Cohn-Bendit: «Se vince Hollande
fermiamo politiche liberiste»
Una presidenza Hollande avrebbe un valore che va ben al di là dei confini francesi. La sua vittoria avrebbe una ricaduta importante per la costruzione di un’Europa progressista, capace di contrastare efficacemente, sul piano del progetto e non riproponendo vecchie logiche nazionali, sia le ricette neoliberiste sia la falsa illusione di chi pensa che dalla crisi si possa uscire puntando su tecnocrazie illuminate». A parlare è Daniel Cohn-Bendit, una delle figure storiche della sinistra europea. Il suo appoggio al candidato socialista all’Eliseo, Francois Hollande è un sostegno che pesa perché non scontato. E questo perché parla ad un mondo, quello ambientalista, che in questi anni ha rappresentato in diversi Paesi europei, a cominciare dalla Germania, uno degli elementi di novità nel panorama politico dell’Europa più avanzata.
Di questo rinnovato protagonismo, «Dany il rosso», il leader del Maggio francese, è uno degli artefici. Ed è proprio in nome di un’Europa «solidale, ecologista, federale» che Cohn-Bendit punta su Hollande. E in questa intervista esclusiva a l’Unità, ne spiega le ragioni, tornando anche sui temi che sono stati al centro della sua intervista a Le Monde, in cui l’eurodeputato ecologista e leader dei Verdi francesi prende le distanze da Jean-Luc Mélenchon, candidato in ascesa del «Front de gauche» alle prossime presidenziali: «Non è una questione personale - spiega a l’Unità - né le mie critiche si fondano sulla constatazione che una sinistra divisa si presta al gioco di Sarkozy. La mia distanza è politica, progettuale, perché non credo che alla deregolazione liberista si debba rispondere con una regolazione che ha come sua stella polare la rinazionalizzazione dell’economia».
Quale significato politico anche in chiave europea può venire da una vittoria di Francois Hollande nelle prossime presidenziali francesi?
«La vittoria di Hollande può dare una spinta importante ad un progetto di regolazione della crisi economica che investe oggi l’Europa, l’Occidente, un mondo sempre più globalizzato. Sarebbe un passo in avanti per costruire un’alternativa credibile a quella deregolazione neoliberista che ha determinato, non solo in Francia, profondi guasti sociali. Lungi da me considerare la vittoria di Hollande come una sorta di panacea politica di tutti i mali, ma sono convinto che la sua vittoria sarebbe un segnale di cambiamento che potrebbe avere ricadute positive oltre i confini nazionali. E dico questo perché penso che il programma di Hollande, da arricchire e sviluppare, può attrarre perché si sforza di andare oltre l’anti-Sarkò e ha l’ambizione di costruire un’alternativa possibile, praticabile. E le forze progressiste, di sinistra, ecologiste vincono se sanno essere “per” e non solo “anti”. Se hanno l’ambizione di indicare una via nuova, che punti sul futuro e non abbia nulla di nostalgico per un passato che è bene resti tale».
Quanto pesano queste considerazioni sulla sua presa di distanza dal candidato del Front de gauche alle presidenziali, Jean-Luc Mélenchon?
«Direi che ne sono il fondamento. Perché non credo che il neoliberismo, sia nella sua versione populista che in quella neo-tecnocratica, possa essere contrastato e sconfitto da una sinistra che fa coincidere la regolazione nel campo economico con una rinazionalizzazione dell’economia. Non può essere la rinazionalizzazione il perno di una sinistra che guarda al futuro con l’ambizione di saperlo orientare senza nostalgismi e senza vecchi paraocchi ideologici. E per un progressismo vincente l’Europa è il suo habitat naturale. Sono uno strenuo assertore di un “keynesismo europeista”».
Se Hollande sarà il nuovo inquilino dell’Eliseo, quale dovrebbe essere a suo avviso una delle priorità nella sua agenda presidenziale?
«Rilanciare con forza il progetto di una Federazione Europea».
Di nuovo l’Europa come banco di prova.
«L’Europa è l’unico modo per superare i deficit nazionali. Una sinistra che vuole davvero incidere su processi strutturali non può restare prigioniera della questione nazionale».
In questi ultimi giorni di campagna elettorale in vista del primo turno e soprattutto in prospettiva del pressoché certo ballottaggio, quale carta sta giocando Sarkozy per garantirsi un secondo mandato?
«La carta che sta giocando è quella di una sinistra divisa. Sarkozy sta battendo sul tasto dell’inconciliabilità tra il programma di Hollande e quello di Mélenchon. La posta in gioco è talmente alta che dovrebbe portare a privilegiare le ragioni che uniscono alla sottolineatura delle diversità, che pure esistono e che non possono essere camuffate. Il sistema elettorale a doppio turno può favorire questa unità. L’importante è averne la volontà politica di praticarla».
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