Re: Come se ne viene fuori ?
Inviato: 31/05/2012, 12:58
Fassina chiude a Grillo e apre al "partito-Fiom"
Intervista a Stefano Fassina di Sefano Boccardi - La Gazzetta del Mezzogiorno
di Stefano Fassina, pubblicato il 31 maggio 2012
«La foto di Vasto? Non basta. Più che una foto, ci vorrebbe un film. Che va scritto con tutte quelle energie che servono a connettere la politica con le istanze sociali. Antonio Gramsci la chiamava "connessione sentimentale"». Da Bari, dove insieme con il governatore Nichi Vendola ha presentato ieri pomeriggio il suo libro «Il lavoro prima di tutto - L'economia, la sinistra, i diritti» (Donzelli Editore), Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd, pur senza mai dirlo espressamente, apre alla possibilità che i vertici della Fiom scendano in campo. Nel campo della politica. E quindi ieri pomeriggio non era poi così «casuale» la presenza del numero due della Fiom, Giorgio Airaudo, a Bari anche per presenziare, questa mattina, all'assemblea dei lavorartori della Magneti Marelli.
Fassina, il lavoro prima di tutto. Ma anche a costo di morire come sta accadendo in Emilia?
«Certamente no. Il lavoro prima di tutto vuol dire la persona prima di tutto. Certo, la sicurezza del lavoro è un requisito imprescindibile».
Dopo i morti, in queste ore sta montando una polemica tra Confindustria e Cgil sull'opportunità di riaprire gli stabilimenti. Chi ha ragione?
«Non ho elementi per dare giudizi. Ribadisco che requisito fondamentale è la sicurezza delle persone che lavorano. Non credo comunque che ci sia stato dolo. Semmai un po' di superficialità. Certo, se qualcuno ha fatto dei passi poco meditati ha sbagliato».
Il suo libro ha spaccato il Pd. Soprattutto l'ha ulteriormente allontanata dalle posizione del prof. Pietro Ichino. Ma lei ha fatto di più: ha nettamente preso le distanze anche dal governo Monti e dalle politiche imposte da Bruxelles e dalla Germania. Ha cambiato idea?
«No, purtroppo la mia idea trova sempre più conferma nella realtà. La crisi economica è sempre più grave e diventa anche crisi democratica. La Grecia purtroppo non è un'eccezione. La Grecia è esemplare della tendenza in corso. Se non l'arrestiamo ci porterà a fondo. Questa austerità rende impossibile la crescita. Vanno quindi rinegoziati gli obiettivi che sciaguratamente e irresponsabilmente il governo Berlusconi si impegnò a raggiungere con la Commissione europea. Perché sono irraggiungibili».
Ma che ci fa allora in un partito che sta sostenendo con così tanta forza il governo Monti?
«Lo sta sostenendo perché siamo in una situazione... Io condivido questa posizione. Noi non possiamo fare, nella situazione in cui siamo, atti unilaterali. Noi dobbiamo con la credibilità che abbiamo riconquistato contribuire a cambiare questa linea. Perché con questa linea dovrebbe fare i conti qualunque governo. Non solo il governo Monti. Sarebbe troppo facile pensare che un altro governo avrebbe mani libere».
E allora?
«Ripeto. Io critico questa linea. Ma devo riconoscere che Monti a Bruxelles sta lavorando a stretto contatto con Hollande per cambiare rotta. Finora non è che sia cambiato granché. O no? Purtroppo non si cambia nel giro di qualche giorno. Ci vuole un po' di tempo. Anche se è necessario agire in tempi rapidi. Perché il deterioramento della situazione è molto veloce. Continuare a colpire in nome dell'austerità, continuare a colpire lavoratori e imprese porta a una reazione che rischia di essere molto pericolosa anche sul piano democratico».
Intanto la crisi morde sempre di più. Le auto sono di fatto scomparse dal mercato. E la Fiat è sempre più americana. Sulla Fiat chi ha sbagliato di più? La sinistra che non ha compreso le istanze di Marchionne? O l'ad di Fiat che ha puntato a isolare la Cgil e la Fiom?
«Se ha sbagliato la politica, certamente non è stata la sinistra. Noi dall'inizio del 2008 non siamo al governo. La scelta di Fabbrica Italia è arrivata molto dopo. Io penso che ci siano stati entrambi gli errori. Ha sbagliato il governo Berlusconi a non offrire una seria politica industriale per l'auto, come hanno fatto tutti gli altri paesi europei, Germania, Francia, ma come ha fatto lo stesso presidente Obama. Perché la Chrysler non l'ha mica rimessa in piedi Marchionne con la bacchetta magica. L'amministrazione degli Stati Uniti ha offerto 20 miliardi di dollari per rimettere in piedi la Crisler. Ma, ripeto, L'Italia è l'unico paese che si è completamente disinteressato della politica industriale in generale e in particolare di quella rivolta al settore auto».
E Marchionne in che cosa ha sbagliato?
«Marchionne ha probabilmente un piano molto preciso anche se non ancora ufficializzato. Ma sta scaricando sui sindacati e sui lavoratori difficoltà che derivano dal fatto che la Fiat non è stata capace di fare investimenti innovativi. Non ha tirato fuori modelli nuovi. La perdita di quote di mercato della Fiat coincide con la conquista di quote di mercato in Europa, pur nella crisi, da parte della Wolkswagen, che ha un costo del lavoro doppio di quello italiano, e che però negli ultimi dieci anni ha fatto investimenti. Dunque, c'è una responsabilità del governo di centrodestra che non è stato in grado di incalzare, non con le chiacchiere ma con la politica industriale, la Fiat e c'è una responsabilità di chi ha pensato di competere sul costo del lavoro e non sull'innovazione».
Intanto, anche su questo fronte, il Mezzogiorno e la Puglia in particolare rischiano di pagare un prezzo altissimo. Nelle ultime ore, ad esempio, più di un'azienda della zona industriale di Bari ha manifestato chiari segni di cedimento. E sono in gran parte aziende che operano per l'indotto dell'automobile.
«Purtroppo anche questo governo e il ministro Passera in particolare non sembrano molto attenti alla politica industriale. Ci sono tanti settori sui quali noi sollecitiamo interventi che non trovano poi risposta da parte del governo e del ministro Passera. E questo è certamente un problema molto rilevante. Un paese come il nostro che ha ancora una manifattura, che è la seconda in Europa, si sviluppa se si fanno delle politiche giuste. Bersani quanto era ministro dello Sviluppo economico aveva lasciato Industria 2015, aveva individuato cinque aree sulle quali puntare le poche risorse disponibili e far convergere gli sforzi delle imprese. Bisogna riprendere quel lavoro. Si passa da settori maturi a settori innovativi che hanno grandi potenzialità di crescita, ma è un processo che va sostenuto da politiche adeguate. Purtroppo, dopo tre anni e mezzo di completa assenza da parte del governo Berlusconi, su questo versante specifico non c'è discontinuità».
La riproporrebbe la famosa foto di Vasto e ci inserirebbe persino Beppe Grillo? O no?
«Beppe Grillo certamente no. Noi abbiamo bisogno di un'offerta politica credibile, progressista, in sintonia con quella che è stata la piattaforma di Hollande che abbiamo discusso come Partito democratico a Parigi a marzo scorzo. La foto di Vasto non basta. La foto di Vasto è una foto parziale. Noi dobbiamo proporre un film più che una foto».
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno
Intervista a Stefano Fassina di Sefano Boccardi - La Gazzetta del Mezzogiorno
di Stefano Fassina, pubblicato il 31 maggio 2012
«La foto di Vasto? Non basta. Più che una foto, ci vorrebbe un film. Che va scritto con tutte quelle energie che servono a connettere la politica con le istanze sociali. Antonio Gramsci la chiamava "connessione sentimentale"». Da Bari, dove insieme con il governatore Nichi Vendola ha presentato ieri pomeriggio il suo libro «Il lavoro prima di tutto - L'economia, la sinistra, i diritti» (Donzelli Editore), Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd, pur senza mai dirlo espressamente, apre alla possibilità che i vertici della Fiom scendano in campo. Nel campo della politica. E quindi ieri pomeriggio non era poi così «casuale» la presenza del numero due della Fiom, Giorgio Airaudo, a Bari anche per presenziare, questa mattina, all'assemblea dei lavorartori della Magneti Marelli.
Fassina, il lavoro prima di tutto. Ma anche a costo di morire come sta accadendo in Emilia?
«Certamente no. Il lavoro prima di tutto vuol dire la persona prima di tutto. Certo, la sicurezza del lavoro è un requisito imprescindibile».
Dopo i morti, in queste ore sta montando una polemica tra Confindustria e Cgil sull'opportunità di riaprire gli stabilimenti. Chi ha ragione?
«Non ho elementi per dare giudizi. Ribadisco che requisito fondamentale è la sicurezza delle persone che lavorano. Non credo comunque che ci sia stato dolo. Semmai un po' di superficialità. Certo, se qualcuno ha fatto dei passi poco meditati ha sbagliato».
Il suo libro ha spaccato il Pd. Soprattutto l'ha ulteriormente allontanata dalle posizione del prof. Pietro Ichino. Ma lei ha fatto di più: ha nettamente preso le distanze anche dal governo Monti e dalle politiche imposte da Bruxelles e dalla Germania. Ha cambiato idea?
«No, purtroppo la mia idea trova sempre più conferma nella realtà. La crisi economica è sempre più grave e diventa anche crisi democratica. La Grecia purtroppo non è un'eccezione. La Grecia è esemplare della tendenza in corso. Se non l'arrestiamo ci porterà a fondo. Questa austerità rende impossibile la crescita. Vanno quindi rinegoziati gli obiettivi che sciaguratamente e irresponsabilmente il governo Berlusconi si impegnò a raggiungere con la Commissione europea. Perché sono irraggiungibili».
Ma che ci fa allora in un partito che sta sostenendo con così tanta forza il governo Monti?
«Lo sta sostenendo perché siamo in una situazione... Io condivido questa posizione. Noi non possiamo fare, nella situazione in cui siamo, atti unilaterali. Noi dobbiamo con la credibilità che abbiamo riconquistato contribuire a cambiare questa linea. Perché con questa linea dovrebbe fare i conti qualunque governo. Non solo il governo Monti. Sarebbe troppo facile pensare che un altro governo avrebbe mani libere».
E allora?
«Ripeto. Io critico questa linea. Ma devo riconoscere che Monti a Bruxelles sta lavorando a stretto contatto con Hollande per cambiare rotta. Finora non è che sia cambiato granché. O no? Purtroppo non si cambia nel giro di qualche giorno. Ci vuole un po' di tempo. Anche se è necessario agire in tempi rapidi. Perché il deterioramento della situazione è molto veloce. Continuare a colpire in nome dell'austerità, continuare a colpire lavoratori e imprese porta a una reazione che rischia di essere molto pericolosa anche sul piano democratico».
Intanto la crisi morde sempre di più. Le auto sono di fatto scomparse dal mercato. E la Fiat è sempre più americana. Sulla Fiat chi ha sbagliato di più? La sinistra che non ha compreso le istanze di Marchionne? O l'ad di Fiat che ha puntato a isolare la Cgil e la Fiom?
«Se ha sbagliato la politica, certamente non è stata la sinistra. Noi dall'inizio del 2008 non siamo al governo. La scelta di Fabbrica Italia è arrivata molto dopo. Io penso che ci siano stati entrambi gli errori. Ha sbagliato il governo Berlusconi a non offrire una seria politica industriale per l'auto, come hanno fatto tutti gli altri paesi europei, Germania, Francia, ma come ha fatto lo stesso presidente Obama. Perché la Chrysler non l'ha mica rimessa in piedi Marchionne con la bacchetta magica. L'amministrazione degli Stati Uniti ha offerto 20 miliardi di dollari per rimettere in piedi la Crisler. Ma, ripeto, L'Italia è l'unico paese che si è completamente disinteressato della politica industriale in generale e in particolare di quella rivolta al settore auto».
E Marchionne in che cosa ha sbagliato?
«Marchionne ha probabilmente un piano molto preciso anche se non ancora ufficializzato. Ma sta scaricando sui sindacati e sui lavoratori difficoltà che derivano dal fatto che la Fiat non è stata capace di fare investimenti innovativi. Non ha tirato fuori modelli nuovi. La perdita di quote di mercato della Fiat coincide con la conquista di quote di mercato in Europa, pur nella crisi, da parte della Wolkswagen, che ha un costo del lavoro doppio di quello italiano, e che però negli ultimi dieci anni ha fatto investimenti. Dunque, c'è una responsabilità del governo di centrodestra che non è stato in grado di incalzare, non con le chiacchiere ma con la politica industriale, la Fiat e c'è una responsabilità di chi ha pensato di competere sul costo del lavoro e non sull'innovazione».
Intanto, anche su questo fronte, il Mezzogiorno e la Puglia in particolare rischiano di pagare un prezzo altissimo. Nelle ultime ore, ad esempio, più di un'azienda della zona industriale di Bari ha manifestato chiari segni di cedimento. E sono in gran parte aziende che operano per l'indotto dell'automobile.
«Purtroppo anche questo governo e il ministro Passera in particolare non sembrano molto attenti alla politica industriale. Ci sono tanti settori sui quali noi sollecitiamo interventi che non trovano poi risposta da parte del governo e del ministro Passera. E questo è certamente un problema molto rilevante. Un paese come il nostro che ha ancora una manifattura, che è la seconda in Europa, si sviluppa se si fanno delle politiche giuste. Bersani quanto era ministro dello Sviluppo economico aveva lasciato Industria 2015, aveva individuato cinque aree sulle quali puntare le poche risorse disponibili e far convergere gli sforzi delle imprese. Bisogna riprendere quel lavoro. Si passa da settori maturi a settori innovativi che hanno grandi potenzialità di crescita, ma è un processo che va sostenuto da politiche adeguate. Purtroppo, dopo tre anni e mezzo di completa assenza da parte del governo Berlusconi, su questo versante specifico non c'è discontinuità».
La riproporrebbe la famosa foto di Vasto e ci inserirebbe persino Beppe Grillo? O no?
«Beppe Grillo certamente no. Noi abbiamo bisogno di un'offerta politica credibile, progressista, in sintonia con quella che è stata la piattaforma di Hollande che abbiamo discusso come Partito democratico a Parigi a marzo scorzo. La foto di Vasto non basta. La foto di Vasto è una foto parziale. Noi dobbiamo proporre un film più che una foto».
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno