Le previsioni di Ollione
L’ECONOMIA NEL 2015
Quello che frena la lumaca europea
Gli Usa avranno una crescita robusta e l’Asia ha di fronte a sé un anno di sviluppo: ma il Vecchio Continente vivrà altri mesi di stagnazione. La ripresa del nostro Paese passa da riforme e da un aumento della domanda interna
di Alan Friedman
Al principio di un nuovo anno pieno di incertezze geopolitiche, le prospettive per l’economia mondiale sono diventate inaspettatamente un pizzico più positive, grazie all’aiuto del crollo recente del prezzo del petrolio.
La congiuntura è sicuramente rosea per gli Stati Uniti, che dovrebbero facilmente riuscire a raggiungere una crescita del 3%, e con poca disoccupazione.
Ci sarà un buon ritmo di espansione anche in Asia, nonostante qualche preoccupazione sull’eventuale rallentamento dell’economia cinese. Il tasso di crescita per Pechino, anche se sta decelerando, dovrebbe arrivare al 7% nel 2015. Il prezzo dell’energia dovrebbe aiutare molto perché la Cina è il più grosso importatore al mondo di petrolio. L’India, intanto, è sotto una nuova e migliorata gestione economica, grazie al suo energico nuovo primo ministro, Narendra Modi, e dovrebbe arrivare a crescere tra il 5 e il 6%.
Solo in Europa, nel Vecchio Mondo, e soprattutto nell’eurozona, le prospettive non sono molto incoraggianti. Nel 2015, in Italia, la gente non dovrebbe percepire una ripresa (anche se potrebbe esserci qualche lieve aumento negli investimenti e consumi) ma piuttosto una sensazione di stagnazione continuativa. Non c’è tanto da festeggiare se l’Italia avrà una crescita tra lo 0,2 e lo 0,5%. La parola stagnazione descrive bene anche un’eurozona che cresce di circa 0,9 punti percentuali, nella quale la Germania non può raggiungere più dell’1% nel 2015 mentre la Francia arriverà a fatica al traguardo dello 0,8.
Quello che potrebbe cambiare lo scenario europeo e migliorare le prospettive in questo Purgatorio che sembra non avere fine sono due variabili: l’effetto della riduzione del prezzo dell’energia e di un deprezzamento o, meglio, di una svalutazione de facto, a mio avviso già in corso, tra moneta europea e dollaro americano.
A livello mondiale, per il Fondo monetario internazionale, il beneficio aggiuntivo del petrolio a 50-60 dollari al barile potrebbe valere una crescita migliorata fino allo 0,8%. In Europa, la riduzione del costo dell’energia per le imprese, se fosse nell’ordine del 40% per tutto il 2015, dovrebbe farsi sentire, e con effetti assolutamente salutari: per le imprese sarebbe quasi come ricevere una sorta di «80 euro». Tutto questo dovrebbe aiutare la crescita italiana. Ma se l’effetto del crollo del prezzo del petrolio è positivo, il costo del rischio geopolitico, come quello che deriva dalle sanzioni contro la Russia e la perdita in termini di commercio tra Mosca e Paesi come Germania e Italia, potrebbe risultare molto negativo. Le stime non sono scientifiche ma si potrebbe immaginare che la guerra economica in corso tra l’Ue e la Russia potrebbe costare in alcuni Stati dell’Ue fino a mezzo punto di Pil, cosa che potrebbe annullare il beneficio derivante dalla riduzione del prezzo dell’energia. Quindi, effetto netto zero.
Se i due fattori, petrolio a basso prezzo e costo geopolitico, si annullassero a vicenda, ci potrebbe comunque essere per l’Ue e per l’Italia un aspetto positivo dovuto al deprezzamento in corso dell’euro contro il dollaro. Se, come sembra probabile, il biglietto verde continuerà a rafforzarsi (poiché l’economia Usa è forte e robusta e la tendenza della Federal reserve è verso un rialzo dei tassi nel 2015) questo potrebbe portare una piccola pioggia di denaro per alcuni imprenditori, per l’export, e potrebbe dare la sensazione nostalgica di una svalutazione della lira, in cui chi vende fuori dell’eurozona potrebbe sentire un effetto positivo del 10 o 15% nel 2015.
Purtroppo, questo effetto salutare si farà sentire quasi solo nel settore del made in Italy, che ammonta a circa 400 o 500 miliardi, ovvero un quarto del Pil. Positivo senz’altro ma non risolve il problema della fievole domanda interna dell’economia italiana. E non risolve il problema che resta sospeso sopra le nostre teste come una spada di Damocle, e cioè il debito pubblico di 2.150 miliardi.
A livello europeo, purtroppo, lo spettro della deflazione è problematico per i Paesi con un livello elevato di debito pubblico. C’è un altro fattore negativo: la probabilità che il governo tedesco resti rigido e rifiuti di incrementare la sua spesa pubblica e gli investimenti per stimolare la propria economia. Un errore. I tedeschi esportano così tanto che forse pensano di potersi permettere di mantenere il rigore a livello interno e approfittare della svalutazione de facto dell’euro. Ma così faranno un danno a se stessi e al resto dell’eurozona; di conseguenza, con la loro crescita di un misero 1% nel 2015, i tedeschi acquisteranno anche meno merci italiane.
L’Europa si trova quindi di fronte un anno di deflazione e stagnazione, e così anche l’Italia. L’anno che ci aspetta potrebbe, per la maggior parte degli italiani, assomigliare agli ultimi dodici mesi. Il tasso di disoccupazione, dovrebbe cominciare a scendere a metà o forse alla fine del 2015, ma lo farà in modo talmente soffice che non si noterà. Contro questo scenario di Purgatorio prolungato, la questione che mi ha sempre spaventato di più è per quanto tempo e in quali condizioni il tessuto sociale italiano possa reggere, dopo anni di scoraggiamento e rassegnazione. Spero che il welfare rappresentato da famiglie estese e altri ammortizzatori sociali possa funzionare bene nel 2015.
Quello che ci attende sarà quindi un altro anno non facile. Ma il 2016 potrebbe essere meglio. Se l’Italia riesce a ritrovare un po’ di domanda interna nel 2015, e se il governo riuscirà ad attivare senza compromessi tutte le riforme messe sul tavolo, allora ci potrebbero essere delle speranze per il 2016. Ma quest’anno, il 2015, sarà ancora un anno di Purgatorio.
2 gennaio 2015 | 15:37
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