finanziato solo per 21, e all'interno di questi 21 la maggior parte sono fondi europei già in via di erogazione. Parla di "effetto leva" senza neanche rendersi conto di cosa sta parlando. Al secondo posto c'è la Germania, che fa finta di aver dimenticato il maxi-condono dopo la seconda guerra mondiale dei suoi debiti, scesi di colpo dal 200 al 30% del Pil, che le ha permesso di finanziare la ricostruzione e la prepotente crescita degli anni successivi. Dove sarebbe andata se fosse stata obbligata a ridurre faticosamente il debito a colpi dell'uno o due per cento all'anno come sta costringendo a fare il sud Europa? La terza piazza nell'imbarazzante classifica delle ipocrisie spetta alla Francia, che ora si ribella alla rigidità tedesca ma è stata in prima fila nell'affiancare la Germania quando è stata impostata la politica dell'austerity, e altrettanto decisa sembrava quando con il Fiscal Compact del 2012 si sono condannate le economie più deboli a ripagare i debiti fino all'ultimo euro malgrado la devastante crisi del 2010-2011. Ecco, se saranno smascherate e isolate queste ipocrisie si potrà ripartire per lo sviluppo europeo nell'anno che sta per iniziare. E Syriza farà meno paura".

Re: Economia

Inviato: 05/01/2015, 15:10
da camillobenso
Debito pubblico, Unimpresa: “Oltre 317 miliardi da rifinanziare nel 2015″
Numeri & News
Secondo il Centro studi dell'unione nazionale delle imprese, nei prossimi quattro anni lo Stato dovrà trovare riuscire a vendere Bot, Btp, Cct e Ctz per un valore complessivo di 964,2 miliardi. Nel 2014 però il tasso di interesse medio pagato ai risparmiatori è sceso all'1,35%, il minimo storico
di F. Q. | 3 gennaio 2015


Nel 2015 il Tesoro dovrà rifinanziare oltre 317 miliardi di euro di debito pubblico. A calcolarlo è il Centro studi di Unimpresa, secondo il quale entro fine anno andranno in scadenza 119,4 miliardi di Buoni ordinari del Tesoro (Bot), 140,2 miliardi di Buoni poliennali (Btp), 25,7 miliardi di Cct e 31,4 miliardi di Ctz. L’analisi, basata su dati della Banca d’Italia e del ministero dell’Economia e delle Finanze, anticipa che “nel quinquennio 2015-2019 va rifinanziato debito pubblico per un ammontare complessivo di 964,2 miliardi”.

Nell’arco del 2015 le scadenze delle obbligazioni emesse dal Tesoro “sono suddivise in maniera abbastanza omogenea: nel primo trimestre di quest’anno vanno rifinanziati titoli di Stato per 81,5 miliardi, nel secondo trimestre 84,5 miliardi, nel terzo trimestre 74,1 miliardi e nel quarto trimestre 76,8 miliardi”.

In questo momento sul mercato ci sono titoli per un ammontare di 1.726,9 miliardi: 119,4 miliardi di Bot, 1.434,6 miliardi di Btp, 120,1 miliardi di Cct e 52,7 miliardi di Ctz. Il centro studi ha calcolato che nel 2016 lo Stato dovrà trovare compratori per 138,3 miliardi di Btp, 14,4 miliardi di Cct e 21,2 miliardi di Ctz, mentre nel 2017 scadranno e dovranno essere “coperti” 164,5 miliardi di Btp e 31,4 miliardi di Cct e nel 2018 in agenda ci sono scadenze di Btp per 107,1 miliardi e di Cct per 28,1 miliardi. Infine, nel 2019 sono previsti rifinanziamenti di Btp per 129,3 miliardi e di Cct per 12,6 miliardi. “Successivamente, fra il 2020 e il 2044 – si legge nel rapporto – arrivano a fine corsa altri 762,7 miliardi di titoli di Stato: 754,9 miliardi di Btp e 7,7 miliardi di Cct”.

Nel corso del 2014, quando il debito pubblico della Penisola è arrivato a toccare quota 2.168 miliardi di euro, via XX Settembre ha approfittato dei bassi tassi di interesse per mettere “fieno in cascina” emettendo titoli in misura anche superiore a quanto necessario a coprire il fabbisogno. A consuntivo, il costo medio del debito risulta pari all’1,35%, il livello più basso mai registrato dal ministero guidato da Pier Carlo Padoan. In dicembre il tasso di interesse pagato dai Bot a tre mesi è addirittura sceso sottozero, come dire che il risparmiatore che li ha comprati ha accettato di pagare per tenerli in portafoglio. Il differenziale (spread) tra i Buoni del Tesoro e i Bund tedeschi si attesta invece ormai intorno ai 130 punti base. “È un risultato positivo che va cavalcato e ulteriormente migliorato. L’ideale – sostiene Unimpresa nella propria nota – sarebbe avvicinarsi ai 100 punti in modo tale da allontanare il più possibile la speculazione finanziaria sui titoli pubblici italiani e da accumulare addirittura un consistente ‘tesoretto‘ da spendere per la crescita economica”.

A spingere in basso i rendimenti è stata, nell’ultimo scorcio dell’anno, anche l’attesa per un intervento della Banca centrale europea, che sembra vicina a lanciare un piano d’acquisto di titoli di Stato per contrastare le deflazione e rilanciare la crescita.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... 5/1312506/

Re: Economia

Inviato: 14/01/2015, 22:00
da aaaa42

Re: Economia

Inviato: 15/01/2015, 0:46
da flaviomob
Anche sul debito, Renzi è il miglior "competitor" di Belluscone...

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Debito pubblico, aumento da record con Renzi premier
Il debito pubblico di ogni italiano cresce di 141,2 euro al mese, un’esplosione quattro volte quella registrata sotto il governo Monti e seconda solo al primo governo Berlusconi che sforò i 165 euro al mese

http://www.wired.it/economia/finanza/20 ... rno-renzi/