Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
http://www.tzetze.it/redazione/2015/01/ ... a_leuropa/
Il partito di Farage potrebbe destabilizzare, con il voto del prossimo maggio, la situazione politica a livello europeo.
Leggiamo dal Sole 24 Ore:
Il voto del 7 maggio in Gram Bretagna è uno dei più importanti del dopoguerra. In gioco c'è infatti la permanenza del Regno nell'Unione Europea e la sua coesione interna dopo il referendum di settembre sull'indipendenza della Scozia, che è fallito ma ha lasciato non poche scorie. I sondaggi vedono in leggero vantaggio i Laburisti di Ed Miliband sui Conservatori del premier uscente David Cameron. Terzo incomodo non è più il Partito liberaldemocratico ma lo Ukip del combattivo Nigel Farage, che fa dell'uscita dalla Ue la sua bandiera programmatica. Un'ipotesi ormai sul tavolo, se è vero che Cameron ha promesso in caso di vittoria di indire nel 2017 un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell'Unione Europea dall'esito nient'affatto scontato. Referendum che i Laburisti assolutamente non vogliono.
Di fronte a un bivio così drammatico, il mondo delle imprese e la City sono ovviamente in allarme. Il voto è talmente incerto che secondo il Financial Times finirà per dar vita a una grande coalizione tra Labour e Tories. Un governo di unità nazionale senza precedenti nel dopoguerra inglese, ma visto come unico argine alla doppia minaccia rappresentata dallo Ukip e dal Partito nazionalista scozzese.
Ciao
Paolo11
Il partito di Farage potrebbe destabilizzare, con il voto del prossimo maggio, la situazione politica a livello europeo.
Leggiamo dal Sole 24 Ore:
Il voto del 7 maggio in Gram Bretagna è uno dei più importanti del dopoguerra. In gioco c'è infatti la permanenza del Regno nell'Unione Europea e la sua coesione interna dopo il referendum di settembre sull'indipendenza della Scozia, che è fallito ma ha lasciato non poche scorie. I sondaggi vedono in leggero vantaggio i Laburisti di Ed Miliband sui Conservatori del premier uscente David Cameron. Terzo incomodo non è più il Partito liberaldemocratico ma lo Ukip del combattivo Nigel Farage, che fa dell'uscita dalla Ue la sua bandiera programmatica. Un'ipotesi ormai sul tavolo, se è vero che Cameron ha promesso in caso di vittoria di indire nel 2017 un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell'Unione Europea dall'esito nient'affatto scontato. Referendum che i Laburisti assolutamente non vogliono.
Di fronte a un bivio così drammatico, il mondo delle imprese e la City sono ovviamente in allarme. Il voto è talmente incerto che secondo il Financial Times finirà per dar vita a una grande coalizione tra Labour e Tories. Un governo di unità nazionale senza precedenti nel dopoguerra inglese, ma visto come unico argine alla doppia minaccia rappresentata dallo Ukip e dal Partito nazionalista scozzese.
Ciao
Paolo11
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Re: Diario della caduta di un regime.
Le previsioni di Bagnai per il 2015
ECONOMIA & LOBBY
Draghi e Renzi: i flop che ci aspettano nel 2015
di Alberto Bagnai | 3 gennaio 2015 COMMENTI
Il 2015 ci proporrà due fallimenti e un mezzo successo, tutti disastrosi per noi.
Il primo fallimento sarà quello del big bazooka di Mario Draghi. La montagna dell’acquisto “massiccio” di titoli di Stato, qualora si traducesse in fatti, partorirebbe comunque il topolino della deflazione.
Gli economisti ormai sanno che l’economia non funziona come pensava Milton Friedman negli anni 60: non è la moneta “stampata” a influenzare l’attività economica, ma quella spesa. Nell’Eurosistema, ingessato da regole assurde, famiglie e imprese hanno paura di spendere, e le banche di erogare credito. A parte chiudere, la Bce non può farci nulla.
Scontato anche il fallimento di Matteo Renzi: la ripresa italiana sarà stentata e la deflazione renderà chimerico l’obiettivo del 3 per cento del rapporto tra deficit e Pil.
D’altra parte cosa vuoi che accada, se in una crisi di domanda fai politiche di offerta, come il Jobs Act, il cui unico scopo è quello di contenere il costo del lavoro (cioè i soldi immessi nell’economia attraverso le retribuzioni)?
Il collasso è inevitabile.
Potrebbe invece andare avanti il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il negoziato ultrasegreto fra Stati Uniti e Commissione europea per la creazione di un’area di libero scambio.
Un’edizione riveduta e ampliata del processo di integrazione europea, questa volta con gli Stati Uniti nel ruolo del vaso di ferro, e l’intera Europa (Germania compresa) in quello di vaso di coccio.
Le televisioni ci stanno già propinando a reti unificate spot mielosi per convincerci che il vaso di ferro agisce nel nostro interesse.
Sta a voi crederci!
La nostra unica speranza è che queste previsioni, come quelle di ogni autorevole economista, si rivelino errate: ma, purtroppo per noi, io non sono un autorevole economista.
Buon anno e buona fortuna.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... 5/1311825/
ECONOMIA & LOBBY
Draghi e Renzi: i flop che ci aspettano nel 2015
di Alberto Bagnai | 3 gennaio 2015 COMMENTI
Il 2015 ci proporrà due fallimenti e un mezzo successo, tutti disastrosi per noi.
Il primo fallimento sarà quello del big bazooka di Mario Draghi. La montagna dell’acquisto “massiccio” di titoli di Stato, qualora si traducesse in fatti, partorirebbe comunque il topolino della deflazione.
Gli economisti ormai sanno che l’economia non funziona come pensava Milton Friedman negli anni 60: non è la moneta “stampata” a influenzare l’attività economica, ma quella spesa. Nell’Eurosistema, ingessato da regole assurde, famiglie e imprese hanno paura di spendere, e le banche di erogare credito. A parte chiudere, la Bce non può farci nulla.
Scontato anche il fallimento di Matteo Renzi: la ripresa italiana sarà stentata e la deflazione renderà chimerico l’obiettivo del 3 per cento del rapporto tra deficit e Pil.
D’altra parte cosa vuoi che accada, se in una crisi di domanda fai politiche di offerta, come il Jobs Act, il cui unico scopo è quello di contenere il costo del lavoro (cioè i soldi immessi nell’economia attraverso le retribuzioni)?
Il collasso è inevitabile.
Potrebbe invece andare avanti il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il negoziato ultrasegreto fra Stati Uniti e Commissione europea per la creazione di un’area di libero scambio.
Un’edizione riveduta e ampliata del processo di integrazione europea, questa volta con gli Stati Uniti nel ruolo del vaso di ferro, e l’intera Europa (Germania compresa) in quello di vaso di coccio.
Le televisioni ci stanno già propinando a reti unificate spot mielosi per convincerci che il vaso di ferro agisce nel nostro interesse.
Sta a voi crederci!
La nostra unica speranza è che queste previsioni, come quelle di ogni autorevole economista, si rivelino errate: ma, purtroppo per noi, io non sono un autorevole economista.
Buon anno e buona fortuna.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... 5/1311825/
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Re: Diario della caduta di un regime.
Non so voi, ma da queste parti la vita diventa sempre più difficile ogni giorno che passa. Soprattutto quando parli con chi presta attenzione all’evolversi della situazione politica, sociale ed economica.
Stamani la prima pagina del Fatto Quotidiano riportava in grande:
MILAN’DRINA
I VERI BOSS
DELLA CITTA’
^^
Milano provincia della ’ndrangheta
(Davide Milosa).
05/01/2015 di triskel182
DROGA, OMICIDI, ARMI NEL CAPOLUOGO LOMBARDO COMANDANO LE MAGGIORI FAMIGLIE LEGATE ALLE COSCHE CALABRESI, HANNO CONTATTI E SANNO MUOVERSI: SULLE SPALLE PORTANO DECENNI DI CARCERE; OGGI, PERÒ, SONO UOMINI LIBERI.
Milano – Ama i casinò e i bei vestiti. Nasce a San Luca nel cuore dell’Aspromonte, ma è a Milano che tesse business e rapporti. Dalla Calabria però si porta in dote una relazione privilegiata con la cosca di Sebastiano Romeo detto u Staccu. In curriculum mette anche qualche anno di università. Da qui il soprannome di Dutturicchiu. Giuseppe Calabrò, classe ’50, è uno dei dieci uomini d’oro che sovraintendono gli affari nel capoluogo lombardo. Tutti hanno contatti e sanno come muoversi. Sulle spalle portano decenni di carcere.
Oggi, però, sono uomini liberi, nonostante molti dei lori nomi compaiano nelle carte delle ultime inchieste dell’antimafia. Vivono da fantasmi e sfuggono agli arresti. Stanno lontani dai reati e utilizzano poco il telefono. S’incontrano per strada o negli uffici. I salotti buoni li accolgono a braccia aperte. La politica li invita a cena. Nei quartieri della mala il loro nome è sinonimo di rispetto.
Mafiosi di rango, certificati dalle sentenze dei giudici e da recentissime informative della polizia giudiziaria. Siciliani, ma soprattutto calabresi perché come spiega il 59enne broker della coca Marcello Sgroi “A Milano comanda la ’ndrangheta”. kalashnikov e Uzi Ore 15 del 25 maggio 2012 via Oldrado de Tresseno zona viale Monza.
U Dutturicchiu attende in strada. Suona il cellulare. La telefonata dura nove secondi. Giusto il tempo perché l’interlocutore confermi l’appuntamento. Non è la prima volta, è già successo e sempre in questa strada privata non lontana dalla stazione Centrale, dove il cellulare di Calabrò viene agganciato diverse volte dagli investigatori. Chi chiama è Giulio Martino, uomo del clan Libri, gregario di lusso dell’ergastolano Mimmo Branca.
I due discutono di armi e di droga da trafficare dal Sudamerica direttamente nel porto di Gioia Tauro. Calabrò ha una partita di kalashnikov e Uzi. Li tiene ad Arma di Taggia e vuole portarli a Milano. Martino interessa il suo factotum Eddy Colangelo, ex trafficante oggi collaboratore di giustizia. È lui che fa il nome di Calabrò. Lui che con le sue confessioni svela i traffici del clan Martino coinvolto nell’operazione Rinnovamento del 16 dicembre scorso. Racconta Colangelo: “Giulio Martino mi dice che c’era da fare un favore al vecchio.
Con tale soprannome noi ci riferivamo a Beppe Calabrò”. Spiega: “Io lo avevo conosciuto nel 1999 a San Vittore, me lo avevano presentato i fratelli Martino (…). In carcere si sentiva parlare di lui come di una persona importante. Lo rividi molti anni dopo nel 2011, in compagnia di Giulio Martino”. Uomini liberi si diceva. Tale è oggi Calabrò, il quale non risulta indagato nell’ultima inchiesta della Dda milanese. Prosegue Colangelo: “Giulio Martino mi parlava di costui come di una persona che era uno molto importante in Calabria”. Chi è realmente u Dutturicchiu lo mettono nero su bianco i carabinieri per i quali le parole di Colangelo “confermano lo spessore criminale di Giuseppe Calabrò (…) personaggio di spicco della ‘ndrangheta”. Il suo nome è collegato anche al malavitoso serbo Dragomir Petrovic detto Draga.
Il serbo, intercettato dalla Guardia di Finanza nell’ottobre 2013, discute di un traffico di droga assieme a Roberto Mendolicchio, fratello di Luigi già luogotenente di Mimmo Branca e attuale ras della zona di piazza Prealpi. Per il carico i due fanno riferimento allo stesso Calabrò, il quale, ancora una volta, non risulta coinvolto penalmente nella vicenda. Contatti e relazioni. Così se nel 2012 Calabrò incontra gli uomini di Mimmo Branca, il suo nome compare già in alcune informative del 1990. Si tratta dell’indagine Fior di Loto dove viene descritto “come personaggio dotato di una forte potenzialità criminale” in contatto con Santo Pasquale Morabito, altro boss alla milanese, originario di Africo e legato al padrino ergastolano Giuseppe Morabito alias u Tiradrittu. Dopo quasi 30 anni di galera, oggi Santo Pasquale è tornato in libertà. La sua scarcerazione risale al febbraio scorso. Attualmente abita in una zona residenziale della città e non risulta indagato in nessuna inchiesta.
A metà degli anni Novanta ecco cosa scrive di lui la Criminalpol: “Santo Pasquale Morabito, per il suo modo di essere, di atteggiarsi e per i riguardi che gli sono riservati dai suoi interlocutori ha indubbiamente raggiunto una posizione di alto rango. E ciò anche in relazione alla sua capacità di penetrazione nel tessuto socioeconomico, con l’acquisizione di attività imprenditoriali, e negli organi istituzionali e rappresentativi”. Da quell’indagine emergono, netti, i legami con Calabrò. Più volte i due, intercettati, discutono di armi e di droga. Addirittura, ricostruiranno gli investigatori, progettano un agguato all’allora capo della polizia Arturo Parisi. Durante quei colloqui negli uffici della Loto Immobiliare, impresa mafiosa a due passi dal Tribunale, c’è Pietro Mollica, anche lui di Africo, cugino di Santo Pasquale Morabito. Mollica oggi è un cittadino libero.
E nonostante questo mantiene stretti rapporti con la malavita. Tanto che nel marzo 2012, la Guardia di Finanza filma un incontro di altissimo livello ai tavolini del bar il Borgo di via San Bernardo 33 a Milano. Oltre al cugino di Morabito, i militari fotografano Mario Trovato, fratello dell’ergastolano Franco Coco Trovato. Oggi Santo Pasquale Morabito conduce una vita riservata, periodicamente si reca al commissariato per la firma di rito, s’incontra con i vecchi amici. Tra questi il cugino Pietro Mollica. Basso profilo, dunque, e la solita grande passione per gli orologi di lusso. E se Santo Pasquale Morabito è tornato in libertà, un altro uomo del clan è in fuga dal 1994. Rocco Morabito, detto u Tamunga, è inserito nella lista dei dieci latitanti più pericolosi. Ricercato per mafia, è considerato un broker della droga di altissimo spessore. Ultima residenza nota: via Bordighera 18 a Milano. Da sempre u Tamunga è considerato l’alter ego di Domenico Antonio Mollica, trafficante legato ai servizi segreti militari. In città, dunque, gli uomini della cosca Morabito tornano in pista. Il clan, infatti, non è stato coinvolto nelle recenti inchieste dell’antimafia. L’ultima indagine risale al 2006.
Si tratta dell’operazione For a King che ha fotografato l’infiltrazione della ’ndrangheta di Africo all’interno dell’Ortomercato di Milano e i rapporti con l’attuale consigliere regionale del Nuovo centrodestra Alessandro Colucci (mai indagato). Occhio al passato E così per capire il presente bisogna conoscere il passato. Dal passato arriva Giuseppe Ferraro alias il professore. Classe ’47 da Africo Nuovo, il professore oggi gestisce una lavanderia in via Amadeo. Nel 1984 la squadra Mobile scrive come fosse “legato al fratello Santo Salvatore e ad altri pregiudicati calabresi in relazione a traffici illeciti, in particolare commercio di stupefacenti ed estorsioni”.
Recentemente il suo nome, mai iscritto nel registro degli indagati, è emerso nell’inchiesta dei carabinieri che ha portato in carcere l’ex assessore regionale Domenico Zambetti. In particolare Ferraro viene allertato da Pino d’Agostino, altra eminenza grigia della cosca in riva al Naviglio, per procurare voti certi al candidato di riferimento. La contabilità degli affari malavitosi passa anche e soprattutto per le zone a sud di Milano. Qui l’alto commissariato del crimine è rappresentato dagli uomini e dalle donne della cosca Barbaro-Papalia, il cui organico è tornato a ingrossarsi dopo che la maxi-inchiesta Parco sud è recentemente naufragata in Cassazione scagionando dall’accusa di mafia diversi personaggi.
Su tutti: Salvatore Barbaro e Domenico Papalia, figlio del boss ergastolano Antonio Papalia. Giovani leve sulle quali si accendono di nuovo i riflettori. E nonostante questo, attualmente equilibri, decisioni, affari sono in mano a due vecchi luogotenenti del clan. Il primo è Domenico Trimboli, detto Micu u Murruni, classe ’59 e una nobile parentela con il vecchio cda della ’ndrangheta al nord rappresentato dalla famiglia Papalia. Il ruolo di primo piano di Trimboli emerge netto dall’indagine Rinnovamento, quando il reggente della cosca viene contattato dagli uomini del clan Libri, i quali chiedono un incontro. Il 16 luglio 2013 l’appuntamento è fissato ai tavolini del bar Clayton di via Volta a Corsico.
A Trimboli, che non risulta indagato, viene chiesto di appoggiare l’azione di protezione nei confronti di un imprenditore milanese minacciato da un gruppo di siciliani. Trimboli, definito “personaggio di spicco della criminalità organizzata calabrese”, viene scarcerato nel 2009 e subito decide di tornare nella sua residenza di via Milano a Corsico. Nell’appartamento spesso alloggia Antonio Papalia, classe ’75, trafficante di droga, il quale, negli anni Novanta, aveva progettato di uccidere l’attuale procuratore aggiunto Alberto Nobili. Dopo Murruni, nel 2012 torna in libertà un altro pezzo da novanta. Si tratta di Rocco Barbaro, classe ’65, detto u Sparitu. Come il primo anche lui sceglie una residenza milanese in via Lecco a Buccinasco. Attualmente non risulta indagato. Le intercettazioni dell’indagine Platino ne tracciano la figura. Parla Agostino Catanzariti, reggente arrestato nel gennaio 2014 e recentemente condannato a 14anni. Dice: “Lui è capo di tutti i capi (…) di quelli che fanno parte di queste parti”.
Per i carabinieri il senso è chiaro: Rocco Barbaro è l’attuale referente di tutta la ’ndrangheta lombarda. E lo è “per regola”, visto che è figlio di Francesco Barbaro detto Ciccio u Castanu, classe 1927, “una delle figure più importanti di tutte le ‘ndrine platiote”. Arriva anche Cosa nostra Milano capitale di ’ndrangheta, ma non solo. Attualmente, infatti, diversi esponenti di Cosa nostra sono tornati in libertà o stanno per essere scarcerati. Si tratta di nomi storici da sempre in affari con le ’ndrine. Tra questi Antonino e Carlo Zacco, padre e figlio. Il primo soprannominato Nino il bello, negli anni Novanta viene coinvolto nell’inchiesta Duomo connection mentre in Sicilia lavora nella grande raffineria di Alcamo. Da sempre è in contatto con la ’ndrangheta a sud di Milano.
Suo figlio Carlo, non indagato, viene citato nell’ultima indagine sui fratelli Martino. In particolare viene coinvolto dal clan nella vicenda della protezione da dare a un imprenditore sotto scacco da un gruppo di catanesi. All’incontro Carlo Zacco, scrivono i carabinieri, si presenterà armato. In attesa di concludere una carcerazione trentennale è invece Antonino Guzzardi, broker della droga legato ai corleonesi Ciulla, in rapporto con i cartelli colombiani e in passato vicino a Pablo Escobar. Giocano forte gli uomini d’oro del crimine alla milanese. Incrociano inchieste, ben attenti a non inciampare in reati penali. Liberi si muovano da fantasmi. Nella Milano dell’Expo e dei quartieri popolari: dal Corvetto a Quarto Oggiaro, fortino dello spaccio svuotato dalle inchieste e oggi controllato da personaggi storici come Luigi Giametta e Francesco Giordano detto don Nicola.
Ultimi sopravvissuti dopo la mattanza dell’inverno 2013, quando Antonino Benfante ha sterminato il clan Tatone. Benfante lo chiamano Nino Palermo. Testa criminale e una sola strategia: “Bacia le mani a chi le merita tagliate”. Benvenuti in città.
Da Il fatto Quotidiano del 05/01/2015.
Stamani la prima pagina del Fatto Quotidiano riportava in grande:
MILAN’DRINA
I VERI BOSS
DELLA CITTA’
^^
Milano provincia della ’ndrangheta
(Davide Milosa).
05/01/2015 di triskel182
DROGA, OMICIDI, ARMI NEL CAPOLUOGO LOMBARDO COMANDANO LE MAGGIORI FAMIGLIE LEGATE ALLE COSCHE CALABRESI, HANNO CONTATTI E SANNO MUOVERSI: SULLE SPALLE PORTANO DECENNI DI CARCERE; OGGI, PERÒ, SONO UOMINI LIBERI.
Milano – Ama i casinò e i bei vestiti. Nasce a San Luca nel cuore dell’Aspromonte, ma è a Milano che tesse business e rapporti. Dalla Calabria però si porta in dote una relazione privilegiata con la cosca di Sebastiano Romeo detto u Staccu. In curriculum mette anche qualche anno di università. Da qui il soprannome di Dutturicchiu. Giuseppe Calabrò, classe ’50, è uno dei dieci uomini d’oro che sovraintendono gli affari nel capoluogo lombardo. Tutti hanno contatti e sanno come muoversi. Sulle spalle portano decenni di carcere.
Oggi, però, sono uomini liberi, nonostante molti dei lori nomi compaiano nelle carte delle ultime inchieste dell’antimafia. Vivono da fantasmi e sfuggono agli arresti. Stanno lontani dai reati e utilizzano poco il telefono. S’incontrano per strada o negli uffici. I salotti buoni li accolgono a braccia aperte. La politica li invita a cena. Nei quartieri della mala il loro nome è sinonimo di rispetto.
Mafiosi di rango, certificati dalle sentenze dei giudici e da recentissime informative della polizia giudiziaria. Siciliani, ma soprattutto calabresi perché come spiega il 59enne broker della coca Marcello Sgroi “A Milano comanda la ’ndrangheta”. kalashnikov e Uzi Ore 15 del 25 maggio 2012 via Oldrado de Tresseno zona viale Monza.
U Dutturicchiu attende in strada. Suona il cellulare. La telefonata dura nove secondi. Giusto il tempo perché l’interlocutore confermi l’appuntamento. Non è la prima volta, è già successo e sempre in questa strada privata non lontana dalla stazione Centrale, dove il cellulare di Calabrò viene agganciato diverse volte dagli investigatori. Chi chiama è Giulio Martino, uomo del clan Libri, gregario di lusso dell’ergastolano Mimmo Branca.
I due discutono di armi e di droga da trafficare dal Sudamerica direttamente nel porto di Gioia Tauro. Calabrò ha una partita di kalashnikov e Uzi. Li tiene ad Arma di Taggia e vuole portarli a Milano. Martino interessa il suo factotum Eddy Colangelo, ex trafficante oggi collaboratore di giustizia. È lui che fa il nome di Calabrò. Lui che con le sue confessioni svela i traffici del clan Martino coinvolto nell’operazione Rinnovamento del 16 dicembre scorso. Racconta Colangelo: “Giulio Martino mi dice che c’era da fare un favore al vecchio.
Con tale soprannome noi ci riferivamo a Beppe Calabrò”. Spiega: “Io lo avevo conosciuto nel 1999 a San Vittore, me lo avevano presentato i fratelli Martino (…). In carcere si sentiva parlare di lui come di una persona importante. Lo rividi molti anni dopo nel 2011, in compagnia di Giulio Martino”. Uomini liberi si diceva. Tale è oggi Calabrò, il quale non risulta indagato nell’ultima inchiesta della Dda milanese. Prosegue Colangelo: “Giulio Martino mi parlava di costui come di una persona che era uno molto importante in Calabria”. Chi è realmente u Dutturicchiu lo mettono nero su bianco i carabinieri per i quali le parole di Colangelo “confermano lo spessore criminale di Giuseppe Calabrò (…) personaggio di spicco della ‘ndrangheta”. Il suo nome è collegato anche al malavitoso serbo Dragomir Petrovic detto Draga.
Il serbo, intercettato dalla Guardia di Finanza nell’ottobre 2013, discute di un traffico di droga assieme a Roberto Mendolicchio, fratello di Luigi già luogotenente di Mimmo Branca e attuale ras della zona di piazza Prealpi. Per il carico i due fanno riferimento allo stesso Calabrò, il quale, ancora una volta, non risulta coinvolto penalmente nella vicenda. Contatti e relazioni. Così se nel 2012 Calabrò incontra gli uomini di Mimmo Branca, il suo nome compare già in alcune informative del 1990. Si tratta dell’indagine Fior di Loto dove viene descritto “come personaggio dotato di una forte potenzialità criminale” in contatto con Santo Pasquale Morabito, altro boss alla milanese, originario di Africo e legato al padrino ergastolano Giuseppe Morabito alias u Tiradrittu. Dopo quasi 30 anni di galera, oggi Santo Pasquale è tornato in libertà. La sua scarcerazione risale al febbraio scorso. Attualmente abita in una zona residenziale della città e non risulta indagato in nessuna inchiesta.
A metà degli anni Novanta ecco cosa scrive di lui la Criminalpol: “Santo Pasquale Morabito, per il suo modo di essere, di atteggiarsi e per i riguardi che gli sono riservati dai suoi interlocutori ha indubbiamente raggiunto una posizione di alto rango. E ciò anche in relazione alla sua capacità di penetrazione nel tessuto socioeconomico, con l’acquisizione di attività imprenditoriali, e negli organi istituzionali e rappresentativi”. Da quell’indagine emergono, netti, i legami con Calabrò. Più volte i due, intercettati, discutono di armi e di droga. Addirittura, ricostruiranno gli investigatori, progettano un agguato all’allora capo della polizia Arturo Parisi. Durante quei colloqui negli uffici della Loto Immobiliare, impresa mafiosa a due passi dal Tribunale, c’è Pietro Mollica, anche lui di Africo, cugino di Santo Pasquale Morabito. Mollica oggi è un cittadino libero.
E nonostante questo mantiene stretti rapporti con la malavita. Tanto che nel marzo 2012, la Guardia di Finanza filma un incontro di altissimo livello ai tavolini del bar il Borgo di via San Bernardo 33 a Milano. Oltre al cugino di Morabito, i militari fotografano Mario Trovato, fratello dell’ergastolano Franco Coco Trovato. Oggi Santo Pasquale Morabito conduce una vita riservata, periodicamente si reca al commissariato per la firma di rito, s’incontra con i vecchi amici. Tra questi il cugino Pietro Mollica. Basso profilo, dunque, e la solita grande passione per gli orologi di lusso. E se Santo Pasquale Morabito è tornato in libertà, un altro uomo del clan è in fuga dal 1994. Rocco Morabito, detto u Tamunga, è inserito nella lista dei dieci latitanti più pericolosi. Ricercato per mafia, è considerato un broker della droga di altissimo spessore. Ultima residenza nota: via Bordighera 18 a Milano. Da sempre u Tamunga è considerato l’alter ego di Domenico Antonio Mollica, trafficante legato ai servizi segreti militari. In città, dunque, gli uomini della cosca Morabito tornano in pista. Il clan, infatti, non è stato coinvolto nelle recenti inchieste dell’antimafia. L’ultima indagine risale al 2006.
Si tratta dell’operazione For a King che ha fotografato l’infiltrazione della ’ndrangheta di Africo all’interno dell’Ortomercato di Milano e i rapporti con l’attuale consigliere regionale del Nuovo centrodestra Alessandro Colucci (mai indagato). Occhio al passato E così per capire il presente bisogna conoscere il passato. Dal passato arriva Giuseppe Ferraro alias il professore. Classe ’47 da Africo Nuovo, il professore oggi gestisce una lavanderia in via Amadeo. Nel 1984 la squadra Mobile scrive come fosse “legato al fratello Santo Salvatore e ad altri pregiudicati calabresi in relazione a traffici illeciti, in particolare commercio di stupefacenti ed estorsioni”.
Recentemente il suo nome, mai iscritto nel registro degli indagati, è emerso nell’inchiesta dei carabinieri che ha portato in carcere l’ex assessore regionale Domenico Zambetti. In particolare Ferraro viene allertato da Pino d’Agostino, altra eminenza grigia della cosca in riva al Naviglio, per procurare voti certi al candidato di riferimento. La contabilità degli affari malavitosi passa anche e soprattutto per le zone a sud di Milano. Qui l’alto commissariato del crimine è rappresentato dagli uomini e dalle donne della cosca Barbaro-Papalia, il cui organico è tornato a ingrossarsi dopo che la maxi-inchiesta Parco sud è recentemente naufragata in Cassazione scagionando dall’accusa di mafia diversi personaggi.
Su tutti: Salvatore Barbaro e Domenico Papalia, figlio del boss ergastolano Antonio Papalia. Giovani leve sulle quali si accendono di nuovo i riflettori. E nonostante questo, attualmente equilibri, decisioni, affari sono in mano a due vecchi luogotenenti del clan. Il primo è Domenico Trimboli, detto Micu u Murruni, classe ’59 e una nobile parentela con il vecchio cda della ’ndrangheta al nord rappresentato dalla famiglia Papalia. Il ruolo di primo piano di Trimboli emerge netto dall’indagine Rinnovamento, quando il reggente della cosca viene contattato dagli uomini del clan Libri, i quali chiedono un incontro. Il 16 luglio 2013 l’appuntamento è fissato ai tavolini del bar Clayton di via Volta a Corsico.
A Trimboli, che non risulta indagato, viene chiesto di appoggiare l’azione di protezione nei confronti di un imprenditore milanese minacciato da un gruppo di siciliani. Trimboli, definito “personaggio di spicco della criminalità organizzata calabrese”, viene scarcerato nel 2009 e subito decide di tornare nella sua residenza di via Milano a Corsico. Nell’appartamento spesso alloggia Antonio Papalia, classe ’75, trafficante di droga, il quale, negli anni Novanta, aveva progettato di uccidere l’attuale procuratore aggiunto Alberto Nobili. Dopo Murruni, nel 2012 torna in libertà un altro pezzo da novanta. Si tratta di Rocco Barbaro, classe ’65, detto u Sparitu. Come il primo anche lui sceglie una residenza milanese in via Lecco a Buccinasco. Attualmente non risulta indagato. Le intercettazioni dell’indagine Platino ne tracciano la figura. Parla Agostino Catanzariti, reggente arrestato nel gennaio 2014 e recentemente condannato a 14anni. Dice: “Lui è capo di tutti i capi (…) di quelli che fanno parte di queste parti”.
Per i carabinieri il senso è chiaro: Rocco Barbaro è l’attuale referente di tutta la ’ndrangheta lombarda. E lo è “per regola”, visto che è figlio di Francesco Barbaro detto Ciccio u Castanu, classe 1927, “una delle figure più importanti di tutte le ‘ndrine platiote”. Arriva anche Cosa nostra Milano capitale di ’ndrangheta, ma non solo. Attualmente, infatti, diversi esponenti di Cosa nostra sono tornati in libertà o stanno per essere scarcerati. Si tratta di nomi storici da sempre in affari con le ’ndrine. Tra questi Antonino e Carlo Zacco, padre e figlio. Il primo soprannominato Nino il bello, negli anni Novanta viene coinvolto nell’inchiesta Duomo connection mentre in Sicilia lavora nella grande raffineria di Alcamo. Da sempre è in contatto con la ’ndrangheta a sud di Milano.
Suo figlio Carlo, non indagato, viene citato nell’ultima indagine sui fratelli Martino. In particolare viene coinvolto dal clan nella vicenda della protezione da dare a un imprenditore sotto scacco da un gruppo di catanesi. All’incontro Carlo Zacco, scrivono i carabinieri, si presenterà armato. In attesa di concludere una carcerazione trentennale è invece Antonino Guzzardi, broker della droga legato ai corleonesi Ciulla, in rapporto con i cartelli colombiani e in passato vicino a Pablo Escobar. Giocano forte gli uomini d’oro del crimine alla milanese. Incrociano inchieste, ben attenti a non inciampare in reati penali. Liberi si muovano da fantasmi. Nella Milano dell’Expo e dei quartieri popolari: dal Corvetto a Quarto Oggiaro, fortino dello spaccio svuotato dalle inchieste e oggi controllato da personaggi storici come Luigi Giametta e Francesco Giordano detto don Nicola.
Ultimi sopravvissuti dopo la mattanza dell’inverno 2013, quando Antonino Benfante ha sterminato il clan Tatone. Benfante lo chiamano Nino Palermo. Testa criminale e una sola strategia: “Bacia le mani a chi le merita tagliate”. Benvenuti in città.
Da Il fatto Quotidiano del 05/01/2015.
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Re: Diario della caduta di un regime.
E’ possibile che Massimo D’Alema, classe 1949, stia vivendo un dramma personale. Quello della fine della carriera. Essere contestato dalla folla che non accetta più la tua presenza, è un segnale ben preciso per un politico. Passi (mica tanto) per la contestazione di Bari in mezzo ad un corteo di scioperanti, ma quando sei contestato anche nel privato, è la fine.
CRONACA
D’Alema contestato resta fuori
Dalla camera ardente di Pino Daniele
http://video.corriere.it/d-alema-contes ... bd267bd3d5
CRONACA
D’Alema contestato resta fuori
Dalla camera ardente di Pino Daniele
http://video.corriere.it/d-alema-contes ... bd267bd3d5
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Re: Diario della caduta di un regime.
Questa notizia è appena passata al Tg7 delle 20,00 di Mentana. Io non sono di certo schierato a favore di Pittibimbo, basta leggere questo forum. La situazione è difficilissima e certamente non sono io a non denunciarla, ma l’uscita a scopo propagandistico di Giarruso è completamente sbagliata. Certe frasi che hanno lo scopo di sfogare una rabbia personale si possono dire in privato, perché alla fine tutto finisce li.
Se invece lo ripeti pubblicamente, come ha fatto Giarruso, assume un’altra valenza. Si getta fuoco sulla benzina. Gli animi sono surriscaldati e dichiarare che : “Renzi andrebbe impiccato. La gente è molto arrabbiata”
È da irresponsabili.
E’ vero che la gente è molto arrabbiata, ma anche impiccando Renzi non si risolvono i problemi.
La lettura dei commenti dei lettori è sempre molto interessante dal punto di vista sociologico, per tastare il polso ad una parte di italiani. Come ad esempio questo appena arrivato.
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Stefac79 • alcuni secondi fa
Non è che andrebbe impiccato Friskies, ma andrebbero impiccati quelli che l'hanno votato.
PS : la Rotta ci dice che viviamo in democrazia a nostra insaputa.
o
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Noi non possiamo alzare le spalle e fare finta di niente, perché la storia si ripete in continuazione e nessuno impara mai niente.
Per chi si interessa di psicosociologia della politica i commenti a questo articolo sono piuttosto interessanti per misurare il clima che si respira.
^^^
M5S, senatore Giarrusso: “Renzi andrebbe impiccato. La gente è molto arrabbiata”
Il parlamentare del Movimento 5 stelle intervistato al programma "La Zanzara" su Radio24 ha attaccato il leader Pd per le vacanze con il volo di Stato e per la norma salva Berlusconi
di F. Q. | 6 gennaio 2015
“Renzi andrebbe impiccato”. Il senatore del Movimento 5 stelleMichele Mario Giarrusso, intervistato dal programma “La Zanzara” su Radio24, commenta così le ultime vicende che hanno visto come protagonista il presidente del Consiglio. “Se non fosse una situazione tragica ci sarebbe da ridere. Renzi va in vacanza conun Falcon da 9mila euro all’ora e attacca gli impiegati pubblici. E poi cerca di salvare il suo complice Berlusconi.
Sarebbe da impiccare veramente, la gente è molto arrabbiata. Avete presente la cosa che si fa su un albero, attaccando la corda? Ecco, quella. Questo succederà quando la gente si arrabbierà davvero”.
Il senatore 5 stelle si riferisce alla polemica sul volo di Stato utilizzato dal leader Pd per andare ad Aosta con la famiglia il 30 dicembre scorso, ma anche alle reazioni alla notizia che con l’ultimo decreto fiscale del governo si sarebbe potuto salvare l’ex Cavaliere. “Renzi è uno che non ha mai lavorato un giorno in vita sua”, ha attaccato Giarrusso, “e non ditemi che lavorare a casa del papà dove tutti sono precari tranne lui che è entrato come dirigente, significa lavorare sul serio. Questo se ne va in vacanza con un aereo a 9000 euro all’ora con i nostri soldi e pontifica sui fannulloni e la pubblica amministrazione.
Renzi è uno che ha truffato la previdenza, perché è stato assunto come dirigente un giorno prima di diventare presidente della Provincia di Firenze, e poi quando l’hanno sgamato si è dimesso. Di gente arrabbiata ce n’è tantissima. Quando la gente si arrabbia, succedono cose brutte, bruttissime”.
Giarrusso ha parlato anche del suo candidato ideale per il Quirinale. “Una donna di grande spessore come la giurista Lorenza Carlassarre e l’ex magistrato Ferdinando Imposimato. Cantone? Lasciamolo all’anticorruzione. Prodi? No, la mortadella lasciamola agli emiliani”.
Se invece lo ripeti pubblicamente, come ha fatto Giarruso, assume un’altra valenza. Si getta fuoco sulla benzina. Gli animi sono surriscaldati e dichiarare che : “Renzi andrebbe impiccato. La gente è molto arrabbiata”
È da irresponsabili.
E’ vero che la gente è molto arrabbiata, ma anche impiccando Renzi non si risolvono i problemi.
La lettura dei commenti dei lettori è sempre molto interessante dal punto di vista sociologico, per tastare il polso ad una parte di italiani. Come ad esempio questo appena arrivato.
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Stefac79 • alcuni secondi fa
Non è che andrebbe impiccato Friskies, ma andrebbero impiccati quelli che l'hanno votato.
PS : la Rotta ci dice che viviamo in democrazia a nostra insaputa.
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Noi non possiamo alzare le spalle e fare finta di niente, perché la storia si ripete in continuazione e nessuno impara mai niente.
Per chi si interessa di psicosociologia della politica i commenti a questo articolo sono piuttosto interessanti per misurare il clima che si respira.
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M5S, senatore Giarrusso: “Renzi andrebbe impiccato. La gente è molto arrabbiata”
Il parlamentare del Movimento 5 stelle intervistato al programma "La Zanzara" su Radio24 ha attaccato il leader Pd per le vacanze con il volo di Stato e per la norma salva Berlusconi
di F. Q. | 6 gennaio 2015
“Renzi andrebbe impiccato”. Il senatore del Movimento 5 stelleMichele Mario Giarrusso, intervistato dal programma “La Zanzara” su Radio24, commenta così le ultime vicende che hanno visto come protagonista il presidente del Consiglio. “Se non fosse una situazione tragica ci sarebbe da ridere. Renzi va in vacanza conun Falcon da 9mila euro all’ora e attacca gli impiegati pubblici. E poi cerca di salvare il suo complice Berlusconi.
Sarebbe da impiccare veramente, la gente è molto arrabbiata. Avete presente la cosa che si fa su un albero, attaccando la corda? Ecco, quella. Questo succederà quando la gente si arrabbierà davvero”.
Il senatore 5 stelle si riferisce alla polemica sul volo di Stato utilizzato dal leader Pd per andare ad Aosta con la famiglia il 30 dicembre scorso, ma anche alle reazioni alla notizia che con l’ultimo decreto fiscale del governo si sarebbe potuto salvare l’ex Cavaliere. “Renzi è uno che non ha mai lavorato un giorno in vita sua”, ha attaccato Giarrusso, “e non ditemi che lavorare a casa del papà dove tutti sono precari tranne lui che è entrato come dirigente, significa lavorare sul serio. Questo se ne va in vacanza con un aereo a 9000 euro all’ora con i nostri soldi e pontifica sui fannulloni e la pubblica amministrazione.
Renzi è uno che ha truffato la previdenza, perché è stato assunto come dirigente un giorno prima di diventare presidente della Provincia di Firenze, e poi quando l’hanno sgamato si è dimesso. Di gente arrabbiata ce n’è tantissima. Quando la gente si arrabbia, succedono cose brutte, bruttissime”.
Giarrusso ha parlato anche del suo candidato ideale per il Quirinale. “Una donna di grande spessore come la giurista Lorenza Carlassarre e l’ex magistrato Ferdinando Imposimato. Cantone? Lasciamolo all’anticorruzione. Prodi? No, la mortadella lasciamola agli emiliani”.
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Re: Diario della caduta di un regime.
DA:
Massimo Cacciari
Parole nel vuoto
Dite la verità al popolo sovrano
Crolla la fiducia in tutte le istituzioni. Ma aumenta quella nei leader. Si crea così una situazione esplosiva e molto dannosa. Perché forti del consenso i capi sono portati a fare promesse mirabolanti che non sono in grado di mantenere
Per quanto i sondaggi non dicano di solito se non quello che un uomo desto sa già per conto suo, le ultime nuove che ci riportano una profonda preoccupazione dovrebbero destarla. La fiducia del popolo sovrano in tutte le istituzioni è in caduta libera; per dirla con un grande scrittore che descriveva una situazione ben altrimenti tragica, quella tedesca alla fine degli anni ’20, la fiducia di ogni, per così dire, cittadino nei confronti di chi dovrebbe rappresentarlo sta uscendo dalla sua anima come l’aria da un pneumatico bucato.
Eppure, a guardar bene, non è così, ma anche peggio.
La sfiducia colpisce in proporzioni crescenti servizi pubblici, istituzioni, sindacati fino al grado zero dei partiti, meno le organizzazioni e i servizi privati, meno ancora i leader (come se non fossero leader di partito).
Dunque: crollo dell’idea stessa di una res publica e crescente affermazione della fede che la democrazia possa benissimo funzionare senza partiti.
Dal combinato disposto delle due prospettive emerge con necessità logica la tendenza alla soluzione plebiscitario-carismatica: il leader, col minimo possibile di intermediazioni, o per via sms, blog, tweet, ecc., comunica, rappresenta, guida.
Il debordante “Io” di questa nuova leadership crede così di potersi esprimere col “Noi” ancora più convintamente dei suoi predecessori. E neppure questa è una buona notizia, essendo tale abitudine testimonianza somma di stupidità.
Il fatto, poi, che la stupidità comunque più grande consista nel credere che la ragione possa vincerla sempre, non dovrebbe essere un buon motivo per sottovalutarla troppo.
Probabilmente siamo alla vigilia di situazioni che non ce lo permettono.
Credere che l’Europa si possa salvare sfasciandola ulteriormente, o che i flussi migratori dai Paesi del Medioriente e dell’Africa possano interrompersi con qualche “grida”, o che il dramma della convivenza tra culture e religioni all’interno di ogni Paese europeo possa essere derubricato a problema di polizia, o quello dello Stato islamico a problema militare, o, ancora, che il conflitto strategico che si va aprendo con l’impero russo sia affrontabile con qualche embargo - tutto ciò è profondamente stupido, ma non per questo meno pericoloso.
Soprattutto quando i discorsi stupidi vengono fatti da gente abile, che raccatta consenso grazie alla propria incredibile assenza di pudore.
Ciò sembra valere in particolare per le nostre questioncelle interne.
La crisi italiana non è più, da tempo, soltanto economica e finanziaria.
E pure i sondaggi ci sono arrivati. È crisi sociale e culturale.
Quando il 50 per cento dei giovani non ha lavoro o ne è del tutto insoddisfatto, ciò significa il dilagare della crisi oltre i tradizionali confini “di classe” e la caduta delle condizioni di vita del ceto medio.
Promettere senza avere le possibilità di mantenere si fa a questo punto un puro azzardo.
Giocare sul senso drammatico di insicurezza che pervade il Paese, può scatenare reazioni ingovernabili da chiunque.
Non è lecito essere stupidi fino al punto di continuare con slogan da squallida campagna elettorale in frangenti simili.
Anche la furbizia qui diventa stupidità, poiché la crisi, a un certo punto, travolgerà anche chi si riprometteva di cavalcarla, garantendo che con lui al governo le imposte si sarebbero dimezzate o amenità simili.
Se non si è in grado di fare le riforme di sistema che il Paese aspetta da vent’anni e passa, se più del bricolage attuale in materia istituzionale e del lavoro non è possibile andare, bene, ce ne faremo - si dice così, no? - una ragione, ma dite la verità al popolo sovrano! Rendetelo partecipe consapevole della drammaticità della situazione interna, europea, internazionale. Fate una ragionevole scommessa: che esso sia ragionevole. Non è detto che la vinciate, ma per l’altra via perderemo tutti.
09 gennaio 2015© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://espresso.repubblica.it/opinioni/ ... o-1.193871
Massimo Cacciari
Parole nel vuoto
Dite la verità al popolo sovrano
Crolla la fiducia in tutte le istituzioni. Ma aumenta quella nei leader. Si crea così una situazione esplosiva e molto dannosa. Perché forti del consenso i capi sono portati a fare promesse mirabolanti che non sono in grado di mantenere
Per quanto i sondaggi non dicano di solito se non quello che un uomo desto sa già per conto suo, le ultime nuove che ci riportano una profonda preoccupazione dovrebbero destarla. La fiducia del popolo sovrano in tutte le istituzioni è in caduta libera; per dirla con un grande scrittore che descriveva una situazione ben altrimenti tragica, quella tedesca alla fine degli anni ’20, la fiducia di ogni, per così dire, cittadino nei confronti di chi dovrebbe rappresentarlo sta uscendo dalla sua anima come l’aria da un pneumatico bucato.
Eppure, a guardar bene, non è così, ma anche peggio.
La sfiducia colpisce in proporzioni crescenti servizi pubblici, istituzioni, sindacati fino al grado zero dei partiti, meno le organizzazioni e i servizi privati, meno ancora i leader (come se non fossero leader di partito).
Dunque: crollo dell’idea stessa di una res publica e crescente affermazione della fede che la democrazia possa benissimo funzionare senza partiti.
Dal combinato disposto delle due prospettive emerge con necessità logica la tendenza alla soluzione plebiscitario-carismatica: il leader, col minimo possibile di intermediazioni, o per via sms, blog, tweet, ecc., comunica, rappresenta, guida.
Il debordante “Io” di questa nuova leadership crede così di potersi esprimere col “Noi” ancora più convintamente dei suoi predecessori. E neppure questa è una buona notizia, essendo tale abitudine testimonianza somma di stupidità.
Il fatto, poi, che la stupidità comunque più grande consista nel credere che la ragione possa vincerla sempre, non dovrebbe essere un buon motivo per sottovalutarla troppo.
Probabilmente siamo alla vigilia di situazioni che non ce lo permettono.
Credere che l’Europa si possa salvare sfasciandola ulteriormente, o che i flussi migratori dai Paesi del Medioriente e dell’Africa possano interrompersi con qualche “grida”, o che il dramma della convivenza tra culture e religioni all’interno di ogni Paese europeo possa essere derubricato a problema di polizia, o quello dello Stato islamico a problema militare, o, ancora, che il conflitto strategico che si va aprendo con l’impero russo sia affrontabile con qualche embargo - tutto ciò è profondamente stupido, ma non per questo meno pericoloso.
Soprattutto quando i discorsi stupidi vengono fatti da gente abile, che raccatta consenso grazie alla propria incredibile assenza di pudore.
Ciò sembra valere in particolare per le nostre questioncelle interne.
La crisi italiana non è più, da tempo, soltanto economica e finanziaria.
E pure i sondaggi ci sono arrivati. È crisi sociale e culturale.
Quando il 50 per cento dei giovani non ha lavoro o ne è del tutto insoddisfatto, ciò significa il dilagare della crisi oltre i tradizionali confini “di classe” e la caduta delle condizioni di vita del ceto medio.
Promettere senza avere le possibilità di mantenere si fa a questo punto un puro azzardo.
Giocare sul senso drammatico di insicurezza che pervade il Paese, può scatenare reazioni ingovernabili da chiunque.
Non è lecito essere stupidi fino al punto di continuare con slogan da squallida campagna elettorale in frangenti simili.
Anche la furbizia qui diventa stupidità, poiché la crisi, a un certo punto, travolgerà anche chi si riprometteva di cavalcarla, garantendo che con lui al governo le imposte si sarebbero dimezzate o amenità simili.
Se non si è in grado di fare le riforme di sistema che il Paese aspetta da vent’anni e passa, se più del bricolage attuale in materia istituzionale e del lavoro non è possibile andare, bene, ce ne faremo - si dice così, no? - una ragione, ma dite la verità al popolo sovrano! Rendetelo partecipe consapevole della drammaticità della situazione interna, europea, internazionale. Fate una ragionevole scommessa: che esso sia ragionevole. Non è detto che la vinciate, ma per l’altra via perderemo tutti.
09 gennaio 2015© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Re: Diario della caduta di un regime.
Oggi, 17 gennaio 2015, registriamo un’accelerazione del processo di disgregazione del sistema.
Stiamo litigando su tutto. Ci dividiamo su tutto. Non trascuriamo proprio niente per trovare qualcosa su cui dividerci. Tutto è buono. Non sappiamo trovare uno straccio di M.C.D. che ci permetta di andare avanti.
In campo politico registriamo il riemergere di fattori disgregativi significativi atti a produrre novità nel primo partito e nel terzo partito d’Italia, per il momento legati entrambi dal patto di ferro del Pacco del Nazareno.
Una chiave di lettura di quanto accaduto nel Pd, con l’annuncio di Sergio Cofferati nell’aver deciso di abbandonare il partito, porta a pensare che la solita rigidità manifestata ieri all’assemblea del Pd da parte di Pittibimbo sul caso Liguria, abbia volutamente inteso spingere l’ex segretario della CGIL a fare il grande passo. Uscire dal Pd.
La dichiarazione di Guerini di oggi, che richiama all’unità il Pd in vista del prossimo voto per l’elezione del presidente della Repubblica è ambiguo. Può essere interpretato come una reale richiesta di unità in vista della complicata prova, oppure si tratta della solita fumogena uscita a copertura di un’azione per promuovere lo sganciamento della vecchia guardia di ex Pci, imbarcando altri in sostituzione sul lato destro.
Rimane comunque il fatto che la scelta di Cofferati ottiene oggi il plauso del mondo della sinistra non più rappresentata in Parlamento. Diventa facile quindi chiedersi se a questo gesto ne seguiranno a breve altri da parte dei soliti culi di pietra che se ne stanno al calduccio nel Pd, illudendosi che se Pittibimbo dovesse commettere un passo falso, loro potrebbero tranquillamente riprendersi il partito come un tempo.
In questo caso, avrebbero sbagliato a fari i conti perché il rifiuto nei loro confronti non ha tardato a manifestarsi. Per il momento sono stati presi di mira in maniera piuttosto brusca sia D’Alema che Rosy Bindi. Ma questo dissenso non risparmia nessuno degli attori della Seconda Repubblica, ritenuti corresponsabili dello sfascio del Paese, in concorso con la vecchia mummia di Hardcore.
Il Tg7 delle 20,00, ha annunciato una presa di posizione in giornata di Berlusconi nei confronti di Brunetta, oggi nella nuova versione dissidente-rivoluzionario.
Berlusconi in questa fase non si può permettere di allontanarsi troppo da Renzi, per continuare a contare.
Ed è perciò inevitabile che Silviolo, sempre più bollito, entri giorno dopo giorno in contrasto con i suoi ex fedelissimi che si preoccupano, giustamente, del loro futuro.
Sappiamo tutti che i topi tendono ad abbandonare la nave quando affonda.
E la nave di FI sta imbarcando acqua a più non posso.
Gli interessi vivi di Silvietto e dei suoi ex sodali, si allontanano ogni giorno di più. E i due schieramenti lo sanno molto bene. I loro reciproci interessi non sono più coincidenti come un tempo.
^^^^^^^^^^^^
17 GEN 2015 18:26
- RIVOLTA IN FORZA ITALIA CONTRO L’INTERVISTA ANTI-NAZARENO DI RENATINO BRUNETTA
- E’ PARTITA UNA RACCOLTA DI FIRME TRA SENATORI E DEPUTATI SU UN DOCUMENTO ‘RENZUSCONI’ REDATTO E INVIATO RISERVATAMENTE DA PAOLO ROMANI (CHE PUBBLICHIAMO INTEGRALE)
Brunetta: “Se salta il patto del Nazareno si va a votare con il proporzionale. Allora sì che avremmo un Parlamento costituente. Con buona pace di Renzi” - Scatta la conta interna, in vista del voto del Quirinale, di chi sta con Berlusconi pro-Nazareno e chi no, come Brunetta…
l
1. DAGOREPORT
Rivolta in Forza Italia contro l’intervista di Renatino Brunetta al Corriere (vedi articolo a seguire). E’ partita una raccolta di firme tra Senatori e Deputati su un documento pro-Nazareno redatto e inviato riservatamente da Paolo Romani. Scatta la conta interna, in vista del voto del Quirinale, di chi sta con Berlusconi pro-Nazareno e chi no, come Brunetta.
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, chi votereste per il Quirinale?
«Certo non un fantoccio. Un uomo che abbia un vastissimo consenso, una levatura personale e una pratica istituzionale tali da non farsi ingabbiare dalla struttura del Quirinale, e un’attitudine antica all’amore per la libertà. Quindi, non un ex comunista».
Ancora con la solfa dei comunisti?
«Ciascuno appartiene alla sua storia. Scalfaro rivelò la sua natura di magistrato bacchettone, per cui il peccato equivale al reato, e trasformò l’idiosincrasia verso lo stile di vita di Berlusconi in odio antropologico. Ciampi è stato alla fine un azionista nazionalista di sinistra. Napolitano, vecchio bolscevico, cui rendo onore per la coerenza, ha obbedito al fondamento ideologico appreso da Togliatti: l’abitudine a intendere la moralità in funzione del potere dei “suoi”».
Guardi che l’avete rieletto pure voi.
«In condizioni di emergenza. E abbiamo sbagliato. Come sbagliò Berlusconi a dimettersi, sempre in condizioni di emergenza. All’estero i capi di Stato eletti possono essere azzoppati; da noi il capo dello Stato può solo azzoppare. Con la scuola comunista abbiamo dato. Occorre cambiare diocesi».
Quindi niente Bersani, Fassino, Veltroni?
«In passato abbiamo avuto presidenti eccellenti come Cossiga e Leone, ottimi come Pertini e Saragat, grandi come Einaudi. Tutti venivano da posizioni istituzionali altissime. Nessuno, tranne Saragat, è stato leader o segretario di partito».
Questo esclude anche Prodi?
«Appunto».
Mattarella?
«Il presidente della Repubblica dev’essere una personalità di grande spessore, di alta esperienza internazionale, di provata capacità di governo. Oggettivamente, con tutto il rispetto che si merita, Mattarella non ha queste caratteristiche».
Padoan?
«Non vogliamo un tecnico passato da poco alla politica. Stimo Padoan, è mio amico. Un anno fa lo sostenni come presidente dell’Istat. Il Quirinale è un’altra cosa».
Perché non una donna?
«Sarebbe volgare farne una questione di genere».
Per la Finocchiaro e la Pinotti vale la pregiudiziale anticomunista?
«Veda lei».
E per la Severino?
«Vale il discorso sui tecnici».
Grasso?
«Non votiamo un avvocato, vuole che votiamo un magistrato?».
Amato?
«Non voglio fare nomi, non ne abbiamo ancora discusso. Dico la mia personalissima opinione: Giuliano Amato è il più competente, il più esperto, il più conosciuto all’estero. Ed è di cultura liberal socialista».
Non teme di bruciarlo?
«Basta! Basta con questo luogo comune insopportabile, usato e abusato, da furbetti, per cui se si parla di qualcuno lo si brucia. Discutiamone apertamente, alla luce del sole, fuori dalle segrete stanze».
Amato è considerato uomo dell’establishment. E molti italiani non gli perdonano la Finanziaria del ’92. Lei crede che Renzi, così attento al consenso, sia disposto a puntare su di lui?
«È deviante pensare che questa partita sia solo in mano a Renzi. È come al poker: nessun punto ti dà la garanzia di vincere. Renzi si sbaglia di grosso, se pensa di essere l’unico intelligente circondato da sciocchi. Ci sono ragioni politiche e anche giuridiche per cui occorre un consenso vastissimo».
Cosa intende per ragioni giuridiche?
«Tra i grandi elettori ce ne sono 148 mai convalidati, eletti con un premio di maggioranza che la Consulta ha dichiarato incostituzionale. Di questi, 130 sono del Pd. Legati a una clausola della legge elettorale scattata per lo 0,37% dei voti: un margine esiguo e dubbio. Inoltre, la riforma costituzionale voluta dal governo tende a innalzare il quorum: nella versione arrivata alla Camera, la maggioranza necessaria è di due terzi fino al nono scrutinio, non al quarto come oggi. Un presidente eletto per pochi voti, o per un caso, per un impulso emotivo dell’ultimo momento, sarebbe fragilissimo. Un’anatra zoppa “ab ovo”. Non è nell’interesse di nessuno».
Perché lei vuole bloccare le riforme di Renzi?
«Mi meraviglio della domanda. Io collaboro alle riforme. E basta con le sue battute. Chiamarmi re dei fannulloni invece di discutere nel merito dei miei argomenti è segno di una pigrizia mentale e di un’indolenza morale indegne di un leader democratico. Renzi non ha la minima idea di cosa voglia dire avere contro Brunetta».
Lo dice per scherzo, vero?
«Un po’ scherzo, ma non tanto. Io sto usando solo il 5% del mio potenziale combattivo, politico e intellettuale per oppormi a Renzi. Ma la mia pazienza non è infinita. Eviti forzature infantili. Il gruppo di Forza Italia, con qualche legittima eccezione, è compatto sulla mia linea: non c’è tempo, e non è neanche giusto approvare alla Camera la riforma costituzionale prima dell’elezione del presidente. Non possiamo scegliere il capo dello Stato ingaglioffiti da un calendario assurdo, per far passare norme destinate a entrare in vigore nel 2018. E perché? Per una bambinesca prova di forza di Renzi? Suvvia, siamo seri».
Prima il Quirinale, poi le riforme?
«Sì. Proporrò al presidente Berlusconi di costituire un comitato di lavoro per le consultazioni con le altre forze parlamentari, a cominciare dall’Ncd di Alfano, per discutere del successore di Napolitano. Se invece Renzi forzerà la mano sul calendario, la scelta avverrebbe in un clima di tensione drammatica. Si andrebbe “ai materassi”, come si dice nel Padrino . Sa cosa significa?».
No.
«Guerra totale. Nessuno dorme a casa sua, ma si cerca una sistemazione provvisoria. Su un materasso appunto».
È vero che con Verdini siete quasi venuti alle mani?
«No. Il dialogo con Verdini è intenso e caldo, com’è nella nostra natura. Il patto del Nazareno, come qualsiasi altro, ha senso se è un patto tra uguali, non leonino. Altrimenti è una sottomissione. E io non mi sottometterò mai a nessuno. Tanto meno a Renzi».
Ma se salta il patto del Nazareno si va a votare.
«Meglio così. Si voterebbe con il Consultellum, quindi con il proporzionale. Allora sì che avremmo un Parlamento costituente. Con buona pace di Renzi».
3. IL DOCUMENTO DI PAOLO ROMANI
Il 18 gennaio 2014, un anno fa, il Presidente Silvio Berlusconi, confermando la Sua straordinaria generosità e il suo Amore per il nostro Paese, si è recato nella sede del Partito Democratico, quel partito che inopinatamente due mesi prima era stato protagonista della Sua vergognosa esclusione dal Parlamento della Repubblica, e ha posto le basi per l’apertura di una nuova fase politica, dimostrando di avere a cuore prima di tutto le sorti dell’Italia e la prospettiva, da sempre al centro della Sua azione, dell’ammodernamento delle Istituzioni.
Ad un anno da quell’evento, i sottoscrittori di questo documento, ribadiscono la piena fiducia nel Presidente Berlusconi e la lungimiranza di quella scelta che ha riportato Forza Italia al centro della vita politica e dimostrato la Sua essenzialità per qualsiasi prospettiva di reale cambiamento del nostro Paese e ne ha chiarito, agli occhi dell’opinione pubblica, la natura di movimento riformista e responsabile.
Tale scelta ha consentito di avviare il cantiere per dare una risposta ad una duplice emergenza: la prima derivante dalla sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale, che, mutilando di parti essenziali la normativa preesistente, ha prodotto una legge elettorale incompiuta ed inefficace, e per di più meramente proporzionale, rendendo ineludibile l’approvazione di un nuovo testo; la seconda – che si trascina da oltre trenta anni nel dibattito politico – riguarda invece l’ammodernamento del sistema istituzionale, la riduzione dei costi della politica e la semplificazione del procedimento legislativo, una esigenza quest’ultima, resa più cogente dalla modifica del Titolo V, imposta con una riforma costituzionale dalla sinistra nel 2001 a colpi di maggioranza e che ha pregiudicato per dieci anni gli investimenti nel nostro Paese, e dal referendum ideologico che nel 2006 annullò la prima vera organica riforma della Costituzione voluta dal centro-destra e approvata dal Parlamento.
L’ammodernamento delle Istituzioni è da sempre nel dna di Forza Italia che nel suo primo programma elettorale del 1994 prospettava il superamento del bicameralismo paritario e del Senato elettivo; parimenti l’introduzione di una legge elettorale che assicuri la riduzione della frammentazione politica e la governabilità, è la logica conseguenza della ‘scelta di campo’ bipolare che Silvio Berlusconi ha chiesto agli Italiani, conseguendo milioni di voti.
Consapevoli dell’attuale composizione del Parlamento italiano, riteniamo che, nella situazione data, la scelta di un anno fa, abbia contribuito ad innestare nel disegno di legge costituzionale i principi cardine della già citata riforma del 2005 (superamento del bicameralismo perfetto, semplificazione del processo legislativo, modifica del Titolo V, riduzione dei Parlamentari e dei costi della politica) e ad impedire soluzioni normative che, inseguendo slogan populisti (come il Senato dei Sindaci…), senza il decisivo contributo di Silvio Berlusconi e dei deputati e senatori di Forza Italia, avrebbero potuto costruire un assetto tutto a danno di una parte politica. Con ciò Forza Italia si è inserita nella migliore tradizione del riformismo italiano, che non è la pretesa, attualmente purtroppo impossibile, di far convergere sulle proprie posizioni forze politiche diverse e distanti, ma la continua ricerca delle possibili mediazioni nell’interesse del Paese.
L’evoluzione dello scenario politico, alla vigilia di importanti scadenze, conferma la centralità di Forza Italia: tutto ciò non può a nostro avviso entrare in un dibattito sul rinnovamento della forma partito e sulle prospettive future di ricostruzione del centro-destra, che più logicamente potrebbe invece svilupparsi una volta chiarite le regole del gioco e l’assetto costituzionale del Paese.
Tutti noi inoltre siamo consapevoli che questo Governo ha dimostrato, con le sue demagogiche promesse e con spot elettorali di facile presa, di non essere in grado di agganciare la ripresa già avviata nei paesi più avanzati e ha condannato di fatto l’Italia a restare al palo, senza prospettare reali soluzioni che solo una proposta politico-economica realmente liberale, rappresentativa di quella maggioranza moderata e riformista, potrebbe oggi dare al Paese.
Per tali motivi la differenza di opinioni non può spingersi a danneggiare il nostro movimento politico ed il presidente Berlusconi avvalorando un presunto sostegno di Forza Italia a questo governo, sostegno che né nei numeri né in migliaia di votazioni è mai esistito, o l’esistenza di fantomatici e oscuri ‘interessi’.
La scelta di contribuire al percorso di riforme è ancora più limpida perché non condizionata dal mantenimento di posizioni di potere, di governo o di sottogoverno e ciò acclara la natura di Statista del Presidente Berlusconi che, nonostante l’onta subita da assurde condanne e da una ininterrotta serie di azioni volte ad alterare sistematicamente l’assetto democratico come sancito dalle elezioni, ha contribuito con responsabilità alla definizione del percorso delle riforme.
Tutto ciò ci conforta nella rinnovata fiducia nel Presidente Silvio Berlusconi alla vigilia di una importante scadenza istituzionale: l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica non dovrà e non potrà infatti prescindere da Forza Italia, giacché anche i nostri elettori ci chiedono, prima di ogni altra cosa, di impedire il reiterarsi di scelte tutte a danno della parte moderata del Paese, magari richiamando in servizio permanente attivo i campioni della sinistra antiberlusconiana.
E la nostra responsabilità ci convince anche della nostra differenza: cresciuti in politica grazie alla generosa discesa in campo di Silvio Berlusconi, non possiamo permetterci, per il bene dell’Italia che amiamo, di sostituire vent’anni di antiberlusconismo a prescindere, con un vuoto e sterile massimalismo di facciata.
Stiamo litigando su tutto. Ci dividiamo su tutto. Non trascuriamo proprio niente per trovare qualcosa su cui dividerci. Tutto è buono. Non sappiamo trovare uno straccio di M.C.D. che ci permetta di andare avanti.
In campo politico registriamo il riemergere di fattori disgregativi significativi atti a produrre novità nel primo partito e nel terzo partito d’Italia, per il momento legati entrambi dal patto di ferro del Pacco del Nazareno.
Una chiave di lettura di quanto accaduto nel Pd, con l’annuncio di Sergio Cofferati nell’aver deciso di abbandonare il partito, porta a pensare che la solita rigidità manifestata ieri all’assemblea del Pd da parte di Pittibimbo sul caso Liguria, abbia volutamente inteso spingere l’ex segretario della CGIL a fare il grande passo. Uscire dal Pd.
La dichiarazione di Guerini di oggi, che richiama all’unità il Pd in vista del prossimo voto per l’elezione del presidente della Repubblica è ambiguo. Può essere interpretato come una reale richiesta di unità in vista della complicata prova, oppure si tratta della solita fumogena uscita a copertura di un’azione per promuovere lo sganciamento della vecchia guardia di ex Pci, imbarcando altri in sostituzione sul lato destro.
Rimane comunque il fatto che la scelta di Cofferati ottiene oggi il plauso del mondo della sinistra non più rappresentata in Parlamento. Diventa facile quindi chiedersi se a questo gesto ne seguiranno a breve altri da parte dei soliti culi di pietra che se ne stanno al calduccio nel Pd, illudendosi che se Pittibimbo dovesse commettere un passo falso, loro potrebbero tranquillamente riprendersi il partito come un tempo.
In questo caso, avrebbero sbagliato a fari i conti perché il rifiuto nei loro confronti non ha tardato a manifestarsi. Per il momento sono stati presi di mira in maniera piuttosto brusca sia D’Alema che Rosy Bindi. Ma questo dissenso non risparmia nessuno degli attori della Seconda Repubblica, ritenuti corresponsabili dello sfascio del Paese, in concorso con la vecchia mummia di Hardcore.
Il Tg7 delle 20,00, ha annunciato una presa di posizione in giornata di Berlusconi nei confronti di Brunetta, oggi nella nuova versione dissidente-rivoluzionario.
Berlusconi in questa fase non si può permettere di allontanarsi troppo da Renzi, per continuare a contare.
Ed è perciò inevitabile che Silviolo, sempre più bollito, entri giorno dopo giorno in contrasto con i suoi ex fedelissimi che si preoccupano, giustamente, del loro futuro.
Sappiamo tutti che i topi tendono ad abbandonare la nave quando affonda.
E la nave di FI sta imbarcando acqua a più non posso.
Gli interessi vivi di Silvietto e dei suoi ex sodali, si allontanano ogni giorno di più. E i due schieramenti lo sanno molto bene. I loro reciproci interessi non sono più coincidenti come un tempo.
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17 GEN 2015 18:26
- RIVOLTA IN FORZA ITALIA CONTRO L’INTERVISTA ANTI-NAZARENO DI RENATINO BRUNETTA
- E’ PARTITA UNA RACCOLTA DI FIRME TRA SENATORI E DEPUTATI SU UN DOCUMENTO ‘RENZUSCONI’ REDATTO E INVIATO RISERVATAMENTE DA PAOLO ROMANI (CHE PUBBLICHIAMO INTEGRALE)
Brunetta: “Se salta il patto del Nazareno si va a votare con il proporzionale. Allora sì che avremmo un Parlamento costituente. Con buona pace di Renzi” - Scatta la conta interna, in vista del voto del Quirinale, di chi sta con Berlusconi pro-Nazareno e chi no, come Brunetta…
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1. DAGOREPORT
Rivolta in Forza Italia contro l’intervista di Renatino Brunetta al Corriere (vedi articolo a seguire). E’ partita una raccolta di firme tra Senatori e Deputati su un documento pro-Nazareno redatto e inviato riservatamente da Paolo Romani. Scatta la conta interna, in vista del voto del Quirinale, di chi sta con Berlusconi pro-Nazareno e chi no, come Brunetta.
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, chi votereste per il Quirinale?
«Certo non un fantoccio. Un uomo che abbia un vastissimo consenso, una levatura personale e una pratica istituzionale tali da non farsi ingabbiare dalla struttura del Quirinale, e un’attitudine antica all’amore per la libertà. Quindi, non un ex comunista».
Ancora con la solfa dei comunisti?
«Ciascuno appartiene alla sua storia. Scalfaro rivelò la sua natura di magistrato bacchettone, per cui il peccato equivale al reato, e trasformò l’idiosincrasia verso lo stile di vita di Berlusconi in odio antropologico. Ciampi è stato alla fine un azionista nazionalista di sinistra. Napolitano, vecchio bolscevico, cui rendo onore per la coerenza, ha obbedito al fondamento ideologico appreso da Togliatti: l’abitudine a intendere la moralità in funzione del potere dei “suoi”».
Guardi che l’avete rieletto pure voi.
«In condizioni di emergenza. E abbiamo sbagliato. Come sbagliò Berlusconi a dimettersi, sempre in condizioni di emergenza. All’estero i capi di Stato eletti possono essere azzoppati; da noi il capo dello Stato può solo azzoppare. Con la scuola comunista abbiamo dato. Occorre cambiare diocesi».
Quindi niente Bersani, Fassino, Veltroni?
«In passato abbiamo avuto presidenti eccellenti come Cossiga e Leone, ottimi come Pertini e Saragat, grandi come Einaudi. Tutti venivano da posizioni istituzionali altissime. Nessuno, tranne Saragat, è stato leader o segretario di partito».
Questo esclude anche Prodi?
«Appunto».
Mattarella?
«Il presidente della Repubblica dev’essere una personalità di grande spessore, di alta esperienza internazionale, di provata capacità di governo. Oggettivamente, con tutto il rispetto che si merita, Mattarella non ha queste caratteristiche».
Padoan?
«Non vogliamo un tecnico passato da poco alla politica. Stimo Padoan, è mio amico. Un anno fa lo sostenni come presidente dell’Istat. Il Quirinale è un’altra cosa».
Perché non una donna?
«Sarebbe volgare farne una questione di genere».
Per la Finocchiaro e la Pinotti vale la pregiudiziale anticomunista?
«Veda lei».
E per la Severino?
«Vale il discorso sui tecnici».
Grasso?
«Non votiamo un avvocato, vuole che votiamo un magistrato?».
Amato?
«Non voglio fare nomi, non ne abbiamo ancora discusso. Dico la mia personalissima opinione: Giuliano Amato è il più competente, il più esperto, il più conosciuto all’estero. Ed è di cultura liberal socialista».
Non teme di bruciarlo?
«Basta! Basta con questo luogo comune insopportabile, usato e abusato, da furbetti, per cui se si parla di qualcuno lo si brucia. Discutiamone apertamente, alla luce del sole, fuori dalle segrete stanze».
Amato è considerato uomo dell’establishment. E molti italiani non gli perdonano la Finanziaria del ’92. Lei crede che Renzi, così attento al consenso, sia disposto a puntare su di lui?
«È deviante pensare che questa partita sia solo in mano a Renzi. È come al poker: nessun punto ti dà la garanzia di vincere. Renzi si sbaglia di grosso, se pensa di essere l’unico intelligente circondato da sciocchi. Ci sono ragioni politiche e anche giuridiche per cui occorre un consenso vastissimo».
Cosa intende per ragioni giuridiche?
«Tra i grandi elettori ce ne sono 148 mai convalidati, eletti con un premio di maggioranza che la Consulta ha dichiarato incostituzionale. Di questi, 130 sono del Pd. Legati a una clausola della legge elettorale scattata per lo 0,37% dei voti: un margine esiguo e dubbio. Inoltre, la riforma costituzionale voluta dal governo tende a innalzare il quorum: nella versione arrivata alla Camera, la maggioranza necessaria è di due terzi fino al nono scrutinio, non al quarto come oggi. Un presidente eletto per pochi voti, o per un caso, per un impulso emotivo dell’ultimo momento, sarebbe fragilissimo. Un’anatra zoppa “ab ovo”. Non è nell’interesse di nessuno».
Perché lei vuole bloccare le riforme di Renzi?
«Mi meraviglio della domanda. Io collaboro alle riforme. E basta con le sue battute. Chiamarmi re dei fannulloni invece di discutere nel merito dei miei argomenti è segno di una pigrizia mentale e di un’indolenza morale indegne di un leader democratico. Renzi non ha la minima idea di cosa voglia dire avere contro Brunetta».
Lo dice per scherzo, vero?
«Un po’ scherzo, ma non tanto. Io sto usando solo il 5% del mio potenziale combattivo, politico e intellettuale per oppormi a Renzi. Ma la mia pazienza non è infinita. Eviti forzature infantili. Il gruppo di Forza Italia, con qualche legittima eccezione, è compatto sulla mia linea: non c’è tempo, e non è neanche giusto approvare alla Camera la riforma costituzionale prima dell’elezione del presidente. Non possiamo scegliere il capo dello Stato ingaglioffiti da un calendario assurdo, per far passare norme destinate a entrare in vigore nel 2018. E perché? Per una bambinesca prova di forza di Renzi? Suvvia, siamo seri».
Prima il Quirinale, poi le riforme?
«Sì. Proporrò al presidente Berlusconi di costituire un comitato di lavoro per le consultazioni con le altre forze parlamentari, a cominciare dall’Ncd di Alfano, per discutere del successore di Napolitano. Se invece Renzi forzerà la mano sul calendario, la scelta avverrebbe in un clima di tensione drammatica. Si andrebbe “ai materassi”, come si dice nel Padrino . Sa cosa significa?».
No.
«Guerra totale. Nessuno dorme a casa sua, ma si cerca una sistemazione provvisoria. Su un materasso appunto».
È vero che con Verdini siete quasi venuti alle mani?
«No. Il dialogo con Verdini è intenso e caldo, com’è nella nostra natura. Il patto del Nazareno, come qualsiasi altro, ha senso se è un patto tra uguali, non leonino. Altrimenti è una sottomissione. E io non mi sottometterò mai a nessuno. Tanto meno a Renzi».
Ma se salta il patto del Nazareno si va a votare.
«Meglio così. Si voterebbe con il Consultellum, quindi con il proporzionale. Allora sì che avremmo un Parlamento costituente. Con buona pace di Renzi».
3. IL DOCUMENTO DI PAOLO ROMANI
Il 18 gennaio 2014, un anno fa, il Presidente Silvio Berlusconi, confermando la Sua straordinaria generosità e il suo Amore per il nostro Paese, si è recato nella sede del Partito Democratico, quel partito che inopinatamente due mesi prima era stato protagonista della Sua vergognosa esclusione dal Parlamento della Repubblica, e ha posto le basi per l’apertura di una nuova fase politica, dimostrando di avere a cuore prima di tutto le sorti dell’Italia e la prospettiva, da sempre al centro della Sua azione, dell’ammodernamento delle Istituzioni.
Ad un anno da quell’evento, i sottoscrittori di questo documento, ribadiscono la piena fiducia nel Presidente Berlusconi e la lungimiranza di quella scelta che ha riportato Forza Italia al centro della vita politica e dimostrato la Sua essenzialità per qualsiasi prospettiva di reale cambiamento del nostro Paese e ne ha chiarito, agli occhi dell’opinione pubblica, la natura di movimento riformista e responsabile.
Tale scelta ha consentito di avviare il cantiere per dare una risposta ad una duplice emergenza: la prima derivante dalla sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale, che, mutilando di parti essenziali la normativa preesistente, ha prodotto una legge elettorale incompiuta ed inefficace, e per di più meramente proporzionale, rendendo ineludibile l’approvazione di un nuovo testo; la seconda – che si trascina da oltre trenta anni nel dibattito politico – riguarda invece l’ammodernamento del sistema istituzionale, la riduzione dei costi della politica e la semplificazione del procedimento legislativo, una esigenza quest’ultima, resa più cogente dalla modifica del Titolo V, imposta con una riforma costituzionale dalla sinistra nel 2001 a colpi di maggioranza e che ha pregiudicato per dieci anni gli investimenti nel nostro Paese, e dal referendum ideologico che nel 2006 annullò la prima vera organica riforma della Costituzione voluta dal centro-destra e approvata dal Parlamento.
L’ammodernamento delle Istituzioni è da sempre nel dna di Forza Italia che nel suo primo programma elettorale del 1994 prospettava il superamento del bicameralismo paritario e del Senato elettivo; parimenti l’introduzione di una legge elettorale che assicuri la riduzione della frammentazione politica e la governabilità, è la logica conseguenza della ‘scelta di campo’ bipolare che Silvio Berlusconi ha chiesto agli Italiani, conseguendo milioni di voti.
Consapevoli dell’attuale composizione del Parlamento italiano, riteniamo che, nella situazione data, la scelta di un anno fa, abbia contribuito ad innestare nel disegno di legge costituzionale i principi cardine della già citata riforma del 2005 (superamento del bicameralismo perfetto, semplificazione del processo legislativo, modifica del Titolo V, riduzione dei Parlamentari e dei costi della politica) e ad impedire soluzioni normative che, inseguendo slogan populisti (come il Senato dei Sindaci…), senza il decisivo contributo di Silvio Berlusconi e dei deputati e senatori di Forza Italia, avrebbero potuto costruire un assetto tutto a danno di una parte politica. Con ciò Forza Italia si è inserita nella migliore tradizione del riformismo italiano, che non è la pretesa, attualmente purtroppo impossibile, di far convergere sulle proprie posizioni forze politiche diverse e distanti, ma la continua ricerca delle possibili mediazioni nell’interesse del Paese.
L’evoluzione dello scenario politico, alla vigilia di importanti scadenze, conferma la centralità di Forza Italia: tutto ciò non può a nostro avviso entrare in un dibattito sul rinnovamento della forma partito e sulle prospettive future di ricostruzione del centro-destra, che più logicamente potrebbe invece svilupparsi una volta chiarite le regole del gioco e l’assetto costituzionale del Paese.
Tutti noi inoltre siamo consapevoli che questo Governo ha dimostrato, con le sue demagogiche promesse e con spot elettorali di facile presa, di non essere in grado di agganciare la ripresa già avviata nei paesi più avanzati e ha condannato di fatto l’Italia a restare al palo, senza prospettare reali soluzioni che solo una proposta politico-economica realmente liberale, rappresentativa di quella maggioranza moderata e riformista, potrebbe oggi dare al Paese.
Per tali motivi la differenza di opinioni non può spingersi a danneggiare il nostro movimento politico ed il presidente Berlusconi avvalorando un presunto sostegno di Forza Italia a questo governo, sostegno che né nei numeri né in migliaia di votazioni è mai esistito, o l’esistenza di fantomatici e oscuri ‘interessi’.
La scelta di contribuire al percorso di riforme è ancora più limpida perché non condizionata dal mantenimento di posizioni di potere, di governo o di sottogoverno e ciò acclara la natura di Statista del Presidente Berlusconi che, nonostante l’onta subita da assurde condanne e da una ininterrotta serie di azioni volte ad alterare sistematicamente l’assetto democratico come sancito dalle elezioni, ha contribuito con responsabilità alla definizione del percorso delle riforme.
Tutto ciò ci conforta nella rinnovata fiducia nel Presidente Silvio Berlusconi alla vigilia di una importante scadenza istituzionale: l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica non dovrà e non potrà infatti prescindere da Forza Italia, giacché anche i nostri elettori ci chiedono, prima di ogni altra cosa, di impedire il reiterarsi di scelte tutte a danno della parte moderata del Paese, magari richiamando in servizio permanente attivo i campioni della sinistra antiberlusconiana.
E la nostra responsabilità ci convince anche della nostra differenza: cresciuti in politica grazie alla generosa discesa in campo di Silvio Berlusconi, non possiamo permetterci, per il bene dell’Italia che amiamo, di sostituire vent’anni di antiberlusconismo a prescindere, con un vuoto e sterile massimalismo di facciata.
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Re: Diario della caduta di un regime.
ANSA.it
Politica
Riforme, Berlusconi attacca Brunetta: 'Cambi atteggiamento'
'Basta attaccare personalmente gli avversari politici'
Redazione ANSA
17 gennaio 2015
20:46
Berlusconi contro Brunetta. "Leggo un'ultima agenzia con dichiarazioni dell'on. Brunetta che, a suo dire, io condividerei. E' esattamente il contrario. Non sono d'accordo sui giudizi espressi da Brunetta e neppure sulla sua abitudine di attaccare personalmente gli avversari politici. Chiedo a Brunetta di cambiare atteggiamento", afferma l'ex Cavaliere ribattendo al capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta.
In un'intervista al Gr1, infatti, l'ex ministro era tornato ad attaccare Renzi: "Vuole aspettare il 20 di febbraio per fare i decreti legge fiscali che tutti gli italiani aspettano, perché stanno morendo di tasse, e blocca nel contempo il Parlamento per fare due riforme, che io considero del tutto inutili, che comunque entreranno in vigore nel 2016 o nel 2018". Però ieri Renzi ha confermato il calendario, gli viene fatto osservare. "Ma Renzi - sottolinea il presidente dei deputati azzurri - non è il padrone del Parlamento. Non lo è nemmeno della sua maggioranza, che ha molti problemi. Renzi faccia il leader, se ne è capace". Berlusconi, secondo lei, è d'accordo su questo? "Assolutamente sì", conclude Brunetta.
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSANEWS
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Riforme, Berlusconi attacca Brunetta: 'Cambi atteggiamento'
'Basta attaccare personalmente gli avversari politici'
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17 gennaio 2015
20:46
Berlusconi contro Brunetta. "Leggo un'ultima agenzia con dichiarazioni dell'on. Brunetta che, a suo dire, io condividerei. E' esattamente il contrario. Non sono d'accordo sui giudizi espressi da Brunetta e neppure sulla sua abitudine di attaccare personalmente gli avversari politici. Chiedo a Brunetta di cambiare atteggiamento", afferma l'ex Cavaliere ribattendo al capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta.
In un'intervista al Gr1, infatti, l'ex ministro era tornato ad attaccare Renzi: "Vuole aspettare il 20 di febbraio per fare i decreti legge fiscali che tutti gli italiani aspettano, perché stanno morendo di tasse, e blocca nel contempo il Parlamento per fare due riforme, che io considero del tutto inutili, che comunque entreranno in vigore nel 2016 o nel 2018". Però ieri Renzi ha confermato il calendario, gli viene fatto osservare. "Ma Renzi - sottolinea il presidente dei deputati azzurri - non è il padrone del Parlamento. Non lo è nemmeno della sua maggioranza, che ha molti problemi. Renzi faccia il leader, se ne è capace". Berlusconi, secondo lei, è d'accordo su questo? "Assolutamente sì", conclude Brunetta.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA VICENDA DELLE DUE RAGAZZE CONTINUA A FARE VITTIME
Chissà come sarà contento Silviolo, per questa pubblicità negativa, in un momento difficile per il suo partito in piena decomposizione.
19 GEN 2015 13:59
- DUE DONNE, UN POLLO
- GASPARRI ABBOCCA ALLA BUFALA DI GRETA E VANESSA CHE FANNO ‘’SESSO CONSENZIENTE COI RAPITORI’’: “E NOI PAGHIAMO!”
- ASPESI: “STUPRATE E ROTTAMATE DA GASPARRI”
- MUGHINI: “GASPARRI È USCITO DALLA CONDIZIONE UMANA”
Aspesi: “Forse prima bisognava informarsi, chiedere ai rapitori se le signorine c’erano state coi rapitori e con quanti, e certo ormai rottamate, si poteva anche risparmiare, lasciandole là” - Mughini: “Il vice presidente del Senato che dice queste cose? Una porcata”...
1. IL TWEET DELL’INFAMIA
Natalia Aspesi per “la Repubblica”
‘’E noi paghiamo!». Povero Gasparri: cosa mai gli sarà venuto in mente di credere proprio alla voce offensiva e scema di un sito ignoto contro Vanessa e Greta, e soprattutto di servirsene per fare l’ennesima brutta figura?
Con un suo tweet volgarissimo, «sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo!», ha confermato come a una certa categoria di maschi dia ancora fastidio che la drammatica avventura abbia riguardato due donne, che in quanto tali dovrebbero stare in cucina a casa loro e non praticare solidarietà soprattutto tra derelitti stranieri e ancora peggio islamici.
Donna e sesso sono inscindibili per i tipi come Gasparri, per i quali è impossibile pensare che i rapitori, essendo maschi, non stuprino le prigioniere che sono donne. Purtroppo è vero che troppo spesso gli uomini, non solo i terroristi e non solo in Siria, ma parecchio anche in Italia, usino violenza alle donne, così in tanti al ritorno delle due ragazze le hanno subito guardate per misurare il loro stato di prostrazione e quindi di possibili violenze subite: loro hanno sostenuto di non essere state toccate, e per rispetto e comprensione bisogna crederci, che sia vero, che lo dicano per non umiliarsi, per dimenticare o obbligate dai rapitori. Ma è la loro vita che difendono, il loro diritto di non svenderla alla curiosità dell’informazione e della gente.
Già vedendo i loro volti diventati quasi infantili, gli occhi bassi e per ora nessuna felicità, si può immaginare la sofferenza quotidiana, la paura, la solitudine di quegli interminabili giorni, ma non necessariamente gli stupri. Ma loro sono donne, e per i dubbiosi quella disperazione paziente e muta non basta a giustificare il peso della prigionia.
Ma poi c’è un altro problema: se i guerriglieri hanno cercato di stuprarle, e per tanti è impossibile che le abbiano rispettate anche solo per avere il riscatto, perché Vanessa e Greta, novelle Maria Goretti, non hanno scelto di farsi ammazzare, come sarebbe stato esemplare?
Va bene, non sono morte, ma neanche sono sante, e la loro sopravvivenza è costata allo Stato, che poteva anche lasciar perdere. Infatti al povero Gasparri gli è venuto questo terribile dubbio: e se le due ragazze non solo tacciono su una possibile violenza, ma addirittura se la son goduta? Forse prima bisognava informarsi, chiedere ai rapitori se le signorine c’erano state e con quanti, e certo ormai rottamate, si poteva anche risparmiare, lasciandole là.
2. MUGHINI: “GASPARRI, SE LO INCONTRO NON GLI DO UN PUGNO, MA GLI DICO : TU HAI LORDATO LA CAMERA ALTA DELLA REPUBBLICA”
da Roma ore 10
Così stamattina si è espresso Giampiero Mughini ai microfoni di 'Roma ore 10' fm 90.700 la trasmissione radiofonica di Francesco Vergovich riferendosi al tweet di ieri del vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri:
“Gasparri lo conosco molto bene, da tanti anni, lo so pesare molto bene. Se lo incontro, non dico che me lo devono togliere dalle mani, non do un pugno neppure a chi offendesse mia madre, ma gli direi : tu sei uscito dal consesso umano e il Senato italiano, la Camera Alta della Repubblica Italiana, è lordata dal fatto che tu ne sia il vicepresidente.
Come ho detto ieri sera a La Gabbia, Maurizio Gasparri è uscito dalla condizione umana. Quella non è un'opinione, ma è un'insinuazione volgare e bastarda fatta su un tweet firmata non da un quaquaraqua qualsiasi ma dal vicepresidente del Senato . Insinuare in un tweet di due righe, già un tweet di due righe è cosa che offende l'intelligenza umana, che queste due ragazze che sono state prigioniere due mesi ed erano andate lì non a guadagnare dei soldi ma nella loro idea a cercare di aiutare un popolo in grande sofferenza, dire che avevano fatto del sesso consenziente con i guerriglieri questa è una tale porcata che fa uscire Gasparri dal consesso umano”.
Chissà come sarà contento Silviolo, per questa pubblicità negativa, in un momento difficile per il suo partito in piena decomposizione.
19 GEN 2015 13:59
- DUE DONNE, UN POLLO
- GASPARRI ABBOCCA ALLA BUFALA DI GRETA E VANESSA CHE FANNO ‘’SESSO CONSENZIENTE COI RAPITORI’’: “E NOI PAGHIAMO!”
- ASPESI: “STUPRATE E ROTTAMATE DA GASPARRI”
- MUGHINI: “GASPARRI È USCITO DALLA CONDIZIONE UMANA”
Aspesi: “Forse prima bisognava informarsi, chiedere ai rapitori se le signorine c’erano state coi rapitori e con quanti, e certo ormai rottamate, si poteva anche risparmiare, lasciandole là” - Mughini: “Il vice presidente del Senato che dice queste cose? Una porcata”...
1. IL TWEET DELL’INFAMIA
Natalia Aspesi per “la Repubblica”
‘’E noi paghiamo!». Povero Gasparri: cosa mai gli sarà venuto in mente di credere proprio alla voce offensiva e scema di un sito ignoto contro Vanessa e Greta, e soprattutto di servirsene per fare l’ennesima brutta figura?
Con un suo tweet volgarissimo, «sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo!», ha confermato come a una certa categoria di maschi dia ancora fastidio che la drammatica avventura abbia riguardato due donne, che in quanto tali dovrebbero stare in cucina a casa loro e non praticare solidarietà soprattutto tra derelitti stranieri e ancora peggio islamici.
Donna e sesso sono inscindibili per i tipi come Gasparri, per i quali è impossibile pensare che i rapitori, essendo maschi, non stuprino le prigioniere che sono donne. Purtroppo è vero che troppo spesso gli uomini, non solo i terroristi e non solo in Siria, ma parecchio anche in Italia, usino violenza alle donne, così in tanti al ritorno delle due ragazze le hanno subito guardate per misurare il loro stato di prostrazione e quindi di possibili violenze subite: loro hanno sostenuto di non essere state toccate, e per rispetto e comprensione bisogna crederci, che sia vero, che lo dicano per non umiliarsi, per dimenticare o obbligate dai rapitori. Ma è la loro vita che difendono, il loro diritto di non svenderla alla curiosità dell’informazione e della gente.
Già vedendo i loro volti diventati quasi infantili, gli occhi bassi e per ora nessuna felicità, si può immaginare la sofferenza quotidiana, la paura, la solitudine di quegli interminabili giorni, ma non necessariamente gli stupri. Ma loro sono donne, e per i dubbiosi quella disperazione paziente e muta non basta a giustificare il peso della prigionia.
Ma poi c’è un altro problema: se i guerriglieri hanno cercato di stuprarle, e per tanti è impossibile che le abbiano rispettate anche solo per avere il riscatto, perché Vanessa e Greta, novelle Maria Goretti, non hanno scelto di farsi ammazzare, come sarebbe stato esemplare?
Va bene, non sono morte, ma neanche sono sante, e la loro sopravvivenza è costata allo Stato, che poteva anche lasciar perdere. Infatti al povero Gasparri gli è venuto questo terribile dubbio: e se le due ragazze non solo tacciono su una possibile violenza, ma addirittura se la son goduta? Forse prima bisognava informarsi, chiedere ai rapitori se le signorine c’erano state e con quanti, e certo ormai rottamate, si poteva anche risparmiare, lasciandole là.
2. MUGHINI: “GASPARRI, SE LO INCONTRO NON GLI DO UN PUGNO, MA GLI DICO : TU HAI LORDATO LA CAMERA ALTA DELLA REPUBBLICA”
da Roma ore 10
Così stamattina si è espresso Giampiero Mughini ai microfoni di 'Roma ore 10' fm 90.700 la trasmissione radiofonica di Francesco Vergovich riferendosi al tweet di ieri del vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri:
“Gasparri lo conosco molto bene, da tanti anni, lo so pesare molto bene. Se lo incontro, non dico che me lo devono togliere dalle mani, non do un pugno neppure a chi offendesse mia madre, ma gli direi : tu sei uscito dal consesso umano e il Senato italiano, la Camera Alta della Repubblica Italiana, è lordata dal fatto che tu ne sia il vicepresidente.
Come ho detto ieri sera a La Gabbia, Maurizio Gasparri è uscito dalla condizione umana. Quella non è un'opinione, ma è un'insinuazione volgare e bastarda fatta su un tweet firmata non da un quaquaraqua qualsiasi ma dal vicepresidente del Senato . Insinuare in un tweet di due righe, già un tweet di due righe è cosa che offende l'intelligenza umana, che queste due ragazze che sono state prigioniere due mesi ed erano andate lì non a guadagnare dei soldi ma nella loro idea a cercare di aiutare un popolo in grande sofferenza, dire che avevano fatto del sesso consenziente con i guerriglieri questa è una tale porcata che fa uscire Gasparri dal consesso umano”.
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Re: Diario della caduta di un regime.
SCUSATE IL RITARDO MA VI AUGURO BUONA PASQUA.
IERI E' STATO IL GIORNO DELLA NUOVA PASQUA. OGGI EQUIVALE A SANT'ANGELO.
E' RISORTO, E' RISORTO, E' RISORTO.
SILVIOLO E' RISORTO.
TENETE PRESENTE CHE GESU' CRISTO E' RISORTO UNA SOLA VOLTA.
SILVIOLO INVECE E' RISORTO PER LA NONA VOLTA.
UN GRANDE.
IERI E' STATO IL GIORNO DELLA NUOVA PASQUA. OGGI EQUIVALE A SANT'ANGELO.
E' RISORTO, E' RISORTO, E' RISORTO.
SILVIOLO E' RISORTO.
TENETE PRESENTE CHE GESU' CRISTO E' RISORTO UNA SOLA VOLTA.
SILVIOLO INVECE E' RISORTO PER LA NONA VOLTA.
UN GRANDE.
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