Re: COME VA IL PD
Inviato: 09/12/2014, 16:24
da Joblack
Stratos58 ha scritto:DISASTRO PRIMARIE. Autentico flop nel Veneto.
Da oltre 170 mila votanti del 2012, ai 32 mila di ieri.
La Moretti eletta quale candidata alla Presidenza del Consiglio Regionale ha ottenuto circa 18.000 preferenze, una autentica miseria.
E ci sono quelli che brindano.
Beh se la Moretti si avesse fatto tatuare una farfallina giusto sopre il pube, dato che lei stessa ha dichiarato di averselo depilato con giudizio, for anziché 18mila preferenze ne avrebbe prese 180mila.
Se poi a questi 180 mila avesse promesso una "odorata al pube" forse i 180mila sarebbe diventati 1,8milioni.
Come vedete il nuovo PD renziano attraverso le sue amazzoni si comporta alla pari o peggio del puttaniere di arcore.
saluti,
P.S. Amici non riportate i commenti di bersani ed i suoi quaqua sulla deriva verso il nulla del PD da lui voluta ... gran testa di ....zzo!
Re: COME VA IL PD
Inviato: 10/12/2014, 12:46
da erding
El Pueblo UNIDO
… non possiamo farne un dramma …
“ … Renzi è ancora percepito come una figura non compromessa e non corrotta dal potere. È bene che sfrutti questa condizione che non durerà in eterno, come i sondaggi cominciano a testimoniare. Del resto, non è un mistero che il governo è avviluppato in una serie di nodi irrisolti. La condizione economica è sempre più difficile e i margini di manovra, soprattutto a livello europeo, sono esigui. Le riforme, ancora loro, sono quasi ferme in Parlamento. Prima che la gente avverta il cambiamento, passerà troppo tempo. Su un tale sfondo, il buco nero di Roma rischia di essere il detonatore di un fallimento insostenibile della politica. …. “ . (S. Folli; Repubblica; 10/12/2014).
Il virgolettato di cui sopra è tratto, parola per parola, dalla Repubblica; è il cuore di un articolo molto più lungo in cui, in un certo qual modo, leggere per credere, si tessono le lodi di una inconcludente e sconclusionata attività politica. Si dice espressamente che pur vivendo una fasi di stasi politica evidente, bene ha fatto il putto toscano ha commissariare il Pd romano in quanto i soliti proclami ed i richiami alle lotte contro la criminalità organizzata, così come quelle alle innumerevoli riforme da fare, di cui nessuna portata a termine, non bastano più giacché la collusione tra malavita e politica non può e non deve essere derubricata a fatto folcloristico (mafia alla matriciana), ma va affrontata una volta per tutte in modo risolutivo; eccetera eccetera eccetera.
Si dà, con notevole disinvoltura, un colpo al cerchio ed uno alla botte: pur segnalando una scarsa attività politica, si fa contemporaneamente una presentazione dell’ennesimo palliativo, il commissariamento, come un atto fondamentale, quasi risolutivo, esempio di un comportamento finalmente esaustivo. Non si dice, però, che non è chi, in qualche modo, usurpa un potere che può essere colui che mette a posto le cose e non è chi si serve dell’unica casa di cui può vantare una certa legittimità, quel Pd di cui sopra, per fare accordi con delinquenti condannati con sentenze definitive (il nano arcoriano) e con sospettati di ogni maldidio (Verdini&company) colui che trova una credibilità in un atto dovuto, improrogabile, nemmeno da considerare come un primo passo di un cammino molto più lungo e difficile.
La politica romana non è che una punta dell’immenso mal costume che pervade questa nostra intera società; le condizioni generali di una economia disastrata stanno, e come ti sbagli!, in qualche modo legittimando ogni sorta di “arrangiarsi” ovunque lo stesso si verifichi, quali che siano le soggettività, quali che siano le condizioni di partenza: il commissariamento del PD è paragonabile alle multe che la guardia di finanza fa ad un piccolo commerciante che non stacchi scontrini nel mentre che trascura le immense evasioni fiscali che distruggono l’economia italiana.
Quindi, è un fatto sì, annunciato ed eseguito con il clamore necessario a renderlo come un provvedimento serio, ma è solo un altro dei pannetti caldi, gelati sarebbe meglio a dirsi, che il Renzismo mette in campo quotidianamente.
E’ bene ricordare sempre che ilbuonmatteo non ha, NON HA, in alcun modo la possibilità di presentarsi come colui che può scagliare la prima pietra; lo dice la sua storia personale, la sua vicenda politica, le sue frequentazioni, gli insulsi risultati sin qui raggiunti, la sua assurda caratteristica di rappresentante di una sinistra figlia gemella di una destra che con essa si realizza e governa.
Ognuno fa il proprio mestiere, ed io sono un nessuno rispetto a chi viene pagato, non so se a righe scritte, a parole utilizzate o a stipendio, su e da un giornale nazionale, ma forse mi riesce, anche, di leggere e capire ciò che non si dice espressamente; che lo si faccia forse per induzione, forse per cooptazione, forse per convincimento personale o, forse, semplicemente per trascuratezza, è, scelta per scelta, inquadrabile in uno dei tanti campi del possibile; io credo, però, che un buon giornalista, e di certo l’autore di quel articolo lo è, non dovrebbe mancare a precisazioni più puntuali e complete onde fornire una informazione chiara, condivisibile e non ad usum delphini:
a quando il resto dell’articolo?.
https://www.facebook.com/permalink.php? ... nref=story
Re: COME VA IL PD
Inviato: 12/12/2014, 23:02
da camillobenso
Corriere 12.12.14
Delrio-D’Alema, lite sulle urne anticipate
«La minoranza vuole le elezioni, fa vecchia politica»
L’ex premier: basta minacce ai parlamentari
di Monica Guerzoni
ROMA I «dem» della minoranza non ci stanno a passare da gufi, frenatori e interpreti della «vecchia politica», per usare l‘espressione sferzante con la quale li ha ammoniti Graziano Delrio. E la febbre nel Pd è così alta che Massimo D’Alema respinge come «stupefacente» il fatto che «una persona ragionevole come il sottosegretario Delrio non trovi di meglio che minacciare i parlamentari». Parole che infiammano lo scontro in vista dell’assemblea nazionale di domenica, quando Renzi potrebbe chiedere un voto per isolare i dissidenti. «Basta con gli avvisi disciplinari e muscolari — replica Alfredo D’Attorre — E avanti con le riforme».
Tensione alta, parole aspre e appelli alla pacificazione. Tutto per quel voto di mercoledì in commissione Affari costituzionali della Camera, che ha mandato sotto il governo su due emendamenti congegnati per eliminare i senatori a vita. Palazzo Chigi ci ha visto un agguato premeditato e la conferma che la minoranza stia correndo verso la scissione. Il che ha scatenato sospetti e accuse, con i renziani che imputano alla sinistra la voglia di sabotare le riforme e i non renziani che smentiscono complotti. «Se la minoranza vuole andare a votare lo dica» attacca Delrio, accusando Cuperlo, Bindi e compagni di praticare la «vecchia politica». Per il sottosegretario quel che è successo «non esiste», c’era «un accordo» per andare avanti sulle riforme. Ma Giuseppe Lauricella, autore dell’emendamento contestato, nega: «Non c’è nessun piano per frenare le riforme, ma non c’è neanche il patto di cui parla Delrio. Sono attacchi strumentali». Gufa, onorevole? «Per la mia lealtà sono stato elogiato dal relatore Fiano, finché tutto di un colpo divento un sovversivo perché ragiono col mio cervello. È incomprensibile, sono dispiaciuto... La verità è che Renzi sta cercando di inventarsi un nemico».
I renziani sussurrano parole come vendetta, avvertono che domenica sarà il segretario a mandare «un segnale» e fanno balenare un voto per isolare i ribelli. «Non è buona norma mandare sotto il governo» ammonisce Matteo Orfini e conferma il rischio di una conta interna.
Gli esponenti della minoranza si sentono vittime di un ostracismo. Rosy Bindi consiglia a Renzi «molta prudenza», giura che «non c’è stato nessun agguato» e chiede una buona riforma: «Se la Boschi sarà orgogliosa di cambiare la Costituzione alla sua prima legislatura, io sarò felice di votarla alla mia ultima». E a Renzi la presidente dell’Antimafia ricorda che sulla Costituzione «non esistono disciplina di partito, né vincolo di fiducia», in linea con D’Alema quando sostiene che i parlamentari «hanno il diritto e il dovere di migliorare testi che restano contraddittori e mal congegnati, malgrado il notevole impegno della relatrice».
Nel mirino dei renziani c’è pure Enzo Lattuca, per aver parlato del voto in commissione come di un «segnale». Ma anche il più giovane dei deputati assicura che «non c’è alcun disegno organico per far saltare le riforme». Cuperlo invita a ritrovare il senso della misura: «Abbiamo avuto un atteggiamento di grande responsabilità, ritirando emendamenti che mettevano in discussione l’impianto della legge». Ma si litiga anche sul voto anticipato. Per Zoggia è «fantapolitica», Boccia invece dà polemicamente ragione a Giachetti: «Se nel Pd non ci si può più confrontare andiamo al voto, con il Consultellum». E D’Attorre attacca: «Renzi la smetta di utilizzare le urne come una minaccia, perché non spaventa nessuno. Sarebbe la certificazione del suo fallimento».
Corriere 12.12.14
«Questo è il colpo di coda della vecchia guardia»: Renzi prepara la resa dei conti nel Pd. E potrebbe mettere online i bilanci delle segreterie Bersani ed Epifani
di Maria Teresa Meli
Il premier: Massimo vuole mandarci a casa L’ira di Renzi, ora la conta all’assemblea pd. L’idea di pubblicare le spese delle segreterie Bersani e Epifani ROMA Una cosa per Matteo Renzi è chiara: «Siamo di fronte al colpo di coda della vecchia guardia contro di me. E per questa ragione cerca di frenare la riforma del Senato e l’Italicum».
A capo di questo schieramento c’è sempre lui, secondo il premier: Massimo D’Alema, che «guida il fronte trasversale dei conservatori che comprende anche Forza Italia». Ma non c’è solo l’ex ministro degli Esteri nel mirino del segretario. L’impressione è che anche Bindi, Bersani e Finocchiaro «stiano cercando il colpo finale per salvare loro stessi e la vecchia classe dirigente e affossare me».
Con quale obiettivo finale? È su questo che lo stesso Renzi e i suoi fedelissimi non hanno le idee chiare. «Forse — ragiona ad alta voce il premier con i suoi — ormai è passata la linea D’Alema: pur di distruggere me, distruggiamo pure l’Italia, il che vuol dire cercare di mandare a casa questo governo e metterne un altro, senza passare dalle elezioni, agli ordini della troika e della Commissione europea. Sennò qual è la strategia? Quella di condizionare l’elezione del presidente della Repubblica? O siamo alle richieste inconfessabili: avere delle liste bloccate che garantiscano i loro candidati che altrimenti alle elezioni non verrebbero mai eletti?».
Gli interrogativi sulla strategia o sulla mancanza della stessa si accavallano nella mente di Renzi, ma sulle risposte da dare non ci sono dubbi. Lo spettro delle elezioni resta lì sullo sfondo. Però, visto che non spaventa abbastanza, ci sono soluzioni operative più immediate da mettere in atto che potrebbero fare assai male alla minoranza, anche a quell’area riformista capeggiata da Roberto Speranza, che però non ha battuto un colpo in favore del segretario nel momento del bisogno.
«Se lo scontro all’interno del partito si fa sempre più duro, bisognerà comportarsi di conseguenza», avverte Renzi. Primo segnale: l’assemblea regionale toscana che avrebbe dovuto incoronare Enrico Rossi come candidato alla regione è stata posticipata e ora i renziani fanno sapere che potrebbero spuntare nuove candidature alle primarie. A livello nazionale la risposta potrebbe essere altrettanto dura: sono in bilico in segreteria nazionale i posti di Micaela Campana e Andrea De Maria, rispettivamente componenti dell’area Speranza e Cuperlo. La prima è legatissima a Bersani ed è la ex moglie del pd Daniele Ozzimo, dimessosi da assessore comunale di Roma perché coinvolto nella vicenda di «Mafia Capitale». Il secondo è uomo di Cuperlo, il quale, secondo i renziani, sta portando avanti il progetto dalemiano senza se e senza ma. Ciò potrebbe significare la fine della gestione unitaria adottata finora nel Pd.
Dunque, come ha spiegato il premier ai suoi, «potrebbero esserci ripercussioni molto forti sia a livello locale che nazionale». Da quest’ultimo punto di vista, domenica, all’assemblea nazionale, potrebbe esserci una sgradita sorpresa per molti: il tesoriere Francesco Bonifazi potrebbe mettere on line i dati del bilancio delle segreterie Bersani, Epifani e Renzi, con relative spese e stipendi degli staff.
Insomma, per dirla con il segretario, sarà l’assemblea nazionale «il momento della verità»: «Sto preparando un documento molto esplicito e impegnativo sulle riforme su cui chiederò il voto».
Basterà a ridurre a più miti consigli la minoranza e, soprattutto, a sedare i renziani che invocano le elezioni? Certo nemmeno questa prospettiva basta per ora a trattenere il premier, che non ha accettato l’attacco di D’Alema a Delrio: «Graziano è un mite e non ha mai minacciato nessuno, Massimo può dire altrettanto?». Domanda retorica, ovviamente.
La Stampa 12.12.14
Resa dei conti nel Pd
Scacco alla minoranza
D’Alema lancia un messaggio di guerra: “Delrio non minacci”
di Carlo Bertini
Assicura di non voler le urne anticipate ma domenica all’assemblea Pd Matteo Renzi gliele canterà di santa ragione, raccontano i suoi: additando quelli che «fanno giochetti» per sabotare le riforme, l'unica ancora di salvezza con l’Europa. E dopo aver picchiato duro, non solo farà votare dai mille delegati un documento sulla corsa delle riforme, per dimostrare che la minoranza è isolata.
Cadono le prime teste
Ma tirerà una linea tra ieri ed oggi, basta gestione collegiale con le correnti avverse: dunque via dalla segreteria la bersaniana Campana (citata pure nell’inchiesta su Roma per gli sms a Buzzi) e il cuperliano De Maria. Sub judice la candidatura a governatore toscano di Enrico Rossi, tanto che l’assemblea del Pd regionale di sabato è stata rinviata a gennaio. Insomma, fin qui Renzi è stato troppo generoso, ora è sotto ricatto e la musica cambia, spiegano i suoi. Ha dunque un bel dire la Bindi, «io non ho paura delle urne perché la finisco qui, ma dopo anni che aspetto vorrei votarla una buona riforma costituzionale, magari lasciando un Senato che non sia scendiletto del governo di turno». Perché tutti i tentativi di convincere che si cerca solo di migliorare i testi non sono presi sul serio. «Eccoli di nuovo in azione: la premiata ditta Bindi-D’Alema all’opera, ma non riusciranno a fermare il Pd e le riforme, hashtag “ancora tu”», twitta la Serracchiani. «La minoranza ha lanciato un segnale politico? Ne parliamo domenica», avverte il premier. Determinato a drammatizzare con la resa dei conti quell’incidente dell’altro ieri che verrà corretto in aula:la fronda dei pasdaran aveva preso l’impegno a non votare contro il capogruppo in commissione sulla riforma del Senato, «e quel patto è stato violato».
Trappola sull’Italicum
Perché quando tre giorni fa la minoranza evocò la possibilità di farsi perfino sostituire in commissione per non votare la riforma del Senato indigesta, Speranza e Guerini stopparono l’Aventino e si siglò quel patto: che sarà di nuovo infranto, visto che la minoranza dei duri non molla su un emendamento che dà alla Consulta il giudizio preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale. Per Renzi è la prova che si vuole far finire in soffitta l’Italicum, già bombardato da 12 mila emendamenti al Senato, sfornati da Calderoli. Il premier è infuriato, qualcuno in commissione ora sarà sostituito per blindare la maggioranza. Ma non si fa illusioni sul fatto che gli agguati possano finire. Se per rispondere a Delrio («la sinistra dica se vuole votare») è sceso in campo D’Alema, «pensi alla crisi invece di minacciare i parlamentari», è il segnale che la partita è più grossa. «Parole che svelano come tutto ruoti attorno alla futura guerra per il Quirinale», ragiona un membro del governo. E se il presidente della Commissione Bilancio, il lettiano Francesco Boccia consiglia a Renzi di «non citare la troika perché vuol dire che non è all’altezza del lavoro che fa», si capisce il livello di guardia che raggiungerà lo scontro...
il Fatto 12.12.14
In fondo a sinistra. Idea poco Dem: fare fuori la minoranza
Legge elettorale, D’Alema: “Non ci facciamo minacciare”
Lo scontro nel Pd diventa rovente: il lìder Massimo scende in campo in difesa della minoranza dem
di Wanna Marra
Se la minoranza del Pd vuole andare a votare lo dica. Noi vogliamo continuare e arrivare fino al 2018”. Graziano Delrio bacchetta così i dem che mercoledì hanno mandato sotto il governo in Commissione Affari costituzionali alla Camera. Replica durissimo Massimo D’Alema: “Delrio pensi alla crisi economica e non minacci i parlamentari su una materia sulla quale deputati e senatori hanno il diritto e il dovere di migliorare i testi”. Cannonate pesanti tra renziani e minoranza del Pd. Riforme in mezzo alla palude, legge elettorale nel caos più totale, minacce e sospetti di ogni tipo. Matteo Renzi l’ha chiarito da Ankara, che la minoranza non la farà franca: “Il voto in commissione alla Camera è stato considerato come un segnale politico. Di segnali politici ne parleremo in modo chiaro in Assemblea”. Appuntamento a domenica, dunque. Ai vertici dem non è andato giù il fatto che non sia stato rispettato l’accordo di non mettere i bastoni tra le ruote sulla riforma del Senato. Ovvero di votare in materia difforme dalle indicazioni del governo, solo ove i voti non fossero determinanti. E a questo punto la guerra è dichiarata: “In Assemblea li metteremo alla berlina davanti a tutti. Spiegheremo che non è così che si sta in un partito. Che o si allineano o si mettono fuori”. Da cosa? Tanto per cominciare dagli organismi dirigenti. Come twitta Edoardo Fanucci, renziano in ascesa, vicino soprattutto al ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi: “Errore gestione unitaria del partito con chi mette sotto il proprio governo. Non voler bene al PD e avere spazio in segreteria? #no”. Ieri a un certo punto si era diffusa anche la voce di espulsione dal partito per i ribelli. Smentita dai renziani. Per ora. Perché le manovre si moltiplicano. D’Alema si rimette a capo della minoranza, e sullo sfondo resta sempre la scissione. Tutto dipenderà da quale sistema elettorale si farà. Se alla fine si votasse con il Consultellum, alla sinistra del partito potrebbe convenire. Renzi ha rimesso sul piatto il Mattarellum, nel caso la legislatura dovesse cadere prima di approvare l’Italicum. Ma questo ha precipitato il dibattito sulla legge elettorale in Commissione Affari Costituzionali in Senato nel caos più assoluto. Ognuno vuole la sua: con un emendamento alla legge elettorale, gran parte della minoranza Pd (Vannino Chiti in testa) chiede di non perdere tempo sull’Italicum e riportare in vita il Mattarellum. Forza Italia e Ncd chiedono di mantenere invece il Consultellum, come norma transitoria. Renzi vorrebbe ancora l’Italicum, che è l’unico sistema che gli permette di realizzare il sogno del partito nazione, il partito pigliatutto. Un sogno, appunto, in questo momento.
Perché prima dell’elezione del nuovo Presidente, sul quale la minoranza si scatenerà (e vanno lette anche in questo senso le dichiarazioni di D’Alema), il governo non riuscirà né a far votare la legge elettorale in via definitiva, né le riforme costituzionali in Senato. E allora, ecco le ritorsioni: è stata annullata l’Assemblea regionale della Toscana, che doveva dare il via alla ricandidatura di Enrico Rossi (anche lui minoranza) alla Presidenza della Regione. “A maggio si vota”, assicurano i renziani. Per adesso, un miraggio.
Repubblica 12.12.14
La resa dei conti di Renzi con la minoranza del Pd
“Basta con D’Alema e Bindi, in Assemblea chiudo i giochi”
L’ex segretario Ds attacca il sottosegretario Delrio: “Non può minacciare i parlamentari”. Il premier: “E allora pubblico i bilanci della segreteria Bersani”
di Francesco Bei
Due partiti ormai convivono sotto lo stesso tetto democratico. E ogni pretesto è buono per darsele di santa ragione. Dopo “l’incidente” di mercoledì alla Camera, quando la minoranza dem ha votato con le opposizioni in commissione affari costituzionali, mandando a gambe all’aria il governo, ieri i toni sono saliti alle soglie della rottura. Persino un moderato come il sottosegretario Graziano Delrio, incrociando un cronista dell’ Agi, si è lasciato andare a uno sfogo pesante: «Se la minoranza del Pd vuole andare a votare lo dica. Gli incidenti parlamentari possono anche capitare, ma quello che è successo ieri non esiste. Basta segnali di vecchia politica». Un colpo al quale ha subito risposto per le rime Massimo D’Alema: «È stupefacente che una persona ragionevole come il sottosegretario Delrio non trovi di meglio che minacciare i parlamentari». E così via, Boccia contro Renzi, D’Attorre contro Delrio, Chiti contro Giachetti, in un crescendo di minacce e ripicche. Quanti ai «segnali politici» che la minoranza ha inteso dare sulle riforme costituzionali, da Ankara il premier risponde sibillino: «Ne parliamo domenica all’assemblea del Pd. Per me comunque la legislatura finisce a febbraio 2018». Un rinvio a domenica per la resa dei conti interna, in quello che si preannuncia come un vero mini-congresso democratico. Un appuntamento che il segretario concepisce come una sorta di tribunale interno per isolare e colpire definitivamente l’opposizione interna.
L’umore che dalla Turchia corre sul filo delle telefonate fatte da Renzi ai suoi è nero. «Sono stufo di queste critiche sprezzanti dei vari Bindi e D’Alema», ripete in privato il capo del governo. «Rieccoli, la premiata ditta Bindi-D’Alema di nuovo in azione», chiosa Debora Serracchiani. La minaccia del segretario sa di arma finale. «Volevano mandare un segnale? Lo manderò anch’io. Per esempio mettendo online i bilanci del Pd durante le segreterie di Epifani e Bersani». L’assemblea, il suo esito, sarà dunque «vincolante» per tutti. Renzi presenterà un documento («vergato di mio pugno») sulle riforme e, come accaduto in Direzione, lo metterà ai voti. A quel punto nessuno potrà far finta di non aver capito. I renziani sono anche più neri del capo. Il tam-tam tra i fedelissimi suona come una campana a morto per la segreteria unitaria, dove siedono Micaela Campana (bersaniana) e Andrea De Maria (cuperliano). «Le loro poltrone traballano», riferiscono dal giglio magico. Le possibili ritorsioni, i «segnali» come li chiama il premier, non si contano. Al punto che, «per il bene del partito» s’intende, il segretario potrebbe sospendere le primarie in Toscana. E colpire così il governatore Enrico Rossi, facendo magari balenare l’ipotesi di un cambio di cavallo. «La verità - spiega Michele Anzaldi in un corridoio della Camera - è che con “loro” Renzi è stato fin troppo generoso. Hanno le presidenze di commissione, hanno posti in segreteria, fanno quello che vogliono, mentre il presidente del Consiglio ha solo due ministri “renziani”, la Boschi e Gentiloni».
A bruciare più di tutto è quel voto che ha cancellato i senatori a vita. Non tanto per il merito, ovviamente, quanto per il colpo inferto all’immagine del premier. «Il governo ha fatto una forzatura - ricostruisce Alfredo D’Attorre - non c’era nessun accordo e la Boschi è voluta andare al voto comunque. Renzi è irritato? Noi più che lavorare di notte nei weekend che possiamo fare?». Roberta Agostini, un’altra della minoranza, insiste che «non è interesse di nessuno sabotare le riforme, ma quello che si può migliorare va migliorato». Una lettura minimale che non è condivisa da chi regge oggi le sorti del Pd. A partire dal presidente Orfini: «Hanno mandato sotto il governo. A che gioco giochiamo?». Tanto che si riparla di una sostituzione dei “ribelli” in prima commissione, un atto che sarebbe una vera dichiarazione di guerra.
Se a Montecitorio si gioca duramente, a palazzo Madama le cose non vanno meglio. Il cammino dell’Italicum infatti è a rischio, sommerso com’è da una valanga di 12 mila emendamenti e migliaia di sub-emendamenti, in gran parte escogitati da Roberto Calderoli. Oltre millecinquecento arrivano anche dai frondisti e fittiani di Forza Italia e Gal. «L'intento è ostruzionistico», ammette Augusto Minzolini. Anche la minoranza dem non resta con le mani in mano con una ventina di emendamenti. Miguel Gotor, in particolare, insiste affinché i capilista non siano bloccati «perché deve essere restituito ai cittadini il diritto di scegliere i parlamentari soprattutto in vista del fatto che avremo solo una Camera politica». Insomma, l’obiettivo di Renzi di spedire in aula il testo prima di Natale a questo punto sembra sfumato, a meno che gli emendamenti non vengano ritirati. Calderoli è disposto a farlo solo in cambio di «una legge elettorale equilibrata».
Nico Stumpo, bersaniano, di fronte al campo di battaglia in cui si è trasformato il Pd, riscopre un antico proverbio di Sezze: «Quando due ciechi si prendono a sassate si fanno male tutti». Un invito ad abbassare i toni, altrimenti a rimetterci sarà tutto il partito.
Re: COME VA IL PD
Inviato: 12/12/2014, 23:07
da camillobenso
Repubblica 12.12.14
Nello scontro interno al Pd in gioco la vita del governo
Renzi cambia registro con i sindacati: per non approfondire il solco ricuce con un pezzo di storia della sinistra
di Stefano Folli
L’ITALIA dello sciopero generale rivela un volto diverso del presidente del Consiglio, che pure non nega di essere in disaccordo con Cgil e Uil. Ma l’uomo dello scontro con i sindacati, il premier che in un’altra occasione aveva detto sprezzante: «Per tre milioni che scendono in piazza, ce ne sono 57 milioni che lavorano», stavolta cambia registro. Lo sciopero è un «diritto sacrosanto» da rispettare. Addirittura sembra che Renzi abbia svolto il ruolo discreto di paciere fra Susanna Camusso e il ministro Lupi che intendeva precettare i ferrovieri. In altri termini, qualcosa è cambiato nel tono e forse anche nella sostanza. Come se il presidente del Consiglio non volesse approfondire il solco con le forze sindacali alla vigilia di un evento sociale di rilievo qual è uno sciopero generale; e anzi avesse bisogno di un migliore rapporto con un pezzo di storia della sinistra. Troppi fronti aperti sono un azzardo e Renzi ne ha già parecchi. Uno in particolare riguarda la prova di forza, quasi una resa dei conti con la minoranza, cominciata all’interno del Pd. In apparenza ha preso il via ieri con lo scambio polemico fra il sottosegretario Delrio e D’Alema. In realtà il punto di partenza va fissato al giorno prima, quando alla Camera, in commissione, la maggioranza è stata battuta su un dettaglio della riforma del Senato.
Niente di troppo grave in sé, ma era il segnale che le ostilità sono aperte. La posta in gioco è molto alta e c’è da credere che stavolta distingueremo sul campo di battaglia i vincitori e i vinti. In prospettiva sulla bilancia c’è il destino del fenomeno politico «renziano», il che porta con sé anche gli interrogativi sulla sopravvivenza del governo e sulla durata della legislatura. Ma prima c’è un passaggio concreto, destinato a ridefinire i rapporti di forza nelle istituzioni. Un passaggio che è preliminare a tutti gli altri: l’elezione del capo dello Stato.
In condizioni normali le battute acide fra Delrio e D’Alema sarebbero solo una scaramuccia. Ma oggi è diverso. Il sottosegretario ha attaccato in modo frontale la minoranza del Pd nelle stesse ore in cui il capo del governo poneva se stesso come estremo argine prima dell’arrivo in Italia della «troika»: quindi niente più ottimismo e fiducia nella ripresa, ma uno squarcio drammatico aperto sul futuro imminente, drammatizzando senza mezzi termini le difficoltà parlamentari. Renzi sembra ormai convinto che la minoranza non recede. Gli intransigenti dovrebbero essere alcune decine fra Senato e Camera. Ovvio però che potrebbero diventare di più quando si comincerà a votare il presidente della Repubblica. Il voto segreto, al riparo di quelle sobrie tendine, incoraggia anche i meno coraggiosi. E non è un caso che D’Alema abbia ribattuto a Delrio invocando l’autonomia del Parlamento in materia di riforme istituzionali esulanti dalla responsabilità diretta del governo.
Di conseguenza la minoranza del Pd si prepara a un braccio di ferro il cui obiettivo, nonostante i rischi, è condizionare le scelte del premier. Sulle riforme, certo, da rivedere o rinviare. Ma soprattutto sull’elezione del capo dello Stato. Senza lasciare a Renzi la possibilità di coagulare il partito, costruire il ponte con i centristi di Alfano e cercare qualche apporto dai transfughi «grillini». Se l’operazione riuscisse, sarebbe Renzi e solo lui il «king maker» di un presidente eletto con i voti determinanti della maggioranza (ma Berlusconi può sempre agganciarsi). Un presidente che non dovrebbe dimenticare, almeno all’inizio, il debito di gratitudine verso il suo grande elettore. Se invece il disegno fallisse, il capo dello Stato potrebbe essere un nome imposto a Renzi e da lui accettato in mancanza di alternative. Ne deriverebbero conseguenze rilevanti nell’equilibrio dei poteri.
Forse la polemica Delrio-D’Alema è il primo atto di questa partita essenziale. Ma Renzi, almeno per una volta, ha voluto aggirare tutti a sinistra: segno che si prepara a giocare con le sue carte.
Corriere 12.12.14
Un partito spaccato mette a rischio le riforme
di Massimo Franco
Non è chiaro se Matteo Renzi abbia evocato le elezioni anticipate sapendo che avrebbe sollevato un vespaio; né se si rendesse conto che, accreditando dopo il suo governo solo il commissariamento dell’Italia da parte della troika finanziaria internazionale, avrebbe solo alimentato l’allarmismo. Il risultato, voluto o no, è che il suo Pd riemerge sull’orlo di una spaccatura; e che sia la riforma elettorale, sia l’elezione del prossimo presidente della Repubblica promettono di trasformarsi davvero in un terno al lotto. Sta emergendo una sorta di fronte trasversale antirenziano, annidato in Parlamento, deciso a sabotare quella che vedono come una corsa alle urne.
I ventotto senatori della minoranza del Pd che ieri hanno proposto l’entrata in vigore dell’Italicum dopo il «sì» al bicameralismo, puntano a un obiettivo: togliere a Palazzo Chigi qualunque possibilità di minacciare il voto anticipato, perché la legge slitterebbe. E l’operazione si salda con quella di FI, che fa sapere di essere disposta a votare la riforma elettorale soltanto dopo la scelta del successore di Giorgio Napolitano: e cioè dopo gennaio. Altrimenti, minaccia, «salta tutto». È un modo per tentare di piegare il premier alla trattativa con Silvio Berlusconi, dopo che Renzi ha messo in mora il patto del Nazareno.
«Governo e maggioranza senza Forza Italia non esistono», sostiene Il Mattinale, il bollettino del partito alla Camera. E cita gli scivoloni collezionati dalla coalizione negli ultimi mesi. Ma il problema del capo del governo non sono tanto i rapporti con Berlusconi, quanto quelli interni al Pd. La vera difficoltà è che i gruppi parlamentari rimangono un focolaio di resistenza nei confronti sia delle riforme, sia dei metodi del premier. Il braccio destro renziano a Palazzo Chigi, Graziano Delrio, chiede alla minoranza di dire esplicitamente se punta a interrompere la legislatura. Ma gli viene fatto notare che sono stati gli uomini del premier a parlarne.
Massimo D’Alema accusa Delrio di «minacciare i parlamentari». E gli fa notare che «le riforme costituzionali sono materia squisitamente parlamentare». Eppure, rimane l’impressione di riforme maneggiate strumentalmente; ridotte a schermo di una resa dei conti permanente all’interno del Pd. Il Parlamento è la stanza di compensazione dello scontro tra Renzi e i suoi oppositori.
Il premier assicura che se alcune votazioni volevano essere «un segnale politico», rimetterà le cose a posto. E la riforma costituzionale, «rispetterà i termini previsti». Le migliaia di emendamenti presentati dalla Lega, e non solo, per intralciare i lavori, fanno capire che sarà una nervosa corsa a ostacoli . A seminarli, tuttavia, non è il comportamento di Renzi in sé. La sua debolezza deriva dai magri risultati del governo in economia, che l’Europa continua a sottolineare ruvidamente.
Re: COME VA IL PD
Inviato: 13/12/2014, 21:52
da camillobenso
D’ALEMA, FISCHI E INSULTI BARI LO CACCIA DALLA PIAZZA
(Paola Zanca).
13/12/2014 di triskel182
“VENDUTO”, “LURIDO”, “PAGLIACCIO”: I 350 METRI PIÙ LUNGHI DEL LÍDER MÁXIMO.
Massimo, cammina”. Il consiglio non richiesto si sente a malapena, in mezzo alla bolgia in cui sta sfilando Massimo D’Alema. Siamo a Bari, Regione Puglia, la stessa di Gallipoli, storico feudo del consenso dalemiano. Eppure alla fine dell’anno 2014 qui, per D’Alema, dei feudi e dei consensi non è rimasta nemmeno l’ombra. C’è un’unica mano, avambraccio vestito di felpa blu, che si allunga per stringere quella di colui che fu tra gli uomini più in vista della sinistra italiana.
Poi, in due minuti e mezzo di camminata a passo lento, sono solo fischi e insulti. Si vedono alcune sparute bandiere azzurre della Uil. Ma intorno è tutto rosso. Sventolano le bandiere della Fiom e della Cgil.
E lui può solo mordicchiare il dito medio, sistemare l’occhiale, arricciare il baffetto per sfogare il nervosismo dei 350 metri più imbarazzanti della sua vita.
“Basta rubare”, “Vai via”, “Pezzi di merda”. Usano il plurale, sono fischi rivolti all’intera categoria. “Venduto”, “Siete dei porci”. Lo scortano un paio di persone, strette ai suoi fianchi nel tentativo, vano, di proteggerlo dall’ignominia. Ma non c’è bisogno di avvicinarsi per buttarlo a terra. Dietro ci sono altre persone che si muovono con lui. “Massimo, cammina”, gli suggeriscono. “Fermati!”, urla invece uno dei contestatori. “Bastardi”, si sente ancora. Poi, arrivati all’altezza di piazza Massari, uno degli uomini che lo accompagna è costretto ad abbassare la testa. Hanno lanciato qualcosa, invisibile a occhio nudo, pare sia terriccio. “Ci avete lasciato nella merda”, “Vergognatevi”, “Lurido”. I suoi hanno accelerato il passo. D’Alema invece rallenta, gira la testa indietro, e di nuovo l’uomo che sta alle sue spalle, lo spinge dolcemente come a dirgli ancora: “Massimo, cammina”. Non gli resta che rifugiarsi nel telefonino.
“Pagliaccio”, “No Armeggia sulla tastiera mentre ancora urlano: “
Siete quelli che hanno affondato l’Italia”. "Noi ci dobbiamo fare un culo così per arrivare a fine mese”, “Ci hai condannato a morte, bastardo”. ALLE 16.22, Alternativa comunista batte un comunicato: “Siamo stati noi”. Magari, direbbe D’Alema. Perché il dato più sconcertante di quei due minuti e mezzo di passeggiata barese è proprio la folla di lavoratori, circondata dalle pettorine del servizio d’ordine del sindacato, che si rivolta contro uno che, fino a qualche tempo fa, sarebbe stato fermato quantomenoper farsi un selfie. In quei trecentocinquanta metri tra la piazza dove si stava tenendo il comizio per lo sciopero generale e l’hotel dove era diretto D’Alema, si consuma l’ultimo atto della sua carriera politica. Prima prova a parare il colpo: “Veramente ero andato a trovare il sindaco di Bari e, uscendo dal comune, mi sono infilato in mezzo all’Ugl ma non mi ero reso conto precisamente”. Poi è costretto a raddrizzare il tiro: “I lavoratori sono in piazza per chiedere un maggiore impegno per il lavoro, per lo sviluppo, e questo mi pare comprensibile – dice – C’è un problema drammatico di una crisi economica e sociale che si trascina ormai da molti anni. Molte persone non vedono una prospettiva e quindi è chiaro che questo scatena una rabbia verso la politica in generale, i partiti e verso tutti”. Anche verso lui, che pure si è autorottamato, non è più parlamentare e al governo Renzi non ha mai lesinato critiche, tant’è che ieri, oltre a lui, nelle piazze della protesta si sono visti altri dissidenti Pd come Pippo Civati e Stefano Fassina . Ancora ieri, D’Alema, ribadiva le sue perplessità sui rapporti tra il premier e il mondo del lavoro : “L’asprezza dello scontro, l’insulto, il disprezzo del sindacato a cui abbiamo assistito in queste settimane non ci sono mai stati e secondo me sono un errore”. Massimo Paolucci, vicepresidente degli europarlamentari Pd, sostiene che quella che ha contestato D’Alema è una “sparuta pattuglia di noti estremisti”, “gli stessi che da anni contestano i sindacati organizzatori dello sciopero generale”. Eppure le bandiere rosse sono lì, mescolate alle urla.
Claudio Velardi, per una vita braccio destro di D’Alema, su Twitter dà la sua personalissima interpretazione della giornata barese: “Chi semina vento…”. Se ci fosse ancora quell’uomo, lì dietro, direbbe “Massimo, cammina”.
Da Il Fatto Quotidiano del 13/12/2014.
Re: COME VA IL PD
Inviato: 13/12/2014, 22:25
da camillobenso
Riforme, Renzi pronto a scontro con minoranza Pd. Ma la vera partita è il dopo-Napolitano
Politica & Palazzo
Domani all'assemblea del partito, il premier mostrerà i muscoli chiedendo il voto sulla sua relazione. Atteso uno "show" del tesoriere Bonifazi sui conti lasciati dai predecessori. Ma nessuna espulsione o sanzione. Il partito deve restare unito fino alle dimissioni di Napolitano, attese per la metà di gennaio. Gotor: "Premier nervoso perché il patto con B. è a rischio"
di Giuseppe Alberto Falci | 13 dicembre 2014
Lo scontro “vero” è rimandato all’elezione del Capo dello Stato. Ma già da domani – quando si riunirà l’Assemblea nazionale del Pd al Parco dei Principi della Capitale – si aprirà una nuova fase del partito guidato da Matteo Renzi. Una “nuova fase” che di certo passerà dall’attesa relazione del premier-segretario. Allontanerà dalla segreteria i bersaniani e i cuperliani, annullando nei fatti la gestione unitaria? Prenderà provvedimenti disciplinari o addirittura espellerà chi non si adeguerà alla linea dell’esecutivo e del partito? Domande, queste, che in queste ore attanagliano gran parte dei dirigenti del Nazareno, e su cui neanche i fedelissimi del segretario sanno rispondere. Del resto, l’ultima parola, nonostante si consulti costantemente con Luca Lotti e Maria Elena Boschi, spetterà come sempre all’inquilino di Palazzo Chigi. “Fa sempre di testa sua, e la decisione arriverà all’ultimo minuto”, rivelano dai piani alti del Nazareno.
Di certo, i renziani duri e puri si attendono un discorso duro da parte di Renzi, il quale, stando alle descrizione che circolano in queste ore, sarebbe parecchio “irritato” e “nervoso” per le divisioni interne e, soprattutto, per il ko subito dal governo in commissione Affari Costituzionali sul ddl costituzionale. La riforma del Senato è impantanata a Montecitorio, e appare probabile che alla luce dell’ostruzionismo da parte dell’opposizione interna ed esterna non sarà incardinata prima delle ferie natalizie. Insomma, tutto rimandato al nuovo anno quando diverrà prioritaria un’altra questione: la successione di Giorgio Napolitano.
Ecco perché al momento, la linea allo studio di Palazzo Chigi è quella dello scontro: “Noi – dice a ilfattoquotidiano.it un renziano – controlliamo l’80% dei membri dell’Assemblea. Non abbiamo affatto paura. Anzi. Domani Renzi andrà dritto come un treno e chiederà mandato pieno al partito sul percorso delle riforme. Si metterà in votazione la sua relazione e poi ci sarà uno show di Bonifazi sui conti interni al partito: facendo un prima, un durante e un dopo”. I fucili sono tutti puntati sui cosiddetti dissidenti, “i Civati, i Fassina e D’Attore”, i frenatori del percorso delle riforme, i quali non intendono indietreggiare su nessun punto del piano dell’esecutivo. “Noi siamo interessati a una discussione sulla politica – scandisce Alfredo D’Attore a ilfattoquotidiano.it – non siamo interessati a partecipare a una corrida o una arena. Mi auguro che Renzi non cerchi pretesti”. Ecco. La preoccupazione che circola con insistenza in ambienti interni alla minoranza Pd è che “Renzi – spiega il senatore Miguel Gotor – tende a demonizzare la minoranza del Pd in modo falso e sbagliato per coprire il vero problema politico: l’incrinatura del Patto del Nazareno a causa dell’instabilità interna a Forza Italia. Ed è il patto del Nazareno il peso della sua forza, quindi è nervoso”.
In realtà il nervosismo investe tutte le anime interne ai democrat, segno che dietro le distanze sul Jobs Act o sulla riforma costituzionale si celano altre partite. Una, ed è questione prioritaria, è l’elezione del Capo dello Stato. Con il Patto del Nazareno che “scricchiola” il premier-segretario è costretto a tenere insieme il partito. Altrimenti, scherza un bersaniano di ferro, “hai voglia a impallinare candidati”. Ecco perché fin da domani nel backstage del Parco dei Principi Renzi, o comunque il “forlaniano” Guerini, potrebbero cominciare ad annusare gli animi della minoranza bersaniana sulla questione Capo dello Stato. Anche se domani, “prima ancora del Capo dello Stato sarà interessante comprendere quante persone prenderanno parte all’Assemblea. Ci sarà il numero legale? Al momento nel Pd c’è un problema di tenuta del Pd…”.
Twitter: @GiuseppeFalci
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12 ... o/1272560/
Re: COME VA IL PD
Inviato: 13/12/2014, 22:36
da camillobenso
Renzi pronto a scontro con minoranza Pd. Ma la vera partita è il dopo-Napolitano
Il dopo Napolitano???
E se si scatenasse un Vietnam???
Renzi come al solito vuole una presidenza che non lo oscuri. Ecco perché ha proposto e bruciato Riccardo Muti.
Berlusconi vuole un presidente di centro destra.
Grillo....Boh
Salvini vuole, Feltri, Ostellino, o Caprotti, presidente della Esselunga.
Non sarà un giro di giostra.