CRESCITA
Il numero non riuscito di Matteo Renzi
Ecco come il Pil cambia la vita delle persone
Qual è stato l'impatto economico del governo Renzi sulla crescita? L'esecutivo, già costretto a rivedere al ribasso le previsioni, snobba numeri e percentali. Ma se il cruccio di Berlusconi, Monti e Letta si chiamava spread, quello dell'attuale premier ha un altro nome: Prodotto interno lordo
DI STEFANO VERGINE
05 agosto 2014
Il numero non riuscito di Matteo Renzi
Ecco come il Pil cambia la vita delle persone
«Che la crescita del Pil sia dello 0,4 o 0,8 o 1,5 per cento non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone». La teoria enunciata un paio di settimane fa dal premier Matteo Renzi si avvicina al momento della verità. Domani l'Istat, l'istituto nazionale di statistica, comunicherà la variazione del Pil, cioè il prodotto interno lordo, nel secondo trimestre dell'anno. In parole semplici, ci dirà com'è andata la nostra economia da aprile a giugno, se cioè la produzione di beni e servizi in Italia è aumentata o diminuita rispetto al trimestre precedente, e a quanto ammonta questa variazione. Il numero che si conquisterà i titoli dei giornali sarà uno zero virgola: una percentuale di poco sopra o sotto lo zero, almeno queste sono le previsioni degli esperti. Il punto è capire se questo numero conta o meno per «la vita quotidiana delle persone».
LA TEORIA
Dall'andamento del Pil dipende il bilancio dello Stato. Se il Pil aumenta, a crescere sarà il gettito fiscale, visto che per ogni bene o servizio venduto ufficialmente vengono pagate tasse e imposte. Dunque, se il Pil cresce lo Stato ha più risorse a disposizione. Soldi con cui può ad esempio costruire strade, abbassare le tasse, migliorare scuole e ospedali, continuare a finanziare il BONUS da 80 euro e magari allargare la platea dei beneficari. Se invece il Pil diminuisce, anche le entrate pubbliche decrescono. E qui nascono i problemi. Perché quando un governo pianifica cosa fare, basa le proprie decisioni sulle previsioni di crescita economica. Che succede se un provvedimento è stato realizzato ipotizzando una crescita del Pil dell'1 per cento e invece alla fine questo scende? Succede che il governo deve trovare comunque quei soldi, e la cosa più facile da fare è aumentare le imposte indirette come ad esempio l'Iva, il bollo dell'auto o le accise sui tabacchi.
LA SITUAZIONE ITALIANA
Il governo di Renzi, nel Documento di economia e finanza (Def) pubblicato ad aprile, aveva stimato per il 2014 una crescita del Pil pari allo 0,8 per cento. E aveva basato su queste stime la garanzia che il rapporto deficit/Pil, parametro cardine delle regole europee, sarebbe rimasto sotto il 3 per cento, soglia massima fissata da Bruxelles per evitare il commissariamento ufficiale, cioè l'arrivo a Roma della cosiddetta Troika a dettar legge sulla politica nostrana, proprio come è successo a Cipro, in Grecia, Irlanda e Portogallo. Con una crescita del Pil dello 0,8 per cento, aveva detto il governo ad aprile, il rapporto deficit/Pil non andrà oltre il 2,6 per cento. Ora però le cose sono cambiate. L'Istat, nella sua nota mensile pubblicata a fine luglio, ha scritto che «il recupero della crescita economica si preannuncia più difficile di quanto prospettato».
Tradotto in numeri, se due mesi fa l'Istituto di statistica aveva previsto una variazione compresa tra - 0,1 e + 0,3 per cento, domani le cose potrebbero andare peggio, tant'è che lo stesso staff economico del governo ha già ristretto la forchetta tra - 0,1 e +0,1 per cento. Se il segno sarà negativo, l'Italia rientrerà in recessione tecnica, formula che indica due trimestri consecutivi di crescita negativa (nel primo trimestre il Pil è calato dello 0,1 per cento). Se invece il segno sarà positivo, non ci sarà comunque molto per cui gioire. Il rallentamento trimestrale VEDI ANCHE:
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del Pil avrà infatti un effetto negativo sul risultato di fine anno. Non a caso parecchi economisti hanno già detto che l'Italia non riuscirà a raggiungere la crescita dello 0,8 per cento prospettata dal governo solo quattro mesi fa. Fondo monetario internazionale, Ocse, Banca d'Italia, Confindustria: le stime vanno da un massimo dello 0,6 per cento a un minimo di 0. Un pioggia di previsioni ribassiste che ha costretto anche il governo ad arrendersi, con Renzi stesso che ha recentemente definito «molto difficile» il raggiungimento dell'obiettivo fissato nel Def.
LE CONSEGUENZE
La promessa disattesa avrà conseguenze negative soprattutto sul rapporto deficit/Pil. Per ora Renzi si dice sicuro che «resteremo sotto il 3 per cento», ma l'eventualità di una manovra correttiva non è più un tabù, tanto che il premier nei giorni scorsi ha dichiarato che, nel caso fosse necessaria, «non imporremo nuove tasse». Le alternative non mancano, in teoria. Per contenere il rapporto deficit/Pil, in assenza di crescita e non volendo aumentare le entrate dello Stato, bisognerebbe ridurre i costi. Il punto di partenza, dice Renzi, resta la revisione della spesa, quella messa a punto dal commissario Carlo Cottarelli con cui lo stesso premier è entrato ultimamente in conflitto: «Con i 16 miliardi di risparmi previsti dalla spending review, confermati anche se Carlo Cottarelli dovesse lasciare, il rapporto deficit/Pil arriverebbe al 2,3 per cento», ha dichiarato qualche giorno fa Renzi. Certo, se poi l'economia dovesse peggiorare ulteriormente, nemmeno le forbici di Cottarelli potrebbero essere più sufficienti per tenere lontana la Troika. E allora sì che «la crescita del Pil dello 0,4 o 0,8 o 1,5 per cento» cambierebbe «la vita quotidiana delle persone».
© Riproduzione riservata 05 agosto 2014
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