Renzi
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Re: Renzi
CONTI PUBBLICI
Il governo Renzi e la grana dei derivati
Nei documenti economici l'esecutivo nasconde il costo degli strumenti finanziari più speculativi. Che nel 2015 hanno aumentato il debito dello Stato di 6,7 miliardi. Un record
DI LUCA PIANA
28 ottobre 201
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
Il governo Renzi e la grana dei derivati
Nei documenti economici l'esecutivo nasconde il costo degli strumenti finanziari più speculativi. Che nel 2015 hanno aumentato il debito dello Stato di 6,7 miliardi. Un record
DI LUCA PIANA
28 ottobre 201
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Re: Renzi
AMERICANATE DEGLI SPAGHETTI E MANDOLINO
Repubblica 31.10.16
Leopolda e duelli tv, cambia la campagna verso il referendum
Renzi ridimensiona la kermesse fiorentina che parte venerdì
Il guru Messina: un’altra manifestazione prima del 4 dicembre
di Goffredo De Marchis
ROMA. Cambierà la Leopolda, il prossimo week end, e per un attimo si era pensato persino di annullarla. Comunque sarà ridimensionata., nella sua parte scenografica. Sono state cancellate tutte le iniziative di campagna referendaria e verranno ripristinate solo dopo aver sistemato i meccanismi dell’emergenza.
Chi ha parlato con Matteo Renzi, ieri, lo ha sentito molto preoccupato, colpito dalle immagini e dalle notizie che arrivano dai luoghi terremotati e agitato per la sorte degli sfollati che ora sono diventati un problema con numeri enormi.
Il premier doveva andare a casa due giorni, per il ponte. Anche il ritorno a Pontassieve è stato annullato. Ma cambia tutta l’agenda in vista del referendum. Per la natura delle questioni che riguardano le aree colpite, per il clima che c’è nel Paese, per il rispetto che si deve a chi ha perso tutto. Già ieri mattina Renzi ha sentito i suoi collaboratori più stretti, quelli con cui da anni organizza l’appuntamento di Firenze alla Stazione Leopolda, luogo simbolo del renzismo. «Dobbiamo rivoluzionare l’evento. Cambiare la scaletta». Ci sentiamo domani, cioè oggi, è stato il suo congedo. Non potrà essere il solito happening con i video, i testimonial, la musica, a metà strada tra il convegno politico e la festa. Sarà un’altra cosa, con un tono completamente diverso perché il sisma assume i contorni di una tragedia sempre più grande, in un territorio ancora più grande e non è finita dopo il 24 agosto, il giorno della scossa ad Amatrice, Arquata e Accumoli. La suggestione di rinviare la Leopolda si è affacciata nelle stanze di Palazzo Chigi, soprattutto nei minuti che hanno seguito la “botta” delle 7,41 . Per il momento il rinvio è escluso ma i danni in termini materiali e sulla vita degli sfollati sono ancora da valutare. I commenti sulla manifestazione di Piazza del Popolo, le polemiche sulle presenze (meno delle previsioni), sui costi alti (1 milione secondo alcuni calcoli) e le critiche della minoranza sono passati in secondo piano.
Se in qualche modo la situazione tornerà alla normalità e alla messa al sicuro delle popolazioni terremotate, Renzi riprenderà la sua campagna per il 4 dicembre. Prende in considerazione solo tre scontri televisivi, se i competitor sono disponibili: Grillo (solo lui, né Di Maio né Di Battista), Berlusconi e D’Alema. Ma come cambierà il suo atteggiamento? La rivoluzione della Leopolda è già un segnale che va ricalibrato il messaggio e il tono della sfida a i sostenitori del No. A Palazzo Chigi non prendono in considerazione l’ipotesi di Pierluigi Castagnetti su un rinvio delle urne per la riforma costituzionale. Ma non si nascondono che proprio nell’ultimo mese, quello decisivo per il risultato finale, si dovrà trovare un linguaggio e un messaggio nuovi per affrontare la battaglia referendaria. Lo spin doctor americano Jim Messina ha suggerito un’altra manifestazione del Pd a ridosso del voto. Un’idea che convince Renzi, ma adesso si pone il tema di come organizzarla, con quale parola d’ordine.
Repubblica 31.10.16
Leopolda e duelli tv, cambia la campagna verso il referendum
Renzi ridimensiona la kermesse fiorentina che parte venerdì
Il guru Messina: un’altra manifestazione prima del 4 dicembre
di Goffredo De Marchis
ROMA. Cambierà la Leopolda, il prossimo week end, e per un attimo si era pensato persino di annullarla. Comunque sarà ridimensionata., nella sua parte scenografica. Sono state cancellate tutte le iniziative di campagna referendaria e verranno ripristinate solo dopo aver sistemato i meccanismi dell’emergenza.
Chi ha parlato con Matteo Renzi, ieri, lo ha sentito molto preoccupato, colpito dalle immagini e dalle notizie che arrivano dai luoghi terremotati e agitato per la sorte degli sfollati che ora sono diventati un problema con numeri enormi.
Il premier doveva andare a casa due giorni, per il ponte. Anche il ritorno a Pontassieve è stato annullato. Ma cambia tutta l’agenda in vista del referendum. Per la natura delle questioni che riguardano le aree colpite, per il clima che c’è nel Paese, per il rispetto che si deve a chi ha perso tutto. Già ieri mattina Renzi ha sentito i suoi collaboratori più stretti, quelli con cui da anni organizza l’appuntamento di Firenze alla Stazione Leopolda, luogo simbolo del renzismo. «Dobbiamo rivoluzionare l’evento. Cambiare la scaletta». Ci sentiamo domani, cioè oggi, è stato il suo congedo. Non potrà essere il solito happening con i video, i testimonial, la musica, a metà strada tra il convegno politico e la festa. Sarà un’altra cosa, con un tono completamente diverso perché il sisma assume i contorni di una tragedia sempre più grande, in un territorio ancora più grande e non è finita dopo il 24 agosto, il giorno della scossa ad Amatrice, Arquata e Accumoli. La suggestione di rinviare la Leopolda si è affacciata nelle stanze di Palazzo Chigi, soprattutto nei minuti che hanno seguito la “botta” delle 7,41 . Per il momento il rinvio è escluso ma i danni in termini materiali e sulla vita degli sfollati sono ancora da valutare. I commenti sulla manifestazione di Piazza del Popolo, le polemiche sulle presenze (meno delle previsioni), sui costi alti (1 milione secondo alcuni calcoli) e le critiche della minoranza sono passati in secondo piano.
Se in qualche modo la situazione tornerà alla normalità e alla messa al sicuro delle popolazioni terremotate, Renzi riprenderà la sua campagna per il 4 dicembre. Prende in considerazione solo tre scontri televisivi, se i competitor sono disponibili: Grillo (solo lui, né Di Maio né Di Battista), Berlusconi e D’Alema. Ma come cambierà il suo atteggiamento? La rivoluzione della Leopolda è già un segnale che va ricalibrato il messaggio e il tono della sfida a i sostenitori del No. A Palazzo Chigi non prendono in considerazione l’ipotesi di Pierluigi Castagnetti su un rinvio delle urne per la riforma costituzionale. Ma non si nascondono che proprio nell’ultimo mese, quello decisivo per il risultato finale, si dovrà trovare un linguaggio e un messaggio nuovi per affrontare la battaglia referendaria. Lo spin doctor americano Jim Messina ha suggerito un’altra manifestazione del Pd a ridosso del voto. Un’idea che convince Renzi, ma adesso si pone il tema di come organizzarla, con quale parola d’ordine.
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Re: Renzi
Tutti i guai di Renzi: piazze vuote e urne anche peggio
Delusione al Nazareno: manifestazione flop. E anche nei sondaggi il No è avanti di 4 punti
Fabrizio De Feo - Mar, 01/11/2016 - 08:04
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Roma - C'era una volta l'equazione piazze piene, urne vuote. La profezia, firmata da Pietro Nenni durante la campagna del Fronte popolare nell'aprile 1948, non sembra però reggere alla prova dell'attualità.
Come dimostra la manifestazione del Pd di Piazza del Popolo, se le urne vengono disertate da un crescente numero di italiani - come avvenuto nelle ultime Amministrative - anche le piazze non scherzano e neppure l'oliatissima macchina organizzativa del Pd riesce a colmare i vuoti e a far girare il motore della mobilitazione politica.
«La piazza è del Popolo» recitava lo slogan della manifestazione renziana per il «Sì». Ma ai piedi del Pincio compaiono poche migliaia di persone, faticosamente radunate da tutta Italia attraverso la vasta rete organizzativa del primo partito italiano. C'è chi su twitter fa notare che in quella piazza «c'è più gente in un sabato di saldi». Un flop per il quale - dalle parti della sinistra - non è facile trovare precedenti e che costringe le tv a riprese televisive dal basso, suggerisce agli organizzatori l'uso intensivo delle bandiere offerte ai partecipanti (con tante di aste rimaste a terra per mancanza di mani a cui farle sollevare) e un palco molto grande posizionato non nella parte estrema della piazza, ma piuttosto avanzato con un'ampia area di rispetto tra gli oratori e il pubblico. Il tutto nel tentativo di coprire i vuoti e riempire gli schermi. Ma la bandiera rossa (o bianca, rossa e verde come da colori piddini di ordinanza) questa volta non può davvero trionfare e le stime non vanno oltre le 5-7mila presenze.
Eppure l'investimento economico per un appuntamento che doveva apporre il sigillo della popolarità sulla campagna del «Sì» era stato importante, l'invito alla mobilitazione pressante anche attraverso l'uso dei social, i dettagli organizzativi curati con attenzione. La scintilla con il «popolo del sì», però, non è scattata. E il giorno dopo la delusione dalle parti del Nazareno è palpabile. Tanto più che l'operazione di piazza non è neppure riuscita a cogliere l'obiettivo della grande riunificazione, con il solo Gianni Cuperlo presente e concentrato nel difficile tentativo di trovare un'intesa sulle modifiche alla legge elettorale. All'appello non rispondono né Pier Luigi Bersani né Roberto Speranza e lo stesso Cuperlo non si trasforma certo in un propagandista del ddl Boschi. Anzi ci tiene a puntualizzare che visto che «sono qui con le mie idee, aspetto un atto politico da Renzi altrimenti voto no».
L'addio alle piazze - o meglio l'addio delle piazze al richiamo della politica - è questione comunque trasversale. La disaffezione appare sempre più generale, come dimostra anche il Movimento 5 Stelle che quella stessa piazza aveva riempito nel 2013, per poi fallire il bis in occasione del comizio di Virginia Raggi (che però le urne poi riuscì a riempirle). Stessa circostanza verificatasi poi nella manifestazione grillina davanti a Montecitorio in occasione della discussione del ddl sul dimezzamento delle indennità dei parlamentari. Una disaffezione che rende difficile fare previsioni sull'affluenza del prossimo 4 dicembre. Di certo, però, c'è che anche il sondaggio Demos per Repubblica per la prima volta consegna al «No» un vantaggio di 4 punti. Un trend che potrebbe consolidarsi nelle prossime settimane.
Delusione al Nazareno: manifestazione flop. E anche nei sondaggi il No è avanti di 4 punti
Fabrizio De Feo - Mar, 01/11/2016 - 08:04
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Roma - C'era una volta l'equazione piazze piene, urne vuote. La profezia, firmata da Pietro Nenni durante la campagna del Fronte popolare nell'aprile 1948, non sembra però reggere alla prova dell'attualità.
Come dimostra la manifestazione del Pd di Piazza del Popolo, se le urne vengono disertate da un crescente numero di italiani - come avvenuto nelle ultime Amministrative - anche le piazze non scherzano e neppure l'oliatissima macchina organizzativa del Pd riesce a colmare i vuoti e a far girare il motore della mobilitazione politica.
«La piazza è del Popolo» recitava lo slogan della manifestazione renziana per il «Sì». Ma ai piedi del Pincio compaiono poche migliaia di persone, faticosamente radunate da tutta Italia attraverso la vasta rete organizzativa del primo partito italiano. C'è chi su twitter fa notare che in quella piazza «c'è più gente in un sabato di saldi». Un flop per il quale - dalle parti della sinistra - non è facile trovare precedenti e che costringe le tv a riprese televisive dal basso, suggerisce agli organizzatori l'uso intensivo delle bandiere offerte ai partecipanti (con tante di aste rimaste a terra per mancanza di mani a cui farle sollevare) e un palco molto grande posizionato non nella parte estrema della piazza, ma piuttosto avanzato con un'ampia area di rispetto tra gli oratori e il pubblico. Il tutto nel tentativo di coprire i vuoti e riempire gli schermi. Ma la bandiera rossa (o bianca, rossa e verde come da colori piddini di ordinanza) questa volta non può davvero trionfare e le stime non vanno oltre le 5-7mila presenze.
Eppure l'investimento economico per un appuntamento che doveva apporre il sigillo della popolarità sulla campagna del «Sì» era stato importante, l'invito alla mobilitazione pressante anche attraverso l'uso dei social, i dettagli organizzativi curati con attenzione. La scintilla con il «popolo del sì», però, non è scattata. E il giorno dopo la delusione dalle parti del Nazareno è palpabile. Tanto più che l'operazione di piazza non è neppure riuscita a cogliere l'obiettivo della grande riunificazione, con il solo Gianni Cuperlo presente e concentrato nel difficile tentativo di trovare un'intesa sulle modifiche alla legge elettorale. All'appello non rispondono né Pier Luigi Bersani né Roberto Speranza e lo stesso Cuperlo non si trasforma certo in un propagandista del ddl Boschi. Anzi ci tiene a puntualizzare che visto che «sono qui con le mie idee, aspetto un atto politico da Renzi altrimenti voto no».
L'addio alle piazze - o meglio l'addio delle piazze al richiamo della politica - è questione comunque trasversale. La disaffezione appare sempre più generale, come dimostra anche il Movimento 5 Stelle che quella stessa piazza aveva riempito nel 2013, per poi fallire il bis in occasione del comizio di Virginia Raggi (che però le urne poi riuscì a riempirle). Stessa circostanza verificatasi poi nella manifestazione grillina davanti a Montecitorio in occasione della discussione del ddl sul dimezzamento delle indennità dei parlamentari. Una disaffezione che rende difficile fare previsioni sull'affluenza del prossimo 4 dicembre. Di certo, però, c'è che anche il sondaggio Demos per Repubblica per la prima volta consegna al «No» un vantaggio di 4 punti. Un trend che potrebbe consolidarsi nelle prossime settimane.
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Re: Renzi
UNA NUOVA OCCASIONE PER IL SOLITO BUNGA-BUNGA
Dal bluff sui fondi al decreto vuoto: così Renzi mina l'unità nazionale
Renzi chiede la coesione nazionale, ma poi fa tutto in solitudine. E non stanzia le risorse per i terremotati. L'accusa di Forza Italia: "Fa solo propaganda"
Sergio Rame - Mar, 01/11/2016 - 12:59
"A questo punto non solo chiediamo formalmente al premier la convocazione del Tavolo di coesione nazionale, ma anche chiarezza e trasparenza.
Basta fare propaganda sulla pelle dei terremotati". Forza Italia ne ha le scatole piene delle promesse e dei buoni propositi di Matteo Renzi.
Perché, al di là delle parole, il premier non va.
I capigruppo di Camera e Senato, Renato Brunetta e Paolo Romani, chiedono al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di usare la sua moral suasion per sanare una ferita politica che rischia di allargarsi di ora in ora. "Noi non siamo come la sinistra dopo il terremoto de L'Aquila, però anche la nostra pazienza ha un limite".
È ormai assordante il silenzio di Renzi dinnanzi alla richiesta delle opposizioni di convocare immediatamente il tavolo di coesione nazionale, che già diverse volte si è riunito a Palazzo Chigi, con cadenza mensile, per affrontare i problemi legati al terrorismo internazionale. Forza Italia, in particolare, ha più volte chiesto a Renzi di condividere i prossimi passi per l'emergenza terremoto, per aiutare le Regioni colpite e per discutere di ricostruzione e di messa in sicurezza del territorio nazionale. Renzi stesso aveva annunciato il coinvolgimento delle opposizioni già dopo il terribile terremoto del 24 agosto. Adesso, dopo un altro devastante sisma che ha colpito il Centro Italia, il premier ha ribadito lo stesso concetto. In realtà, chiede la coesione solo a parole, senza far seguire i fatti agli annunci.
"Sono passati più di due mesi dal terremoto di fine agosto e Renzi non ha chiamato nessuno, non ha consultato nessuno, non ha sentito nessuno - tuonano Brunetta e Romani - ha fatto, come sempre, tutto in solitudine". In solitudine ha proposto Casa Italia. In solitudine ha nominato Vasco Errani commissario straordinario per il terremoto. In solitudine ha varato il decreto sul terremoto, approvato il 17 ottobre dopo quasi due mesi dal primo fortissimo sisma. Decreto che il 18 ottobre è arrivato in Senato e che dal 25 giace presso lacommissione Bilancio di Palazzo Madama. In solitudine ha annunciato, ieri, un secondo decreto sul sisma. Per di più Renzi ha chiesto all'Europa un margine di flessibilità dello 0,2%, pari a 3,4 miliardi per il terremoto, ma nella legge di Bilancio ha previsto solo 600 milioni di nuove spese per il sisma e per la ricostruzione, lasciando nei 104 articoli della norma gli altri 2,8 miliardi per mance e mancette. "Tutti i provvedimenti del governo, legge di bilancio e decreto fiscale in testa, sono pieni di voci di spesa molto discutibili. E in coda a tutto questo - accusano Brunetta e Romani - ieri Renzi ha annunciato i container per le zone terremotate entro Natale. Qui siamo veramente fuori da ogni logica".
Dal bluff sui fondi al decreto vuoto: così Renzi mina l'unità nazionale
Renzi chiede la coesione nazionale, ma poi fa tutto in solitudine. E non stanzia le risorse per i terremotati. L'accusa di Forza Italia: "Fa solo propaganda"
Sergio Rame - Mar, 01/11/2016 - 12:59
"A questo punto non solo chiediamo formalmente al premier la convocazione del Tavolo di coesione nazionale, ma anche chiarezza e trasparenza.
Basta fare propaganda sulla pelle dei terremotati". Forza Italia ne ha le scatole piene delle promesse e dei buoni propositi di Matteo Renzi.
Perché, al di là delle parole, il premier non va.
I capigruppo di Camera e Senato, Renato Brunetta e Paolo Romani, chiedono al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di usare la sua moral suasion per sanare una ferita politica che rischia di allargarsi di ora in ora. "Noi non siamo come la sinistra dopo il terremoto de L'Aquila, però anche la nostra pazienza ha un limite".
È ormai assordante il silenzio di Renzi dinnanzi alla richiesta delle opposizioni di convocare immediatamente il tavolo di coesione nazionale, che già diverse volte si è riunito a Palazzo Chigi, con cadenza mensile, per affrontare i problemi legati al terrorismo internazionale. Forza Italia, in particolare, ha più volte chiesto a Renzi di condividere i prossimi passi per l'emergenza terremoto, per aiutare le Regioni colpite e per discutere di ricostruzione e di messa in sicurezza del territorio nazionale. Renzi stesso aveva annunciato il coinvolgimento delle opposizioni già dopo il terribile terremoto del 24 agosto. Adesso, dopo un altro devastante sisma che ha colpito il Centro Italia, il premier ha ribadito lo stesso concetto. In realtà, chiede la coesione solo a parole, senza far seguire i fatti agli annunci.
"Sono passati più di due mesi dal terremoto di fine agosto e Renzi non ha chiamato nessuno, non ha consultato nessuno, non ha sentito nessuno - tuonano Brunetta e Romani - ha fatto, come sempre, tutto in solitudine". In solitudine ha proposto Casa Italia. In solitudine ha nominato Vasco Errani commissario straordinario per il terremoto. In solitudine ha varato il decreto sul terremoto, approvato il 17 ottobre dopo quasi due mesi dal primo fortissimo sisma. Decreto che il 18 ottobre è arrivato in Senato e che dal 25 giace presso lacommissione Bilancio di Palazzo Madama. In solitudine ha annunciato, ieri, un secondo decreto sul sisma. Per di più Renzi ha chiesto all'Europa un margine di flessibilità dello 0,2%, pari a 3,4 miliardi per il terremoto, ma nella legge di Bilancio ha previsto solo 600 milioni di nuove spese per il sisma e per la ricostruzione, lasciando nei 104 articoli della norma gli altri 2,8 miliardi per mance e mancette. "Tutti i provvedimenti del governo, legge di bilancio e decreto fiscale in testa, sono pieni di voci di spesa molto discutibili. E in coda a tutto questo - accusano Brunetta e Romani - ieri Renzi ha annunciato i container per le zone terremotate entro Natale. Qui siamo veramente fuori da ogni logica".
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Re: Renzi
341MILA CHE VOTERANNO SI???????
Le promesse mancate del governo sugli 80 euro
Nessun aiuto ai poveri che li hanno restituiti
La legge di bilancio non fa cenno ai 341mila italiani che nel 2015 hanno dovuto rinunciare al beneficio
perché scesi sotto la soglia degli 8mila euro di reddito. Eppure Padoan diceva: “Cercheremo di alleviare”
renzi-padoan-pp
Economia & Lobby
Dimenticati i 341mila italiani che nel 2015 hanno dovuto restituire il bonus da 80 euro perché il loro reddito è diminuito e, ovviamente, anche tutti quelli che hanno dovuto rinunciare al beneficio perché non sono più rientrati nella fascia di reddito prevista, superando i 26mila euro. Ignorati nella legge di bilancio. Nonostante le promesse che a inizio estate, dopo che la questione era stata portata alla luce da ilfattoquotidiano.it, si era lasciato sfuggire il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: “Cercheremo di alleviare”. La sociologa Chiara Saraceno: “L’errore è stato invece alla base”
di Luisiana Gaita
Le promesse mancate del governo sugli 80 euro
Nessun aiuto ai poveri che li hanno restituiti
La legge di bilancio non fa cenno ai 341mila italiani che nel 2015 hanno dovuto rinunciare al beneficio
perché scesi sotto la soglia degli 8mila euro di reddito. Eppure Padoan diceva: “Cercheremo di alleviare”
renzi-padoan-pp
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Dimenticati i 341mila italiani che nel 2015 hanno dovuto restituire il bonus da 80 euro perché il loro reddito è diminuito e, ovviamente, anche tutti quelli che hanno dovuto rinunciare al beneficio perché non sono più rientrati nella fascia di reddito prevista, superando i 26mila euro. Ignorati nella legge di bilancio. Nonostante le promesse che a inizio estate, dopo che la questione era stata portata alla luce da ilfattoquotidiano.it, si era lasciato sfuggire il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: “Cercheremo di alleviare”. La sociologa Chiara Saraceno: “L’errore è stato invece alla base”
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Re: Renzi
Una manovra da 27 miliardi e 6,5 milioni di voti
I benefici sono per pensionati e imprenditori
IL DOSSIER (Pdf). Agli anziani uscita dal lavoro anticipata e aumento della 14esima. Alle società il taglio
dell’Ires (flat tax alle piccole). E bonus-famiglie. Così la legge di Bilancio spiana la strada al referendum
Foto Fabio Cimaglia / LaPresse
15-10-2016 Roma
Politica
Conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri n° 136
Nella foto Pier Carlo Padoan, Matteo Renzi
Photo Fabio Cimaglia / LaPresse
15-10-2016 Rome (Italy)
Politic
Press conference after the Council of Ministers No. 136
In the pic Pier Carlo Padoan, Matteo Renzi
Economia & Lobby
Se sia davvero “una mano a chi non ce la fa” come sostiene Matteo Renzi è tema molto discusso. Quel che è certo è che alla vigilia del referendum costituzionale la legge di Bilancio da 26,7 miliardi di euro farà felice un discreto numero di elettori. Secondo una stima de ilfattoquotidiano.it che non tiene conto del pubblico impiego, sono almeno 6,5 milioni, quasi il 13% degli aventi diritto al voto, i potenziali beneficiari delle misure contenute nella manovra per il 2017 di Chiara Brusini, Fiorina Capozzi, Paolo Fior, Luigi Franco, Luisiana Gaita, Gaia Scacciavillani, Andrea Tundo e Lorenzo Vendemiale
I benefici sono per pensionati e imprenditori
IL DOSSIER (Pdf). Agli anziani uscita dal lavoro anticipata e aumento della 14esima. Alle società il taglio
dell’Ires (flat tax alle piccole). E bonus-famiglie. Così la legge di Bilancio spiana la strada al referendum
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Conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri n° 136
Nella foto Pier Carlo Padoan, Matteo Renzi
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Se sia davvero “una mano a chi non ce la fa” come sostiene Matteo Renzi è tema molto discusso. Quel che è certo è che alla vigilia del referendum costituzionale la legge di Bilancio da 26,7 miliardi di euro farà felice un discreto numero di elettori. Secondo una stima de ilfattoquotidiano.it che non tiene conto del pubblico impiego, sono almeno 6,5 milioni, quasi il 13% degli aventi diritto al voto, i potenziali beneficiari delle misure contenute nella manovra per il 2017 di Chiara Brusini, Fiorina Capozzi, Paolo Fior, Luigi Franco, Luisiana Gaita, Gaia Scacciavillani, Andrea Tundo e Lorenzo Vendemiale
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Re: Renzi
Se sia davvero “una mano a chi non ce la fa” come sostiene Matteo Renzi è tema molto discusso. Quel che è certo è che alla vigilia del referendum costituzionale la legge di Bilancio da 26,7 miliardi di euro farà felice un discreto numero di elettori.
Non c'è molto da capire o da discutere.
Pinocchio Mussoloni da veramente una mano a chi non ce la fa. CIOE' LUI.
Non ce la fa a vincere il Referenzum truffando dall'inizio alla fine, per cui si deve dare una mano a sè stesso comprando i voti.
Non c'è molto da capire o da discutere.
Pinocchio Mussoloni da veramente una mano a chi non ce la fa. CIOE' LUI.
Non ce la fa a vincere il Referenzum truffando dall'inizio alla fine, per cui si deve dare una mano a sè stesso comprando i voti.
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Re: Renzi
REFERENDUM COSTITUZIONALE
Referendum costituzionale e rinvio, il vero interesse di Renzi
Referendum Costituzionale
di Paolo Farinella | 2 novembre 2016
COMMENTI (31)
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Più informazioni su: Enrico Letta, Matteo Renzi, Referendum Costituzionale 2016
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Oggi, 2 novembre, giorno dei Morti.
Il cicaleccio politico di questi ultimi giorni sta saggiando l’ipotesi di un rinvio del referendum a primavera prossima alla luce forse degli ultimi sondaggi che sono tutti a sfavore del «Sì», mentre pongono il «NO» in costante vantaggio?
Sembra che Renzi e Napolitano abbiano paura e cerchino di annullare il referendum per evitare la loro personale e deflagrante sconfitta.
È la prova definitiva che ha ragione Ciriaco De Mita che ha snidato Renzi senza nemmeno troppa fatica: al presidente del Consiglio nulla importa del referendum, del futuro, dell’Italia e dell’economia, ma il suo unico obiettivo è la sua permanenza ad oltranza, oltre ogni decenza sulla poltrona del potere.
Uomo tronfio di sé, narcisista «irrecuperabile» e spregiudicato senza l’ombra di un miraggio etico, manipola i fatti e se stesso pur di stare a galla.
La riforma era abbinata all’apocalisse, ora vorrebbe il «Sì» e semmai dopo si può modificare qualcosa; prima la legge elettorale, detta Italicum era la migliore del mondo «che tutti c’invidiano» e ora è messa gettata nella spazzatura e si incardina privatamente, non in Parlamento, una commissioncina per riformare la legge elettorale non ancora attuata, ma «solo dopo il referendum».
Ha scelto la data più distante perché era sicuro di stravincere e invece ogni volta che occupa tv e luoghi, scopre che sono più gli avversari che i favorevoli.
Chi gli sta attorno, lui questo non lo sa, lo fa per interesse e tornaconto.
La ministra delle Riforme, Maria Elena Etruria Boschi, che dovrebbe esplodere in questa fase di propaganda, è scomparsa dalla scena perché dove arrivava era un disastro e tutti votavano contro la sua riforma.
La mandano all’estero con compiti «istituzionali» perché meno si fa vedere meno la gente l’associa all’Etruria con quello che segue.
Ora l’uso strumentale del referendum da rinviare perché non corrisponde ai desideri del capetto di Rignano.
O la riforma è urgente, visto che aspetta, come dice lui da 70 anni e senza quella riforma l’Italia muore o non è urgente e quindi si può rimandare anche di uno due tre quattro anni, tenendoci la Costituzione attuale e cercando di attuarla, parola per parola.
Sia la riforma che la legge elettorale erano pensate in funzione del Pd e, nel Pd, di Renzi, capo supremino, ometto di panza che guarda al futuro dal buco della serratura che inquadra la sua poltrona.
Siamo al ridicolo perché un capo del governo che ha umiliato le istituzioni piegandole ai suoi interessi, oggi calpesta ogni residuo di decenza e poiché non conviene a lui, elimina lo stesso referendum per non accettare democraticamente una sconfitta.
Possiamo fidarci di uno di tal fatta? Ha pugnalato alle spalle Enrico Letta appena dopo averlo tranquillizzato; si è insediato al governo da extraparlamentare e da extraparlamentare continua a governare, promettendo e non mantenendo nemmeno una promessa.
Ricordate gli «80 euro» che per settimane e mesi erano il mantra del buon governo?
Ora non ne parla più perché dovrebbe spiegare perché circa un milione e mezzo di persone che si sono visti diminuire il reddito al di sotto degli otto mila euro all’anno (dicesi all’anno) devono restituirli.
Con che pudore, con che improntitudine? Uno che ha distrutto il Pd, eliminando la base, che invoca solo in occasione dei barbecue delle feste dell’ex Unità o in occasione del voto.
Uno che ha invitato a disertare il referendum sulle trivelle, denigrando la sovranità popolare, seppur finta, e che fino a oggi si è fatto galoppino del referendum costituzionale che lo avrebbe consacrato cacicco d’Italia fino alla morte senza più controlli.
Ora vuole eliminare lo stesso referendum perché è a rischio la «sua vittoria», uno che ha fatto un titolo di scheda ingannevole e bugiarda per truffare i votanti meno attenti, uno così è pericoloso e bisogna ricacciarlo nella tana da cui è venuto.
È pericoloso perché dietro di sé sta lasciando fratture e macerie.
Se il tribunale di Milano rimanda la richiesta dell’ex giudice costituzionale Valerio Onida alla Corte per «patente incostituzionalità», aspetteremo disciplinatamente la decisione della Corte e solo allora si valuterà cosa fare in sintonia con l’eventuale sentenza.
Non accettiamo di manipolare prima perché non è conveniente a Renzi o perché c’è il pericolo che il M5S abbia la maggioranza.
In democrazia non si può manovrare mai per impedire che democraticamente vinca o perda qualcuno, non si può manipolare il percorso per giungere a un verdetto trasparente e vero.
Renzi e la sua corticciola sono un pericolo per la democrazia e le istituzioni peggio di Berlusconi perché questi faceva i suoi interessi sporchi, mentre Renzi e il suo cucuzzaro manipolano tutto per libidine di potere.
Tra gli altri misfatti, sembra, infatti, che voglia portare alla prossima Leopolda, i sindaci dei paesi terremotati: sta raschiando il fondo del suo stesso ludibrio e non ha rispetto nemmeno per le disgrazie che vorrebbe piegare alla sua propaganda di regime senza regno.
Referendum costituzionale e rinvio, il vero interesse di Renzi
Referendum Costituzionale
di Paolo Farinella | 2 novembre 2016
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Paolo Farinella
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Oggi, 2 novembre, giorno dei Morti.
Il cicaleccio politico di questi ultimi giorni sta saggiando l’ipotesi di un rinvio del referendum a primavera prossima alla luce forse degli ultimi sondaggi che sono tutti a sfavore del «Sì», mentre pongono il «NO» in costante vantaggio?
Sembra che Renzi e Napolitano abbiano paura e cerchino di annullare il referendum per evitare la loro personale e deflagrante sconfitta.
È la prova definitiva che ha ragione Ciriaco De Mita che ha snidato Renzi senza nemmeno troppa fatica: al presidente del Consiglio nulla importa del referendum, del futuro, dell’Italia e dell’economia, ma il suo unico obiettivo è la sua permanenza ad oltranza, oltre ogni decenza sulla poltrona del potere.
Uomo tronfio di sé, narcisista «irrecuperabile» e spregiudicato senza l’ombra di un miraggio etico, manipola i fatti e se stesso pur di stare a galla.
La riforma era abbinata all’apocalisse, ora vorrebbe il «Sì» e semmai dopo si può modificare qualcosa; prima la legge elettorale, detta Italicum era la migliore del mondo «che tutti c’invidiano» e ora è messa gettata nella spazzatura e si incardina privatamente, non in Parlamento, una commissioncina per riformare la legge elettorale non ancora attuata, ma «solo dopo il referendum».
Ha scelto la data più distante perché era sicuro di stravincere e invece ogni volta che occupa tv e luoghi, scopre che sono più gli avversari che i favorevoli.
Chi gli sta attorno, lui questo non lo sa, lo fa per interesse e tornaconto.
La ministra delle Riforme, Maria Elena Etruria Boschi, che dovrebbe esplodere in questa fase di propaganda, è scomparsa dalla scena perché dove arrivava era un disastro e tutti votavano contro la sua riforma.
La mandano all’estero con compiti «istituzionali» perché meno si fa vedere meno la gente l’associa all’Etruria con quello che segue.
Ora l’uso strumentale del referendum da rinviare perché non corrisponde ai desideri del capetto di Rignano.
O la riforma è urgente, visto che aspetta, come dice lui da 70 anni e senza quella riforma l’Italia muore o non è urgente e quindi si può rimandare anche di uno due tre quattro anni, tenendoci la Costituzione attuale e cercando di attuarla, parola per parola.
Sia la riforma che la legge elettorale erano pensate in funzione del Pd e, nel Pd, di Renzi, capo supremino, ometto di panza che guarda al futuro dal buco della serratura che inquadra la sua poltrona.
Siamo al ridicolo perché un capo del governo che ha umiliato le istituzioni piegandole ai suoi interessi, oggi calpesta ogni residuo di decenza e poiché non conviene a lui, elimina lo stesso referendum per non accettare democraticamente una sconfitta.
Possiamo fidarci di uno di tal fatta? Ha pugnalato alle spalle Enrico Letta appena dopo averlo tranquillizzato; si è insediato al governo da extraparlamentare e da extraparlamentare continua a governare, promettendo e non mantenendo nemmeno una promessa.
Ricordate gli «80 euro» che per settimane e mesi erano il mantra del buon governo?
Ora non ne parla più perché dovrebbe spiegare perché circa un milione e mezzo di persone che si sono visti diminuire il reddito al di sotto degli otto mila euro all’anno (dicesi all’anno) devono restituirli.
Con che pudore, con che improntitudine? Uno che ha distrutto il Pd, eliminando la base, che invoca solo in occasione dei barbecue delle feste dell’ex Unità o in occasione del voto.
Uno che ha invitato a disertare il referendum sulle trivelle, denigrando la sovranità popolare, seppur finta, e che fino a oggi si è fatto galoppino del referendum costituzionale che lo avrebbe consacrato cacicco d’Italia fino alla morte senza più controlli.
Ora vuole eliminare lo stesso referendum perché è a rischio la «sua vittoria», uno che ha fatto un titolo di scheda ingannevole e bugiarda per truffare i votanti meno attenti, uno così è pericoloso e bisogna ricacciarlo nella tana da cui è venuto.
È pericoloso perché dietro di sé sta lasciando fratture e macerie.
Se il tribunale di Milano rimanda la richiesta dell’ex giudice costituzionale Valerio Onida alla Corte per «patente incostituzionalità», aspetteremo disciplinatamente la decisione della Corte e solo allora si valuterà cosa fare in sintonia con l’eventuale sentenza.
Non accettiamo di manipolare prima perché non è conveniente a Renzi o perché c’è il pericolo che il M5S abbia la maggioranza.
In democrazia non si può manovrare mai per impedire che democraticamente vinca o perda qualcuno, non si può manipolare il percorso per giungere a un verdetto trasparente e vero.
Renzi e la sua corticciola sono un pericolo per la democrazia e le istituzioni peggio di Berlusconi perché questi faceva i suoi interessi sporchi, mentre Renzi e il suo cucuzzaro manipolano tutto per libidine di potere.
Tra gli altri misfatti, sembra, infatti, che voglia portare alla prossima Leopolda, i sindaci dei paesi terremotati: sta raschiando il fondo del suo stesso ludibrio e non ha rispetto nemmeno per le disgrazie che vorrebbe piegare alla sua propaganda di regime senza regno.
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- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Renzi
il manifesto 2.11.17
Perché Renzi perde anche se a vincere sarà il Sì
Referendum. Ad avvantaggiarsi della devastazione della Carta sarebbe con ogni probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi danno come primo partito in Italia
di Alberto Burgio
La battaglia in difesa della Costituzione antifascista si avvale di argomenti fortissimi di natura giuridica e politica, e anche di ragioni per dir così caratteriali. Matteo Renzi si è rivelato (per molti confermato) una seria minaccia per il periclitante equilibrio dei poteri.
Un equilibrio già insidiato da oscene leggi elettorali, pessimi regolamenti e prassi parlamentari e altre improvvide modifiche costituzionali, oltre che dallo spirito di tempi antipolitici inclini a scorciatoie carismatico-plebiscitarie. Non senza un apparente paradosso. Difficilmente l’Uomo forte potrebbe oggi, soprattutto in un paese periferico, contrastare l’erosione della sovranità nazionale da parte di poteri sovranazionali, pubblici e privati. Ma proprio il sentore di questa incontrollata perdita nutre il bisogno di certezze e di vigore nella decisione politica che il complesso apparato delle democrazie costituzionali tende invece a frustrare.
GLI ARGOMENTI A FAVORE del No sono tutti essenziali e più che sufficienti – in linea di principio – a puntellare l’unica possibile scelta di ragione e di salute pubblica in occasione del referendum confermativo. Tant’è che resta in fondo misterioso nelle sue motivazioni l’atteggiamento di chi propende per il Sì. Non sembrano decidere, tra la massa dei favorevoli alla «riforma», considerazioni politiche (l’opzione per un centrosinistra sempre più disgregato e incoerente) né, tanto meno, valutazioni istituzionali, al di là dei frusti slogan governativi sulla semplificazione che spudoratamente ammiccano al qualunquismo diffuso. Anche in questo caso l’aspetto caratteriale sembra determinante.
Renzi è stato criticato da Napolitano per l’eccesso di personalizzazione della campagna referendaria ma non è certo che sia, questa, una critica fondata. La realtà è che tutti in Italia sentono che il referendum è sulla figura del presidente del Consiglio, e non c’è al riguardo contromisura che tenga. Le sorti del Sì (come peraltro quelle contrapposte) dipendono in larga misura da un fattore idiosincratico legato al personaggio. «Mi piace» (o «non mi piace») Renzi è la domanda che terrà banco il 4 dicembre.
E la ripresa del lessico dei social network è da considerarsi tutt’altro che casuale.
EPPURE PROPRIO a tal proposito si pone una questione che tende a sovvertire questa prospettiva, a svuotarla di senso. Una questione che, mentre drammatizza ulteriormente il referendum, pone in tutta evidenza i limiti di Renzi sul terreno decisivo della strategia politica.
RENZI È UN EGOCENTRICO, oltre che un politico sicuro di sé oltre il limite della supponenza. Molti suoi comportamenti sono tipici della personalità narcisistica e l’ultimo suo delirio – quello di un destino che lo porrebbe alla guida del Grande cambiamento – sembra tradire il manifestarsi di un Sé «grandioso e onnipotente». Tutto ciò si traduce in spavalderia e in temerarietà. Porta con sé il vantaggio di ritenersi all’altezza di ogni situazione, come quando Renzi presentò alle Camere il governo parlando a braccio, senza appunti, le mani in tasca nei blue jeans. Ma genera anche l’inconveniente non proprio trascurabile di non accorgersi di essere ridicoli, con una mimica da asilo infantile e un inglese maccheronico. Proprio un tale sentimento deficitario della realtà è forse alla radice di un altrimenti inspiegabile cortocircuito nella strategia politica renziana sottesa alla «riforma» e al referendum.
SI PUÒ DIRE, in due parole, che tra Italicum e modifiche costituzionali Renzi ha costruito una macchina da guerra che assicura o quasi la sua sconfitta, quale che sia l’esito del referendum di dicembre. Se, come speriamo, lo perderà, la sua stella uscirà per sempre appannata da un fallimento paragonabile a quello di Cameron sulla Brexit. Se disgraziatamente dovesse vincerlo, la sua sarebbe una vittoria di Pirro perché ad avvantaggiarsi della devastazione della Carta sarebbe con ogni probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi danno primo partito in Italia e che in tale scenario potrebbe, per compensazione, incassare nuovi consensi in funzione antirenziana. Con la sua sconfinata brama di potere e il suo avventurismo narcisistico, Renzi insomma non rischia soltanto di minare le fondamenta della democrazia repubblicana. La sua oscena «riforma» minaccia seriamente di compromettere per lungo tempo le sorti del paese spianando la strada a un vero e proprio regime populista.
Perché Renzi perde anche se a vincere sarà il Sì
Referendum. Ad avvantaggiarsi della devastazione della Carta sarebbe con ogni probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi danno come primo partito in Italia
di Alberto Burgio
La battaglia in difesa della Costituzione antifascista si avvale di argomenti fortissimi di natura giuridica e politica, e anche di ragioni per dir così caratteriali. Matteo Renzi si è rivelato (per molti confermato) una seria minaccia per il periclitante equilibrio dei poteri.
Un equilibrio già insidiato da oscene leggi elettorali, pessimi regolamenti e prassi parlamentari e altre improvvide modifiche costituzionali, oltre che dallo spirito di tempi antipolitici inclini a scorciatoie carismatico-plebiscitarie. Non senza un apparente paradosso. Difficilmente l’Uomo forte potrebbe oggi, soprattutto in un paese periferico, contrastare l’erosione della sovranità nazionale da parte di poteri sovranazionali, pubblici e privati. Ma proprio il sentore di questa incontrollata perdita nutre il bisogno di certezze e di vigore nella decisione politica che il complesso apparato delle democrazie costituzionali tende invece a frustrare.
GLI ARGOMENTI A FAVORE del No sono tutti essenziali e più che sufficienti – in linea di principio – a puntellare l’unica possibile scelta di ragione e di salute pubblica in occasione del referendum confermativo. Tant’è che resta in fondo misterioso nelle sue motivazioni l’atteggiamento di chi propende per il Sì. Non sembrano decidere, tra la massa dei favorevoli alla «riforma», considerazioni politiche (l’opzione per un centrosinistra sempre più disgregato e incoerente) né, tanto meno, valutazioni istituzionali, al di là dei frusti slogan governativi sulla semplificazione che spudoratamente ammiccano al qualunquismo diffuso. Anche in questo caso l’aspetto caratteriale sembra determinante.
Renzi è stato criticato da Napolitano per l’eccesso di personalizzazione della campagna referendaria ma non è certo che sia, questa, una critica fondata. La realtà è che tutti in Italia sentono che il referendum è sulla figura del presidente del Consiglio, e non c’è al riguardo contromisura che tenga. Le sorti del Sì (come peraltro quelle contrapposte) dipendono in larga misura da un fattore idiosincratico legato al personaggio. «Mi piace» (o «non mi piace») Renzi è la domanda che terrà banco il 4 dicembre.
E la ripresa del lessico dei social network è da considerarsi tutt’altro che casuale.
EPPURE PROPRIO a tal proposito si pone una questione che tende a sovvertire questa prospettiva, a svuotarla di senso. Una questione che, mentre drammatizza ulteriormente il referendum, pone in tutta evidenza i limiti di Renzi sul terreno decisivo della strategia politica.
RENZI È UN EGOCENTRICO, oltre che un politico sicuro di sé oltre il limite della supponenza. Molti suoi comportamenti sono tipici della personalità narcisistica e l’ultimo suo delirio – quello di un destino che lo porrebbe alla guida del Grande cambiamento – sembra tradire il manifestarsi di un Sé «grandioso e onnipotente». Tutto ciò si traduce in spavalderia e in temerarietà. Porta con sé il vantaggio di ritenersi all’altezza di ogni situazione, come quando Renzi presentò alle Camere il governo parlando a braccio, senza appunti, le mani in tasca nei blue jeans. Ma genera anche l’inconveniente non proprio trascurabile di non accorgersi di essere ridicoli, con una mimica da asilo infantile e un inglese maccheronico. Proprio un tale sentimento deficitario della realtà è forse alla radice di un altrimenti inspiegabile cortocircuito nella strategia politica renziana sottesa alla «riforma» e al referendum.
SI PUÒ DIRE, in due parole, che tra Italicum e modifiche costituzionali Renzi ha costruito una macchina da guerra che assicura o quasi la sua sconfitta, quale che sia l’esito del referendum di dicembre. Se, come speriamo, lo perderà, la sua stella uscirà per sempre appannata da un fallimento paragonabile a quello di Cameron sulla Brexit. Se disgraziatamente dovesse vincerlo, la sua sarebbe una vittoria di Pirro perché ad avvantaggiarsi della devastazione della Carta sarebbe con ogni probabilità il M5S, che già oggi diversi sondaggi danno primo partito in Italia e che in tale scenario potrebbe, per compensazione, incassare nuovi consensi in funzione antirenziana. Con la sua sconfinata brama di potere e il suo avventurismo narcisistico, Renzi insomma non rischia soltanto di minare le fondamenta della democrazia repubblicana. La sua oscena «riforma» minaccia seriamente di compromettere per lungo tempo le sorti del paese spianando la strada a un vero e proprio regime populista.
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