Re: Top News
Inviato: 23/10/2013, 20:35
il Fatto 23.10.13
Le “panzane” di Napolitano
di Fabrizio d’Esposito
Il Fatto riporta le accuse del falchi del Pdl al presidente sul patto tradito di graziare Berlusconi “motu proprio”. Il capo dello Stato perde la testa e insulta il nostro giornale per smentirli. Peccato che non abbia aperto bocca quando altri scrissero le stesse cose o quando B. lo chiamò “i naffidab ile” e minacciò di “rivelare tutte le sue promesse”
UN PATTO CON SILVIO? PER IL COLLE NON C’È “PANZANA ASSURDA”
UNA NOTA DI NAPOLITANO CONTRO “IL FATTO QUOTIDIANO” E I FALCHI DEL PDL CHE LO ACCUSANO DI “TRADIMENTO” MA BERLUSCONI CONTINUA A RICHIEDERE UN SALVACONDOTTO
La resa dei conti sulla decadenza di B. si avvicina e Giorgio Napolitano teme sempre di più il faccia a faccia finale con il Cavaliere, snodo cruciale della legislatura e del-l’implosione imminente del Pdl. Oggetto: il “patto tradito” di cui più volte ha parlato in questi giorni Daniela Santanchè, guida politico-mediatica dei falchi berlusconiani. Ed è per questo che ieri il Quirinale ha stroncato con una nota durissima un articolo del Fatto in cui si dava conto del contenuto di questo “patto tradito” secondo l’ala guerrigliera del Pdl: una grazia motu proprio del Colle per la condanna definitiva del Cavaliere sui diritti tv Mediaset. Indiscrezione, peraltro, riportata anche da Repubblica senza evidenza, però, nel titolo o nei sommari.
DI QUI L’ANATEMA del Colle contro il nostro quotidiano, affinché la Pitonessa Santanchè e gli altri falchi intendano: “Solo il Fatto Quotidiano crede alle ridicole panzane come quella del patto tradito dal presidente Napolitano”. Oggi in un’intervista, la stessa Santanchè, che al Colle viene appellata con fastidio come “la Signora”, replica che la vera panzana è la pacificazione promessa a suo tempo a Berlusconi . Perché, andando alla radice del caos attuale da larghe intese, il problema è questo. Nella primavera scorsa il Cavaliere fu uno dei protagonisti dell’incredibile evoluzione politica dopo gli sfaceli bersaniani: il patto per la rielezione di Napolitano al Quirinale, poi quello per Enrico Letta a Palazzo Chigi con l’appendice, allo stesso tempo, di sbarrare la strada a Renzi premier. Lo rivela lo stesso sindaco di Firenze nel suo ultimo libro, raccontando una telefonata di B.: “Non c’è un veto nostro, caro sindaco. Semplicemente non vogliamo te, preferiamo Amato e Letta”. Oggi i soliti falchi aggiungono altri velenosi dettagli: “Fu Napolitano a chiedere a B. di fermare Renzi”. Vero o falso che sia, è in corso una guerra totale tra il Colle e il Cavaliere versione falco per il “rispetto dei patti di primavera” . Guerra destinata a intensificarsi a mano a mano che si approssimerà la data fatidica della decadenza al Senato. Non a caso, proprio ieri, quando il Colle ha diramato la nota contro il Fatto (e non è la prima), sul Corriere della Sera è uscito un accorato editoriale del costituzionalista Michele Ainis, saggio delle riforme, che ha una frase chiave: “Attorno a Napolitano si sta scavando un vuoto. Magari perché i partiti l’avvertono in uscita, pur avendogli chiesto di rientrare al Quirinale”. Ed è quel vuoto che innervosisce tantissimo Napolitano. Con un timore: cosa succederà quando B. sarà dichiarato decaduto da Palazzo Madama? Dalla corte berlusconiana, che oggi dovrebbe tornare a Roma, forse, dicono: “Abbiamo perso il conto di quante volte, nei mesi scorsi, Gianni Letta è stato ricevuto al Colle. Chissà, forse il presidente teme di essere sbugiardato da Berlusconi”. Santanchè (e Fatto) a parte, è stato infatti proprio il Cavaliere, al-l’inizio di ottobre, a mettere nero su bianco i termini della questione sulla sua condanna. Dalla lettera al settimanale ciellino Tempi di Luigi Amicone: “Enrico Letta e Giorgio Napolitano avrebbero dovuto rendersi conto che, non ponendo la questione della tutela dei diritti politici del leader del centrodestra nazionale, distruggevano un elemento essenziale della loro credibilità e minavano le basi della democrazia parlamentare. Come può essere affidabile chi non riesce a garantire l’agibilità politica neanche al proprio fondamentale partner di governo e lascia che si proceda al suo assassinio politico per via giudiziaria”. Ecco, dal suo punto di vista, Berlusconi ha chiesto di onorare i patti iniziali delle larghe intese. Adesso, però, le manovre per accantonarlo e ridurlo al ruolo di padre nobile di un centrodestra alfanizzato, perdipiù con Casini, lo rendono cupo, pessimista e volubile. Per cui nessuno è in grado di prevedere, né falchi né colombe, la sua decisione finale. Che sia questo il quadro lo confermano le cronache di questi giorni. Ecco, per esempio, lunedì scorso, come il Corriere della Sera ha dato conto del primo attacco della Santanchè al Colle sul “patto tradito”: “Parole durissime, che certamente nella sostanza, in privato, Berlusconi ripete spesso e che sono il cuore dei suoi sfoghi di questi giorni”. Sono gli stessi sfoghi in cui ripete: “Non posso continuare a stare con i miei carnefici”.
QUESTA È LA GUERRA in corso. Si può far finta di non vederla, isolando i falchi mandati avanti, e nascondersi dietro la liturgia di note e solidarietà di circostanza. Ma prima o poi esploderà.
il Fatto 23.10.13
Il giurista Franco Cordero:
“Neapolitanus Rex ha instaurato una specie di monarchia”
“Addio riforme, la monarchia di Giorgio può finire”
intervista di Silvia Truzzi
L’ultimo lavoro di Franco Cordero s’intitola Morbo italico: il diagnosta – professore emerito di Procedura penale alla Sapienza e commentatore di Repubblica – non sembra ottimista. “Il berlusconismo”, nota sulla soglia dell’intervista, “è organicamente entrato nel corpo italiano”.
Testuale dal libro: “L’anno scorso Neapolitanus Rex era inviolabile nei colloqui riservati: adesso nemmeno i parlamentari possono nominarlo, salvo che cantino laudi; sotto Giacomo II Stuart non esistevano censure così ferree. Quali siano i suoi poteri e come li eserciti, è questione politica, liberamente discutibile. Ha una falsa idea del
Parlamento chi pretende banchi muti o plaudenti”.
Vediamo l’etimologia: “Parlamento” significa luogo in cui rappresentanti del paese discutono de re publica in spirito laico; non vigono interdetti. L’augusta persona è attore nel teatro politico: rieletto (primo nella storia italiana), occupa larghi spazi interloquendo spesso; naturale che se ne parli, e il taglio critico riesce più serio dell’ossequio cortigianesco. Salta al-l’occhio la singolarità d’una rielezione combinata da 101 franchi tiratori intriganti notturni. Spira aria monarchica, nel senso d’un re che governa. Nei sette anni del primo mandato non emette sillaba sullo spaventoso conflitto d’interessi nel quale il pirata governava pro domo sua: anzi, coopera ai famigerati lodi d’immunità, vistosamente invalidi; tiene in piedi i resti d’un regime fallimentare; predica e impone l’ibrido berlusconoide (“meno male che Giorgio c’è”, cantava l’interessato).
E le riforme costituzionali?
Le saluta l’Olonese, al cui triplo stomaco non basta mai la misura del potere: è taumaturgo ma aveva le mani legate; appena gliele sciolgano, saranno mirabilia. Presiede l’officina un suddito d’Arcore, ministro ad hoc, e non era tiepido nel culto del Caimano .
Riforme capitali sotto un governo che nessuno immaginava, in un Parlamento eletto con una legge incostituzionale. Cominciano mettendo disinvoltamente le mani nell’art. 138, dov’è stabilito in qual modo siano operabili revisioni costituzionali.
Dicono di seguire la procedura corretta.
Affiora un limite definibile “sordità logica”. La questione è se l’art. 138 sia emendabile. Supponiamo che, seguendo quell’iter, le Camere lo riscrivano: nella nuova formula basti una maggioranza qualunque; o non siano più necessari i due voti con l’intervallo d’almeno tre mesi; o cada il requisito del referendum. Il prodotto sarebbe invalido. Finché duri l’attuale ordinamento, la Carta è modificabile solo nel modo stabilito dai costituenti: norme diversamente formate non appartengono al sistema 1° gennaio 1948; spetta alla Corte liquidarle. Se poi la discontinuità prende piede, perché il coup de main risulta effettivo, s’instaura un nuovo ordinamento: non è detto che le rivoluzioni espugnino Bastiglie o Palazzi d’Inverno; talvolta avvengono senza rumore, sornione. In ultima analisi, le regole dipendono dal fatto che i chiamati ad applicarle ubbidiscano o no.
Che funzione ha l’articolo 138?
Quale meccanismo genetico, sta sopra le norme passibili d’una revisione. Anche in sede giuridica vigono i livelli identificati da Bertrand Russell (teoria delle classi) e confondendoli alleviamo paradossi. Epimenide ne scova uno 26 o 27 secoli fa: “tutti i cretesi mentono”, enunciato universale affermativo (l’opposto è che almeno uno dei predetti sia credibile, almeno una volta) ; è vero o falso quando l’affermi un cretese? Vero, se falso, falso perché vero: frasi simili non hanno senso; l’acquistano appena dalla classe “cretesi” togliamo l’enunciante. Sul piano pratico, il paradosso del cretese bugiardo sviluppa disordini. Inteso nel senso debole (e sarebbe gesto eversivo), l’art. 138 diventa grimaldello micidiale. L’Olonese arrembante aspirava al potere assoluto: in quali forme, lo indicano tanti episodi, incluse serate d’Arcore, né muta natura in vista degli ottant’anni; e nel governo presieduto dal Pd Letta junior, nipote del plenipotenziario Pdl, manovra l’alambicco costituente, cavandone capolavori, un devoto berlusconiano della specie ornitologica “quaglia-colomba”. Navighiamo sul Narrenschiff, allegra nave dei folli, ricorrente nella pittura quattro-cinquecentesca.
La Corte d’assise di Palermo ha accolto la richiesta del pubblico ministero d’ascoltare il Capo dello Stato nel processo sulla trattativa Stato-mafia.
Se ne discuteva l’anno scorso ed era prevedibile che in qualche modo riemergesse l’asserita inviolabilità del Totem, qualunque sia il contesto. In materia esiste una sentenza suicida della Consulta, dissecata nel Morbo italico. Eventi simili sprigionano dei riflessi: s’allinea subito ad regem la loquace Guardasigilli; scattano i quirinalisti; niente esclude un secondo sciagurato conflitto, sebbene il tema siano cose dette dal-l’allora consigliere su fatti remoti, estranee alle funzioni del Presidente. Dunque, nihil obstat e speriamo che stavolta nessuno opponga l’inesistente prerogativa.
I piani d'amnistia e indulto contemplano B.?
No, esclamano fonti virtuose, e guai a chi lo pensa; ma nei circuiti dell’eufemismo regna Monsieur Tartuffe: gli applausi dicono come i forzaitalioti intendano l’idea d’una clementia principis.
Ancora da Morbo italico: “Giochi notturni hanno riportato Napolitano sul Colle dopo sette anni, pesanti nella bilancia politica; e nessuno s’aspetta un autocritico passo abdicativo: rimane lassù fino all'anno 2020, in età da patriarca, ma prima d’allora sarà bancarotta, se non interviene qualche santo”. E poi: “Se vogliamo che qualcosa cambi in meglio e organicamente, questo governo deve andarsene. Impossibile finché dal Quirinale vegli GN”.
Tutti a casa?
L’ideale sarebbe un salto retrogrado ad aprile, quando Montecitorio votava in seduta comune, e mantenere la parola data a Romano Prodi, ma la freccia del tempo non vola indietro. Resta nel possibile che il rieletto d’allora attui la minaccia d’andarsene, offeso dalle mancate riforme (quas Deus avertat, se è permesso lo scongiuro latino).
il Fatto 23.10.13
Lettere dal Quirinale La terza in pochi mesi
È LA SECONDA VOLTA in pochi mesi che il capo dello Stato detta una nota che ha per oggetto Il Fatto Quotidiano. Oggi sono le “panza n e ”, nel giugno scorso era “il ridicolo falso” (contenuto a dire del Colle nella domanda di un’intervista a Barbara Spinelli) “di un termine posto dal Presidente della Repubblica alla durata dell’attuale governo”.
La stessa tigna smentitoria non è stata adoperata con la medesima misura con i giornali che, in queste settimane, raccontavano di visite al Colle degli ambasciatori più improbabili, da Gianni Letta ad Angelino Alfano, carichi di richieste per conto del condannato di Arcore. Ad agosto, poi, il giorno era l’8, arrivò al nostro giornale un’altra lettera di smentita, a firma Giorgio Napolitano: “Nell'articolo dal titolo ‘Napolitano ordina al Pdl: Fate i bravi fino a ottobre’ pubblicato da il Fatto, già infondato nel titolo, sono state attribuite a mia moglie Clio affermazioni che non corrispondono al vero. Si tratta di vergognose e grossolane panzane, inventate di sana pianta da chi vuole soltanto creare confusione e pescare nel torbido. La prego di considerare questa una lettera non a titolo personale, bensì scritta a nome mio e di mia moglie”. La parola “panzana”, al Quirinale, va per la maggiore.
Le “panzane” di Napolitano
di Fabrizio d’Esposito
Il Fatto riporta le accuse del falchi del Pdl al presidente sul patto tradito di graziare Berlusconi “motu proprio”. Il capo dello Stato perde la testa e insulta il nostro giornale per smentirli. Peccato che non abbia aperto bocca quando altri scrissero le stesse cose o quando B. lo chiamò “i naffidab ile” e minacciò di “rivelare tutte le sue promesse”
UN PATTO CON SILVIO? PER IL COLLE NON C’È “PANZANA ASSURDA”
UNA NOTA DI NAPOLITANO CONTRO “IL FATTO QUOTIDIANO” E I FALCHI DEL PDL CHE LO ACCUSANO DI “TRADIMENTO” MA BERLUSCONI CONTINUA A RICHIEDERE UN SALVACONDOTTO
La resa dei conti sulla decadenza di B. si avvicina e Giorgio Napolitano teme sempre di più il faccia a faccia finale con il Cavaliere, snodo cruciale della legislatura e del-l’implosione imminente del Pdl. Oggetto: il “patto tradito” di cui più volte ha parlato in questi giorni Daniela Santanchè, guida politico-mediatica dei falchi berlusconiani. Ed è per questo che ieri il Quirinale ha stroncato con una nota durissima un articolo del Fatto in cui si dava conto del contenuto di questo “patto tradito” secondo l’ala guerrigliera del Pdl: una grazia motu proprio del Colle per la condanna definitiva del Cavaliere sui diritti tv Mediaset. Indiscrezione, peraltro, riportata anche da Repubblica senza evidenza, però, nel titolo o nei sommari.
DI QUI L’ANATEMA del Colle contro il nostro quotidiano, affinché la Pitonessa Santanchè e gli altri falchi intendano: “Solo il Fatto Quotidiano crede alle ridicole panzane come quella del patto tradito dal presidente Napolitano”. Oggi in un’intervista, la stessa Santanchè, che al Colle viene appellata con fastidio come “la Signora”, replica che la vera panzana è la pacificazione promessa a suo tempo a Berlusconi . Perché, andando alla radice del caos attuale da larghe intese, il problema è questo. Nella primavera scorsa il Cavaliere fu uno dei protagonisti dell’incredibile evoluzione politica dopo gli sfaceli bersaniani: il patto per la rielezione di Napolitano al Quirinale, poi quello per Enrico Letta a Palazzo Chigi con l’appendice, allo stesso tempo, di sbarrare la strada a Renzi premier. Lo rivela lo stesso sindaco di Firenze nel suo ultimo libro, raccontando una telefonata di B.: “Non c’è un veto nostro, caro sindaco. Semplicemente non vogliamo te, preferiamo Amato e Letta”. Oggi i soliti falchi aggiungono altri velenosi dettagli: “Fu Napolitano a chiedere a B. di fermare Renzi”. Vero o falso che sia, è in corso una guerra totale tra il Colle e il Cavaliere versione falco per il “rispetto dei patti di primavera” . Guerra destinata a intensificarsi a mano a mano che si approssimerà la data fatidica della decadenza al Senato. Non a caso, proprio ieri, quando il Colle ha diramato la nota contro il Fatto (e non è la prima), sul Corriere della Sera è uscito un accorato editoriale del costituzionalista Michele Ainis, saggio delle riforme, che ha una frase chiave: “Attorno a Napolitano si sta scavando un vuoto. Magari perché i partiti l’avvertono in uscita, pur avendogli chiesto di rientrare al Quirinale”. Ed è quel vuoto che innervosisce tantissimo Napolitano. Con un timore: cosa succederà quando B. sarà dichiarato decaduto da Palazzo Madama? Dalla corte berlusconiana, che oggi dovrebbe tornare a Roma, forse, dicono: “Abbiamo perso il conto di quante volte, nei mesi scorsi, Gianni Letta è stato ricevuto al Colle. Chissà, forse il presidente teme di essere sbugiardato da Berlusconi”. Santanchè (e Fatto) a parte, è stato infatti proprio il Cavaliere, al-l’inizio di ottobre, a mettere nero su bianco i termini della questione sulla sua condanna. Dalla lettera al settimanale ciellino Tempi di Luigi Amicone: “Enrico Letta e Giorgio Napolitano avrebbero dovuto rendersi conto che, non ponendo la questione della tutela dei diritti politici del leader del centrodestra nazionale, distruggevano un elemento essenziale della loro credibilità e minavano le basi della democrazia parlamentare. Come può essere affidabile chi non riesce a garantire l’agibilità politica neanche al proprio fondamentale partner di governo e lascia che si proceda al suo assassinio politico per via giudiziaria”. Ecco, dal suo punto di vista, Berlusconi ha chiesto di onorare i patti iniziali delle larghe intese. Adesso, però, le manovre per accantonarlo e ridurlo al ruolo di padre nobile di un centrodestra alfanizzato, perdipiù con Casini, lo rendono cupo, pessimista e volubile. Per cui nessuno è in grado di prevedere, né falchi né colombe, la sua decisione finale. Che sia questo il quadro lo confermano le cronache di questi giorni. Ecco, per esempio, lunedì scorso, come il Corriere della Sera ha dato conto del primo attacco della Santanchè al Colle sul “patto tradito”: “Parole durissime, che certamente nella sostanza, in privato, Berlusconi ripete spesso e che sono il cuore dei suoi sfoghi di questi giorni”. Sono gli stessi sfoghi in cui ripete: “Non posso continuare a stare con i miei carnefici”.
QUESTA È LA GUERRA in corso. Si può far finta di non vederla, isolando i falchi mandati avanti, e nascondersi dietro la liturgia di note e solidarietà di circostanza. Ma prima o poi esploderà.
il Fatto 23.10.13
Il giurista Franco Cordero:
“Neapolitanus Rex ha instaurato una specie di monarchia”
“Addio riforme, la monarchia di Giorgio può finire”
intervista di Silvia Truzzi
L’ultimo lavoro di Franco Cordero s’intitola Morbo italico: il diagnosta – professore emerito di Procedura penale alla Sapienza e commentatore di Repubblica – non sembra ottimista. “Il berlusconismo”, nota sulla soglia dell’intervista, “è organicamente entrato nel corpo italiano”.
Testuale dal libro: “L’anno scorso Neapolitanus Rex era inviolabile nei colloqui riservati: adesso nemmeno i parlamentari possono nominarlo, salvo che cantino laudi; sotto Giacomo II Stuart non esistevano censure così ferree. Quali siano i suoi poteri e come li eserciti, è questione politica, liberamente discutibile. Ha una falsa idea del
Parlamento chi pretende banchi muti o plaudenti”.
Vediamo l’etimologia: “Parlamento” significa luogo in cui rappresentanti del paese discutono de re publica in spirito laico; non vigono interdetti. L’augusta persona è attore nel teatro politico: rieletto (primo nella storia italiana), occupa larghi spazi interloquendo spesso; naturale che se ne parli, e il taglio critico riesce più serio dell’ossequio cortigianesco. Salta al-l’occhio la singolarità d’una rielezione combinata da 101 franchi tiratori intriganti notturni. Spira aria monarchica, nel senso d’un re che governa. Nei sette anni del primo mandato non emette sillaba sullo spaventoso conflitto d’interessi nel quale il pirata governava pro domo sua: anzi, coopera ai famigerati lodi d’immunità, vistosamente invalidi; tiene in piedi i resti d’un regime fallimentare; predica e impone l’ibrido berlusconoide (“meno male che Giorgio c’è”, cantava l’interessato).
E le riforme costituzionali?
Le saluta l’Olonese, al cui triplo stomaco non basta mai la misura del potere: è taumaturgo ma aveva le mani legate; appena gliele sciolgano, saranno mirabilia. Presiede l’officina un suddito d’Arcore, ministro ad hoc, e non era tiepido nel culto del Caimano .
Riforme capitali sotto un governo che nessuno immaginava, in un Parlamento eletto con una legge incostituzionale. Cominciano mettendo disinvoltamente le mani nell’art. 138, dov’è stabilito in qual modo siano operabili revisioni costituzionali.
Dicono di seguire la procedura corretta.
Affiora un limite definibile “sordità logica”. La questione è se l’art. 138 sia emendabile. Supponiamo che, seguendo quell’iter, le Camere lo riscrivano: nella nuova formula basti una maggioranza qualunque; o non siano più necessari i due voti con l’intervallo d’almeno tre mesi; o cada il requisito del referendum. Il prodotto sarebbe invalido. Finché duri l’attuale ordinamento, la Carta è modificabile solo nel modo stabilito dai costituenti: norme diversamente formate non appartengono al sistema 1° gennaio 1948; spetta alla Corte liquidarle. Se poi la discontinuità prende piede, perché il coup de main risulta effettivo, s’instaura un nuovo ordinamento: non è detto che le rivoluzioni espugnino Bastiglie o Palazzi d’Inverno; talvolta avvengono senza rumore, sornione. In ultima analisi, le regole dipendono dal fatto che i chiamati ad applicarle ubbidiscano o no.
Che funzione ha l’articolo 138?
Quale meccanismo genetico, sta sopra le norme passibili d’una revisione. Anche in sede giuridica vigono i livelli identificati da Bertrand Russell (teoria delle classi) e confondendoli alleviamo paradossi. Epimenide ne scova uno 26 o 27 secoli fa: “tutti i cretesi mentono”, enunciato universale affermativo (l’opposto è che almeno uno dei predetti sia credibile, almeno una volta) ; è vero o falso quando l’affermi un cretese? Vero, se falso, falso perché vero: frasi simili non hanno senso; l’acquistano appena dalla classe “cretesi” togliamo l’enunciante. Sul piano pratico, il paradosso del cretese bugiardo sviluppa disordini. Inteso nel senso debole (e sarebbe gesto eversivo), l’art. 138 diventa grimaldello micidiale. L’Olonese arrembante aspirava al potere assoluto: in quali forme, lo indicano tanti episodi, incluse serate d’Arcore, né muta natura in vista degli ottant’anni; e nel governo presieduto dal Pd Letta junior, nipote del plenipotenziario Pdl, manovra l’alambicco costituente, cavandone capolavori, un devoto berlusconiano della specie ornitologica “quaglia-colomba”. Navighiamo sul Narrenschiff, allegra nave dei folli, ricorrente nella pittura quattro-cinquecentesca.
La Corte d’assise di Palermo ha accolto la richiesta del pubblico ministero d’ascoltare il Capo dello Stato nel processo sulla trattativa Stato-mafia.
Se ne discuteva l’anno scorso ed era prevedibile che in qualche modo riemergesse l’asserita inviolabilità del Totem, qualunque sia il contesto. In materia esiste una sentenza suicida della Consulta, dissecata nel Morbo italico. Eventi simili sprigionano dei riflessi: s’allinea subito ad regem la loquace Guardasigilli; scattano i quirinalisti; niente esclude un secondo sciagurato conflitto, sebbene il tema siano cose dette dal-l’allora consigliere su fatti remoti, estranee alle funzioni del Presidente. Dunque, nihil obstat e speriamo che stavolta nessuno opponga l’inesistente prerogativa.
I piani d'amnistia e indulto contemplano B.?
No, esclamano fonti virtuose, e guai a chi lo pensa; ma nei circuiti dell’eufemismo regna Monsieur Tartuffe: gli applausi dicono come i forzaitalioti intendano l’idea d’una clementia principis.
Ancora da Morbo italico: “Giochi notturni hanno riportato Napolitano sul Colle dopo sette anni, pesanti nella bilancia politica; e nessuno s’aspetta un autocritico passo abdicativo: rimane lassù fino all'anno 2020, in età da patriarca, ma prima d’allora sarà bancarotta, se non interviene qualche santo”. E poi: “Se vogliamo che qualcosa cambi in meglio e organicamente, questo governo deve andarsene. Impossibile finché dal Quirinale vegli GN”.
Tutti a casa?
L’ideale sarebbe un salto retrogrado ad aprile, quando Montecitorio votava in seduta comune, e mantenere la parola data a Romano Prodi, ma la freccia del tempo non vola indietro. Resta nel possibile che il rieletto d’allora attui la minaccia d’andarsene, offeso dalle mancate riforme (quas Deus avertat, se è permesso lo scongiuro latino).
il Fatto 23.10.13
Lettere dal Quirinale La terza in pochi mesi
È LA SECONDA VOLTA in pochi mesi che il capo dello Stato detta una nota che ha per oggetto Il Fatto Quotidiano. Oggi sono le “panza n e ”, nel giugno scorso era “il ridicolo falso” (contenuto a dire del Colle nella domanda di un’intervista a Barbara Spinelli) “di un termine posto dal Presidente della Repubblica alla durata dell’attuale governo”.
La stessa tigna smentitoria non è stata adoperata con la medesima misura con i giornali che, in queste settimane, raccontavano di visite al Colle degli ambasciatori più improbabili, da Gianni Letta ad Angelino Alfano, carichi di richieste per conto del condannato di Arcore. Ad agosto, poi, il giorno era l’8, arrivò al nostro giornale un’altra lettera di smentita, a firma Giorgio Napolitano: “Nell'articolo dal titolo ‘Napolitano ordina al Pdl: Fate i bravi fino a ottobre’ pubblicato da il Fatto, già infondato nel titolo, sono state attribuite a mia moglie Clio affermazioni che non corrispondono al vero. Si tratta di vergognose e grossolane panzane, inventate di sana pianta da chi vuole soltanto creare confusione e pescare nel torbido. La prego di considerare questa una lettera non a titolo personale, bensì scritta a nome mio e di mia moglie”. La parola “panzana”, al Quirinale, va per la maggiore.