Re: Regionali 2015
Inviato: 31/05/2015, 10:50
31 MAG 2015 10:28
1.ALLA VIGILIA DEL VOTO LO SPACCONE DI PALAZZO CHIGI, DOPO AVER GIRATO L’ITALIA E LE TELEVISIONI A FARE CAMPAGNA ELETTORALE PER I SUOI CANDIDATI, RACCONTA: QUESTE ELEZIONI NON SONO UN TEST SU DI ME. COME NO, TE NE SEI STATO IN DISPARTE
2. LA VERITÀ È CHE GLI ULTIMI SONDAGGI DI PALAZZO CHIGI NON SONO BUONI E RENZI TEME DI PERDERE IN VENETO, CAMPANIA E LIGURIA. NON SOLO, MA C’È L’INCUBO DI UN’ASTENSIONE A LIVELLI RECORD. IN OGNI CASO IL 40,8% DELLE EUROPEE SEMBRA UN PALLIDO RICORDO
3. VITTORIO FELTRI: “QUESTE ELEZIONI SONO UN TEST DEL SUO PARTITO SU RENZI. PERCHÉ IL PROBLEMA NON È TRA MAGGIORANZA E OPPOSIZIONE, TRA PD E GRILLINI, LEGHISTI O FORZISTI. LA GUERRA È INTERNA ALLA SINISTRA. È UNA BATTAGLIA DI POTERE TRA VECCHIA E NUOVA GUARDIA, TRA APPARATO E GIGLIO MAGICO”. E DOPO IL VOTO CI SARA' UNA RESA DEI CONTI
4. E SCALFARI AVVERTE: RENZI, NON FARE ABUSO D’UFFICIO SULLA SOSPENSIONE DI DE LUCA
IL SEGRETARIO TEME UN NUOVO RIBALTONE “IN CAMPANIA E IN LIGURIA PUÒ SUCCEDERE DI TUTTO”
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Misurare il consenso rispetto alle riforme dell’ultimo anno, dal Jobs Act alla legge elettorale, dai dati sull’economia alla prima manovra finanziaria del suo governo. Pesare il dato del Pd, al netto della rottura ormai conclamata seppure non esplosa definitivamente con la sinistra.
Alla fine Matteo Renzi dice che non è un referendum sulla sua persona, ma in questa dichiarazione ci sono anche i mille dubbi che improvvisamente oscurano le certezze del premier. «Sono preoccupato », confessa ai suoi collaboratori. Non esclude affatto il contraccolpo dopo la diffusione della lista degli impresentabili da parte della commissione Antimafia che può fare danni ben oltre la Campania, anzi incide più sulle previsioni di altre regioni coinvolte dal voto.
Eppoi c’è la Liguria, che sta diventando un po’ l’Ohio italiano, il posto dove si valutano i pesi degli schieramenti in campo. In questo caso, la sfida è tutta interna al Pd. Renzi cerca di dimostrare l’irrilevanza del dissenso più irriducibile. La sinistra vuole mostrare la sua forza numerica. «Ma le cose stanno cambiando», ripete il capo del governo alla vigilia del voto. Un pessimismo che si basa sugli sondaggi ricevuti da Palazzo Chigi e meno confortanti rispetto a quelli precedenti.
Campania e Liguria sono dunque gli snodi delle elezioni di oggi. E se non lo saranno sul governo avranno sicuramente un effetto sul Partito democratico, sui suoi assetti e sulla convivenza tra minoranza e maggioranza. Lorenzo Guerini è destinato ad abbandonare la poltrona di vicesegretario per trasferirsi alla Camera come capogruppo di una pattuglia di 310 deputati. È un esito ormai scontato, Guerini, superrenziano, potrà però sfruttare alcuni buoni rapporti personali con i ribelli in modo da arrivare a superare il quorum d’elezione.
Ettore Rosato, che era il favorito per la presidenza del gruppo, a sorpresa potrebbe diventare il vicesegretario del Pd insieme con la Serracchiani. Ma a lui toccherebbe il ruolo di vero plenipotenziario per tutte le partite in periferia. Un ruolo molto delicato come si è visto nel caso De Luca. Rosato è molto legato al sottosegretario Luca Lotti e ha dato prova di tenuta durante il voto sull’Italicum, portando a una “scissione” nel fronte dei dissidenti. Resta per il momento una suggestione l’idea di affidare a Maria Elena Boschi la delega di vicesegretario unico con conseguente uscita dal governo. Se però finisse così, la sinistra coglierebbe un segnale.
«Boschi rimane al ministero se Matteo pensa di andare fino in fondo sulla riforma costituzionale ipotizza Alfredo D’Attorre -. Ma per arrivare al traguardo il premier o fa un accordo con noi della minoranza o con un pezzo di Forza Italia. Se invece va a Largo del Nazareno significa che la riforma finisce su un binario morto e Renzi si prepara alle elezioni molto presto».
Sono comunque scenari che non possono prescindere dal voto di oggi. «Francamente non sono un test politico sul governo dice Renzi -. Potevano esserlo le elezioni europee, lettura che anche in quel caso non condividevo. Ma le elezioni locali servono per le elezioni locali. Non c’è nessuna conseguenza». Parole solo in parte vere.
Sia per l’esecutivo sia per il partito. La sinistra è convinta che finiranno 6 a 1, che le bandierine saranno decisamente a favore del premier-segretario. Quindi, Renzi andrà avanti puntando al 2018. Ma con quale tipo di dialogo dentro il Pd? Lo scontro dopo la pubblicazione dei nomi dell’Antimafia dimostra che i rapporti sono ai minimi termini. Persino la dichiarazione distensiva del leader in pectore dei dissidenti va letta in due modi. «Conosco bene De Luca - dice Roberto Speranza all’Ansa - e vedere il suo nome accostato all’Antimafia è in totale contraddizione con il suo impegno e con la sua storia che sono stati sempre rivolti al servizio esclusivo della comunità ».
Un assist contro la Bindi e a favore di Renzi? Non solo. È anche la dichiarazione che avrebbe dovuto fare un segretario di partito in piena campagna elettorale e a 48 ore dal voto. «Rispettosa delle istituzioni e di sostegno al proprio candidato senza esitazioni», recita un bersaniano. Insomma, una lezione di stile che potrebbe tornare utile nel caso di una futura resa dei conti post elettorale. Del resto Speranza ha fatto campagna elettorale a tappeto per i candidati del Pd. È stato a Napoli con De Luca e ha guidato un appuntamento di Raffaella Paita in Liguria. Come dire: non si esce dal Pd, si cerca il suo successo.
Poi arriverà il momento del confronto. Se il partito dovesse scendere dal 40,8 per cento a percentuali più vicine al 30, la minoranza è convinta che si dovrà riflettere sui voti persi a sinistra, dopo gli scontri con il sindacato, il Jobs act, la contestata riforma della scuola e in ultimo la legge elettorale con la fiducia messa in aula.
Non sarà un test, ma nelle urne delle 7 regioni si giocano molte partite e Renzi ha bisogno di una vittoria netta almeno vicina a quella del 40 per cento. Perché il consenso è il vero motore del suo governo.
2. OGGI RENZI RISCHIA IL POSTO
Maurizio Belpietro per “Libero Quotidiano”
Oggi Renzi rischia grosso. E non tanto perché il voto delle Regionali potrebbe mettere in discussione la sua permanenza a Palazzo Chigi: dalla poltrona di presidente del Consiglio nemmeno un esercito di Rosy Bindi riuscirebbe a schiodarlo. Ma perché se le elezioni non si risolveranno con trionfo, per il premier i prossimi mesi saranno dolori. Paradossalmente Renzi paga la vittoria schiacciante dello scorso anno, quando alle Europee portò il Pd al 41 per cento. Una soglia mai immaginata dallo stesso ex sindaco di Firenze e che in questi mesi gli ha consentito di campare di rendita, ignorando le richieste della minoranza del partito e procedendo come un carrarmato contro chiunque gli si opponesse.
E però quel 41 per cento oggi è diventato il benchmark con cui confrontarsi. E dunque incassare meno di quella percentuale parrebbe una flessione e poco importa che la legge elettorale appena approvata assegni il premio di maggioranza intorno al 35 per cento e nemmeno che l’elezione di un governatore abbia nulla a che fare con quella di presidente del Consiglio.Una perdita di consenso sarebbe vista comunque come una battuta d’arresto, un appannamento della sua leadership, e la guerra fratricida in corso dentro il Partito democratico si inasprirebbe, e in molti affilerebbero i coltelli in vista di una resa dei conti.
Insomma, o oggi il premier esce vincitore senza se e senza ma, oppure chi non sogna altro se non di prendersi la rivincita si sentirà rinvigorito e pronto a colpirlo. Renzi ieri ha detto che le Regionali non sono un test nazionale su di lui. Vero. Ma sono un test del suo partito su di lui. Già, perché il problema non è tra maggioranza e opposizione, tra Pd e grillini, leghisti o forzisti. La guerra è tutta interna alla sinistra. Non c’entrano neppure i riformisti e l’ultra sinistra o le vecchie divisioni ideologiche del passato. Quella in corso è una battaglia di potere tra vecchia e nuova guardia, tra apparato e giglio magico, tra giovani vecchi e tra vecchi che si sentono ancora così giovani da poter infliggere a Renzi il colpo mortale.
Nessuno è in grado di anticipare come questa lotta senza esclusione di colpi finirà, anche perché, come abbiamo visto in passato, le previsioni della vigilia non sono quasi mai state rispettate. Dopo anni in cui i sondaggisti sembravano saperla più lunga degli stessi elettori, da un pezzo si è scoperto che le rilevazioni elettorali hanno la stessa valenza scientifica delle previsioni del tempo, cioè non hanno nessuna attendibilità. Sta di fatto che il primo a manifestare incertezza e inquietudine è lo stesso presidente del Consiglio.
Dell’aria trionfante dipinta sul volto nei giorni dell’elezione del presidente della Repubblica o in quelli successivi alla votazione della legge elettorale, non c’è più nulla, o quasi.Da almeno una settimana infatti il premier confida di temere un quattro a tre, ossia quattro regioni al Pd e tre alle opposizioni. All’inizio la sua poteva sembrare un’operazione scaramantica o, come qualcuno ha sospettato, un modo per tener basse le aspettative per poi gridare al trionfo di fronte a un 6 a 1.
Visto però ciò che è successone gli ultimi giorni, la previsione di un 4 a 3 potrebbe essere tutt’altro che furbizia. Già, perché le ultime settimane per Matteo Renzi sono state una via crucis senza resurrezione. Prima le contestazioni degli insegnanti contro la buona scuola: essendo da sempre quello dei docenti un bacino di voti per la sinistra, gli effetti del malcontento potrebbero influire sui risultati più di quanto ci si immagini, perché a fronte di un milione di lavoratori del settore bisogna poi tener conto delle famiglie.Come se non bastasse la protesta dei docenti, è arrivata la grana dell’indicizzazione delle pensioni la cui restituzione, nonostante le belle parole del capo del governo in tv e sui giornali, non è stata percepita come un successo, ma semmai come un sopruso.
Ci mancava quindi la grana dei candidati impresentabili, una botta messa a segno da esponenti dello stesso Pd e che ha azzoppato il candidato democratico della Campania. Puntare su un aspirante governatore che la commissione Antimafia - icona della sinistra - ha etichettato come impresentabile è un boomerang, se non in Campania, dove Vincenzo De Luca è forte, nelle altre regioni in cui si vota. All’inizio,dato per perso il Veneto, gli occhi di tutti erano puntati sulla Liguria, dove la sinistra si è spaccata e la candidata del Pd, Raffaella Paita, oltre che da Giovanni Toti e Alice Salvatore (rispettivamente candidati del centrodestra e del M5S), si deve difendere anche da Luca Pastorino, un ex piddino passato con Pippo Civati. Ma negli ultimi giorni i dubbi si sono estesi anche alle Marche e perfino all’Umbria, dove i numeri sarebbero assai più fragili di quel che sembravano.
Naturalmente è molto difficile che alcuni feudi storicamente nelle mani alla sinistra passino in quelle del centrodestra, ma anche la sola possibilità che in una regione come la Toscana il governatore uscente non strappi una vittoria piena sarebbe giudicata come una sconfitta. È per questa ragione che Renzi ha cominciato a sentire un brivido lungo la schiena. In un partito di rottamati, quelli che sognano di rottamarlo cominciano ad essere troppi: un esercito con cui prima o poi il premier dovrà fare i conti.
3. RISCHI E SCOMMESSE DI UN PREMIER CHE DECIDE DA SOLO
Eugenio Scalfari per “la Repubblica”
(…) L’ordinanza della Cassazione recita così: «La legge Severino non attribuisce alcuna discrezionalità alla Pubblica Amministrazione (in questo caso al governo) in ordine di provvedimento di sospensione che opera al solo verificarsi delle condizioni previste. Al prefetto (in questo caso al presidente del Consiglio) non è attribuito alcun autonomo apprezzamento in ordine al provvedimento di sospensione e non è consentito di ritardarne la decorrenza sulla base di concorrenti interessi pubblici».
E se il presidente del Consiglio indugiasse? Si renderebbe responsabile di abuso d’ufficio poiché il codice penale stabilisce: «Compie abuso d’ufficio chiunque ritardi un atto del proprio ufficio per assicurare ad altri un vantaggio che non vi sarebbe se l’atto fosse tempestivo». Ne segue che Renzi può soltanto concedere a De Luca (se vincerà le elezioni di oggi) di insediare il Consiglio regionale e poi deve sospenderlo. Spetterà al Consiglio regionale eleggere un presidente vicario che procederà all’insediamento della giunta e al governo della Regione.
Questo è il caso De Luca e non mi sembra ci siano alternative. La Bindi dal canto suo ha dichiarato, nella qualità di presidente dell’Antimafia, De Luca un “impresentabile”. La dissidenza interna al Pd si è associata a quella dichiarazione. I renziani invece l’hanno contraddetta.
Conclusione: Renzi si è cacciato in un grosso pasticcio. È probabile che De Luca vinca lo stesso; è probabile addirittura che questa vicenda gli porti un flusso di voti di provenienza nuova (e forse non molto pulita) ma eserciterà il suo peso negativo sulle altre regioni e in particolare in Liguria