La Terza Guerra Mondiale

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paolo11
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Re: La Terza Guerra Mondiale

Messaggio da paolo11 »

Con il Cossovo hanno fatto quello che hanno voluto.Mi domando quando cominceremo a fare gli interessi degli Italiani che stanno pure male.
Ultima notizia. Non era mai successo prima che polizia eccc.......carabinieri esercito ecc......proclamessero lo sciopero
Renzi hai superato pure Berlusconi.Faranno sciopero pure le scorte dei ministri?Sapete loro si muovono in auto, se andassero a piedi prenderebbero molte legnate dal popolo.
Ciao
Paolo11
iospero
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Re: La Terza Guerra Mondiale

Messaggio da iospero »

05 settembre 2014
[b]L'Occidente da difendere[/b]

di EZIO MAURO

La terza Nato nasce in Galles dopo la prima, figlia della Guerra Fredda e la seconda dell'età di mezzo, quando con la caduta del Muro sembrò aprirsi un secolo lungo senza più nemici per le democrazie che avevano infine riconquistato il Novecento. La guerra di Crimea riporta nel cuore d'Europa, dove sono nate le due guerre mondiali, truppe, missili, carri armati, morti, feriti, aerei abbattuti. Ritorniamo a guardare i nostri cieli e le nostre mappe con quella stessa inquietudine per il futuro dei nostri figli che i nostri padri avevano ben conosciuto, e noi non ancora. E dagli arsenali della politica, della cultura, della diplomazia e della strategia militare rispuntano insieme con vecchie paure i concetti dimenticati delle "zone d'influenza", dei "blocchi", delle "esercitazioni", dei Muri, della frontiera europea tra Occidente e Oriente, con l'Ovest che ritrova il suo Est e il Cremlino fisso nuovamente nella parte del "nemico ereditario".

Misuriamo con uguale inquietudine gli sconfinamenti ucraini di Putin e la sua popolarità crescente in patria, nonostante le sanzioni. Scopriamo quel che dovevamo sapere, e cioè che l'anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile, dunque non è una creatura ideologica del sovietismo ma lo precede, lo accompagna e gli sopravvive. Anzi: dopo gli anni di interregno, con il pugno di ferro interno e la spartizione oligarchica del bottino di Stato, l'Oriente russo torna a marcare un'identità forte, una sovranità territoriale e politica che mentre si riprende la Crimea non nasconde velleità su Kiev e tentazioni sui Paesi baltici, come se Mosca si ribellasse alla storia e alla geografia d'inizio secolo, contestandole e impugnandole davanti alla sua ossessione ritrovata: l'Occidente.

Nello stesso momento il Califfato islamista appena proclamato tra Siria e Iraq non ha ancora un vero Stato, una capitale, un sistema di relazioni, ma ha un pugnale puntato alla gola di uomini scelti per simboleggiare nel loro martirio individuale una sorta di sfida universale, che va addirittura oltre lo spettacolo di morte dell'11 settembre. La morte sceneggiata come messaggio estremo alla potenza americana, sotto gli occhi di tutto il mondo, rito primitivo del fanatismo religioso e marketing modernissimo del deserto. Nella sproporzione assoluta tra l'inermità innocente del prigioniero e la potestà totale del suo assassino (uno squilibrio miserabile, che esiste soltanto fuori dallo Stato di diritto, dai tribunali, dalle garanzie e dai diritti) si radunano i simboli e le vendette per la guerra del Kuwait dopo l'invasione di Saddam, la caccia ad Al Qaeda in Afghanistan con la ribellione all'attacco contro le Torri, la guerra in Iraq, l'uccisione di Bin Laden, ma anche la sfida islamista tra ciò che resta di Al Qaeda e l'Is, lo Stato Islamico, una partita aperta per l'egemonia politico-religioso-militare del fanatismo. Costruire sul terrore il Califfato significa soprattutto cancellare ogni rischio di contagio democratico anche parziale nei Paesi islamici, ogni istituto prima ancora di ogni istituzione, in nome di quell'"isolazionismo" che Bin Laden predicava e minacciava per cacciare dalla penisola musulmana "i soldati della croce", con i loro "piedi impuri" sui luoghi sacri. Il nemico definitivo è dunque chiaro: l'Occidente.

Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l'avversario eterno, l'Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all'altezza della sfida? Ha almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola, mentre Putin sta rialzando un muro politico e diplomatico che fermi l'America, delimiti l'Europa e blocchi la libertà di destino dei popoli? La risposta della politica è inconcludente, quella della diplomazia non va oltre le sanzioni. Resta la Nato, il vertice del Galles, la polemica sulle spese, il progetto di esercito europeo. Ma la domanda si ripropone oltre la meccanica militare: la Nato può funzionare e avere un significato da protagonista delle due crisi senza una soggettività politica chiara dell'Occidente? In sostanza, il nemico (o meglio: colui che ci elegge a nemico) ha una nozione di noi più chiara di quella che noi abbiamo di noi stessi.

Per tutto il breve spazio "di pace" che va dalla caduta del Muro all'11 settembre abbiamo lasciato deperire nelle nostre stesse mani il concetto di Occidente, mentre altri lavoravano per costruirlo come bersaglio immobile. Lo abbiamo svalutato come un reperto della guerra fredda e non come un elemento della nostra identità culturale, istituzionale e politica, quasi che fossimo definiti soltanto dall'avversario sovietico, e solo per lo spazio della sua durata. Anche gli scossoni geografici nell'Europa di mezzo, seguiti alla caduta del blocco sovietico, e le proposte di allargamento dell'Unione sono stati gestiti con parametri più economici, di mercato e di potenza che ideali. Quel pezzo di Occidente che si chiama Europa è sembrato a lungo incapace di avere un'idea di sé che non nascesse per differenza dal confronto con il comunismo orientale, e quando il sovietismo è caduto è parso in difficoltà a definirsi, a concepirsi come la terra dov'è nata la democrazia delle istituzioni e la democrazia dei diritti. Qui sta la ragione della comunità di destino - e non solo dell'alleanza - con gli Stati Uniti, e stanno anche le ragioni specifiche che l'Europa porta in questa intesa, il rispetto degli organismi internazionali di garanzia e delle regole di legalità internazionale, che per un'alleanza democratica (anche quando è guidata da una Superpotenza) valgono sempre, anche quando è sotto attacco: perché la democrazia ha il diritto di difendersi, ma ha il dovere di farlo rimanendo se stessa.

Oggi noi dobbiamo vedere (se non fosse bastato l'11 settembre) che non è l'America soltanto il bersaglio, ma è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita, fatto di libertà, di istituzioni, di controlli, di regole, di parlamenti, di diritti. E contemporaneamente, certo, di nostre inadeguatezze, miserie, errori, abusi e violenze, perché siamo umani e perché la tentazione del potere è l'abuso della forza. Ma la differenza della democrazia è l'oggetto dell'attacco, il potenziale di liberazione e di dignità e di uguaglianza che porta in sé anche coi nostri tradimenti, e proprio per questo il suo carattere universale, che può parlare ad ogni latitudine ogni volta che siamo capaci di comporre le nostre verità con quelle degli altri rinunciando a pretese di assoluto, ogni volta che dividiamo le fedi dallo Stato, ogni volta che dubitiamo del potere - sia pur riconoscendo la sua legittimità - e coltiviamo la libertà del dubbio.

Hanno il terrore di tutto questo, nonostante la nostra testimonianza infedele della democrazia e il cattivo uso delle nostre libertà. Lo ha Putin, con la sua sovranità oligarchica. E lo ha radicalmente l'Is. Ma noi, siamo in grado di difendere questi nostri principi e di credere alla loro universalità almeno potenziale, oppure siamo disponibili ad ammettere che per realpolitik diritti e libertà devono essere proclamati universali in questa parte del mondo, ma possono essere banditi come relativi altrove? In sostanza, siamo disposti a difendere davvero la democrazia sotto attacco?

La sfida è anche all'interno del nostro mondo. Perché nell'allontanamento dalla politica e dalle istituzioni dei cittadini dell'Occidente c'è la sensazione che siano diventate strumentazioni inutili di fronte alla grande crisi economica e alle crisi locali aperte nel mondo. E che la stessa democrazia oggi valga soltanto per i garantiti, lasciando scoperti dalle sue tutele concrete gli esclusi. La somma delle disuguaglianze sta infatti facendo traboccare il nostro vaso: sono sempre esistite, nella storia dei nostri Paesi, ma erano all'interno di un patto di società che prevedeva mobilità sociale, opportunità, libertà di crescita e questo teneva insieme i vincenti e i perdenti del boom, delle varie congiunture, dello sviluppo, della globalizzazione. Oggi si è rotto il tavolo di compensazione dei conflitti, il legame sociale tra il ricco e il povero, la responsabilità comune di società. Tra i precari fino a quarant'anni e licenziati di 50, produciamo esclusi per i quali la democrazia materiale non produce effetti: e perché per loro dovrebbe produrne la democrazia politica, la partecipazione, il voto?

Contemporaneamente, una parte sempre più larga di popolazione ha la sensazione davanti alle crisi che il mondo sia fuori controllo. E cioè che il sistema di governance che ci siamo dati faticosamente e orgogliosamente nel lungo dopoguerra si sia inceppato, e non produca governo dei fenomeni in atto. Per la prima volta si blocca quello scambio tra il cittadino e lo Stato fatto di libertà e diritti in cambio di sicurezza. Ci si sente cittadini dentro lo Stato nazionale, ma si percepisce che lo Stato-nazione non controlla più nessuno dei fenomeni che contano nella nostra epoca, non ha prodotto istituzioni e democrazia in quello spazio sovranazionale dei flussi finanziari e informativi dove non per caso la nostra cittadinanza - il nostro esercizio soggettivo di diritti - è puramente formale. Delle istituzioni sovranazionali a noi più vicine - la Ue - sentiamo nitidamente il deficit di rappresentanza e quindi di democrazia. Portiamo in tasca una moneta comune senza sapere qual è la faccia del sovrano che vi è impressa, senza un'autorità capace di spenderla politicamente nelle grandi crisi del mondo, senza un esercito che la difenda. Alla fine dell'Europa sentiamo il vincolo, certo, ma non la sua legittimità.

La stessa America, che doveva essere la Superpotenza superstite al Novecento e dunque egemone, avverte la crisi della sua governance proprio quando l'elezione di Obama aveva dispiegato tutta l'energia democratica di quel Paese, come se quel voto avesse avvertito la coscienza dell'ultimo limite (la differenza razziale come impedimento ad un pieno dispiegamento dei diritti) e la necessità infine di superarlo. Ma nel momento in cui spezzando l'unilateralismo bushista Obama, dopo aver offerto invano il dialogo all'Islam, porta l'America fuori dalle guerre sul terreno, chiudendo un'epoca, la democrazia americana si scopre disarmata e in difficoltà a tradurre la sua forza in politica, e vede Mosca riarmarsi e Pechino lucrare vantaggi competitivi all'ombra delle crisi che investono direttamente Washington.

È come se stessimo testando il confine della democrazia, quasi non riuscisse più a produrre rappresentanza, governo e istituzioni capaci a rispondere alle esigenze dell'epoca. Come se fosse una costruzione del Novecento, giunta esausta a questo pericoloso inizio di secolo. Non sarebbe la fine di un'ideologia, ma di tutto il fondamento dello Stato moderno, di una cultura politica, di un'identità. Per questo l'Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte. Anche Vladimir Putin dovrebbe riflettere sulla sfida islamista, domandandosi per chi suona la campana, magari recuperando negli archivi del Cremlino la lettera che l'ayatollah Khomeini scrisse all'ultimo segretario generale del Pcus nel gennaio del 1989: "È chiaro come il cristallo che l'Islam erediterà le Russie".
camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

Messaggio da camillobenso »

Cronaca di guerra - 15
Fronte - 1 - Ucraina - 3



Capita di frequente da queste parti sentire chi si dichiara filo americano, ma che ritiene non accettabile la Nato a confini della Russia.

Molti di loro si ricordano del 1962 quando per un soffio sfiorammo la catastrofe nucleare. (Grazie a Papa Roncalli)


Era evidente che i missili piazzati a Cuba e puntati verso gli Usa erano inaccettabili per la sicurezza Usa.

Altrettanto vale per la Russia oggi.


Quello però che fa specie è sentire una ex destra di An come la Santadeché, dire, come ha fatto l'altra mattina, che stare dalla parte di Putin.

Questo solo perché il Caimano è amico di Putin ed è cointeressato al gas sovietico.

Come lascia perplessi lo schieramento pro Putin de Il Giornale di oggi.

Siamo al massimo del caos, del mondo che si ribalta. Chi era un nemico ieri oggi è un amico.

Il Caimano che dichiara che ha fatto più fuori comunisti Renzi che lui in 20 anni, e poi lo ritroviamo amico di un ex Kgb.

La politica è interesse e convenienza.

Allora che senso ha morire per Danzica.




Nato potenzia armamenti nell’est Europa. Mosca: “Processo di pace a rischio”
L'Alleanza approva il nuovo piano d'azione (Rap) che comprende la creazione di una forza di cinque basi fra paesi baltici, Polonia e Romania. e Putin accusa: "E' un pretesto per realizzare piani militari concepiti da tempo". Iniziato il cessate il fuoco siglato a Minsk tra i rappresentanti di Kiev e delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. Ma i ribelli puntualizzano: "Non abbandoniamo l'idea di secessione"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 5 settembre 2014Commenti



La Nato rafforza la sua presenza militare ai confini con la Russia e il Cremlino la accusa di usare la crisi ucraina come “pretesto” per realizzare piani militari “concepiti da tempo”, mettendo in questo modo “il processo di pace a rischio”. È la reazione del presidente russo Vladimir Putin alla decisione presa dall’Alleanza a conclusione del vertice in Galles, dove è stato approvato un nuovo piano d’azione (Rap) che comprende la creazione di una forza di intervento immediato con carri armati, aerei, navi e logistica. Si tratta di cinque basi tra paesi baltici, Polonia e Romania; una forza militare che sarà “molto reattiva” e “avrà una presenza continua” nell’est europeo. Lo ha annunciato il segretario Anders Fogh Rasmussen. Militari che potranno intervenire in 48 ore e serviranno non solo per l’est, ma anche per il fronte sud, assicurano alla Nato. A fronte delle continue tensioni diplomatiche tra l’Alleanza e il Cremlino, sembra quindi precario il protocollo per un cessate il fuoco dalle 18 (ora di Kiev) firmato dai rappresentanti di Kiev e delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk. Tanto che i ribelli puntualizzano: “La tregua non cancella l’idea di secessione“.

La “risposta rapida” dell’Alleanza ai confini con la Russia
Il “Readiness Action Plan”, il piano di risposta rapida, è volto a “rafforzare la nostra difesa collettiva“, ha puntualizzato Rasmussen. L’ok al nuovo piano “manda un chiaro messaggio: la Nato protegge tutti gli alleati, in ogni momento”. Un preciso messaggio anche “per i potenziali aggressori – continua il segretario – che se anche dovessero solo pensare di attaccare un alleato, sappiano che dovranno affrontare l’intera coalizione”. I leader della Nato hanno inoltre deciso di “invertire l’andamento di riduzione dei bilanci per la difesa” e di portarli al livello del 2% del Pil entro dieci anni. Ed è il presidente americano Barack Obama a specificare che questi fondi saranno spesi anche per “incrementare i servizi di intelligence e sorveglianza”.



Il Cremlino: “La Nato farà fallire il processo di pace”
“I risultati del summit della Nato non stupiscono nessuno. L’alleanza creata nell’epoca della guerra fredda come organizzazione militare-politica in via di principio non è capace di cambiare il proprio codice genetico”, si legge in una nota del ministero degli Esteri russo. “Le dichiarazioni sulla situazione ucraina, insieme ai programmi annunciati di svolgere manovre congiunte con Kiev sul territorio di questo Paese entro la fine del 2014 porteranno inevitabilmente alla crescita della tensione e rischieranno di far fallire il progresso tracciato nel processo di pace in Ucraina”, prosegue Mosca. “Inoltre – si legge ancora nella nota – favoriranno l’aggravarsi dello scisma della società ucraina”. Mosca si riserva di rispondere analizzando “in modo dettagliato” le sue “decisioni concrete”, anche in riferimento all’atto base Russia-Nato del 1997 e ad altri accordi nel campo della sicurezza europea.

Iniziato il cessate il fuoco siglato a Minsk
Intanto i rappresentanti di Kiev e delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk hanno firmato un protocollo di 14 punti per il cessate il fuoco dalle 18 ora di Kiev (le 17 in Italia). L’atto ha suggellato la riunione di oggi, 5 settembre, a Minsk del Gruppo di Contatto sull’Ucraina che comprende – oltre ai rappresentanti di Kiev e dei ribelli – la Russia e l’Osce. Allo scoccare dell’ora stabilita per l’inizio della tregua, sia Kiev che i ribelli filorussi – oltre a testimoni e giornalisti sul posto – hanno testimoniato che tutti i combattimenti sono stati sospesi nell’Ucraina orientale. Previsto per domani lo scambio di prigionieri, a detta dei ribelli oltre mille nelle loro mani, mentre duecento detenuti da Kiev. I ribelli rivendicano di avere come prigionieri oltre mille militari ucraini, sostenendo che Kiev ne ha cinque volte meno. Subito dopo la firma della tregua, però, immediata la precisazione dei ribelli: “Il protocollo sul cessate il fuoco non significa che le due autoproclamate repubbliche abbiano rinunciato alla linea di staccarsi dall’Ucraina”, ha detto il ‘premier’ di Lugansk Igor Plotnitski, che partecipa ai colloqui nella capitale bielorussa.

Poroshenko: “Pronto a concedere decentramento e lingua”
Il presidente ucraino Petro Poroshenko apre alle concessioni da fare in alcune zone di Donetsk e Lugansk. “Siamo pronti a fare passi straordinari sulla decentralizzazione del potere in alcune zone di Donetsk e Lugansk, offrendo loro la libertà economica e garantendo la libertà d’uso di qualsiasi lingua sostenuta da tradizioni culturali”, ha annunciato il presidente, citato dalle agenzie russe. Annunciata anche dal presidente Poroshenko l’elaborazione di una road map contenente misure per la de-escalation.

Merkel: “Se la tregua regge siamo pronti a sospendere le sanzioni”
Sul cessate il fuoco deciso a Minsk, aperture da parte della cancelliera tedesca. “Dobbiamo verificare se questo cessate il fuoco verrà applicato. Le truppe russe si ritirano? O per quanto staranno lì? Ci sono molte questioni che devono essere ancora risolte”, ha detto Angela Merkel, aggiungendo però che “se l’operazione di cessate il fuoco verrà applicata siamo pronti a sospendere le sanzioni“.

Non si fermano gli scontri: sette civili morti, tra cui due bambini
Si aggiungono tasselli dal punto di vista diplomatico, quindi, ma sul fronte il conflitto non accenna a fermarsi. Anche nel giorno in cui la tregua dovrebbe entrare in vigore, continuano le offensive dei separatisti filorussi a Mariupol, nel sud est dell’Ucraina. Una mossa, quella dei ribelli, funzionale a conquistare il controllo del porto industriale strategico che permetterebbe uno sbocco sul mare di Azov nonché la conquista della seconda città più importante della regione di Donetsk (500mila abitanti). Controverse invece le notizie sull’ingresso nella parte est della città, rivendicato dai ribelli filorussi ma smentito da Kiev. Sul fronte del conflitto armato, sette soldati di Kiev sono morti ed altri 59 sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore nella zona calda dello scontro con i ribelli filorussi nel sud-est ucraino. Lo rende noto il portavoce militare dell’Ucraina Andrei Lisenko. Da aprile sono morti 846 militari ucraini e 3.072 sono rimasti feriti. Sul fronte opposto, l’amministrazione regione intanto riferisce di 7 civili morti – tra cui due bambini – e 23 feriti nei villaggi circostanti.

Iatseniuk: “Piano di pace deve prevedere il ritiro delle truppe russe”
“Il piano di pace deve prevedere il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina”, lo ha dichiarato il premier Arseni Iatseniuk, prima che fosse annunciata la firma di un protocollo preliminare sul cessate il fuoco a Minsk. ”Bisogna ristabilire la pace ma non sulla base di un piano proposto dal presidente russo, bensì di quello proposto dal presidente ucraino, sostenuto da Usa e Ue. Da soli non potremmo fronteggiare la Russia”, ha detto. Iatseniuk, ritenuto un uomo degli Usa, sembra entrato così in collisione con Poroshenko.

Renzi: “Ore complicate ma dense di speranza”
“È un elemento importante che si sia arrivati a questo momento di cessate il fuoco con una serie di impegni concreti, come la convocazione delle elezioni nei territori russofoni nello stesso giorno delle elezioni parlamentari”. Così il presidente del Consiglio Matteo Renzi nel corso di una conferenza stampa al termine del summit Nato a Newport, in Galles. Il premier ha sottolineato come la strategia tenuta dalla comunità internazionale sulla crisi italiana è stata quella “‘frizione e acceleratore”, cercando di “tenere in piedi il canale dialogo” e “verificare la concretezza dei passi in avanti”. “Le prossime ore – ha concluso – sono complicate ma anche dense di speranza”.
Ultima modifica di camillobenso il 15/09/2014, 18:17, modificato 1 volta in totale.
camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

Messaggio da camillobenso »

5 SET 2014 15:51
SÌ, QUESTO È PROPRIO IL ‘’QUARTO REICH’’ – SUL “GIORNALE” FELTRI E SANGIULIANO SPIEGANO COME LA GERMANIA HA VINTO LA TERZA GUERRA MONDIALE CON LA FINANZA AL POSTO DELLE ARMI: ESPORTANDO A MANETTA E FREGANDOSENE DEGLI ALTRI
“L'era della moneta unica europea è diventata l'epoca della grande egemonia tedesca, dove Berlino prospera e gli altri popoli europei soffrono una recessione senza precedentI”. Da anni la Germania fa segnare un surplus commerciale che viola i trattati europei, ma è inflessibile sul deficit degli altri…


Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano per "il Giornale"



È stata Anne Applebaum, in un commento pubblicato sul Washington Post nel settembre 2013 e intitolato «Angela Merkel, the empress of Europe» (Angela Merkel, l'imperatrice d'Europa), a usare l'espressione «Fourth Reich» (Quarto Reich): definizione da brivido, probabilmente esagerata, ma che potrebbe riassumere i sentimenti di molti cittadini europei di fronte a una crisi. La locuzione si è talmente diffusa che compare persino come voce dell'enciclopedia online Wikipedia, dove si legge che «il termine “Quarto Reich” si riferisce alla possibilità di un'ascesa e ritorno al potere in Germania e in Europa» del nazionalsocialismo (...).

Nell'agosto 2012 è stato il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, a intitolare un suo commento «Quarto Reich», scrivendo che «di fatto, da ieri, l'Italia (e non solo lei) non è più in Europa ma nel Quarto Reich», e aggiungendo: «Monti ci sta vendendo, per codardia e incapacità, più o meno come fece il primo ministro inglese Chamberlain nel '38 a Monaco». Lo stesso ha fatto il blog del Movimento 5 stelle dove si sostiene che «sulle macerie del Sud Europa sta nascendo il Quarto Reich».


Per oltre un secolo, da quando alla fine dell'Ottocento conseguì con Bismarck l'unità statale e politica, la Germania ha coltivato una volontà di egemonia nei confronti dell'Europa. Un progetto geopolitico che si è tradotto in due sanguinose guerre, la Prima guerra mondiale condotta dall'esercito imperiale del Kaiser e la Seconda, tragica e atroce, scatenata da Hitler.

Quando il problema tedesco sembrava definitivamente superato dalla storia, anche grazie alla costruzione unitaria europea esso riappare all'orizzonte. Quell'egemonia che la Germania non è riuscita a conquistare con le armi belliche sembra essere stata «pacificamente» conseguita con l'arma economica.


L'era della moneta unica europea, infatti, è diventata l'epoca della grande egemonia tedesca, dove Berlino prospera e gli altri popoli europei soffrono una recessione senza precedenti. Angelo Bolaffi, filosofo e germanista, ha scritto: «Alla base del risentimento antitedesco che circola oggi in Europa non ci sono più, dunque (solo), le colpe storiche del passato, ma piuttosto le scelte del presente: la Germania, forte della sua forza, pretende – così pensa un diffuso senso comune – di trasformare la propria ossessione per il rigore finanziario e la stabilità monetaria nella Costituzione materiale dell'Europa, minacciandone in tal modo gli equilibri economici, le conquiste sociali e persino il funzionamento dei sistemi democratici».

Quasi settant'anni fa la Germania usciva da una guerra disastrosa, ridotta in macerie materiali e soprattutto morali, con la responsabilità e l'onta del crimine più grave contro l'umanità, la Shoah. Ora, come ha osservato il sociologo Ulrich Beck, apprezzato docente alla London School of Economics, «si è trasformata da docile scolaretta in maestra dell'Europa».

L'Unione europea nacque, nel pensiero e negli intendimenti di chi la volle, per evitare, dopo due sanguinose guerre, che l'Europa potesse tornare a essere terreno di fratture e di egemonie, che potesse ripetersi una «guerra civile europea». Oggi, invece, l'Europa è percepita come una minaccia alla stabilità economica e sociale di milioni di cittadini del Vecchio continente. E la Germania, a torto o a ragione, viene identificata con le politiche rigoriste, con l'astrattismo formale e il deficit di democrazia che questa Europa ha espresso. L'Unione appare costruita secondo il modello sociale ed economico del Nord Europa, senza considerare le peculiarità e le caratteristiche storiche dei popoli latini.


L'euro è stato l'eldorado della Germania. «In due mosse Berlino ha dato scacco ai partner latini usando la nascita dell'euro e i parametri di Maastricht» ha scritto Marco Fortis. Aggiungendo: «È del tutto falso che la forza dei tedeschi sia nell'export verso gli Stati che stanno vivendo una fase di espansione. I surplus commerciali sono cresciuti prima che cominciasse la grande crisi, soprattutto grazie alla moneta unica.

Dal 1999 al 2007 l'import tedesco di merci italiane è volutamente calato in tutti i settori produttivi. Dal 2008 in poi Berlino è riuscita inoltre a finanziare a basso costo i propri crescenti disavanzi a scapito dei Paesi mediterranei. L'esposizione della Germania verso l'estero è cresciuta di 345 miliardi. E l'Italia passava per sorvegliata speciale. Nonostante i sacrifici fatti dalle famiglie italiane la Ue non è ancora soddisfatta».


Da diversi anni la Germania fa segnare un surplus delle sue partite correnti, un eccesso di esportazioni che viola i Trattati istitutivi dell'euro, i quali prevedono che l'attivo della bilancia dei pagamenti non superi il 6 per cento del Pil nella media triennale e che il passivo non vada oltre il 4 per cento del Pil. Ebbene, da molto tempo Berlino trasgredisce quelle norme europee che è inflessibile a invocare per altri casi e per altri parametri, giungendo a un surplus corrente del 7,9 per cento del Pil, una dimensione da record per uno Stato a economia matura.

Su questo punto il governo tedesco ha subìto anche le critiche del Tesoro e del dipartimento del Commercio americani. Per ridurre l'eccessivo surplus corrente, Berlino dovrebbe far crescere la domanda interna, incentivando i consumi e incrementando la spesa pubblica con investimenti infrastrutturali, aumenti dei salari e dell'inflazione. Tutte cose che la cancelliera Merkel, gelosa del primato tedesco, non ha alcuna intenzione di fare.


In altre parole, la Germania, secondo quanto ritiene più di un analista, pretende di esportare senza consumare, di vendere senza investire, contribuendo alla crisi economica del Sud Europa. In teoria l'Unione europea avrebbe gli strumenti giuridici e i motivi di fatto per intervenire ma, al di là di qualche blando e formale richiamo, subisce l'egemonia tedesca. Il finlandese Olli Rehn, ex calciatore, commissario europeo agli Affari monetari che si è distinto per i continui richiami all'Italia e per le posizioni smaccatamente filotedesche, ha definito la questione «semplicistica» ed «eccessivamente politicizzata».

Nella sua inchiesta Fortis ricorda quali erano le condizioni economiche della Germania prima dell'inizio della stagione dell'euro. «Nel 1998, prima che cominciasse l'era dell'euro, la Germania era la “malata d'Europa”, col Pil che cresceva molto meno di quello italiano. Le famiglie tedesche, dopo la riunificazione delle due Germanie, erano super-indebitate. La ricchezza finanziaria netta delle famiglie tedesche era di appena 1796 miliardi di euro contro i 2229 miliardi delle famiglie italiane. Il debito pubblico tedesco del 1998, se espresso in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie anziché del Pil, era di gran lunga più elevato (66%) di quello italiano (56%)».


Nel 2004, secondo quanto stimò l'allora ministro delle Finanze tedesco Hans Eichel, il rapporto deficit/Pil della Germania sforò i parametri di Maastricht e raggiunse il 3,9 per cento. L'anno precedente, il deficit si era attestato al 3,8 per cento e più o meno, in quel biennio, lo stesso deficit fu conseguito dalla Francia. L'istituto di ricerca economica Diw stimò, invece, lo sforamento in un 4,3 per cento. Dunque, per tre anni consecutivi, dal 2002 al 2004, sia la Germania sia la Francia hanno avuto un deficit superiore al 3 per cento; nel 2005 il deficit francese è rientrato nei parametri, mentre quello tedesco era ancora al di sopra, attestandosi al 3,2 per cento.

Trattati e leggi europee alla mano, i due influenti Paesi avrebbero dovuto essere sanzionati e subire una severa procedura d'infrazione, ma così non fu. In occasione del Consiglio europeo di Napoli, nel novembre 2003, con l'Italia presidente di turno dell'Unione, Francia e Germania furono «graziate». Tra i motivi di tanta clemenza, il tasso di disoccupazione tedesco, giunto all'11,7 per cento.


Italia e Germania, Paesi manifatturieri centrati su un'economia di trasformazione, da decenni hanno fatto delle esportazioni il fulcro delle rispettive economie. Ma in questo campo Italia e Germania sono in competizione frontale, poiché c'è una sovrapposizione in quasi tutti i settori produttivi, nel senso che in ogni parte del mondo si può comprare una macchina utensile, un elettrodomestico, un apparecchio elettromedicale, un prodotto farmaceutico, un cacciavite di marca italiana o tedesca.

Lo scontro è anche geografico, perché entrambi i Paesi puntano ai mercati dell'Est Europa, agli Stati Uniti, all'America Latina. Fra i due Paesi esiste anche un importante interscambio diretto: la Germania è infatti il mercato più consistente per esportare le nostre merci e, nel contempo, importiamo dalla Germania più che da ogni altra nazione. Una volta, soprattutto negli anni Settanta, i tedeschi erano il piatto ricco dell'intero movimento turistico verso il Belpaese, mentre oggi, pur essendo ancora una fetta consistente, sono diminuiti (circa 11 milioni l'anno) perché molti di loro si indirizzano verso la Spagna, la Grecia e gli Stati dell'ex Iugoslavia (...).


Resta poi, lapidario, il giudizio di Fortis: «Ciò che ha reso davvero ricca e creditrice la Germania verso l'estero, mettendola nella condizione di dettare oggi legge in Europa, è stato l'euro, non le riforme e tantomeno la crescita del Pil». Rimesse in ordine alcune verità, non si può contrapporre alla vulgata fino a oggi dominante un'altra che aspira a costruire una nuova egemonia. La virtuosità della Germania, l'opportunità di alcune sue riforme, il prestigio della sua classe dirigente sono fattori che non possono essere negati né trascurati.


Allo stesso modo non si possono negare gli errori e le facilonerie delle élite (non solo quelle politiche) che hanno guidato i Paesi che ora sono in difficoltà. Resta il fatto che, per merito proprio e demerito altrui, la Germania ha costruito un sistema europeo prevalentemente a suo vantaggio, quello che Beck chiama «euro-nazionalismo tedesco», in virtù del quale Paesi come l'Italia e la Spagna restano nell'euro ma, in un gioco di parole e di realtà, vengono «esautorati».
camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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il Fatto 14.9.14
Governo del mondo
La triste fine del sogno Onu

di Furio Colombo


Il disastro del mondo è fatto di tre crisi che attanagliano ogni continente

: il sangue delle guerre, il crollo della politica (ci sono Paesi non piccoli e non secondari senza governo da mesi o da anni), e la crisi della natura, uno sconvolgimento ambientale che tende a moltiplicarsi.


Chi potesse guardare il mondo da fuori, un groviglio di male che ricorda certe narrazioni della Bibbia e certi preannunci dell’Apocalisse, direbbe che solo un “governo del mondo” potrebbe avere, prima ancora della forza, lo sguardo e la volontà per pensare un progetto di azione: infatti hai l’impressione che tutto accada adesso e che tra poco sarà troppo tardi per fermare le violenze della natura, dei terrorismi della frantumazione di mille malavite che si muovono libere da controlli e governi.

Al tempo in cui ho iniziato a scrivere queste cose (che però erano illuminate di speranza, perché, dopo la Seconda guerra mondiale, sapevamo che ogni giorno sarebbe stato migliore del precedente) a questo punto avrei scritto due parole che a tanti di noi, giovani di allora, sembravano una formula magica: Nazioni Unite. Erano state il sogno, realizzato, di Franklin Delano Roosevelt, il presidente Usa che ha dato una forte impronta ideale a quella terribile guerra: liberazione, lotta al razzismo, uguaglianza fra popoli e fra cittadini di ciascun popolo.


PROGETTANDO, e poi realizzando (ma è morto un momento prima) l’Onu, Roosevelt intendeva creare una torre di controllo che avvistasse subito il conflitto e fosse capace di trasformare il pericolo in dibattito e confronto prima dell’esplosione. Ma vedeva, lui che presiedeva il Paese più potente del mondo e – con alla Russia comunista
– vincitore della guerra, la strada verso il governo del mondo. Era come se il mondo sconvolto e le fosse comuni di ogni parte della terra gli avessero preannunciato che non bastano lapidi e dichiarazioni volonterose.

Ci vuole uno strumento per guidare il pianeta fuori dal disastro.


Esiste a New York, in una piccola isola al centro dell’East River, tra Manhattan e Queen’s, un parco e una grande pietra dedicata a Roosevelt su cui sono incise le parole del suo discorso più bello: “Ciascuno, in ogni Paese e continente, ha diritto di essere libero dalla paura, dal bisogno e dal non sapere” (che vuol dire scuola ma anche libero flusso delle notizie). Il mondo libero era lì, in quel sogno. E il simbolo di quel sogno (che persino Hitchcock ha usato in un suo celebre film) è diventato il “Palazzo di vetro” di New York, che a lungo è sembrato, a noi del dopoguerra, il luogo in cui si sarebbe discussa per sempre la pace.
La guerra fredda è calata come una mannaia su quella fiducia, ma neppure la guerra fredda ha avuto la forza di sradicare sogno e progetto. Se ricordate il Krusciov che batte la scarpa sul banco dell’Assemblea generale, avete una immagine della forza del mito “Nazioni Unite”. Se avete visto una immagine di Fidel Castro accampato nell’atrio del Palazzo di vetro con i giovani della sua delegazione (tutti in divisa da guerriglia sulla Sierra) intenti a cuocere un pollo (nessun albergo di Manhattan li aveva accettati, prima dell’hotel Teresa di Harlem) vi rendete conto che il luogo del pellegrinaggio fosse l’Onu e che l’Assemblea generale era il luogo per farsi ascoltare. Castro non aveva ancora deciso per il suo legame con l’Urss, ma nessuno, a nessun livello di governo, aveva voluto incontrarlo a Washington, ordine del vice presidente Nixon. La destra ha avuto subito la vista lunga. Castro come un amico sarebbe stato un problema, con tutte le sue pretese di mettere bocca sui problemi del mondo. Castro come nemico sarebbe stato facile da isolare: un comunista. Castro, purtroppo, ci ha pensato da solo, con la sua polizia, a rendere impossibile il sogno di liberazione di cui era diventato simbolo. Ma l’America di Nixon (ovvero una destra dura e senza scrupoli) aveva dato il primo segnale: isolare e delegittimare le Nazioni Unite. E così ha cominciato a declinare il livello e il prestigio dei Segretari Generali, una sorta di triste scala che scende, dopo l’enigmatico ma autorevole statista birmano U Thant, dopo il mitico personaggio svedese Dag Hammarskjold, ucciso in Africa in una sua arrischiata missione di pace, un delitto forse africano, forse commissionato da una mano bianca.
GRADATAMENTE la guerra della destra mondiale contro l’Onu non ha più avuto tregua, sia pure con la complicità di clamorosi errori, sconquassi e debolezze di ciò che avrebbe potuto essere un governo del mondo. Ma un governo del mondo avrebbe dovuto farsi garante delle tre libertà di Roosevelt, cose di sinistra che bisognava togliere di mezzo. Sia Reagan, sia i due Bush hanno scelto i loro ambasciatori alle Nazioni Unite (penso a James Bolton) con la sola missione di screditare ciò che ne resta. E, a partire da Reagan, tutti i presidenti repubblicani si sono vantati di non avere versato il contributo americano (si può immaginare quanto grande) alle Nazioni Unite. Lo scandalo è stato così grande per molti americani, che Ted Turner, fondatore e, a quel tempo, proprietario della Cnn (Anni 90) ha versato all’Onu, di sua iniziativa, una parte dell’immenso debito americano. La passività di tutti i governi dei più importanti paesi del mondo dei leader di opinione, delle organizzazioni di questioni internazionali del mondo, ha impedito la scossa del risveglio e il ritorno alla realtà. Ed eccoci qui, nonostante Obama: affacciati sul vuoto.
camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Cronaca di guerra - 16
Fronte - 1 - Ucraina - 3



Dalla Russia con amore....




Gas russo, la vendetta di Putin sull’Europa: forniture a singhiozzo
Polonia, Germania, Austria e Slovacchia hanno già registrato cali dei volumi di metano consegnati. Per l'Italia, che con il metano russo copre il 40% dei consumi, le conseguenze sarebbero pesanti. Secondo gli esperti una ritorsione di questo tipo costerebbe troppo cara a Mosca. Ma le tensioni geopolitiche di per sé hanno un effetto negativo: fanno aumentare i prezzi

di Elena Veronelli | 15 settembre 2014Commenti (118)



In vista dell’inverno sale la preoccupazione dell’Europa sul rischio di uno stop delle forniture di gas dalla Russia, a causa della crisi Ucraina.

Preoccupazione nutrita, spesso più del dovuto, da una serie di mosse e contromosse che aumenta i reciproci sospetti: blocchi delle consegne di gas ai Paesi che aiutano Kiev, sanzioni, embarghi e iniziative da parte di Mosca per diversificare i compratori.

Il tutto condito dal solito spauracchio: la possibilità di rimanere al freddo e al buio.

Proprio la settimana scorsa la Polonia ha subìto un progressivo calo, fino al 45%, delle consegne di gas dalla Russia, anche se venerdì il flusso è tornato normale.

Il sospetto è che si sia trattato di una ritorsione per aver rivenduto il prodotto russo all’Ucraina, a cui Mosca ha chiuso i rubinetti per morosità, attraverso il reverse flow, ossia l’inversione di flusso dei gasdotti.

Un meccanismo che di fatto aggira il blocco delle forniture a Kiev da parte di Gazprom e che per questo Mosca definisce “semi fraudolento”.

La Russia “ha cominciato a limitare le forniture di gas alla Polonia con l’obiettivo di distruggere il flusso di gas che noi riceviamo dalla Polonia stessa”, ha detto l’ad della società statale dell’energia ucraina Ukrtransgaz, Ihor Prokopiv.

Gazprom tuttavia sostiene che si sia trattato semplicemente di un problema tecnico e ha confermato di non essere in grado di fare fronte alle richieste di Pgnig che gestisce i gasdotti polacchi perché ne hanno richiesto il massimo livello possibile. Nel mentre, però, anche la Slovacchia sostiene di aver ricevuto il 10% in meno rispetto ai volumi contrattuali, l’Austria ha denunciato una flessione dei flussi del 15% e in Germania (la prima ad aver spinto per nuove sanzioni) il gruppo energetico E.On ha registrato una “leggera riduzione”.

E’ noto da tempo che le tensioni tra Kiev e Mosca non riguardano solo il conflitto tra i ribelli filorussi e l’esercito ucraino nelle zone di confine, ma anche il gas: la prima accusa la seconda di avere intenzione di fermare le forniture, la seconda accusa la prima di volersi appropriare illegalmente del metano destinato all’Europa per le proprie necessità.

Secondo il Cremlino, infatti, se l’Ucraina non riuscirà a pompare entro 60 giorni nei suoi stoccaggi altri 10 miliardi di metri cubi di gas il prossimo inverno dovrà fare i conti con una carenza di 220 milioni di metri cubi al giorno.

L’eventualità di un blocco delle forniture fa tremare l’Europa.

La Russia soddisfa circa un terzo della domanda europea di petrolio, carbone e gas naturale.

Tutta la rete di gasdotti continentale in Europa è stata costruita da est a ovest per importare gas russo
.


Finora Bruxelles ha adottato la strategia “del bastone e della carota”.

Da una parte fa la voce grossa, approvando un altro pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tra le misure, il divieto per le compagnie petrolifere europee di firmare nuovi contratti per acquistare greggio da Rosneft, Gazprom Neft o Transneft.

Tutti gli accordi presi precedentemente restano però in piedi. La joint venture fra l’italiana Saras della famiglia Moratti e Rosneft, ad esempio, non viene minacciata.

Dall’altra parte però Bruxelles lancia segnali distensivi, sostenendo che si tratta di sanzioni che l’Ue è pronta a rivedere “in tutto o in parte” se Mosca cambierà strada. E ha tentato di continuare i negoziati, proponendo a Russia e Ucraina un incontro trilaterale per il 20 settembre proprio per risolvere la questione del gas. Il consigliere economico di Putin, Andrei Belousov, ha però già fatto sapere di voler rispondere alle sanzioni dell’Unione europea con altre sanzioni e dice di avere pronta una lista dei prodotti che saranno colpiti.

Mentre formalmente Mosca lunedì ha fatto sapere che la data proposta per il summit non va bene per la sua agenda e così Bruxelles dovrà proporrne una nuova. Nel mentre, l’Europa sta cercando di mettere a punto un “piano b”. Fonti comunitarie citate dall’agenzia Reuters spiegano che, tra le misure allo studio, ci sono il divieto di rivendere gas per rafforzare le riserve e la limitazione dell’uso industriale. “Nel breve-termine, siamo molto preoccupati per le forniture invernali all’Europa sud-orientale”, ha detto la fonte.

Come spesso accade, la preoccupazione si fa ancora più marcata in Italia, uno dei maggiori importatori di gas russo.

Nel 2013 oltre il 40% dei consumi nazionali sono stati coperti dal gas russo, fonte a cui l’Italia non può rinunciare: “Il gas continuerà a svolgere un ruolo centrale verso la decarbonizzazione e pertanto assicurare le forniture di gas all’Europa è oggi una priorità assoluta”, ha detto di recente il ministro dello Sviluppo, Federica Guidi.

Per ridurre la dipendenza energetica in un orizzonte di medio termine, il governo sta spingendo l’acceleratore sul tanto contestato Tap, il gasdotto che dovrebbe portare il gas azero in Italia senza passare per l’Ucraina. In più con lo Sblocca Italia vorrebbe rendere più agevole la ricerca e lo sfruttamento delle risorse di idrocarburi presenti nel nostro sottosuolo.

Nel breve periodo, però, non ci sono soluzioni. E non è possibile neppure dire quanta autonomia potrebbero darci le riserve italiane di gas in caso di interruzione totale delle forniture russe.

Molti analisti del settore tuttavia sono scettici sulla possibilità che realmente la Russia chiuda completamente i rubinetti e sorridono all’idea di un inverno al buio e al freddo.

Effettivamente Mosca finora ha bloccato i flussi all’Ucraina tre volte negli ultimi dieci anni (2006, 2009 e da giugno di quest’anno) a causa di controversie sul prezzo, ma ha sempre continuato a fornire il prodotto destinato all’Ue. Del resto, un blocco delle forniture sarebbe un macigno pure per l’economia russa, che si basa proprio sull’esportazione di gas.

E anche l’avvio dei lavori di Gazprom per il gasdotto Power of Siberia, che dal 2018 dovrebbe fornire gas russo alla Cina, viene visto da molti osservatori come una manovra politica. Un modo per mettere sotto pressione l’Europa e mostrare, almeno apparentemente, di avere alternative. Tuttavia, al di là del semplicistico black out sì-black out no, il perdurare delle tensione tra Russia ed Unione europea porta con sé una serie di problemi economici.

Già a luglio, ad esempio, i prezzi del gas sono aumentati del 35% proprio per la minaccia di una riduzione delle forniture. E le misure previste dal “piano b” di Bruxelles non sono a costo zero: la riduzione dei consumi industriali danneggerebbe ancora di più l’economia europea e il divieto di rivendere gas fuori dall’Ue colpirebbe molte imprese del settore

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... o/1119652/
camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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La vox populi:


calystegia • 2 minuti fa
Embè... e a noi che cce frega?!...
Putine ce fornisce gasse a singhiozzo?... e noi lo pagamo a singhiozzo!...
Poi vojo proprio vedè che storiella je racconta a l'oligarchi sua..
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sssssh • 18 minuti fa
Molto bene cosi quando fa freddo ci sveglieremo e ci attrezziamo con le risorse che abbiamo a nostra disposizione,pannelli solari eolico legna ecc. cosi lavoriamo per noi e non facciamo ingrassare i soliti magna magna della casta.
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Gianmario Pelizzoli • 23 minuti fa
Forse qualcuno si aspettava qualcosa di diverso? Noi siamo in europa, facciamo parte della NATO,ma non abbiamo voce in capitolo
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Antonio • 25 minuti fa
Mi chiedo dove Renzi abbia la testa. Di sicuro ha una strategia geopolitica discutibile, perché firma tutto quello che arriva da Bruxelles. Chissà se legge anche, prima di firmare: forse no, tanto firmerebbe lo stesso, che senso avrebbe leggere?
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LondonNW6 • 26 minuti fa
L'Algeria - che ha gas naturale in quantita' enormi - e' un fornitore molto piu' affidabile ed anche paese mediterraneo piu' vicino.
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Marco Bruti LondonNW6 • 19 minuti fa
Algeria affidabile? Ancora non sono arrivati gli americani a portare la democrazia e le primavere arabe? :)
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Luca D.L. • 28 minuti fa
Tensioni politiche hanno effetto negativo: fanno aumentare i prezzi del gas.

Bene. Negative per chi? Per noi che paghiamo le bollette o per i magnati del gas???

p.s. domanda retorica
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Civico • 30 minuti fa
Chi la fa l'aspetti!
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Juza_delle_Nuvole • 31 minuti fa
La "vendetta" di Putin?
Ma di cosa state parlando?
L'UE ha approvato delle sanzioni demenziali ed autolesionistiche con il solo scopo di accontentare i PADRONI guerrafondai USA.
Ciò che ha fatto Putin è la minima reazione legittima.
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Ben_Quarto Juza_delle_Nuvole • 21 minuti fa
Immagino che questo i separatisti a Donetsk lo abbiano trovato al supermercato.

http://img.theepochtimes.com/n...
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ritmo1983 • 34 minuti fa
Evvai! vamos di No Tap, No rigassificatori e altre amenità...
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camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

Messaggio da camillobenso »

TULIO • 43 minuti fa
Toccherà autoprodurre idrogeno per riscaldare e cucinare, che balle a doversi arrangiare, oltre alle tasse di questi ingordi governanti devo spendere ulteriormente senza poter scaricare l'IVA.
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LondonNW6 • 44 minuti fa
«L'Italia potrebbe vivere senza contare sul gas russo, dato che copre solo il 30% dei consumi». Paolo Scaroni ENI - Il Sole 24 Ore
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Federico Maat LondonNW6 • 24 minuti fa
Dovremmo vivere senza importazioni di idrocarburi e combustibili fossili in generale, basta dipendere dalle manie di qualcuno sia che si chiami USA, Russia, Opec o UE
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GRIFO LondonNW6 • 26 minuti fa
Solo il 30% un'inezia insomma? Dubito che Scaroni sia in grado di trovare in breve tempo un'alternativa di approvvigionamento che corrisponda al 30% del gas consumato in Italia, si tenga presente che il primo ad essere tagliato è il riscaldamento il secondo è all'industria poi segue per l'energia.
Alla bella faccetta dei nostri no NUKE no TUBO ecc ecc
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paolo • un'ora fa
Penso che le sanzioni tutto sommato non colpiscono la Russia in quanto stato ma tende a colpire singoli personaggi, enti o società aventi a che fare con i governanti russi, sono convinto che l'obiettivo non è il governo russo e le sue risorse assolutamente da salvaguardare per poi impadronirsene..., purtroppo l'obiettivo principale è Putin.. tolto di mezzo lui e sostituito con un personaggio più accondiscendente all'occidente il problema è risolto. nello stesse tempo l'occidente mette le mani sull'Ucraina dove ci sono i gasdotti... da li si può controllare il flusso del gas verso l'Europa e chi controlla i rubinetti controlla il prezzo e decide poi a chi venderlo e a chi non venderlo, lo scenario che si prospetta e che la Russia sarà costretta a vendere il gas al prezzo capestro che farà l'occidente America e UK in testa, due saranno gli obiettivi raggiunti controllo dell'energia e distruzione economica della Russia.....!!!
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zerononbanale paolo • 24 minuti fa
Io mi chiedo, ma tutti questi filorussi da dove sbucano? Quando Putin promulgava leggi omofobe eravate impegnati in un congresso sugli illuminati? Non me lo spiego...
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Ben_Quarto paolo • 24 minuti fa
Lascio perdere le assurdità sulla distruzione della Russia..
Ti dico solo che il targer è anche la Russia nel suo complesso in quanto il PIL russo è previsto in stagnazione questo anno e l'anno prossimo, circa 100 miliardi di dollari in capitali sono già usciti dal paese, il cambio rublo-dollaro si sta inabissando e il prezzo del petrolio sta calando.

PS: Il calo del prezzo del petrolio negli anni '80 ha fatto collassare l'Unione Sovietica.
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fivefeet_and_half • un'ora fa
Eh già Putin ha fatto il classico salto di qualità, quando era solo un modesto maggiore del KGB comunista (ahi, Sylvietto) poteva permettersi di mettere paura solo ai tedeschi dell'Est, ora invece può fare la voce grossa con l'Europa, visto che è pieno di gas e di petrolio (oltre che di mxxxx). Non ci resta che affidarci a Sylvio perché interceda per evitarci un inverno da piccola fiammiferaia...
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camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Marino • un'ora fa
E poi dicono che non esiste la macchina del tempo!! In italia stiamo facendo dei continui salti all'indietro, con la deflazione siamo ritornati al 1959, con i redditi al 1986. E presto con il riscaldamento ritorneremo agli anni '60-'70 quando molte zone non erano ancora raggiunte dal metano e d'inverno ci si arrangiava con un po' di legna e stufe a kerosene. E per i più fortunati con il riscaldamento condominiale il gasolio.
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mak Marino • 29 minuti fa
Guardi nelle zone montane e collinari basterebbe una bella centrala comunale a cippato boschi tenuti meglio meno frane e meno disoccupati e quindi più posti di lavoro e meno dipendenza da gas e petrolio estero quando la finiremo con questa visione che finisce fuori dalla porta di casa nostra.
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GRIFO Marino • 30 minuti fa
Se non hai gas non hai neanche kerosene e gasolio, che sarà usato per fare energia elettrica al posto del gas.
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Antonio Marino • 37 minuti fa
Torneremo al buon vecchio carbone, che era così ecologico... Altro che lo sporco gas di putin
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Leonardo Nessuno • un'ora fa
Che pensavano i capoccioni della UE, che Putin continuava a dare il Metano a gratis?
Devo dire che stavolta e a malincuore, devo dar ragione al Berlusca!!
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Al-Ice • un'ora fa
Poveri poveri italiani che tremano al pensiero di patire il freddo. Non so se siate più imbecilli voi o il vostro caro leader Putin. Facciamo parte dell'Unione Europea, se non riuscite a rassegnarvi chiedete la cittadinanza russa, che poi ridiamo.
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Civico Al-Ice • 44 minuti fa
E' vero! Ma ogni Stato della UE va per conto suo in base ai propri interessi. In merito alla Russia, GB, Polonia e Stati Baltici vanno da una parte, Germania ed Italia dall'altra, gli altri in mezzo...
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Jean Santilli • un'ora fa
Non so
voi ma NOI siamo stanchi di ricatti a base di gas e petrolio, da chiunque
vengano. Per questo, dal 11 settembre, gridiamo: Vogliamo le WaMs! @WeWantWaMs! Vedere https://independent.academia.e...
RT please
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Luca D.L. Jean Santilli • 34 minuti fa
prima volta che ne sento parlare. L'idea è apprezzabile, in pratica non lo so.
Comunque è giunto il momento che si pensi in modo diverso e decentralizzare penso sia una risposta corretta, sostenibile e lungimirante
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lavandino • un'ora fa
Bravo Putin facci rimanere al freddo quest'inverno e vediamo chi sopravvive, anzi vediamo se certi italiani riescono a coprirsi con gli 80,00€ che gli ha dato renzi.
Sempre troppo poco buffoni!
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Luca D.L. lavandino • 34 minuti fa
siamo il paese del sole
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Civico lavandino • 42 minuti fa
Qualche maglione in più e sana ginnastica da camera!
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Ben_Quarto lavandino • 43 minuti fa
Un kWh costa circa 30cent.
Tenere una stufa da 2000w accesa per 12 ore al giorno per quattro mesi costa circa 900€ quindi.

80*12=960€

Quindi sì, con gli 80€ di Renzi ti ci riscaldi tutto l'inverno ahahahahahah
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lela Ben_Quarto • 26 minuti fa
e avanzano: la stufa non si tiene accesa 12 ore al giorno!
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sgarbatello • un'ora fa
ecco che qualche rigassificatore sarebbe tornato utile...
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ipics sgarbatello • un'ora fa
Non solo quello, anche investire in altre fonti.
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sgarbatello ipics • un'ora fa
personalmente farò qualche prova con la pompa di calore, sai che magari costi meno...
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camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

Messaggio da camillobenso »

E’ il 18 di agosto quando Francesco, di ritorno dal viaggio in Corea, sorprende tutti annunciando che siamo entrati nella Terza guerra mondiale.

http://www.repubblica.it/esteri/2014/08 ... -94038973/

E’ da poco passato Ferragosto, sono tutti in vacanza e la notizia decisamente clamorosa pronunciata dal numero uno del pacifismo internazionale fa il suo effetto, ma scivola via come una goccia d’acqua sopra un ombrello quando piove. Ovviamente il mondo della politica al rientro delle ferie non ne fa nessun accenno. E’ un problema che non li riguarda. Devono continuare fino in fondo l’opera di prosciugamento e spolpamento dello Stato,……prima che sia troppo tardi. Non si sa mai.

Muori se qualche politico o giornalista inginocchiato si sia incaricato di porre il problema.

Così, all’improvviso, ieri sera, con il ritorno di Formigli e Piazzapulita, prendiamo atto di essere dentro la Terza guerra mondiale fino al collo.

Per chi non ha visto la puntata sulla 7, domani sarà disponibile il replay.

La visione è d’obbligo.

Ci risiamo anche con una nuova shoah e una serie infinita di crimini contro l’umanità.

Le truppe anglo americane da una parte e russe dall’altra, arrivate davanti ai campi di sterminio, nel 1945, dissero: “Mai più”.

Non è così. Nel mondo animale è l’uomo il più feroce nel commettere atrocità contro la specie.
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