Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

Un nuovo partito a sinistra del Pd?
Per due italiani su tre sarebbe «inutile»
di Nando Pagnoncelli
lui fa il suo mestiere, fa domande e in base a quelle ottiene risposte .

Si incominci a lanciare un po' di slogan , tipo
" Se vuoi contare con il tuo voto oggi, domani, sempre lascia i partiti che ti hanno sempre preso in giro e vieni nel NUOVO PARTITO DEMOCRATICO DEL CENTROSINISTRA, le decisioni saranno sempre prese dalla maggioranza dei votanti.

visto che si prevede un 40% di astensioni
" Finora ti sei astenuto dal votare i partiti perché hanno sempre favorito la loro casta, da oggi e per sempre sarai TU A VOTARE SUI PROVVEDIENTI IMPORTANTI scegliendo il NUOVO PARTITO DEMOCRATICO DEL CENTROSINISTRA "

" E' ORA DI ROTTAMARE I VECCHI PARTITI che ti fanno votare un volta ogni cinque anni e poi fanno ciò che vogliono,
da oggi puoi votare il NUOVO PARTITO DEMOCRATICO DEL CENTROSINISTRA e il tuo voto potrai esprimerlo sempre.

" Nel N.P.D.C.S. non ci sono laeder, ci sono tante persone oneste come Landini, Rodotà.....

qualcosa del genere si potrebbe fare allargando sempre più la piattaforma liquid feedback
pancho
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da pancho »

Inserisco qui un post "prestatomi da un'amico" ed inserito su un'altro forum.
E' un po' pesante da leggere, quindi armatevi di pazienza ma occorre farlo.
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La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

La fine del lavoro
La fine del lavoro e’ un bel libro scritto da Jeremy Rifkin cica 10 anni orsono e sembra quasi una profezia visto la situazione attuale.
Il sottotitolo era :Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post mercato.

Inserisco sole alcune pagine su cui riflettere anche se mi rendo conto che e' un malloppo.
Abbiate pazienza.
Questa sara' la madre di tutte le battagle.
iMi scuso anticipatamente con Ranvit e altri per aver ecceduto. Non sono riuscito a fare una sintesi.

Pagina 23
1. La fine del lavoro
Fin dai suoi albori, la civiltà umana si è strutturata in gran parte intorno al concetto di lavoro. Dai cacciatori-raccoglitori paleolitici agli agricoltori del Neolitico, all'artigiano medievale, all'addetto alla catena di montaggio dell'età contemporanea, il lavoro è stato una parte integrante della vita quotidiana.
Oggi, per la prima volta, il lavoro umano viene sistematicamente eliminato dal processo di produzione; entro il prossimo secolo, il lavoro «di massa» nell'economìa di mercato verrà probabilmente cancellato in quasi tutte le nazioni industrializzate del mondo. Una nuova generazione di sofisticati computer e di tecnologie informatiche viene introdotta in un'ampia gamma di attività lavorative: macchine intelligenti stanno sostituendo gli esseri umani in infinite mansioni, costringendo milioni di operai e impiegati a fare la coda negli uffici di collocamento o, peggio ancora, in quelli della pubblica assistenza.
I dirigenti delle grandi imprese e gli economisti ortodossi ci assicurano che l'aumento del tasso di disoccupazione rappresenta un «aggiustamento» di breve termine alle potenti forze create dal mercato che stanno spingendo l'economia mondiale verso la Terza rivoluzione industriale, con le sue promesse di un nuovo, eccitante mondo di produzioni automatizzate ad alta tecnologia, di intensi scambi internazionali e di abbondanza senza precedenti di beni materiali.

Pagina 36
Un mondo senza lavoratori
Quando la prima ondata di automazione colpì il settore industriale, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i leader sindacali, gli attivisti dei diritti civili e molti sociologi furono rapidi nel suonare l'allarme. Le loro preoccupazioni, comunque, non erano molto condivise dagli uomini d'impresa dell'epoca, che continuavano a credere che l'aumento della produttività generato dalle nuove tecnologie di automazione avrebbe stimolato la crescita economica e favorito l'occupazione e la crescita del potere d'acquisto. Oggi, al contrario, un numero ridotto ma crescente di manager inizia a preoccuparsi di dove ci porterà la rivoluzione tecnologica. Percy Barnevik è il chief executive officer della Asea Brown Boveri, un colosso svizzero-svedese da 40.000 miliardi che produce generatori elettrici e sistemi di trasporto, oltre che una delle maggiori società di engineering del mondo. Come altre imprese globali, ABB ha recentemente re-engineerizzato le proprie attività, tagliando 50.000 posti di lavoro, pur riuscendo ad aumentare il fatturato del 60% nello stesso periodo di tempo. Barnevik si domanda: «Dove andrà a finire tutta questa gente?» Secondo le sue previsioni, la quota di forza lavoro impegnata nell'industria in Europa è destinata a diminuire dall'attuale 35 al 25% entro i prossimi dieci anni, con un'ulteriore discesa al 15% nei vent'anni seguenti. Barnevik è profondamente pessimista sul futuro dell'Europa: «Se qualcuno mi dice: "Aspetta due o tre anni e vedrai esplodere la domanda di lavoro", gli domando: "Dimmi dove? Quali lavori? In quali città? In quali aziende?" Se mi metto a tirare le somme, scopro che esiste il rischio che l'attuale 10% di disoccupati e sottoccupati diventi il 20 o 25%».

Pagina 41
2. L'«effetto a cascata» della tecnologia e le realtà del mercato
Per più di un secolo, gli economisti hanno convenzionalmente accettato come un dato di fatto la teoria che afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la produttività, abbassano i costi di produzione e fanno aumentare l'offerta di beni a buon mercato; questo, in conseguenza, migliora il potere d'acquisto, espande i mercati e genera più occupazione. Tale assunto ha fornito il supporto razionale sul quale si sono fondate le politiche economiche di tutte le nazioni industrializzate. Questa logica sta oggi conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione tecnologica, a un declino apparentemente inarrestabile del potere d'acquisto e allo spettro di una recessione globale di incalcolabile grandezza e durata.
Il concetto che gli incommensurabili benefici indotti dall'avanzamento della tecnologia e dall'aumento della produttività riescano a diffondersi fino alla massa dei lavoratori in forma di prezzi inferiori, maggior potere d'acquisto e più occupazione costituisce essenzialmente una teoria dell'«effetto a cascata» della tecnologia. Mentre i tecnologi, gli economisti e gli uomini d'impresa usano raramente il termine «cascata» per descrivere l'impatto dell'innovazione sui mercati e sull'occupazione, i loro presupposti filosofici sono un chiaro segnale dell'implicita accettazione di questo principio.

Pagina 43
L'idea che l'innovazione tecnologica inneschi una spirale perpetua di crescita e occupazione ha incontrato, nel corso della sua storia, alcuni oppositori determinati. Nel primo volume del Capitale, pubblicato nel 1867, Karl Marx argomentava che i produttori tentano continuamente di ridurre il costo del lavoro e di guadagnare un maggior controllo sui mezzi di produzione attraverso la sostituzione dei lavoratori con le macchine in ogni situazione che lo consenta. Il capitalista trae profitto non solo dalla maggiore produttività, dal contenimento dei costi e dal maggior controllo sull'ambiente di lavoro, ma anche in via indiretta - dalla creazione di una numerosa armata di riserva di disoccupati, la cui forza lavoro sia immediatamente sfruttabile in altri compatti dell'economia.
Marx prevedeva che i progressi dell'automazione della produzione avrebbero potuto giungere alla completa eliminazione del lavoro come fattore di produzione. Il filosofo tedesco si riferiva a ciò che definiva eufemisticamente «la metamorfosi finale del lavoro», con la quale «un sistema automatizzato di macchinari» avrebbe alla fine sostituito gli esseri umani nel processo produttivo. Marx prevedeva una costante progressione della sofisticazione di macchine capaci di sostituire il lavoro umano e sosteneva che ogni innovazione tecnologica «scompone progressivamente l'attività del lavoratore in una sequenza di operazioni elementari, in modo che a un certo punto una macchina possa prenderne il posto.

Pagina 48
L'enfasi sulla produzione, che aveva occupato gli economisti fino ai primi anni del secolo, venne improvvisamente sostituita dal neonato interesse per il consumo. Negli anni Venti emerse un nuovo campo di analisi della teoria economica, l'«economia del consumo», e un numero crescente di economisti dedicò i propri sforzi intellettuale al comportamento del consumatore. Il marketing, che fino a quel momento aveva occupato un ruolo periferico nelle attività aziendali, assunse una nuova importanza. Nello spazio di una notte, la cultura della produzione venne sostituita dalla cultura del consumatore.

Pagina 54
(...), la Commissione presidenziale sui recenti cambiamenti economici, voluta da Herbert Hoover, pubblicò un rapporto rivelatore del profondo cambiamento nella psicologia umana intervenuto in meno di un decennio. Il rapporto terminava con una rosea previsione di ciò che attendeva l'America:
"Questa ricerca ha dimostrato, in maniera conclusiva, ciò che un tempo veniva considerato teoreticamente vero: i desideri sono insaziabili; ogni desiderio soddisfatto apre la strada a un nuovo desiderio. La conclusione è che, di fronte a noi, si aprono panorami economici sterminati, e che la soddisfazione di nuovi desideri creerà immediatamente desideri sempre nuovi da soddisfare... Attraverso la pubblicità e altre tecniche di promozione si è data una sensibile spinta alla produzione... Parrebbe che si possa procedere con un crescente attivismo... La nostra situazione è fortunata e il momento di inerzia notevole."
Solo pochi mesi dopo il mercato azionario crollò, gettando la nazione e il mondo in una delle più profonde depressioni dell'era moderna.
La Commissione Hoover, come molti politici e uomini d'impresa, era talmente fissata sull'idea che l'offerta creasse la propria domanda da essere incapace di prevedere la dinamica negativa che stava spingendo il sistema economico in una depressione di enormi proporzioni. Per compensare la crescente disoccupazione tecnologica generata dall'introduzione delle nuove tecnologie laborsaving, le imprese americane investirono milioni di dollari in campagne pubblicitarie, sperando di convincere chi aveva ancora un lavoro e un reddito a lasciarsi coinvolgere nell'orgia della spesa. Sfortunatamente, il reddito dei lavoratori dipendenti non cresceva abbastanza in fretta da tenere il passo con gli incrementi della produttività e della produzione. La maggior parte degli imprenditori preferiva intascare l'extraprofitto realizzato con la crescita della produttività, invece di trasferirne una parte ai lavoratori in forma di salari più alti. Henry Ford - bisogna dargliene merito - sosteneva che i lavoratori dovessero essere pagati abbastanza per riuscire ad acquistare i prodotti delle aziende per cui lavoravano; in caso contrario, si chiedeva, «chi comprerebbe le mie automobili?» I suoi colleghi decisero di ignorare il monito.
Il mondo delle imprese perseverava nella convinzione di potersi appropriare dei maggiori profitti, di poter deprimere i salari e continuare a pompare i consumatori per assorbire la sovrapproduzione. La pompa, invero, cominciava a lavorare a secco. Le nuove metodologie di marketing e pubblicità erano riuscite a stimolare il consumo di massa; comunque, non disponendo di un reddito sufficiente ad acquistare tutti i nuovi prodotti che sommergevano il mercato, il lavoratore americano continuava a ricorrere al credito. Qualcuno levò una voce di allarme, dicendo che «gli acquisti vengono finanziati più velocemente di quanto i beni vengano prodotti». Anche questo monito cadde inascoltato finché fu troppo tardi.

Pagina 57
Il movimento di condivisione del lavoro
Nell'ottobre 1929, meno di un milione di persone erano disoccupate. Nel dicembre 1931 il loro numero aveva superato i 10 milioni; sei mesi dopo, nel giugno 1932, il numero dei disoccupati era salito a 13 milioni. Al culmine delle depressione, nel marzo 1933, il numero degli americani senza lavoro raggiunse i 15 milioni.
Sempre più economisti attribuivano la responsabilità della depressione alla rivoluzione tecnologica degli anni Venti, che aveva fatto crescere la produttività e i volumi
Penso a questo punto che di riflessioni se ne possano fare a josa ma una cosa deve essere certa. Da questa situazione dobbiamo uscire e potremo e i ns. figli e nipoti continueranno a vivere altrimenti saremo costretti ad incontrare tempi che noi umani nemmeno avremo mai potuto pensare.
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Ora prendo in prestito da un mio amico alcune riflessioni che discutevano 10 anni fa e che a suo tempo condividevo e che ancor piuì oggi condivido :
””So per esperienza personale che il salario medio che percepisce l'operaio rumeno si aggira sui 60-70 euro mentre il costo della vita e' ormai paragonabile al nostro. Lo stato sociale che il comunismo garantiva e' stato spazzato via e gli affitti sono aumentati vertiginosamente. In questo inverno si sono verificati molti decessi dentro gli appartamenti della citta' di Brasov perche' non hanno i soldi per pagare il riscaldamento.

... chi puo' fugge dalla Romania e molte donne finiscono sui marciapiedi.
Se il comunismo non aveva saputo creare ricchezza il capitalismo ha distrutto anche quel minimo vitale oltre alla dignita' di un popolo.

Nel mondo occidentale non e' piu' questione di produttivita': vedo anche nella mia azienza che la robottizzazione e la informatizzazione produrranno in futuro sempre maggior disoccupazione. Questo varra' sempre di piu' per tutto l'occidente ed anche negli States la disoccupazione di massa sara' il tragico destino se non si ridurra' drasticamente l'orario di lavoro a parita' di salario.

... a che servirebbe infatti il progresso se non a liberare l'essere umano dal lavoro e restituirgli il tempo dedicato alla propria famiglia, al godimento della natura, ai propri interessi, alla propria elevazione culturale?

... il capitalismo come sistema economico non attuera' mai una tale riforma anche se a lungo andare lo portera' al suicidio perché si restringera' la massa di popolazione che non riuscira' piu' a consumare i suoi prodotti.

La riduzione DRASTICA dell'orario di lavoro non e' un'utopia ma l'alternativa del futuro.
””
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Su questo tema pure Domenico de Masi si e’ cimentato col suo: Il Futuro del Lavoro!.

un salutone da Juan
Ultima modifica di pancho il 11/11/2014, 21:05, modificato 1 volta in totale.
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
camillobenso
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da camillobenso »

Caro pancho, una precisazione.

Su questo tema pure Domenico Masi si e’ cimentato col suo: Il Futuro del Lavoro!.

un salutone da Juan


Dato che seguo sempre molto volentieri in Tv il Prof. Domenico De Masi, docente di Sociologia alla Sapienza, in quanto ha sempre da insegnarmi qualcosa e raramente si lascia andare a cazzate, volevo sapere se si tratta della stessa persona.

Immagine

Grazie.
camillobenso
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da camillobenso »

Come sempre le cronache e i cronisti sono alquanto imprecisi. Stanno commentando questi tempi come straordinari per via della presenza contemporanea di due papi.

Non è affatto vero. I papi sono tre.

Ieri sera dalla Lilli ho ascoltato il ritorno di Sua Santità Massimino I.

http://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila ... 014-140562
pancho
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da pancho »

camillobenso ha scritto:Caro pancho, una precisazione.

Su questo tema pure Domenico Masi si e’ cimentato col suo: Il Futuro del Lavoro!.

un salutone da Juan


Dato che seguo sempre molto volentieri in Tv il Prof. Domenico De Masi, docente di Sociologia alla Sapienza, in quanto ha sempre da insegnarmi qualcosa e raramente si lascia andare a cazzate, volevo sapere se si tratta della stessa persona.

Immagine

Grazie.
ok, corretto il mio precedente post. Si e' lo stesso.
un salutone
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da camillobenso »

Una parte dei giornali di oggi riporta che ci sono due Pd. In molti incontrati in giornata si chiedono cosa ci stiano a fare nel PdN-PNF Bersani e soci.

Il tema lo avevo posto a pancho ed Antonio, ma come sempre anche a tutti gli altri, ma non ho avuto risposta.

Che bisogna fare?
camillobenso
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da camillobenso »

@ iospero

Cosa ci dici del forum di Roma? Cosa dicono loro?
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

camillobenso ha scritto:@ iospero

Cosa ci dici del forum di Roma? Cosa dicono loro?
Sono un po' preso nel prendere confidenza con la piattaforma liquid feedback

Sarebbe interessante riuscire a formare dei gruppi di lavoro in tutti i comuni d'Italia coinvolgendo fin d'ora almeno quelli che hanno votato per la lista L'Altra Europa".


RICONOSCERE I NOSTRI ERRORI E COSTRUIRE UNA SINISTRA PIU’ LARGA





Pubblichiamo anche il punto di vista di Oggionni apparso sul manifesto, quale contributo alla discussione.

di Simone Oggionni – 11 novembre 2014 -



La piazza della Cgil e la sua domanda cla­mo­rosa di poli­tica e di rap­pre­sen­tanza; dall’altra parte la Leo­polda, le bat­tute da Baga­glino del pre­si­dente del Con­si­glio e dei suoi fedelissimi.

La forza e il corag­gio dei lavo­ra­tori delle accia­ie­rie di Terni licen­ziati; dall’altra parte le cari­che della poli­zia, le man­ga­nel­late così poco hi-tech, così bru­tali, così sfac­cia­ta­mente di destra.

E, infine, il Jobs Act e lo “Sblocca Ita­lia”, cro­ce­via isti­tu­zio­nale di una fase nella quale il Pd potrebbe sce­gliere di tra­sfor­marsi in Par­tito della Nazione e la sini­stra deve uscire, invece e final­mente, dall’irrilevanza.

Per­ché que­sto è il punto, che i let­tori de il mani­fe­sto cono­scono bene: nel nostro Paese non esi­ste, ormai da diverso tempo, un sog­getto poli­tico capace di rap­pre­sen­tare, con cre­di­bi­lità ed effi­ca­cia, il campo della sini­stra. Un sog­getto che stia in campo nel vivo di que­sto pas­sag­gio cru­ciale. È la discre­panza che esi­ste tra ciò che sarebbe neces­sa­rio e ciò che siamo stati sin qui a imporre una severa auto­cri­tica, a par­tire da noi. Rifon­da­zione comu­ni­sta, che per una lunga fase è stata il ful­cro della sini­stra di alter­na­tiva, è vit­tima di una crisi irre­ver­si­bile, almeno dal con­gresso di Chian­ciano del 2008.

Qui ini­ziò a deli­neare una linea e una cul­tura poli­tica indif­fe­renti al con­senso, che hanno teo­riz­zato la bontà dell’extraparlamentarismo come tratto per­ma­nente e pro­dotto la mar­gi­na­liz­za­zione. Come sap­piamo, linea e cul­tura poli­tica hanno cam­mi­nato con le gambe di un gruppo diri­gente inos­si­da­bile e ina­mo­vi­bile, nono­stante la respon­sa­bi­lità delle più bru­cianti scon­fitte (crollo degli iscritti, dei mili­tanti, dei voti, del radi­ca­mento sociale, della credibilità).

Lo abbiamo detto e scritto, in tanti, e per diversi anni. L’organizzazione gio­va­nile del par­tito, i Gio­vani Comu­ni­sti, ha pro­vato a lavo­rare in una dire­zione diversa. Abbiamo pro­mosso mobi­li­ta­zioni uni­ta­rie, col­ti­vato rela­zioni con la sini­stra gio­va­nile poli­tica e sociale dif­fusa, soste­nuto cam­pa­gne (dal diritto allo stu­dio al red­dito minimo garan­tito) in sin­to­nia, cre­diamo, con le aspet­ta­tive della nostra gene­ra­zione.
Abbiamo sug­ge­rito così un modo diverso di essere comu­ni­sti: più attenti alle tra­sfor­ma­zioni reali e meno dog­ma­tici, più curiosi e meno impau­riti, più inno­va­tori e meno con­ser­va­tori.
Abbiamo chie­sto più corag­gio, più fidu­cia, più rin­no­va­mento a tutti i livelli, pro­po­nendo al par­tito di inve­stire sul pro­prio futuro, cioè sui gio­vani. Lo abbiamo fatto, sem­pre, tenendo a mente la con­di­zione esterna, la nostra insuf­fi­cienza, il biso­gno vitale di ripen­sarsi, di trasformare.

La rispo­sta rice­vuta è stata netta: da una parte la dele­git­ti­ma­zione dell’organizzazione gio­va­nile; e dall’altra la demo­niz­za­zione (tal­volta grot­te­sca) delle sue posizioni.

Ne abbiamo preso atto, con­fron­tando que­sta realtà con un mondo, fuori, in tra­sfor­ma­zione e in fer­mento. Qui sta il punto di non ritorno, qui sta il senso delle nostre scelte. Per que­sti motivi abbiamo deciso di non rin­no­vare l’adesione all’organizzazione gio­va­nile del par­tito, sce­gliendo di dimet­terci – a par­tire dal sot­to­scritto – da tutti gli incarichi.

Sap­piamo che non sarà facile, che nulla è scon­tato, auto­ma­tico. Ma lo abbiamo visto, anche, a par­tire dall’appuntamento del 4 otto­bre di piazza Santi Apo­stoli a Roma, che è in campo un pro­getto poli­tico e un’idea nuova, più cre­di­bile, che si pone i nostri stessi inter­ro­ga­tivi, i nostri stessi obiet­tivi e che appare capace di valo­riz­zare le ener­gie atti­vate con l’esperienza elet­to­rale della lista Tsi­pras e quelle che, sin qui, non abbiamo saputo inter­cet­tare. È que­sto anche il senso di Sini­stra Lavoro, l’associazione a cui abbiamo dato vita nelle set­ti­mane scorse.

Vogliamo essere par­te­cipi e pro­ta­go­ni­sti di una nuova sog­get­ti­vità della sini­stra ita­liana, con radici pro­fonde e radi­cate nella nostra sto­ria e con la forza, la curio­sità, i dubbi che ci era parso tra noi aves­simo defi­ni­ti­va­mente smarrito.

Ce lo chiede il Paese reale, la piazza della Cgil, le man­ga­nel­late ai lavo­ra­tori. Ascol­tarli sarebbe già un nuovo inizio.

Pubblicato anche su il manifesto del 12 novembre 2014
iospero
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da iospero »

LOTTA O GOVERNO, DILEMMA A SINISTRA

Europa. Quasi ovunque nell’Unione la sinistra è troppo debole per poter essere determinante nella linea delle coalizioni, ma abbastanza forte da essere essenziale per battere l’avversario di destra

di Luciana Castellina, 12 novembre 2014

Per mezzo secolo il ven­ta­glio dei par­titi di sini­stra pre­senti nei par­la­menti Euro­pei è rima­sto press’a poco inva­riato, salvo il for­tu­noso ingresso di qual­che for­ma­zione ses­san­tot­tina in Ita­lia, altrove l’avvento dei verdi e quasi ovun­que il muta­mento di nome dei vec­chi par­titi comu­ni­sti dopo il ter­re­moto dell’89. Da qual­che tempo assi­stiamo invece a una nuova vario­pinta fio­ri­tura che, almeno in Gre­cia e in Spa­gna, ha già avuto, o i son­daggi dicono che avrà, una note­vole con­si­stenza par­la­men­tare, inim­ma­gi­na­bil­mente più larga di qual­siasi altra for­ma­zione simile prima d’ora.

Parlo natu­ral­mente soprat­tutto di Syriza in Gre­cia e di Pode­mos in Spagna.

Seb­bene vi si ritro­vino anche nomi che da ormai qual­che decen­nio cono­sciamo, mili­tanti che già abbiamo incon­trato ai grandi appun­ta­menti inter­na­zio­nali di movi­mento, si tratta di crea­ture nuove, nel senso che somi­gliano poco a ogni altro par­tito sto­rico. Né sono, tut­ta­via, simili fra loro, né per ori­gine né per pra­tica attuale: Syriza nasce da un arci­pe­lago di par­ti­tini e si è però andata carat­te­riz­zando per il suo legame con le ini­zia­tive sul ter­ri­to­rio ani­mate dalla società civile; Pode­mos, invece, nasce da un movi­mento, quello degli Indi­gna­dos, che fino alle ultime ele­zioni poli­ti­che spa­gnole aveva diser­tato addi­rit­tura le urne in sin­to­nia con il suo mani­fe­sto in cui si diceva: «Nes­suno ci rap­pre­senta» — e però anche: «Non vogliamo che nes­suno ci rap­pre­senti», ed è ora appro­dato al rico­no­sci­mento che biso­gna stare lad­dove si decide, in par­la­mento per l’appunto.

Tanto i nuovi venuti che le più anti­che for­ma­zioni che non fanno capo al par­tito socia­li­sta euro­peo, sia quelle di pro­ve­nienza comu­ni­sta tra­di­zio­nale che di nuova sini­stra, hanno nella loro diver­sità qual­che signi­fi­ca­tivo tratto in comune che rende a tutti peri­glioso e spesso con­fuso il cam­mino: il rap­porto con il movi­mento e il pro­blema del governo.

Si tratta di que­stioni reali e dif­fi­cili, su cui anche in Ita­lia, dove siamo comun­que in una situa­zione ben più con­fusa, ci arro­vel­liamo tutti.

Il governo: non c’è paese euro­peo, dalla Nor­ve­gia fino all’Italia, dove non si sia bloc­cati dal dilemma se soste­nere, par­te­ci­pan­dovi diret­ta­mente o meno, una coa­li­zione di cen­tro sini­stra e così però tro­varsi a con­di­vi­dere la respon­sa­bi­lità di scelte che non si vor­reb­bero com­piere, oppure se col­lo­carsi all’opposizione ma con il rischio di spia­nare il ter­reno all’avvento di un governo di destra.

Quasi ovun­que la sini­stra è infatti in Europa troppo debole per poter essere deter­mi­nante nella linea delle coa­li­zioni di cen­tro sini­stra, ma abba­stanza forte per essere essen­ziale al loro suc­cesso. Impe­dirlo signi­fica così cari­carsi della impo­po­la­ris­sima respon­sa­bi­lità di far vin­cere l’avversario principale.

Non sono cose nuo­vis­sime: già negli anni Trenta, quando per la prima volta entrò in un governo il par­tito labu­ri­sta inglese, Ram­sey Mc Donald, che ne era diven­tato primo mini­stro, ebbe a con­fes­sare amaro: cre­devo fosse tre­mendo stare all’opposizione, non sapevo quanto più tre­mendo fosse stare al governo e non avere potere.

Quanto all’altra opzione, vale ricor­dare quanti sono gli elet­tori che tutt’ora non hanno per­do­nato a Fau­sto Ber­ti­notti di aver fatto cadere il governo Prodi alla fine degli anni Novanta.

Anche più dif­fi­cile il pro­blema movi­mento: ovvero il dilemma fra il rischio di sepa­rar­sene una volta entrati sul ter­reno della poli­tica isti­tu­zio­nale; e, al con­tra­rio, di rima­nere preda delle sue ine­vi­ta­bili flut­tua­zioni, dell’impotenza che pro­duce l’impossibilità di aggre­gare un potere deci­sio­nale per via del rifiuto di ogni leadership.

Non ci sono evi­den­te­mente solu­zioni facili e soprat­tutto uni­vo­che. Oltre­tutto per­ché que­sti pro­blemi anti­chi sono oggi stra­volti da un galop­pante muta­mento del mondo, e dun­que degli stessi modi di vivere delle per­sone, della dislo­ca­zione dei poteri da affrontare.

Solo alcune con­si­de­ra­zioni su cui sarebbe utile aprire un dibat­tito che non resti chiuso nei rispet­tivi cir­cuiti nazio­nali, ingom­brati da ran­cori e ripic­che, ma diventi final­mente euro­peo, usando pro­prio quella forza che alcune nuove for­ma­zioni hanno acqui­sito e quella con­si­stenza con­ser­vata, pur nel pre­sente ter­re­moto, da altre più anti­che (penso alla Linke tede­sca o ai par­titi scandinavi).

In realtà sap­piamo pochis­simo l’uno dell’altro, per­sino di Syriza, seb­bene l’ultima nostra espe­rienza comune sia stata com­bat­tuta nel nome di Tsipras.

Non si tratta comun­que solo del van­tag­gio che avremmo a impa­rare di più, ma di comin­ciare a costruire il solo sog­getto ade­guato ai nostri tempi, che deve essere euro­peo non solo sulla carta, come sono i par­titi che por­tano que­sto nome e che più di qual­che incon­tro annuale cui si par­te­cipa distratti non danno. Pro­prio alle nuove forze dalla sini­stra dovrebbe esser più facile ragio­nare e muo­versi da euro­pei, per­ché meno sog­getti ai tanti con­di­zio­na­menti sto­rici dei par­titi più anti­chi. Peral­tro è inu­tile par­lare di demo­cra­tiz­za­zione dell’Unione se prima non si costi­tui­sce, a quel livello, quanto rende demo­cra­tica una nazione: una società civile comune, ricca di arti­co­la­zioni e stru­menti: par­titi, sin­da­cati, stampa, asso­cia­zioni. Costruirla è ben più impor­tante che con­qui­stare qual­che potere in più per il Par­la­mento euro­peo, desti­nato a restare impo­tente fin­ché l’esecutivo risponde a un elet­to­rato fram­men­tato e incomunicante.

Affron­tare que­sti pro­blemi è dif­fi­cile oggi più di quanto non fosse anche solo qual­che anno fa per­ché viviamo in un tempo in cui il distacco fra la gente e la poli­tica, la dif­fi­denza nei con­fronti dei par­titi e delle isti­tu­zioni, sono diven­tati pro­fondi, e non solo in Italia.

La cosa più impor­tante per tutti è dun­que ripar­tire da più indie­tro, rico­struire il senso stesso della poli­tica: spaz­zando via l’idea che sia mate­ria di esclu­siva com­pe­tenza di chi sta nelle isti­tu­zioni ed evi­tando di pro­porre coa­li­zioni o nuovi par­titi sem­pre e solo in occa­sione delle ele­zioni, il ter­reno più ambi­guo e dif­fi­cile, anzi­ché spe­ri­men­tare la coe­sione, non gene­ri­ca­mente nel movi­mento, ma in un’iniziativa che sia anche in grado di assu­mersi respon­sa­bi­lità di gestione della società, reim­pa­dro­nen­dosi di pezzi dello stato che sono stati seque­strati. Quanto più le iden­tità sono state stra­volte, come è acca­duto in que­sti anni, sino a con­fon­dere per­fino la destra con la sini­stra, tanto più que­sto diventa il ter­reno su cui supe­rare le dif­fi­denze e l’antipolitica, elu­dere i rischi di popu­li­smo da cui nean­che i movi­menti e i par­titi nati dai movi­menti sono immuni. Soprat­tutto per far matu­rare sog­get­ti­vità nelle per­sone, ria­bi­tuan­dosi a pen­sare che la poli­tica è poter deci­dere, non arbi­trare fra l’uno o l’altro che decide. E nep­pure solo riven­di­care diritti, per­ché la demo­cra­zia è di più: è con­qui­sta di uno spa­zio, e delle con­di­zioni in cui non sia astratta la pre­tesa di cam­biare il mondo.

Sono tutte cose che non si pos­sono fare in par­la­mento, ma nem­meno igno­ran­dolo. Il rischio, come sem­pre, è che il den­tro e il fuori si separino.

Anche al dilemma — che dila­nia la sini­stra di tutta Europa — se accet­tare di soste­nere una coa­li­zione di cen­tro sini­stra o meno, c’è una sola rispo­sta: si può assu­mere il rischio se si ha abba­stanza forza nella società, e si ha abba­stanza forza nella società non se non ci si limita a un potere di inter­di­zione, ma se si è capaci di gestire almeno un pez­zetto di alter­na­tiva. Per occu­pare lo spa­zio pub­blico, biso­gna sapere che occorre innan­zi­tutto rico­struirlo, e poi capire che non si tratta di uno sta­dio in cui vince chi grida di più.

(Comun­que tut­tora, per orien­tarmi, io scelgo la vec­chia indi­ca­zione del pre­si­dente Mao. Che diceva: bom­bar­dare il quar­tier gene­rale, e rifon­dare di con­ti­nuo i par­titi affin­ché non si buro­cra­tiz­zino. Ma diceva che occor­reva «rifon­darli» per l’appunto, non che se ne poteva fare a meno e creare al loro posti sem­plici reti flut­tuanti. Gram­sci soste­neva che senza costruire un sog­getto, e cioè una volontà coau­gu­lata col­let­tiva, che addi­rit­tura chia­mava «il prin­cipe», non si sarebbe potuti andare da nes­suna parte, per­ché la società civile, di per sé, subi­sce, com’è natu­rale, l’egemonia del potere. Sot­trarla a que­sta sud­di­tanza è pre­messa indi­spen­sa­bile a ogni alternativa).



da il manifesto (che è anche tuo, riprenditelo !) del 13 novembre 2014
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camillobenso
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la

Messaggio da camillobenso »

LOTTA O GOVERNO, DILEMMA A SINISTRA
Il manifesto


La sinistra ha completato il suo primo ciclo. E' nata nel 1892 e si è esaurita nell'ultimo ventennio.

Deve ripartire un nuovo ciclo e non può che ripartire da posizioni di lotta.

Il PdN-PNF lasciamolo a Renzi e cerchiamo di spingerlo su posizioni di destra, assieme a Berlusconi.
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