LA SFIDA del REFERENDUM
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
IL VENTO STA CAMBIANDO?
SEMBREBBE DI SI OSSERVANDO QUALCHE COMMENTO DEL FATTO.
GLI ITALIANI STANNO USCENDO DALLO STATO DI NARCOSI IN CUI SONO PIOMBATI????
SPERIAMO IN UN RISVEGLIO DELLE COSCIENZE.
QUELLO CHE MI RACCOMANDO E’ NIENTE VIOLENZA. SE NO SI FA IL GIOCO DI MUSSOLONI E DELLA PETACCI.
BASTA SOLO CONVINCERE A VOTARE NO A OTTOBRE.
IN QUESTO MOMENTO QUESTA E’ L’ARMA PIU’ POTENTE.
GLI ACCADIMENTI DI QUESTE ORE IN FRANCIA CI RICORDANO IL MAGGIO FRANCESE DEL ’68.
E DI CONSEGUENZA IL VENTO FRANCESE CHE AVEVA INVESTITO IL NOSTRO PAESE.
MA RIPETO, MI RACCOMANDO NIENTE VIOLENZE. NON SERVONO.
ANCHE SE I SERVIZI SEGRETI, CHE OVVIAMENTE CI LEGGONO, FARANNO IN MODO CHE ACCADA L’ESATTO CONTRARIO.
SEMBREBBE DI SI OSSERVANDO QUALCHE COMMENTO DEL FATTO.
GLI ITALIANI STANNO USCENDO DALLO STATO DI NARCOSI IN CUI SONO PIOMBATI????
SPERIAMO IN UN RISVEGLIO DELLE COSCIENZE.
QUELLO CHE MI RACCOMANDO E’ NIENTE VIOLENZA. SE NO SI FA IL GIOCO DI MUSSOLONI E DELLA PETACCI.
BASTA SOLO CONVINCERE A VOTARE NO A OTTOBRE.
IN QUESTO MOMENTO QUESTA E’ L’ARMA PIU’ POTENTE.
GLI ACCADIMENTI DI QUESTE ORE IN FRANCIA CI RICORDANO IL MAGGIO FRANCESE DEL ’68.
E DI CONSEGUENZA IL VENTO FRANCESE CHE AVEVA INVESTITO IL NOSTRO PAESE.
MA RIPETO, MI RACCOMANDO NIENTE VIOLENZE. NON SERVONO.
ANCHE SE I SERVIZI SEGRETI, CHE OVVIAMENTE CI LEGGONO, FARANNO IN MODO CHE ACCADA L’ESATTO CONTRARIO.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
24 maggio 2016 | di F. Q.
Crozza- Bersani: “Partigiani fuggirono dalle mitragliate nei boschi del ’44 per beccarsi minchiate della Boschi nel 2016″
VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/05/ ... 16/525737/
Copertina di Maurizio Crozza, che apre la nuova puntata di Dimartedì, menzionando le recenti e contestate frasi del ministro Boschi: “Per la Boschi i partigiani veri voteranno SI’, i partigiani che voteranno NO sono partigiani tarocchi, gente che forse in montagna ci andava solo per cercare i porcini o che il 25 aprile si raduna per festeggiare l’insalata di ovuli“.
E aggiunge: “Ci mancava solo che la Boschi dicesse che anche i correntisti veri di Banca Etruria voteranno SI’. Questa frase della Boschi la dice lunga sul renzismo: chi non la pensa come il governo o è un gufo o è come Casapound o è un partigiano falso. In ogni caso, sempre meglio partigiano falso che verdiniano vero.
La Boschi ha anche detto che, se il referendum fallisce, se ne va insieme a Renzi. Renzi e lei vanno via in un solo colpo?” – continua – “Messa così, la cosa ingolosisce.
Domenica Renzi ha detto che, se vincerà il NO al referendum, sarà il paradiso degli inciuci.
Scusate, ma è lo stesso Renzi che sta governando coi voti di Alfano, Verdini e Cicchitto? Io sono confuso.
Più che il Senato qui abbiamo già abolito il sensato.
Certo è che questa riforma, così come l’ha pensata Renzi, è il sogno più erotico che Berlusconi abbia mai fatto in vita sua”.
Il comico poi imita Bersani: “Porco boia, ragazzi. Tu pensa che destino i partigiani: son fuggiti dalle mitragliate nei boschi nel ’44 per beccarsi le minchiate della Boschi nel 2016. Siam mica qui a misurare la Resistenza con l’amperometro, eh“.
Crozza cita la proposta di Giorgia Meloni, che vuole intitolare una via ad Almirante: “C’è Pertini in Paradiso che dal nervoso in questi giorni dentro la pipa ci sta mettendo l’hashish.
Non saprò distinguere un partigiano vero da uno finto, ma Almirante come fascista vero invece lo riconosco.
La Meloni è stata anche cazziata da Storace.
E’ come Lady Gaga che critica Cristina D’Avena per il look aggressivo”.
Il comico, infine, ironizza sull’impasse accaduto in un incontro con Virginia Raggi del M5S e rende omaggio a Marco Pannella: “Se n’è andato un grande liberale. Ciao Marco. Alla fine, sei riuscito a passare nella ‘maggioranza’”
Crozza- Bersani: “Partigiani fuggirono dalle mitragliate nei boschi del ’44 per beccarsi minchiate della Boschi nel 2016″
VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/05/ ... 16/525737/
Copertina di Maurizio Crozza, che apre la nuova puntata di Dimartedì, menzionando le recenti e contestate frasi del ministro Boschi: “Per la Boschi i partigiani veri voteranno SI’, i partigiani che voteranno NO sono partigiani tarocchi, gente che forse in montagna ci andava solo per cercare i porcini o che il 25 aprile si raduna per festeggiare l’insalata di ovuli“.
E aggiunge: “Ci mancava solo che la Boschi dicesse che anche i correntisti veri di Banca Etruria voteranno SI’. Questa frase della Boschi la dice lunga sul renzismo: chi non la pensa come il governo o è un gufo o è come Casapound o è un partigiano falso. In ogni caso, sempre meglio partigiano falso che verdiniano vero.
La Boschi ha anche detto che, se il referendum fallisce, se ne va insieme a Renzi. Renzi e lei vanno via in un solo colpo?” – continua – “Messa così, la cosa ingolosisce.
Domenica Renzi ha detto che, se vincerà il NO al referendum, sarà il paradiso degli inciuci.
Scusate, ma è lo stesso Renzi che sta governando coi voti di Alfano, Verdini e Cicchitto? Io sono confuso.
Più che il Senato qui abbiamo già abolito il sensato.
Certo è che questa riforma, così come l’ha pensata Renzi, è il sogno più erotico che Berlusconi abbia mai fatto in vita sua”.
Il comico poi imita Bersani: “Porco boia, ragazzi. Tu pensa che destino i partigiani: son fuggiti dalle mitragliate nei boschi nel ’44 per beccarsi le minchiate della Boschi nel 2016. Siam mica qui a misurare la Resistenza con l’amperometro, eh“.
Crozza cita la proposta di Giorgia Meloni, che vuole intitolare una via ad Almirante: “C’è Pertini in Paradiso che dal nervoso in questi giorni dentro la pipa ci sta mettendo l’hashish.
Non saprò distinguere un partigiano vero da uno finto, ma Almirante come fascista vero invece lo riconosco.
La Meloni è stata anche cazziata da Storace.
E’ come Lady Gaga che critica Cristina D’Avena per il look aggressivo”.
Il comico, infine, ironizza sull’impasse accaduto in un incontro con Virginia Raggi del M5S e rende omaggio a Marco Pannella: “Se n’è andato un grande liberale. Ciao Marco. Alla fine, sei riuscito a passare nella ‘maggioranza’”
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
il manifesto 25.5.16
L’Anpi: ancora più impegno per il No
La risposta dell’associazione nazionale partigiani agli attacchi del governo. Mentre i toni aggressivi del presidente del Consiglio cominciano a stancare. Renzi adesso fa l’elenco dei "veri" professori. E annuncia che arriverà a mille. Ma conteggia tra i giuristi anche gli storici, gli economisti, i sociologi e i filosofi
di A. Fab.
Dopo i partigiani, si è aperta la caccia ai “veri” professori. «Arriveremo a mille», annuncia il presidente del Consiglio, in campagna elettorale permanente. Mentre il presidente del senato Grasso ricorda che «ottobre è lontano e non si può continuare con questi toni alti che rischiano di dilaniare il paese». Ma la tattica di Matteo Renzi è proprio questa: fare le liste, dividere. Di netto: con il Sì «la semplicità», ha ripetuto ancora ieri. E con il No «gli inciuci».
Il tono è lo stesso anche quando torna sulla lista degli accademici – molti ricercatori e professori associati – che hanno firmato l’appello per il Sì. «Sono 184 professori di diritto», dice il presidente del Consiglio a Repubblica, nello stesso intervento in cui annuncia che presto si moltiplicheranno per cinque e più. «Poi passiamo agli economisti», anticipa al Corriere della Sera. Eppure la lista al suo apparire, lunedì, aveva colpito esattamente perché non contiene solo nomi di costituzionalisti, come negli appelli per il No (nell’ultimo c’erano undici ex presidenti della Corte costituzionale). E nemmeno tutti giuristi: l’errore di Renzi è troppo clamoroso per non essere un falso intenzionale. Alcuni dei nomi presenti sono celebri commentatori dei giornali italiani, il politologo Angelo Panebianco, gli economisti Marcello Messori e Guido Tabellini, lo storico Paolo Pombeni. Sono i nomi più in vista in un elenco dove compaiono anche molti costituzionalisti, insieme a sociologi e filosofi. Tutti si esprimono sulla riforma costituzionale, e cioè è naturalmente legittimo, così come lo è dubitare che un ricercatore di storia economica sia un critico più attento della riforma costituzionale rispetto ai maestri del diritto costituzionale che hanno firmato gli appelli per il No. Allora il presidente del Consiglio sposta la sfida sui numeri: loro non arrivano a cento, noi arriveremo a mille.
È la stessa logica che ha guidato l’attacco all’Anpi. Per palazzo Chigi trovare l’Associazione nazionale partigiani schierata per il No è stata una pessima sorpresa. La reazione, studiata dai comunicatori, è stata allora affidata alla ministra Boschi. Prima il parallelo tra i contestatori della riforma e i fascisti di Casapound. Al quale i componenti dei comitati hanno reagito scandalizzati, facendo notare che con loro c’è l’Anpi. Mossa prevista: ecco la ministra immediatamente spiegare che i «veri partigiani» stanno con il governo. Le frenate successive di Renzi fanno parte del gioco, ora che il messaggio è passato. I partigiani – è la lezione del governo – non stanno con il No, sono invece divisi. Sono un po’ con il Sì e un po’ con il No. Ed è finito in secondo piano il fatto che l’Associazione che li rappresenta da settant’anni ha deciso con due passaggi formali e due votazioni di schierarsi per il No. La prima volta a gennaio, con venti voti a favore e tre astensioni, nel comitato nazionale. La seconda nel congresso nazionale a metà maggio, dove i voti a favore sono stati 300 e le astensioni tre. Interessante che mentre si sta dando da fare alla camera per attuare l’articolo 49 della Costituzione, e assicurare il metodo democratico nella vita interna dei partiti, il Pd neghi il valore delle decisioni prese da un’associazione nel rispetto delle sue regole e del voto.
L’Anpi ieri ha tenuto un nuovo comitato nazionale, e ha deciso di rispondere «intensificando la campagna per il No alla riforma» ma anche la raccolta delle firme per i due referendum abrogativi della legge elettorale. Non solo. L’associazione dei partigiani respinge i «vergognosi avvicinamenti a organizzazioni di stampo fascista» e «il tentativo di discriminare tra partigiani». E conclude con un richiamo all’informazione: «Invitiamo la stampa a dar conto di tutte le posizioni senza preferenze e distinzione, aprendo spazi adeguati anche ai sostenitori del No». La richiesta è anche per il garante delle comunicazioni, perché «faccia il possibile per garantire che l’informazione sia ampia ed equilibrata». Ma il periodo di par condicio è lontanissimo, non c’è neanche la data del referendum (previsto a ottobre), dunque le scorrerie del governo e del Pd sono inarrestabili.
E mentre Renzi ripeteva che chi vota No lo fa solo per conservare una poltrona, anche la minoranza Pd è tornata a criticarlo. Pierluigi Bersani ha detto che «non possiamo andare avanti con questi toni per cinque mesi, così io non ci sto». Un modo per spiegare la decisione di tirarsi fuori dalla campagna referendaria, al quale è seguito un nuovo invito a modificare la legge elettorale Italicum (richiesta che Renzi ha già respinto) e a presentare la legge per l’elezione dei consiglieri regionali-senatori (richiesta di difficile realizzazione pratica e che Renzi ha accolto, ma rinviato a dopo il referendum). A Bersani non è piaciuto l’arruolamento di Berlinguer, Ingrao e Iotti tra i favorevoli alla riforma, tentato dal gruppo dirigente del Pd. E ha scherzato: «A questo punto possono metterci anche Lenin. Diceva “tutto il potere al Soviet”. Più monocameralismo di così».
L’Anpi: ancora più impegno per il No
La risposta dell’associazione nazionale partigiani agli attacchi del governo. Mentre i toni aggressivi del presidente del Consiglio cominciano a stancare. Renzi adesso fa l’elenco dei "veri" professori. E annuncia che arriverà a mille. Ma conteggia tra i giuristi anche gli storici, gli economisti, i sociologi e i filosofi
di A. Fab.
Dopo i partigiani, si è aperta la caccia ai “veri” professori. «Arriveremo a mille», annuncia il presidente del Consiglio, in campagna elettorale permanente. Mentre il presidente del senato Grasso ricorda che «ottobre è lontano e non si può continuare con questi toni alti che rischiano di dilaniare il paese». Ma la tattica di Matteo Renzi è proprio questa: fare le liste, dividere. Di netto: con il Sì «la semplicità», ha ripetuto ancora ieri. E con il No «gli inciuci».
Il tono è lo stesso anche quando torna sulla lista degli accademici – molti ricercatori e professori associati – che hanno firmato l’appello per il Sì. «Sono 184 professori di diritto», dice il presidente del Consiglio a Repubblica, nello stesso intervento in cui annuncia che presto si moltiplicheranno per cinque e più. «Poi passiamo agli economisti», anticipa al Corriere della Sera. Eppure la lista al suo apparire, lunedì, aveva colpito esattamente perché non contiene solo nomi di costituzionalisti, come negli appelli per il No (nell’ultimo c’erano undici ex presidenti della Corte costituzionale). E nemmeno tutti giuristi: l’errore di Renzi è troppo clamoroso per non essere un falso intenzionale. Alcuni dei nomi presenti sono celebri commentatori dei giornali italiani, il politologo Angelo Panebianco, gli economisti Marcello Messori e Guido Tabellini, lo storico Paolo Pombeni. Sono i nomi più in vista in un elenco dove compaiono anche molti costituzionalisti, insieme a sociologi e filosofi. Tutti si esprimono sulla riforma costituzionale, e cioè è naturalmente legittimo, così come lo è dubitare che un ricercatore di storia economica sia un critico più attento della riforma costituzionale rispetto ai maestri del diritto costituzionale che hanno firmato gli appelli per il No. Allora il presidente del Consiglio sposta la sfida sui numeri: loro non arrivano a cento, noi arriveremo a mille.
È la stessa logica che ha guidato l’attacco all’Anpi. Per palazzo Chigi trovare l’Associazione nazionale partigiani schierata per il No è stata una pessima sorpresa. La reazione, studiata dai comunicatori, è stata allora affidata alla ministra Boschi. Prima il parallelo tra i contestatori della riforma e i fascisti di Casapound. Al quale i componenti dei comitati hanno reagito scandalizzati, facendo notare che con loro c’è l’Anpi. Mossa prevista: ecco la ministra immediatamente spiegare che i «veri partigiani» stanno con il governo. Le frenate successive di Renzi fanno parte del gioco, ora che il messaggio è passato. I partigiani – è la lezione del governo – non stanno con il No, sono invece divisi. Sono un po’ con il Sì e un po’ con il No. Ed è finito in secondo piano il fatto che l’Associazione che li rappresenta da settant’anni ha deciso con due passaggi formali e due votazioni di schierarsi per il No. La prima volta a gennaio, con venti voti a favore e tre astensioni, nel comitato nazionale. La seconda nel congresso nazionale a metà maggio, dove i voti a favore sono stati 300 e le astensioni tre. Interessante che mentre si sta dando da fare alla camera per attuare l’articolo 49 della Costituzione, e assicurare il metodo democratico nella vita interna dei partiti, il Pd neghi il valore delle decisioni prese da un’associazione nel rispetto delle sue regole e del voto.
L’Anpi ieri ha tenuto un nuovo comitato nazionale, e ha deciso di rispondere «intensificando la campagna per il No alla riforma» ma anche la raccolta delle firme per i due referendum abrogativi della legge elettorale. Non solo. L’associazione dei partigiani respinge i «vergognosi avvicinamenti a organizzazioni di stampo fascista» e «il tentativo di discriminare tra partigiani». E conclude con un richiamo all’informazione: «Invitiamo la stampa a dar conto di tutte le posizioni senza preferenze e distinzione, aprendo spazi adeguati anche ai sostenitori del No». La richiesta è anche per il garante delle comunicazioni, perché «faccia il possibile per garantire che l’informazione sia ampia ed equilibrata». Ma il periodo di par condicio è lontanissimo, non c’è neanche la data del referendum (previsto a ottobre), dunque le scorrerie del governo e del Pd sono inarrestabili.
E mentre Renzi ripeteva che chi vota No lo fa solo per conservare una poltrona, anche la minoranza Pd è tornata a criticarlo. Pierluigi Bersani ha detto che «non possiamo andare avanti con questi toni per cinque mesi, così io non ci sto». Un modo per spiegare la decisione di tirarsi fuori dalla campagna referendaria, al quale è seguito un nuovo invito a modificare la legge elettorale Italicum (richiesta che Renzi ha già respinto) e a presentare la legge per l’elezione dei consiglieri regionali-senatori (richiesta di difficile realizzazione pratica e che Renzi ha accolto, ma rinviato a dopo il referendum). A Bersani non è piaciuto l’arruolamento di Berlinguer, Ingrao e Iotti tra i favorevoli alla riforma, tentato dal gruppo dirigente del Pd. E ha scherzato: «A questo punto possono metterci anche Lenin. Diceva “tutto il potere al Soviet”. Più monocameralismo di così».
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
DOPO "LE MILLE E UNA NOTTE", "LE MILLE E UNA BALLA"
Risparmi e leggi veloci? Ecco tutte le favole sulla nuova Costituzione
Premierato assoluto, mostri giuridici, disordine nelle funzioni di Palazzo Madama: tecnici e politici demoliscono le parole del premier sulla riforma
Anna Maria Greco - Sab, 28/05/2016 - 20:39
commenta
Per il comitato del «No» alla riforma costituzionale, guidato dall'ex presidente della Consulta, Annibale Marini, sono favole quelle raccontate dal governo di Matteo Renzi per giustificare il ddl Boschi.
In un lungo e articolato documento, giuristi e politici che ne fanno parte le demoliscono una per una.
Risparmio - Il taglio dei costi è nel titolo della legge, ma Lucio Malan, questore Fi di Palazzo Madama, calcola che per il nuovo Senato si risparmierebbe solo l'8,8 per cento: 48 degli attuali 540 milioni di euro. I futuri 100 senatori saranno consiglieri regionali pagati dai rispettivi enti e quindi non ci saranno le loro indennità: 42 milioni e 135mila euro, che al netto dell'Irpef diventano 28. Le spese per lo svolgimento del mandato, dalla diaria ai rimborsi vari, riguarderanno 100 senatori invece di 315 e saranno tagliate dei due terzi: circa 25 milioni lordi, cioè 20 al netto. Nulla cambia per i senatori a vita.
Iter legislativo più veloce - Ma con le modifiche si sono sostituiti almeno 7 diversi procedimenti legislativi ed aumenterà «inevitabilmente» il contenzioso costituzionale.
Nessun nuovo potere al premier - In realtà, il combinato disposto della riforma con l'Italicum, che concede il premio di maggioranza ad una sola lista, comporta nei fatti un cambiamento della forma di governo che, con il tempo, porterebbe ad una sorta di «premierato assoluto». Il nome del leader di partito sarà indicato sulla scheda e non ci saranno i necessari contrappesi, visto che la Camera, legata al governo da rapporto fiduciario, deciderà su quasi tutte le cariche istituzionali.
Una riforma per tutti - La Costituzione costituisce l'identità politica di un popolo, quella del '48, approvata quasi all'unanimità, è di tutti. Mentre la nuova voluta dal governo Renzi «divide anziché unire, lacera anziché cucire». Ci si arriva attraverso il referendum e la spaccatura tra Si e No sarà «delegittimante». Prova che «la maggioranza formale non basta a riformare le istituzioni».
Legittimazione - Manca un «clima di pacificazione» e questa, in realtà, è la «riforma di una minoranza», divenuta maggioranza «sulla carta», grazie al Porcellum bocciato dalla Consulta.
Vizio di origine - La mancanza di legittimazione della riforma non può essere superata con il referendum, trasformato da Renzi in una «macro questione di fiducia su se stesso».
Mostro giuridico - Nasce dal combinato tra riforma e legge elettorale. Insieme minano «i principi supremi della Costituzione». Il premio di maggioranza alla singola lista consegna la Camera al leader del partito vincente, anche per pochi voti. Del modello dell'uomo solo al comando, risente l'elezione del capo dello Stato, dei componenti di Consulta e Csm. Il sistema è privo dei pesi e contrappesi per l'equilibrio tra poteri e tra partiti.
Principio della rappresentanza - Ci sono «fortissimi rischi di inefficiente e costoso neo-centralismo». Per taglio dei costi e riduzione degli eletti, meglio scelte più drastiche, mentre così c'è «un impatto indiscutibile e decisivo sulla partecipazione democratica, sul pluralismo istituzionale, sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza».
Superamento del bicameralismo perfetto - Ma rimane lo stesso peso istituzionale della seconda Camera. Con due criticità: «disordine» nelle funzioni del nuovo Senato e ambiguità sull'elezione dei membri.
Risparmi e leggi veloci? Ecco tutte le favole sulla nuova Costituzione
Premierato assoluto, mostri giuridici, disordine nelle funzioni di Palazzo Madama: tecnici e politici demoliscono le parole del premier sulla riforma
Anna Maria Greco - Sab, 28/05/2016 - 20:39
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Per il comitato del «No» alla riforma costituzionale, guidato dall'ex presidente della Consulta, Annibale Marini, sono favole quelle raccontate dal governo di Matteo Renzi per giustificare il ddl Boschi.
In un lungo e articolato documento, giuristi e politici che ne fanno parte le demoliscono una per una.
Risparmio - Il taglio dei costi è nel titolo della legge, ma Lucio Malan, questore Fi di Palazzo Madama, calcola che per il nuovo Senato si risparmierebbe solo l'8,8 per cento: 48 degli attuali 540 milioni di euro. I futuri 100 senatori saranno consiglieri regionali pagati dai rispettivi enti e quindi non ci saranno le loro indennità: 42 milioni e 135mila euro, che al netto dell'Irpef diventano 28. Le spese per lo svolgimento del mandato, dalla diaria ai rimborsi vari, riguarderanno 100 senatori invece di 315 e saranno tagliate dei due terzi: circa 25 milioni lordi, cioè 20 al netto. Nulla cambia per i senatori a vita.
Iter legislativo più veloce - Ma con le modifiche si sono sostituiti almeno 7 diversi procedimenti legislativi ed aumenterà «inevitabilmente» il contenzioso costituzionale.
Nessun nuovo potere al premier - In realtà, il combinato disposto della riforma con l'Italicum, che concede il premio di maggioranza ad una sola lista, comporta nei fatti un cambiamento della forma di governo che, con il tempo, porterebbe ad una sorta di «premierato assoluto». Il nome del leader di partito sarà indicato sulla scheda e non ci saranno i necessari contrappesi, visto che la Camera, legata al governo da rapporto fiduciario, deciderà su quasi tutte le cariche istituzionali.
Una riforma per tutti - La Costituzione costituisce l'identità politica di un popolo, quella del '48, approvata quasi all'unanimità, è di tutti. Mentre la nuova voluta dal governo Renzi «divide anziché unire, lacera anziché cucire». Ci si arriva attraverso il referendum e la spaccatura tra Si e No sarà «delegittimante». Prova che «la maggioranza formale non basta a riformare le istituzioni».
Legittimazione - Manca un «clima di pacificazione» e questa, in realtà, è la «riforma di una minoranza», divenuta maggioranza «sulla carta», grazie al Porcellum bocciato dalla Consulta.
Vizio di origine - La mancanza di legittimazione della riforma non può essere superata con il referendum, trasformato da Renzi in una «macro questione di fiducia su se stesso».
Mostro giuridico - Nasce dal combinato tra riforma e legge elettorale. Insieme minano «i principi supremi della Costituzione». Il premio di maggioranza alla singola lista consegna la Camera al leader del partito vincente, anche per pochi voti. Del modello dell'uomo solo al comando, risente l'elezione del capo dello Stato, dei componenti di Consulta e Csm. Il sistema è privo dei pesi e contrappesi per l'equilibrio tra poteri e tra partiti.
Principio della rappresentanza - Ci sono «fortissimi rischi di inefficiente e costoso neo-centralismo». Per taglio dei costi e riduzione degli eletti, meglio scelte più drastiche, mentre così c'è «un impatto indiscutibile e decisivo sulla partecipazione democratica, sul pluralismo istituzionale, sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza».
Superamento del bicameralismo perfetto - Ma rimane lo stesso peso istituzionale della seconda Camera. Con due criticità: «disordine» nelle funzioni del nuovo Senato e ambiguità sull'elezione dei membri.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Cacciari irresponsabile:
si sottomette a Renzi
(ma non riesce a dirlo)
» GIANFRANCO PASQUINO
Cacciari s’inventa,
nell’intervista fattagli
da Ezio Mauro
( R e p u b b l i c a , 2 7
maggio) un’im mag inar ia
“responsabilità repubblicana”
per giustificare la sua
personale, effettiva sottomissione
al ricatto plebiscitario.
Cacciari parte da un
presupposto falso e falsificabile:
l’assenza negli ultimi
quaranta anni di riforme.
Questo presupposto, magnificato
e drammatizzato sia
dalla propaganda renziana
sia dalla ignoranza della
grande maggioranza dei
commentatori, è smentito
da duri fatti: l’elaborazione
di due leggi elettorali, Mattarellum
e Porcellum, l’a pprovazione
parlamentare di
una buona, se non ottima,
legge per l’elezione dei sindaci,
l’abolizione di quattro
ministeri, l’eliminazione del
finanziamento statale dei
partiti, la stesura di un
nuovo titolo V della
Costituzione. Non
vale l’obiezione, a
doppio taglio,
che si tratta di
brutte riforme
p o i c h é a )
n i e n t ’ a f f a t t o
tutte sono brutte,
b) il Titolo V
è stato ratificato
da un referendum,
c) anche
le riforme
r e n z i a n b oschiane
sono sususcettibili
della stessa valutazione
e d) la riforma del bicameralismo
è pasticciata
nella composizione del nuovo
Senato e confuse nell’attribuzione
delle competenze.
PROSEGUENDO attrav erso
un’autocritica generazionale
e facendo leva sulla sua
personale visione apocalittica
della storia, del mondo e,
quindi, dell’Italietta, Cacciari
supera le sue stesse
critiche alla riforma
“concepita male e
scritta peggio” e pronuncia
il suo fatale,
neppure molto sofferto,
“sì”. Sposerà la riforma
renziana. Poco gli
importa che si tratti di una
“riforma modesta e maldestra”
e che la legge elettorale,
che è un cardine della
riforma, sia “da rifare”.
Ancora meno sembra
preoccuparlo che
“la partita si gioca su
Renzi” che ha personalizzato
il referendum.
Pudicamente, il
filosofo evita l’ espressione
più precisa
e pregnante, quando
un leader chiede il
voto sulla sua persona e sulla
sua carica, di plebiscito si
tratta, come tutta la storia del
pensiero politico ha sempre
affermato. No, lui, per responsabilità
repubblicana,
voterà
a favore, ev
i d e n te m e n t e
non della riforma
modesta e
maldestra, ma di
Renzi. Più che di
resp onsabil ità,
forse, sarebbe il
caso di parlare
di preoccupazione
per le presunte
temibiliss
i m e c o n s eg
u e n z e c h e
Renzi e i renziani agitano:
crisi di governo e elezioni anticipate.
Brillantemente e
prescientemente, Cacciari
addirittura anticipa una,
troppo spesso trascurata,
conseguenza della riforma:
il presidente del Consiglio
sconfitto impone al Presidente
della Repubblica lo
scioglimento del Parlamento.
Invece, no: il presidente
della Repubblica ha, in primo
luogo, il potere e il dovere,
“r ep u b b l i c a n o”?, di esplorare
se esiste un’alt ramaggioranza in grado di fiduciare
e fare funzionare un
nuovo governo. In secondo
luogo, può invitare Renzi a
restare il tempo necessario
per approvare una
legge elettorale
migliore
dell’Italicum
(non è affatto
difficile), magari
facendo rivivere
il, a lui ben
noto, Mattarellum.
INSOMMA, l’Apocalisse
non è
alle porte a meno
che sia Renzi
sia Mattarella
sia, con l’enorme potere che
gli è rimasto e che usa platealmente,
Napolitano, dimentichino
le loro, al plurale,
responsabilità repubblicane.
Certo, vorremmo saperne
di più sulla concezione
e sui contenuti della responsabilità
repubblicana
formulata da Cacciari. No,
non intendo affatto esibirmi
in una difesa della Costituzione
com’è (e non ho mai
fatto parte del clan dei riformatori
falliti menzionati da
Cacciari). Tuttavia, preso atto
che, come tutti hanno il
dovere di sapere, la Repubblica
siamo noi, che è il significato
profondo dell’u ltimo
comma dell’art. 3 della Costituzione
che ci chiede di rimuovere
gli ostacoli alla effettiva
partecipazione dei lavoratori
alla vita politica, mi
chiedo se la nostra responsabilità
non debba tradursi in
una vigorosa battaglia per riforme
non “modeste” e non
“maldestre”, concepite bene
e scritte meglio (ce ne sono,
eccome se ce ne sono), per una
legge elettorale decente,
per un referendum che non
sia né un plebiscito né, meno
che mai, il giudizio di Dio.
LA RESPONSABILITÀ repub -
blicana esige che le riforme
della Costituzione e del sistema
elettorale, il decisivo
meccanismo che traduce le
preferenze (e le volontà) degli
elettori nel potere politico
di rappresentanti e governanti,
siano poste molto al di
sopra della vita di un governo,
di qualsiasi governo. La
responsabilità repubblicana
respinge i ricatti dei governanti
e non si traduce mai in
sottomissione plebiscitaria.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
si sottomette a Renzi
(ma non riesce a dirlo)
» GIANFRANCO PASQUINO
Cacciari s’inventa,
nell’intervista fattagli
da Ezio Mauro
( R e p u b b l i c a , 2 7
maggio) un’im mag inar ia
“responsabilità repubblicana”
per giustificare la sua
personale, effettiva sottomissione
al ricatto plebiscitario.
Cacciari parte da un
presupposto falso e falsificabile:
l’assenza negli ultimi
quaranta anni di riforme.
Questo presupposto, magnificato
e drammatizzato sia
dalla propaganda renziana
sia dalla ignoranza della
grande maggioranza dei
commentatori, è smentito
da duri fatti: l’elaborazione
di due leggi elettorali, Mattarellum
e Porcellum, l’a pprovazione
parlamentare di
una buona, se non ottima,
legge per l’elezione dei sindaci,
l’abolizione di quattro
ministeri, l’eliminazione del
finanziamento statale dei
partiti, la stesura di un
nuovo titolo V della
Costituzione. Non
vale l’obiezione, a
doppio taglio,
che si tratta di
brutte riforme
p o i c h é a )
n i e n t ’ a f f a t t o
tutte sono brutte,
b) il Titolo V
è stato ratificato
da un referendum,
c) anche
le riforme
r e n z i a n b oschiane
sono sususcettibili
della stessa valutazione
e d) la riforma del bicameralismo
è pasticciata
nella composizione del nuovo
Senato e confuse nell’attribuzione
delle competenze.
PROSEGUENDO attrav erso
un’autocritica generazionale
e facendo leva sulla sua
personale visione apocalittica
della storia, del mondo e,
quindi, dell’Italietta, Cacciari
supera le sue stesse
critiche alla riforma
“concepita male e
scritta peggio” e pronuncia
il suo fatale,
neppure molto sofferto,
“sì”. Sposerà la riforma
renziana. Poco gli
importa che si tratti di una
“riforma modesta e maldestra”
e che la legge elettorale,
che è un cardine della
riforma, sia “da rifare”.
Ancora meno sembra
preoccuparlo che
“la partita si gioca su
Renzi” che ha personalizzato
il referendum.
Pudicamente, il
filosofo evita l’ espressione
più precisa
e pregnante, quando
un leader chiede il
voto sulla sua persona e sulla
sua carica, di plebiscito si
tratta, come tutta la storia del
pensiero politico ha sempre
affermato. No, lui, per responsabilità
repubblicana,
voterà
a favore, ev
i d e n te m e n t e
non della riforma
modesta e
maldestra, ma di
Renzi. Più che di
resp onsabil ità,
forse, sarebbe il
caso di parlare
di preoccupazione
per le presunte
temibiliss
i m e c o n s eg
u e n z e c h e
Renzi e i renziani agitano:
crisi di governo e elezioni anticipate.
Brillantemente e
prescientemente, Cacciari
addirittura anticipa una,
troppo spesso trascurata,
conseguenza della riforma:
il presidente del Consiglio
sconfitto impone al Presidente
della Repubblica lo
scioglimento del Parlamento.
Invece, no: il presidente
della Repubblica ha, in primo
luogo, il potere e il dovere,
“r ep u b b l i c a n o”?, di esplorare
se esiste un’alt ramaggioranza in grado di fiduciare
e fare funzionare un
nuovo governo. In secondo
luogo, può invitare Renzi a
restare il tempo necessario
per approvare una
legge elettorale
migliore
dell’Italicum
(non è affatto
difficile), magari
facendo rivivere
il, a lui ben
noto, Mattarellum.
INSOMMA, l’Apocalisse
non è
alle porte a meno
che sia Renzi
sia Mattarella
sia, con l’enorme potere che
gli è rimasto e che usa platealmente,
Napolitano, dimentichino
le loro, al plurale,
responsabilità repubblicane.
Certo, vorremmo saperne
di più sulla concezione
e sui contenuti della responsabilità
repubblicana
formulata da Cacciari. No,
non intendo affatto esibirmi
in una difesa della Costituzione
com’è (e non ho mai
fatto parte del clan dei riformatori
falliti menzionati da
Cacciari). Tuttavia, preso atto
che, come tutti hanno il
dovere di sapere, la Repubblica
siamo noi, che è il significato
profondo dell’u ltimo
comma dell’art. 3 della Costituzione
che ci chiede di rimuovere
gli ostacoli alla effettiva
partecipazione dei lavoratori
alla vita politica, mi
chiedo se la nostra responsabilità
non debba tradursi in
una vigorosa battaglia per riforme
non “modeste” e non
“maldestre”, concepite bene
e scritte meglio (ce ne sono,
eccome se ce ne sono), per una
legge elettorale decente,
per un referendum che non
sia né un plebiscito né, meno
che mai, il giudizio di Dio.
LA RESPONSABILITÀ repub -
blicana esige che le riforme
della Costituzione e del sistema
elettorale, il decisivo
meccanismo che traduce le
preferenze (e le volontà) degli
elettori nel potere politico
di rappresentanti e governanti,
siano poste molto al di
sopra della vita di un governo,
di qualsiasi governo. La
responsabilità repubblicana
respinge i ricatti dei governanti
e non si traduce mai in
sottomissione plebiscitaria.
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
E' PIU' CHE LOGICO CHIEDERSI:
MA COSA E' SUCCESSO A MASSIMO CACCIARI CHE DI COLPO HA SMESSO DI RAGIONARE, DI RIFLETTERE?
MA POI, E' MAI POSSIBILE CHE IL FILOSOFO VENEZIANO NAVIGHI IN MEZZO ALL'IGNORANZA NERA?????
SOLO UN FASCISTA PUO' SOSTENERE:
JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
Ricetta Jp Morgan per Europa integrata: liberarsi delle costituzioni antifasciste
JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
18 giugno 2013, di Redazione Wall Street Italia
NEW YORK (WSI) – Gli economisti del gigante finanziario americano JP Morgan lo dicono senza troppi fronzoli ai governi europei: “Dovete liberarvi delle vostre costituzioni sinistroide e anti fasciste”.
Lo si legge in un documento di 16 pagine in cui vengono elencate le modifiche da apportare nell’area euro per riuscire a sopravvivere alla crisi del debito.
Oltre alla parte sul buon lavoro fatto sin qui, la sezione piu’ interessante riguarda il lavoro che resta ancora da fare in termini di deleveraging delle banche e di alleggerimento del debito sovrano e delle famiglie.
Le riforme strutturali piu’ urgenti, oltre a quelle politiche, sono secondo la banca quelle in termini di riduzione dei costi del lavoro, di aumento della flessibilita’ e della liberta’ di licenziare, di privatizzazione, di deregolamentazione, di liberalizzazione dei settori industriali “protetti” dallo stato.
Gli autori della ricerca osservano che nel cammino che porta al completamento degli accorgimenti da apportare alla propria struttura politico economica, l’area euro si trova a meta’ strada.
Cio’ significa che l’austerita’ fara’ con ogni probabilita’ ancora parte del panorama europeo “per un periodo molto prolungato“.
L’analisi dei banchieri risale ormai a piu’ di due settimane fa. Stupisce vedere che non abbia ricevuto un’attenzione maggiore. Gli unici ad avere scritto qualcosa sono i giornalisti del Financial Times, che pero’ non fanno il benche’ minimo cenno alla parte piu’ eclatante, quella sulla costituzione.
Probabilmente l’idea che le grandi banche – in parte colpevoli per la crisi scoppiata in Usa ormai sei anni fa – anticipino altri anni di austerita’ e rigore non sarebbe stata accolta con grande favore dall’opinione pubblica e dai governi.
Nessuno si illude che l’austerity scompaia da un giorno all’altro e nemmeno spera che lo faccia a breve. Tuttavia, ai paesi che hanno fatto ricorso al programma di aiuti internazionali della Troika (FMI, Bce e Commissione Ue) sono state fatte concessioni. Come premio delle modifiche strutturali apportate, e’ stato offerto in cambio un alleggerimento degli impegni presi in materia di riduzione del debito.
E’ un peccato che l’analisi di JP Morgan non abbia ricevuto l’attenzione che meritava. Si tratta infatti del primo documento pubblico in cui dei banchieri ammettono francamente come la pensano su certi temi.
Il problema non e’ solo una questione di reticenza fiscale e di incremento della competivita’ commerciale, stando alla loro spiegazione, bensi’ anche di “eccesso di democrazia” che va assolutamente ridimensionato. L’elite finanziaria internazionale lascia intendere che se i paesi del Sud d’Europa vogliono rimanere aggrappati alla moneta unica devono rassegnarsi a rinunciare alla Costituzione.
DI SEGUITO UNA PARTE DEL DOCUMENTO ORIGINALE:
Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica: debito pubblico troppo alto, problemi legati ai mutui e alle banche, tassi di cambio reali non convergenti, e varie rigidità strutturali. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea. Quando i politici tedeschi parlano di processi di riforma decennali, probabilmente hanno in mente sia riforme di tipo economico sia di tipo politico.
I sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo.
I sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia).
MA COSA E' SUCCESSO A MASSIMO CACCIARI CHE DI COLPO HA SMESSO DI RAGIONARE, DI RIFLETTERE?
MA POI, E' MAI POSSIBILE CHE IL FILOSOFO VENEZIANO NAVIGHI IN MEZZO ALL'IGNORANZA NERA?????
SOLO UN FASCISTA PUO' SOSTENERE:
JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
Ricetta Jp Morgan per Europa integrata: liberarsi delle costituzioni antifasciste
JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
18 giugno 2013, di Redazione Wall Street Italia
NEW YORK (WSI) – Gli economisti del gigante finanziario americano JP Morgan lo dicono senza troppi fronzoli ai governi europei: “Dovete liberarvi delle vostre costituzioni sinistroide e anti fasciste”.
Lo si legge in un documento di 16 pagine in cui vengono elencate le modifiche da apportare nell’area euro per riuscire a sopravvivere alla crisi del debito.
Oltre alla parte sul buon lavoro fatto sin qui, la sezione piu’ interessante riguarda il lavoro che resta ancora da fare in termini di deleveraging delle banche e di alleggerimento del debito sovrano e delle famiglie.
Le riforme strutturali piu’ urgenti, oltre a quelle politiche, sono secondo la banca quelle in termini di riduzione dei costi del lavoro, di aumento della flessibilita’ e della liberta’ di licenziare, di privatizzazione, di deregolamentazione, di liberalizzazione dei settori industriali “protetti” dallo stato.
Gli autori della ricerca osservano che nel cammino che porta al completamento degli accorgimenti da apportare alla propria struttura politico economica, l’area euro si trova a meta’ strada.
Cio’ significa che l’austerita’ fara’ con ogni probabilita’ ancora parte del panorama europeo “per un periodo molto prolungato“.
L’analisi dei banchieri risale ormai a piu’ di due settimane fa. Stupisce vedere che non abbia ricevuto un’attenzione maggiore. Gli unici ad avere scritto qualcosa sono i giornalisti del Financial Times, che pero’ non fanno il benche’ minimo cenno alla parte piu’ eclatante, quella sulla costituzione.
Probabilmente l’idea che le grandi banche – in parte colpevoli per la crisi scoppiata in Usa ormai sei anni fa – anticipino altri anni di austerita’ e rigore non sarebbe stata accolta con grande favore dall’opinione pubblica e dai governi.
Nessuno si illude che l’austerity scompaia da un giorno all’altro e nemmeno spera che lo faccia a breve. Tuttavia, ai paesi che hanno fatto ricorso al programma di aiuti internazionali della Troika (FMI, Bce e Commissione Ue) sono state fatte concessioni. Come premio delle modifiche strutturali apportate, e’ stato offerto in cambio un alleggerimento degli impegni presi in materia di riduzione del debito.
E’ un peccato che l’analisi di JP Morgan non abbia ricevuto l’attenzione che meritava. Si tratta infatti del primo documento pubblico in cui dei banchieri ammettono francamente come la pensano su certi temi.
Il problema non e’ solo una questione di reticenza fiscale e di incremento della competivita’ commerciale, stando alla loro spiegazione, bensi’ anche di “eccesso di democrazia” che va assolutamente ridimensionato. L’elite finanziaria internazionale lascia intendere che se i paesi del Sud d’Europa vogliono rimanere aggrappati alla moneta unica devono rassegnarsi a rinunciare alla Costituzione.
DI SEGUITO UNA PARTE DEL DOCUMENTO ORIGINALE:
Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica: debito pubblico troppo alto, problemi legati ai mutui e alle banche, tassi di cambio reali non convergenti, e varie rigidità strutturali. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud, e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea. Quando i politici tedeschi parlano di processi di riforma decennali, probabilmente hanno in mente sia riforme di tipo economico sia di tipo politico.
I sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo.
I sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia).
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- Iscritto il: 02/03/2015, 18:13
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Quelli della JP Morgan non devono rompere le palle perche la crisi finanziaria è colpa loro la grave crisi sociale l'hanno pagata i cittadini.Il liberismo senza regole che vuole schiavizzare è morto quelli della JP Morgan si devono ritirare in buona pace in convento
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- Iscritto il: 09/01/2015, 10:40
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
camillobenso ha scritto:Cacciari irresponsabile:
si sottomette a Renzi
(ma non riesce a dirlo)
» GIANFRANCO PASQUINO
Cacciari s’inventa,
nell’intervista fattagli
da Ezio Mauro
( R e p u b b l i c a , 2 7
maggio) un’im mag inar ia
“responsabilità repubblicana”
per giustificare la sua
personale, effettiva sottomissione
al ricatto plebiscitario.
Cacciari parte da un
presupposto falso e falsificabile:
l’assenza negli ultimi
quaranta anni di riforme.
Questo presupposto, magnificato
e drammatizzato sia
dalla propaganda renziana
sia dalla ignoranza della
grande maggioranza dei
commentatori, è smentito
da duri fatti: l’elaborazione
di due leggi elettorali, Mattarellum
e Porcellum, l’a pprovazione
parlamentare di
una buona, se non ottima,
legge per l’elezione dei sindaci,
l’abolizione di quattro
ministeri, l’eliminazione del
finanziamento statale dei
partiti, la stesura di un
nuovo titolo V della
Costituzione. Non
vale l’obiezione, a
doppio taglio,
che si tratta di
brutte riforme
p o i c h é a )
n i e n t ’ a f f a t t o
tutte sono brutte,
b) il Titolo V
è stato ratificato
da un referendum,
c) anche
le riforme
r e n z i a n b oschiane
sono sususcettibili
della stessa valutazione
e d) la riforma del bicameralismo
è pasticciata
nella composizione del nuovo
Senato e confuse nell’attribuzione
delle competenze.
PROSEGUENDO attrav erso
un’autocritica generazionale
e facendo leva sulla sua
personale visione apocalittica
della storia, del mondo e,
quindi, dell’Italietta, Cacciari
supera le sue stesse
critiche alla riforma
“concepita male e
scritta peggio” e pronuncia
il suo fatale,
neppure molto sofferto,
“sì”. Sposerà la riforma
renziana. Poco gli
importa che si tratti di una
“riforma modesta e maldestra”
e che la legge elettorale,
che è un cardine della
riforma, sia “da rifare”.
Ancora meno sembra
preoccuparlo che
“la partita si gioca su
Renzi” che ha personalizzato
il referendum.
Pudicamente, il
filosofo evita l’ espressione
più precisa
e pregnante, quando
un leader chiede il
voto sulla sua persona e sulla
sua carica, di plebiscito si
tratta, come tutta la storia del
pensiero politico ha sempre
affermato. No, lui, per responsabilità
repubblicana,
voterà
a favore, ev
i d e n te m e n t e
non della riforma
modesta e
maldestra, ma di
Renzi. Più che di
resp onsabil ità,
forse, sarebbe il
caso di parlare
di preoccupazione
per le presunte
temibiliss
i m e c o n s eg
u e n z e c h e
Renzi e i renziani agitano:
crisi di governo e elezioni anticipate.
Brillantemente e
prescientemente, Cacciari
addirittura anticipa una,
troppo spesso trascurata,
conseguenza della riforma:
il presidente del Consiglio
sconfitto impone al Presidente
della Repubblica lo
scioglimento del Parlamento.
Invece, no: il presidente
della Repubblica ha, in primo
luogo, il potere e il dovere,
“r ep u b b l i c a n o”?, di esplorare
se esiste un’alt ramaggioranza in grado di fiduciare
e fare funzionare un
nuovo governo. In secondo
luogo, può invitare Renzi a
restare il tempo necessario
per approvare una
legge elettorale
migliore
dell’Italicum
(non è affatto
difficile), magari
facendo rivivere
il, a lui ben
noto, Mattarellum.
INSOMMA, l’Apocalisse
non è
alle porte a meno
che sia Renzi
sia Mattarella
sia, con l’enorme potere che
gli è rimasto e che usa platealmente,
Napolitano, dimentichino
le loro, al plurale,
responsabilità repubblicane.
Certo, vorremmo saperne
di più sulla concezione
e sui contenuti della responsabilità
repubblicana
formulata da Cacciari. No,
non intendo affatto esibirmi
in una difesa della Costituzione
com’è (e non ho mai
fatto parte del clan dei riformatori
falliti menzionati da
Cacciari). Tuttavia, preso atto
che, come tutti hanno il
dovere di sapere, la Repubblica
siamo noi, che è il significato
profondo dell’u ltimo
comma dell’art. 3 della Costituzione
che ci chiede di rimuovere
gli ostacoli alla effettiva
partecipazione dei lavoratori
alla vita politica, mi
chiedo se la nostra responsabilità
non debba tradursi in
una vigorosa battaglia per riforme
non “modeste” e non
“maldestre”, concepite bene
e scritte meglio (ce ne sono,
eccome se ce ne sono), per una
legge elettorale decente,
per un referendum che non
sia né un plebiscito né, meno
che mai, il giudizio di Dio.
LA RESPONSABILITÀ repub -
blicana esige che le riforme
della Costituzione e del sistema
elettorale, il decisivo
meccanismo che traduce le
preferenze (e le volontà) degli
elettori nel potere politico
di rappresentanti e governanti,
siano poste molto al di
sopra della vita di un governo,
di qualsiasi governo. La
responsabilità repubblicana
respinge i ricatti dei governanti
e non si traduce mai in
sottomissione plebiscitaria.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Saluti.
Su questo argomento riscrivo dopo forse anni di assenza.
L'assenza è dovuta al disgusto rispetto alla politica attuale.
Anche e specie quella delle cosiddette "opposizioni de sinistra".
Oggi ho avuto il benvenuto in uffucioi da un collega renziano
che ha introdotto la giornata con un'invettiva contro "quelli del NO"
rei di opporsi a tutto a tutti di strumentalizzare, ecc.
Sembrava di ascoltare Brunetta ai tempi della nipote di Mubarak.
Che dire di questa riforma?
E' evidente che se la scelta POLITICA è stata di creare una maggioranza
non di centro-sinistra con le destre, ne deriva che sia le politiche
di governo, che le leggi, che le riforme devono pagare pegno alle destre.
Altrettanto evidente che chi ha portato a questo schema, i liberisti del PD
ex margheriti e ex comunisti falliti, ora lo difenda alla morte.
Dunque il punto non è se la riforma ha o meno punti positivi.
Alcuni punti positivi ci sono, ad esempio a mio avviso il centralismo,
altro che federalismo (introdotto nel dibattito politico di centro.sinistra
dai DS solo come maldestro tentativo di togliere spazio alla Lega).
Il punto è che per fare felice l'ala destra della maggioranza, il PD
si è alienato da tutto un mondo politico di sinistra, il proprio ex bacino
elettorale di consenso, oltre che da tutta una serie di altri riferimenti
politici.
Se almeno la riforma fosse indiscutibilmente positiva si potrebbe politicamente
portare avanti il messaggio della "forzatura contro quelli del no".
Ma NEL complesso, la riforma non è all'altezza dei problemi.
E' un banale inciucio, come già la finta abolizione delle province, il jobs act,
e altre finte riforme, che porta acqua a pochi togliendola a molti.
Dunque votare SI è da escludersi, tanto più che nel centro-sinistra
già in passato (vedi il Titolo V) si sono introdotte riforme mediocri
e mal pensate che adesso bisogna con fatica sistemare.
L'Italicum poi stravolge del tutto il sistema della rappresentanza.
In realtà il vero vulnus democratico è li.
La riforma costituzionale in se, essendo mal fatta, porterà a un
rallentamento e a ulteriore aleatorietà nei processi politici.
E questo è il problema VERO della riforma: porta inefficienza.
Ma il problema democratico deriva dall'Italicum.
E' questo che costringerà gli italiani a doversi confrontare partendo da due
fronti contrapposti, un sistema bipolare, dove a tutti i costi bisogna arrivare
primi e prendere il premio di maggioranza, al primo o al secondo turno.
Dunque vedremo i partiti diventare dei contenitori di consenso ottenuto ad ogni costo.
Renzi questo contenitore, il Partito della Nazione, lo sta per ora abilmente e saggiamente
posizionando al centro.
Ma attenzione che se si sveglia qualcuno come Trump in grado di sollecitare gli istinti
più bassi degli italiani incazzati, a destra come a sinistra, a quel punto il premio di maggioranza
distorcerà talmente la rappresentanza che alla Camera per 5 anni non ci sarà modo alcuno
di fare opposizione politica.
In Parlamento, occorrerà farla nelle piazze.
E per di più, avendo stravolto il sistema bicamerale, non ci sarà neanche l'argine istituzionale
della doppia discussione delle leggi, ecc..
Spiace che i figli di Berlinguer abbiano assecondato Renzi in questo disegno folle.
Adesso ci tocca sperare nei grillini. A questo siamo giunti.
soloo42001
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