Come se ne viene fuori ?
Re: Come se ne viene fuori ?
IL COMMENTO
Federazione zoppa
di BARBARA SPINELLI
LA GRECIA ha votato, e forse la cosa che più colpisce è l'effetto che la campagna ha avuto su di noi e sui governi dell'Unione: non si era mai vista un'elezione nazionale che coinvolgesse a tal punto l'Europa intera, i suoi governi, le sue istituzioni.
Un primo segnale era venuto dalle presidenziali in Francia, all'inizio del 2012, quando si formò addirittura un fronte di Stati pro Sarkozy (Merkel lo guidava, secondo indiscrezioni dello Spiegel, con a fianco Monti, Cameron e Rajoy) ma questa volta l'europeizzazione d'un voto nazionale è stata palese, l'intervento è avvenuto senza più veli diplomatici. Angela Merkel ha annullato una visita all'estero, come se l'evento avvenisse in casa, e alla vigilia del voto ha fatto il suo comizio nell'agorà ellenica: "L'Europa non è disposta ad aiutare ancora i Greci, se non rispettano tali e quali gli accordi presi". Minacciando il caos, ha invitato a votare solo i partiti "che non metteranno in questione i memorandum voluti dall'Unione".
Di per sé non è male che la politica dei singoli Stati non sia più introversa, falsamente immunizzata da intromissioni che vengono chiamate straniere solo da chi s'incaponisce a inforcare gli occhiali delle sovranità nazionali assolute. La crisi ha definitivamente annientato sovranità logore sin dal dopoguerra, e logica vuole che non si parli di ingerenza, tantomeno straniera, in una comunità che sia pure parzialmente possiede il volto di una Federazione. Soprattutto non è male che ogni cittadino dell'Unione - in Italia, Spagna, Portogallo, Germania - senta che il verdetto democratico di Atene peserà su tutti noi, non diversamente dal peso crescente che avrà il voto nelle nostre nazioni.
Il guaio è che non è una Federazione compiuta ma zoppa, l'insieme di Stati che da giorni tremano per Atene. E quella che non dovrebbe essere ingerenza torna a essere intromissione di vecchio stampo, in tali condizioni. Hanno parlato capi di governo come la Merkel, ha pontificato il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, rivolgendosi direttamente all'elettore greco (in un'intervista minacciosa su Kathimerini, il 15 giugno, estesa a Corriere della Sera, El País, Público), e naturalmente si sono fatti sentire i mercati, con movimenti di panico non sempre irrazionali.
Hanno taciuto, attonite, le istituzioni comuni (Commissione, Parlamento europeo, Bce). Non è tipico di una Federazione - né di un'unione a metà strada fra Federazione e Confederazione di stati sovrani - che il capo del governo più potente imponga le sue convinzioni in nome dell'intera zona euro, come fosse un Presidente-garante eletto da tutti. Non è federale il comportamento di Weidmann, che si erge a portavoce di un organo comunitario (la Banca centrale presieduta da Mario Draghi) pur essendo un governatore come gli altri nell'eurosistema.
Ancor più ambigua, anzi asfissiante, è la filosofia che sorregge l'europeizzazione pur benefica delle politiche nazionali. Filosofia che potremmo riassumere così, ascoltando le parole dei più dogmatici in Germania: stare in Europa vuol dire non negoziare mai quel che nell'Unione, man mano, è stato mal fatto. L'idea stessa di rinegoziare un patto o una linea politica è equiparata a condotta fedifraga, e come tale viene stigmatizzata. Questa è forse l'essenza delle federazioni, per Weidmann, ma con la democrazia ha poco in comune. Quando una strada si rivela fallimentare (ed è visibilmente fallimentare in Grecia, avendo aumentato la sua povertà, dunque il suo debito) non dovrebbe esser lecito vietare il rinegoziato, cioè la discussione di tale linea e la sua correzione. Democrazia è anche questo: si prova, si sbaglia, si rettifica, secondo il metodo sperimentale del trial and error.
È quello che ha detto Angel Gurria, segretario generale dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo), alla vigilia del voto greco. Se il futuro governo greco, quale che sia, sceglierà di restare nella moneta unica, vorrà modificare i termini del salvataggio fissati da Unione e Fondo Monetario: "Se questa è la condizione per scongiurare che Atene esca dall'euro, occorre darle un'opportunità di ricontrattare i prossimi aiuti" (Kathimerini, 17-6-12).
Fa parte di un'ingerenza antiquata e zoppa non aver detto queste cose prima del voto. L'elettorato doveva provare paura, e la deterrenza ha funzionato alla stregua di una minaccia atomica. Ora che il leader della destra Samaras ha vinto, gli stessi tedeschi allentano le briglie: nulla si ridiscute, ma un po' di tempo bisogna darlo a Atene per ripagare i debiti ("Ora dobbiamo venire incontro ai greci e rilanciare la crescita", dice a Andrea Tarquini, su questo giornale, Karl Lamers, ex consigliere europeo di Kohl). Spiegel prospetta comuni emissioni di titoli del debito, anche se limitati e di breve durata (il nome è eurobond-light o euro-bill). Almeno per ora, tuttavia, Berlino risponde no anche a questo.
Quand'è che in democrazia ci si rimette in questione, pena lo sfascio della democrazia stessa? Quando la linea imboccata naufraga, o quando un piano si rivela non tanto difficile quanto impossibile. Troppo facilmente tendiamo a considerare sinonimi i due termini: l'unione e l'accordo su un unico itinerario ritenuto giusto.
Troppo facilmente il Syriza di Alexis Tsipras (e prima George Papandreou, quando voleva fare della questione greca una questione europea, attraverso un referendum sul cosiddetto salvataggio Ue) è stato trattato come partito anti-europeo, nonostante la sua richiesta fosse chiara: un cambio radicale di paradigma, nell'Unione, che non polverizzasse le periferie Sud accentuando diseguaglianze e squilibri. L'unione si cerca quando c'è disaccordo, non quando tutti fin da principio hanno già un'unica opinione: quella, ripetuta da anni come una litania, di Schäuble o della Merkel.
C'è unione se si trova un'uscita dai conflitti che non sia cruenta né impraticabile; se esistono istituzioni sovranazionali capaci di armonizzare idee diverse e di rispettare - lo dice Lamers - "le condizioni di partenza di ogni paese"; se viene evitata la via imperiale del paese che decide al posto di tutti quale sarà la via aurea, di qui all'eternità. Quest'attitudine ancora non esiste, nell'Eurozona imperfetta cui apparteniamo: un'Eurozona con una moneta, 17 politiche economiche nazionali, una Banca centrale intimidita, nessun bilancio consistente in comune. È stato un errore di Syriza non aver insistito su questi punti.
Abbiamo parlato di cosiddetto salvataggio perché alla Grecia non sono stati garantiti salvataggi, come spiega da mesi l'economista greco Yanis Varoufakis. Non si può continuare a chiamare salvataggio una politica punitiva che non ha prodotto neppure una recessione (la recessione contiene sempre un'opportunità di autocorrezione) ma una vera e propria depressione, che trasforma la Grecia in un grande emporio della miseria ed è "del tutto priva di prospettive di redenzione".
Per affrontare simili dilemmi non basta l'intromissione ansiosa dei capi delle singole nazioni. Non basta neppure per calmare i mercati, che meglio dei governi capiscono, istintivamente, come il male dell'Europa sia innanzitutto politico, non economico. Occorre che nasca una vera agorà democratica in Europa, forte al punto di divenire un contropotere, di imporre un piano di crescita e un'Europa politica. Che in nome di tutti e non solo della Germania parlino le istituzioni sovranazionali (Commissione, Banca centrale). Che parli il Parlamento europeo, troppo silenzioso in tutta questa vicenda. Che i politici nazionali imparino a inforcare occhiali cosmopoliti, oltre a quelli che fanno vedere (con quale miopia!) i soli affari nazionali. Tutto questo ancora manca. Non c'è da lamentarsi se sulla scena europea restano, unici mattatori, solo Angela Merkel e Jens Weidmann.
(19 giugno 2012)
Federazione zoppa
di BARBARA SPINELLI
LA GRECIA ha votato, e forse la cosa che più colpisce è l'effetto che la campagna ha avuto su di noi e sui governi dell'Unione: non si era mai vista un'elezione nazionale che coinvolgesse a tal punto l'Europa intera, i suoi governi, le sue istituzioni.
Un primo segnale era venuto dalle presidenziali in Francia, all'inizio del 2012, quando si formò addirittura un fronte di Stati pro Sarkozy (Merkel lo guidava, secondo indiscrezioni dello Spiegel, con a fianco Monti, Cameron e Rajoy) ma questa volta l'europeizzazione d'un voto nazionale è stata palese, l'intervento è avvenuto senza più veli diplomatici. Angela Merkel ha annullato una visita all'estero, come se l'evento avvenisse in casa, e alla vigilia del voto ha fatto il suo comizio nell'agorà ellenica: "L'Europa non è disposta ad aiutare ancora i Greci, se non rispettano tali e quali gli accordi presi". Minacciando il caos, ha invitato a votare solo i partiti "che non metteranno in questione i memorandum voluti dall'Unione".
Di per sé non è male che la politica dei singoli Stati non sia più introversa, falsamente immunizzata da intromissioni che vengono chiamate straniere solo da chi s'incaponisce a inforcare gli occhiali delle sovranità nazionali assolute. La crisi ha definitivamente annientato sovranità logore sin dal dopoguerra, e logica vuole che non si parli di ingerenza, tantomeno straniera, in una comunità che sia pure parzialmente possiede il volto di una Federazione. Soprattutto non è male che ogni cittadino dell'Unione - in Italia, Spagna, Portogallo, Germania - senta che il verdetto democratico di Atene peserà su tutti noi, non diversamente dal peso crescente che avrà il voto nelle nostre nazioni.
Il guaio è che non è una Federazione compiuta ma zoppa, l'insieme di Stati che da giorni tremano per Atene. E quella che non dovrebbe essere ingerenza torna a essere intromissione di vecchio stampo, in tali condizioni. Hanno parlato capi di governo come la Merkel, ha pontificato il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, rivolgendosi direttamente all'elettore greco (in un'intervista minacciosa su Kathimerini, il 15 giugno, estesa a Corriere della Sera, El País, Público), e naturalmente si sono fatti sentire i mercati, con movimenti di panico non sempre irrazionali.
Hanno taciuto, attonite, le istituzioni comuni (Commissione, Parlamento europeo, Bce). Non è tipico di una Federazione - né di un'unione a metà strada fra Federazione e Confederazione di stati sovrani - che il capo del governo più potente imponga le sue convinzioni in nome dell'intera zona euro, come fosse un Presidente-garante eletto da tutti. Non è federale il comportamento di Weidmann, che si erge a portavoce di un organo comunitario (la Banca centrale presieduta da Mario Draghi) pur essendo un governatore come gli altri nell'eurosistema.
Ancor più ambigua, anzi asfissiante, è la filosofia che sorregge l'europeizzazione pur benefica delle politiche nazionali. Filosofia che potremmo riassumere così, ascoltando le parole dei più dogmatici in Germania: stare in Europa vuol dire non negoziare mai quel che nell'Unione, man mano, è stato mal fatto. L'idea stessa di rinegoziare un patto o una linea politica è equiparata a condotta fedifraga, e come tale viene stigmatizzata. Questa è forse l'essenza delle federazioni, per Weidmann, ma con la democrazia ha poco in comune. Quando una strada si rivela fallimentare (ed è visibilmente fallimentare in Grecia, avendo aumentato la sua povertà, dunque il suo debito) non dovrebbe esser lecito vietare il rinegoziato, cioè la discussione di tale linea e la sua correzione. Democrazia è anche questo: si prova, si sbaglia, si rettifica, secondo il metodo sperimentale del trial and error.
È quello che ha detto Angel Gurria, segretario generale dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo), alla vigilia del voto greco. Se il futuro governo greco, quale che sia, sceglierà di restare nella moneta unica, vorrà modificare i termini del salvataggio fissati da Unione e Fondo Monetario: "Se questa è la condizione per scongiurare che Atene esca dall'euro, occorre darle un'opportunità di ricontrattare i prossimi aiuti" (Kathimerini, 17-6-12).
Fa parte di un'ingerenza antiquata e zoppa non aver detto queste cose prima del voto. L'elettorato doveva provare paura, e la deterrenza ha funzionato alla stregua di una minaccia atomica. Ora che il leader della destra Samaras ha vinto, gli stessi tedeschi allentano le briglie: nulla si ridiscute, ma un po' di tempo bisogna darlo a Atene per ripagare i debiti ("Ora dobbiamo venire incontro ai greci e rilanciare la crescita", dice a Andrea Tarquini, su questo giornale, Karl Lamers, ex consigliere europeo di Kohl). Spiegel prospetta comuni emissioni di titoli del debito, anche se limitati e di breve durata (il nome è eurobond-light o euro-bill). Almeno per ora, tuttavia, Berlino risponde no anche a questo.
Quand'è che in democrazia ci si rimette in questione, pena lo sfascio della democrazia stessa? Quando la linea imboccata naufraga, o quando un piano si rivela non tanto difficile quanto impossibile. Troppo facilmente tendiamo a considerare sinonimi i due termini: l'unione e l'accordo su un unico itinerario ritenuto giusto.
Troppo facilmente il Syriza di Alexis Tsipras (e prima George Papandreou, quando voleva fare della questione greca una questione europea, attraverso un referendum sul cosiddetto salvataggio Ue) è stato trattato come partito anti-europeo, nonostante la sua richiesta fosse chiara: un cambio radicale di paradigma, nell'Unione, che non polverizzasse le periferie Sud accentuando diseguaglianze e squilibri. L'unione si cerca quando c'è disaccordo, non quando tutti fin da principio hanno già un'unica opinione: quella, ripetuta da anni come una litania, di Schäuble o della Merkel.
C'è unione se si trova un'uscita dai conflitti che non sia cruenta né impraticabile; se esistono istituzioni sovranazionali capaci di armonizzare idee diverse e di rispettare - lo dice Lamers - "le condizioni di partenza di ogni paese"; se viene evitata la via imperiale del paese che decide al posto di tutti quale sarà la via aurea, di qui all'eternità. Quest'attitudine ancora non esiste, nell'Eurozona imperfetta cui apparteniamo: un'Eurozona con una moneta, 17 politiche economiche nazionali, una Banca centrale intimidita, nessun bilancio consistente in comune. È stato un errore di Syriza non aver insistito su questi punti.
Abbiamo parlato di cosiddetto salvataggio perché alla Grecia non sono stati garantiti salvataggi, come spiega da mesi l'economista greco Yanis Varoufakis. Non si può continuare a chiamare salvataggio una politica punitiva che non ha prodotto neppure una recessione (la recessione contiene sempre un'opportunità di autocorrezione) ma una vera e propria depressione, che trasforma la Grecia in un grande emporio della miseria ed è "del tutto priva di prospettive di redenzione".
Per affrontare simili dilemmi non basta l'intromissione ansiosa dei capi delle singole nazioni. Non basta neppure per calmare i mercati, che meglio dei governi capiscono, istintivamente, come il male dell'Europa sia innanzitutto politico, non economico. Occorre che nasca una vera agorà democratica in Europa, forte al punto di divenire un contropotere, di imporre un piano di crescita e un'Europa politica. Che in nome di tutti e non solo della Germania parlino le istituzioni sovranazionali (Commissione, Banca centrale). Che parli il Parlamento europeo, troppo silenzioso in tutta questa vicenda. Che i politici nazionali imparino a inforcare occhiali cosmopoliti, oltre a quelli che fanno vedere (con quale miopia!) i soli affari nazionali. Tutto questo ancora manca. Non c'è da lamentarsi se sulla scena europea restano, unici mattatori, solo Angela Merkel e Jens Weidmann.
(19 giugno 2012)
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Re: Come se ne viene fuori ?
Day after day
Italiani spaghetti e mandolino……….ma anche magliari e peracottari….
La notizia top della giornata è fuori dubbio quella del presidente di Confindustria Squinzi.
Squinzi (Confindustria): “La riforma del lavoro è una vera boiata”
Il successore di Emma Marcegaglia non ha usato mezze misure per definire la legge voluta dal ministro Fornero."Non possiamo fare altro che prenderla così com'è perché dobbiamo presentarci al summit europeo del 28 giugno con una proposta approvata" ha aggiunto Squinzi
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 19 giugno 2012
http://www.ilfattoquotidiano.it/
Squinzi attacca: «È una boiata ma va fatta»
Presidente Confindustria: «Spero ci sia spazio per correttivi»
E il ministro: «Sono sicura che si ricrederà»
http://www.corriere.it/
Confindustria contro ministro Lavoro: «Riforma del lavoro? Una boiata»
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, se la prende con il ministro Fornero: «La riforma del lavoro è una vera boiata, ma non possiamo che prendercela così»
http://www.unita.it/
Squinzi: "Così com'è è una vera boiata"
http://www.repubblica.it
Sarebbe opportuno e corretto che il presidente di Confidustria in questa situazione di caos estremo precisasse su quali punti ritiene che la riforma è una boiata.
Ma questo non avverrà perché in Italia le cose funzionano in questo modo.
All’improvviso, a dodici giorni dall’appuntamento europeo del 28 giugno, è il premier Monti a creare confusione con la sua richiesta fatta sul palco di “Repubblica idee”.
Monti gioca sull’appuntamento europeo per costringere i partiti a stringere i tempi, costi quel che costi.
Poi che sia una porcata o meno non gli fa né caldo né freddo. L’importante, secondo lui, è andare all’incontro europeo con in tasca la riforma del lavoro.
A questo punto facciamo automaticamente un balzo indietro di 11 mesi e scopriamo che tra Berlusconi e Monti, sotto il profilo gestionale non esiste nessuna differenza.
Su pressione europea il Parlamento italiano vara in tre soli giorni un provvedimento economico che farà sbrodolare tutti i politici italiani che l’hanno votata e pure il presidente della Repubblica che l’ha firmata.
Napolitano continuerà a sbrodolare per altri 20 giorni sul fatto che una legge di quel tipo sia stata approvata in soli tre giorni.
Che poi fosse un’autentica ciofeca e che i mercati l’abbiano subito bocciata, all’intero establishment tricolore poco importava, tanto che il governo Berlusconi dovrà rifarla nei mesi successivi per altre tre volte. Peggio dei compiti in classe di Pierino.
Adesso siamo d’accapo con Monti. Che sia una boiata o meno non importa. Il tutto come se fossimo ai tempi delle caverne e che a Roma non ci fossero corrispondenti tedeschi che raccontano sui loro giornali quello che succede in Italia.
Presentarsi con una riforma porcata farebbe vergognare molti ma non Mario Monti.
Casini in testa, i partiti cercano di fare in fretta a varare la riforma porcata.
Il Kaiser Merkel sarà anche un crapone che non molla, ma i peracottari tricolori stimolerebbe chiunque a comportarsi testardamente come il Kaiser.
Italiani spaghetti e mandolino……….ma anche magliari e peracottari….
La notizia top della giornata è fuori dubbio quella del presidente di Confindustria Squinzi.
Squinzi (Confindustria): “La riforma del lavoro è una vera boiata”
Il successore di Emma Marcegaglia non ha usato mezze misure per definire la legge voluta dal ministro Fornero."Non possiamo fare altro che prenderla così com'è perché dobbiamo presentarci al summit europeo del 28 giugno con una proposta approvata" ha aggiunto Squinzi
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 19 giugno 2012
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Squinzi attacca: «È una boiata ma va fatta»
Presidente Confindustria: «Spero ci sia spazio per correttivi»
E il ministro: «Sono sicura che si ricrederà»
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Confindustria contro ministro Lavoro: «Riforma del lavoro? Una boiata»
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, se la prende con il ministro Fornero: «La riforma del lavoro è una vera boiata, ma non possiamo che prendercela così»
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Squinzi: "Così com'è è una vera boiata"
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Sarebbe opportuno e corretto che il presidente di Confidustria in questa situazione di caos estremo precisasse su quali punti ritiene che la riforma è una boiata.
Ma questo non avverrà perché in Italia le cose funzionano in questo modo.
All’improvviso, a dodici giorni dall’appuntamento europeo del 28 giugno, è il premier Monti a creare confusione con la sua richiesta fatta sul palco di “Repubblica idee”.
Monti gioca sull’appuntamento europeo per costringere i partiti a stringere i tempi, costi quel che costi.
Poi che sia una porcata o meno non gli fa né caldo né freddo. L’importante, secondo lui, è andare all’incontro europeo con in tasca la riforma del lavoro.
A questo punto facciamo automaticamente un balzo indietro di 11 mesi e scopriamo che tra Berlusconi e Monti, sotto il profilo gestionale non esiste nessuna differenza.
Su pressione europea il Parlamento italiano vara in tre soli giorni un provvedimento economico che farà sbrodolare tutti i politici italiani che l’hanno votata e pure il presidente della Repubblica che l’ha firmata.
Napolitano continuerà a sbrodolare per altri 20 giorni sul fatto che una legge di quel tipo sia stata approvata in soli tre giorni.
Che poi fosse un’autentica ciofeca e che i mercati l’abbiano subito bocciata, all’intero establishment tricolore poco importava, tanto che il governo Berlusconi dovrà rifarla nei mesi successivi per altre tre volte. Peggio dei compiti in classe di Pierino.
Adesso siamo d’accapo con Monti. Che sia una boiata o meno non importa. Il tutto come se fossimo ai tempi delle caverne e che a Roma non ci fossero corrispondenti tedeschi che raccontano sui loro giornali quello che succede in Italia.
Presentarsi con una riforma porcata farebbe vergognare molti ma non Mario Monti.
Casini in testa, i partiti cercano di fare in fretta a varare la riforma porcata.
Il Kaiser Merkel sarà anche un crapone che non molla, ma i peracottari tricolori stimolerebbe chiunque a comportarsi testardamente come il Kaiser.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Day after day
Il punto…….(tragico)
Non è il caldo di Scipione l’africano che sta squagliando Merlonia
Il Giornale, Libero e Il Tempo (un po’ più soft) conducono una battaglia pregiudiziale contro Monti. Il camerata Sallusti non manca mai di difendere l’operato di Berlusconi e sogna un suo ritorno sul seggiolone di Palazzo Chigi.
Scrive Libero:
RIFORMA DEL LAVORO FLOP
LA BOIATA DI MONTI
Confindustria stronca la legge ma poi dice: <<Va approvata, il premier non può andare a Bruxelles a mani vuote>>. Insomma, l’arma dell’Italia con i partner europei è una fantozziana corazzata Potemkin.
Mentre Il Giornale titola:
SE E’ UNA BOIATA NON VOTATELA.
Già, ma chi lo dice a Pierazzuzzo, lo sponsor indiscusso del governo Monti, che considera reato fare cadere il governo?
Però Monti non fa niente per non offrire il fianco alla polemica quotidiana.
Poteva evitarselo il premier l’invito a “Camere riunite” di sabato a Bologna sollecitando per il 28 giugno l’approvazione della riforma del lavoro.
Non era al corrente che questa riforma fosse una boiata? O per lo meno su per giù una boiata?
Questa sollecitazione del tutto inutile da parte del premier “solo per avere un’ipotetico peso maggiore” alla riunione Ue del 28 giugno, ha sortito esattamente l’effetto opposto.
L’intervento, giusto o sbagliato che sia, molto probabilmente un giudizio di parte che non lo soddisfa, fatto da parte del presidente di Confindustria, è diventato nella giornata di ieri la notizia principale, che sarà stata naturalmente ripresa dai quotidiani europei, grazie ai loro corrispondenti romani.
Immagino che lo abbia fatto anche Tobias Piller della FAZ, che ha il dentino avvelenato con Monti e difende a spada tratta il Kaiser Merkel.
Quindi oggi tutti in Europa sanno, senza sapere il perché, che la riforma del lavoro della nipote di Gengis Kan, madama Frignero, è “Una boiata pazzesca”.
Un capolavoro della comunicazione di Monti.
Quindi, quando andrà in Europa tutti lo aspetteranno al varco curiosi di sapere se ha il coraggio di mettere sul tavolo una riforma del lavoro che equivale a una “Boiata pazzesca”.
Anziché disporre di una carta in più per far sentire il peso di Merlonia, ci si presenta come quelli di sempre, quelli del lungo carnevale durato un decennio con il fasullo brianzolo che raccontava barzellette come ai tempi d’oro di quando faceva l’intrattenitore sulle navi da crociera.
2) Il pallottoliere di madama Frigrero funziona a corrente alternata. Rifacendo i conti ha scoperto altri 55 mila esodati da aggiungere ai suoi precedenti 65 mila.
Nello stesso tempo accusa l’Inps di fornire dati sbagliati e alimentare il caos.
I sindacati insistono che i dati della nipote di Gengis Kan sono sbagliati.
In questi casi, un premier all’altezza della situazione, non da adesso, avrebbe dovuto d’imperio prendere in mano il caso e chiuderlo con dati verità.
Ma Monti non osa sconfessare la sua Professoressa, perché nei fatti sconfesserebbe se stesso.
Tanto è vero che a Bologna ha affermato che se il ministro avesse presentato le dimissioni lui le avrebbe respinte.
Un capolavoro dell’italianità che non finisce mai, che contrasta con la fiaba che viene raccontata su un governo che rompe la continuità con il passato.
Il premier va in Europa anche con questa medaglia pretendendo rispetto.
3) La fortuna è cieca,… ma la sfiga ci vede molto bene, e quando le cose si mettono male le negatività arrivano una dopo l’altra.
Il caso Mancino esplode con prepotenza, coinvolgendo indirettamente il Quirinale, non per la partecipazione regressa alla trattativa Mafia – Stato, ma per aver coperto l’amico Mancino ex ministro dell’Interno, presidente del Senato, e vice presidente del Csm.
L’ennesima pagina nera della storia della Repubblica che arriva dopo il crollo della prima Repubblica targata Dc.
Questo è un tegolone istituzionale che fa tremare le fondamenta della democrazia. Indica chiaramente che in Italia in questo momento non esistono più punti di riferimento.
La casa è crollata.
4) Oggi si vota al Senato sulla richiesta d’arresto del senatore Lusi coinvolto nel caso “Lusi,…illusi,….collusi”.
Le osservazioni di Grillo ieri hanno fondamento quando analizza le due ipotesi probabili:
Prima ipotesi. Il Senato autorizza. Lusi viene arrestato e parla, e porta prove a sostegno (e ha detto che lo farà), mezzo pdmenoelle potrebbe essere trascinato sul banco degli imputati. Una riedizione di Tangentopoli con nuovi Forlani con la bavetta. Tutti i percettori dei contributi elettorali dispensati da Lusi a ummaumma dovrebbero trasferirsi all'estero e abbandonare i tanto amati talk show con conduttore a seguito. Previsione elettorale: pdmenoelle sotto il 15%, destinato alla fine della Lega.
Seconda ipotesi. Il Senato non autorizza. Lusi non viene arrestato, non parla e fa il pesce in barile in attesa degli eventi. L'opinione pubblica insorge. Il pdmenoelle attribuisce il salvataggio ai voti (infidi) del Pdl e della Lega. Il Pdl e la Lega respingono indignati l'accusa. Previsione elettorale: Il pdmenoelle perde il 2/3% del consenso elettorale nei sondaggi e si apre una discussione, seria, interna al partito sui rimborsi elettorali, che comunque altrettanto seriamente non verranno restituiti ai cittadini. Se voi foste il Politburo del pdmenoelle, rappresentato da Bersani, D'Alema, Bindi e Letta nipote, con la ruota di scorta dell'inconsapevole Rutelli, cosa fareste? Puntereste sulla ipotesi a minor rischio. E quindi il buon senso suggerisce il salvataggio. "Fiat Lusi". Meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Lo disse Andreotti, lo faranno in Senato se non vogliono rischiare l'estinzione. Ma comunque vada, arresto o non arresto, sarà un successo.
Una giornataccia per il Cs, ma soprattutto per gli ex Magherita, che non si erano “accorti” di quello che era successo con la Mafia Spa, come non si erano accorti di cosa faceva quel ragazzaccio di Lusi,… che oggi si affrettano per convenienza a definire ladro.
Altro che Concordia davanti all’Isola del Giglio.
Il punto…….(tragico)
Non è il caldo di Scipione l’africano che sta squagliando Merlonia
Il Giornale, Libero e Il Tempo (un po’ più soft) conducono una battaglia pregiudiziale contro Monti. Il camerata Sallusti non manca mai di difendere l’operato di Berlusconi e sogna un suo ritorno sul seggiolone di Palazzo Chigi.
Scrive Libero:
RIFORMA DEL LAVORO FLOP
LA BOIATA DI MONTI
Confindustria stronca la legge ma poi dice: <<Va approvata, il premier non può andare a Bruxelles a mani vuote>>. Insomma, l’arma dell’Italia con i partner europei è una fantozziana corazzata Potemkin.
Mentre Il Giornale titola:
SE E’ UNA BOIATA NON VOTATELA.
Già, ma chi lo dice a Pierazzuzzo, lo sponsor indiscusso del governo Monti, che considera reato fare cadere il governo?
Però Monti non fa niente per non offrire il fianco alla polemica quotidiana.
Poteva evitarselo il premier l’invito a “Camere riunite” di sabato a Bologna sollecitando per il 28 giugno l’approvazione della riforma del lavoro.
Non era al corrente che questa riforma fosse una boiata? O per lo meno su per giù una boiata?
Questa sollecitazione del tutto inutile da parte del premier “solo per avere un’ipotetico peso maggiore” alla riunione Ue del 28 giugno, ha sortito esattamente l’effetto opposto.
L’intervento, giusto o sbagliato che sia, molto probabilmente un giudizio di parte che non lo soddisfa, fatto da parte del presidente di Confindustria, è diventato nella giornata di ieri la notizia principale, che sarà stata naturalmente ripresa dai quotidiani europei, grazie ai loro corrispondenti romani.
Immagino che lo abbia fatto anche Tobias Piller della FAZ, che ha il dentino avvelenato con Monti e difende a spada tratta il Kaiser Merkel.
Quindi oggi tutti in Europa sanno, senza sapere il perché, che la riforma del lavoro della nipote di Gengis Kan, madama Frignero, è “Una boiata pazzesca”.
Un capolavoro della comunicazione di Monti.
Quindi, quando andrà in Europa tutti lo aspetteranno al varco curiosi di sapere se ha il coraggio di mettere sul tavolo una riforma del lavoro che equivale a una “Boiata pazzesca”.
Anziché disporre di una carta in più per far sentire il peso di Merlonia, ci si presenta come quelli di sempre, quelli del lungo carnevale durato un decennio con il fasullo brianzolo che raccontava barzellette come ai tempi d’oro di quando faceva l’intrattenitore sulle navi da crociera.
2) Il pallottoliere di madama Frigrero funziona a corrente alternata. Rifacendo i conti ha scoperto altri 55 mila esodati da aggiungere ai suoi precedenti 65 mila.
Nello stesso tempo accusa l’Inps di fornire dati sbagliati e alimentare il caos.
I sindacati insistono che i dati della nipote di Gengis Kan sono sbagliati.
In questi casi, un premier all’altezza della situazione, non da adesso, avrebbe dovuto d’imperio prendere in mano il caso e chiuderlo con dati verità.
Ma Monti non osa sconfessare la sua Professoressa, perché nei fatti sconfesserebbe se stesso.
Tanto è vero che a Bologna ha affermato che se il ministro avesse presentato le dimissioni lui le avrebbe respinte.
Un capolavoro dell’italianità che non finisce mai, che contrasta con la fiaba che viene raccontata su un governo che rompe la continuità con il passato.
Il premier va in Europa anche con questa medaglia pretendendo rispetto.
3) La fortuna è cieca,… ma la sfiga ci vede molto bene, e quando le cose si mettono male le negatività arrivano una dopo l’altra.
Il caso Mancino esplode con prepotenza, coinvolgendo indirettamente il Quirinale, non per la partecipazione regressa alla trattativa Mafia – Stato, ma per aver coperto l’amico Mancino ex ministro dell’Interno, presidente del Senato, e vice presidente del Csm.
L’ennesima pagina nera della storia della Repubblica che arriva dopo il crollo della prima Repubblica targata Dc.
Questo è un tegolone istituzionale che fa tremare le fondamenta della democrazia. Indica chiaramente che in Italia in questo momento non esistono più punti di riferimento.
La casa è crollata.
4) Oggi si vota al Senato sulla richiesta d’arresto del senatore Lusi coinvolto nel caso “Lusi,…illusi,….collusi”.
Le osservazioni di Grillo ieri hanno fondamento quando analizza le due ipotesi probabili:
Prima ipotesi. Il Senato autorizza. Lusi viene arrestato e parla, e porta prove a sostegno (e ha detto che lo farà), mezzo pdmenoelle potrebbe essere trascinato sul banco degli imputati. Una riedizione di Tangentopoli con nuovi Forlani con la bavetta. Tutti i percettori dei contributi elettorali dispensati da Lusi a ummaumma dovrebbero trasferirsi all'estero e abbandonare i tanto amati talk show con conduttore a seguito. Previsione elettorale: pdmenoelle sotto il 15%, destinato alla fine della Lega.
Seconda ipotesi. Il Senato non autorizza. Lusi non viene arrestato, non parla e fa il pesce in barile in attesa degli eventi. L'opinione pubblica insorge. Il pdmenoelle attribuisce il salvataggio ai voti (infidi) del Pdl e della Lega. Il Pdl e la Lega respingono indignati l'accusa. Previsione elettorale: Il pdmenoelle perde il 2/3% del consenso elettorale nei sondaggi e si apre una discussione, seria, interna al partito sui rimborsi elettorali, che comunque altrettanto seriamente non verranno restituiti ai cittadini. Se voi foste il Politburo del pdmenoelle, rappresentato da Bersani, D'Alema, Bindi e Letta nipote, con la ruota di scorta dell'inconsapevole Rutelli, cosa fareste? Puntereste sulla ipotesi a minor rischio. E quindi il buon senso suggerisce il salvataggio. "Fiat Lusi". Meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Lo disse Andreotti, lo faranno in Senato se non vogliono rischiare l'estinzione. Ma comunque vada, arresto o non arresto, sarà un successo.
Una giornataccia per il Cs, ma soprattutto per gli ex Magherita, che non si erano “accorti” di quello che era successo con la Mafia Spa, come non si erano accorti di cosa faceva quel ragazzaccio di Lusi,… che oggi si affrettano per convenienza a definire ladro.
Altro che Concordia davanti all’Isola del Giglio.
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Re: Come se ne viene fuori ?
su Lusi stanno preparando la porcata.
.
invito il PD a trovare un modo per rendere comunque palese il voto del suo gruppo parlamentare in Senato.
per quanto riguarda "la cialtrona che lacrima":
.
ma invece di votare la responsabilità civile dei magistrati,
non si potrebbe votare la responsabilità civile dei ministri ???
.
invito il PD a trovare un modo per rendere comunque palese il voto del suo gruppo parlamentare in Senato.
per quanto riguarda "la cialtrona che lacrima":
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ma invece di votare la responsabilità civile dei magistrati,
non si potrebbe votare la responsabilità civile dei ministri ???
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Re: Come se ne viene fuori ?
>>non si potrebbe votare la responsabilità civile dei ministri ???
Esiste gia`.
Si va dal peculato, al falso in atto pubblico, fino all'alto tradimento.
Ma ci vogliono forze dell'ordine e magistrati con le palle.
Altro che pool mani pulite.
Ciao.
soloo42000
Esiste gia`.
Si va dal peculato, al falso in atto pubblico, fino all'alto tradimento.
Ma ci vogliono forze dell'ordine e magistrati con le palle.
Altro che pool mani pulite.
Ciao.
soloo42000
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Re: Come se ne viene fuori ?
Lusi Senato e cassiere della Margherita.Questo personaggio ha truffato il suo partito.Ma sopratutto noi cittadini che con il nostro voto lo abbiamo sovvenzionato.
Se alla fine risulta tutto vero:Ora non sò se percepisce lo stipendio da senatore,ma se colpevole cosa gli faranno? Toglieranno lo stipendio e la futura pensione
ecc....... o cosa?
Ciao
Paolo11
Se alla fine risulta tutto vero:Ora non sò se percepisce lo stipendio da senatore,ma se colpevole cosa gli faranno? Toglieranno lo stipendio e la futura pensione
ecc....... o cosa?
Ciao
Paolo11
Ultima modifica di paolo11 il 20/06/2012, 18:41, modificato 1 volta in totale.
Re: Come se ne viene fuori ?
Il "grillismo" di Di Pietro fa litigare l'Italia dei Valori
Di Pietro corteggia l’ex comico e attacca il Colle e persino l’ex collega pm Colombo. Donadi lancia l’allarme: «Così dove andiamo a finire?»
Di Andrea Carugati 20 giugno 2012 A - A
Grillo fa litigare i dipietristi. O meglio, fa emergere la faglia che agita e scuote l’Italia dei valori. Da una parte Tonino il leader, sempre più grillino, lancia in resta contro il Quirinale sulla trattativa Stato-mafia, pronto a definire «figlia di una logica spartitoria» persino l’indicazione del suo ex collega pm Gherardo Colombo come membro del cda Rai, fatta dal Pdsu suggerimento di Libera di DonCiotti e da Libertà e giustizia. Un Di Pietro che al “Fatto” di ieri arriva a dichiarare sconsolato che l’alleanza alle urne con Grillo non si può fare, ma solo perché Beppe «ha detto chiaro e tondo che loro andranno da soli alle urne». Poco male, assicura Tonino, «il giorno dopo le elezioni le nostre battaglie in Parlamento saranno comuni».
Una deriva grillina che preoccupa, e molto, l’ala moderata del partito. Quella che fa riferimento al capogruppo alla Camera Massimo Donadi, uno che si è fatto politicamente le ossa con l’Ulivo di Prodi e ha deciso di «mettere le mani avanti» per evitare che l’Idv finisca in un «sentiero sdrucciolevole». Letta l’intervista di Tonino, ieri mattina Donadi ha posto la questione sul suo blog. «Sarebbe grave pensare di essere noi a sottrarci alla responsabilità di costruire un centrosinistra di governo. Cedere alle lusinghe di una sorta di grillismo di ritorno sarebbe per noi una mossa sbagliata ed ingiustificabile. Un’apparente via in discesa,mainrealtàunamossarinunciataria e perdente». E ancora: «In Parlamento saremo fianco a fianco con Grillo? Su temi di legalità e moralizzazione della politica certo che sì.Masulle scelte economiche delPaesenoncredoproprio.Conchipropone il default dell’Italia e la nostra uscita dall’euro non voglio avere nulla a che fare! ».
Parole nette, che in queste ore, in attesa del prossimo esecutivo dell’Idv che dovrà discutere di strategie e alleanze, stanno facendoproselitidentroi gruppiparlamentari. Rumors di Montecitorio dicono che la maggioranza dei deputati sarebbe sulla linea Donadi. Anche sull’attacco al Colle a proposito delle telefonate di Nicola Mancino, Donadi fa un distinguo: «Io credo che ci siano stati dei comportamenti poco corretti da parte dello staff del presidente Napolitano ». Parole ben diverse da quelle del leader che ha parlato di una «lettera di pressioni» sul pgdella Cassazione «scritta da Napolitano ». E il capogruppo insiste: «La scelta del governo l’abbiamo fatta già nel 1996. Ora il nostro compito è continuare a essere un pilastro insostituibile del centrosinistra».
http://www.unita.it/italia/il-grillismo ... i-1.422406
Di Pietro corteggia l’ex comico e attacca il Colle e persino l’ex collega pm Colombo. Donadi lancia l’allarme: «Così dove andiamo a finire?»
Di Andrea Carugati 20 giugno 2012 A - A
Grillo fa litigare i dipietristi. O meglio, fa emergere la faglia che agita e scuote l’Italia dei valori. Da una parte Tonino il leader, sempre più grillino, lancia in resta contro il Quirinale sulla trattativa Stato-mafia, pronto a definire «figlia di una logica spartitoria» persino l’indicazione del suo ex collega pm Gherardo Colombo come membro del cda Rai, fatta dal Pdsu suggerimento di Libera di DonCiotti e da Libertà e giustizia. Un Di Pietro che al “Fatto” di ieri arriva a dichiarare sconsolato che l’alleanza alle urne con Grillo non si può fare, ma solo perché Beppe «ha detto chiaro e tondo che loro andranno da soli alle urne». Poco male, assicura Tonino, «il giorno dopo le elezioni le nostre battaglie in Parlamento saranno comuni».
Una deriva grillina che preoccupa, e molto, l’ala moderata del partito. Quella che fa riferimento al capogruppo alla Camera Massimo Donadi, uno che si è fatto politicamente le ossa con l’Ulivo di Prodi e ha deciso di «mettere le mani avanti» per evitare che l’Idv finisca in un «sentiero sdrucciolevole». Letta l’intervista di Tonino, ieri mattina Donadi ha posto la questione sul suo blog. «Sarebbe grave pensare di essere noi a sottrarci alla responsabilità di costruire un centrosinistra di governo. Cedere alle lusinghe di una sorta di grillismo di ritorno sarebbe per noi una mossa sbagliata ed ingiustificabile. Un’apparente via in discesa,mainrealtàunamossarinunciataria e perdente». E ancora: «In Parlamento saremo fianco a fianco con Grillo? Su temi di legalità e moralizzazione della politica certo che sì.Masulle scelte economiche delPaesenoncredoproprio.Conchipropone il default dell’Italia e la nostra uscita dall’euro non voglio avere nulla a che fare! ».
Parole nette, che in queste ore, in attesa del prossimo esecutivo dell’Idv che dovrà discutere di strategie e alleanze, stanno facendoproselitidentroi gruppiparlamentari. Rumors di Montecitorio dicono che la maggioranza dei deputati sarebbe sulla linea Donadi. Anche sull’attacco al Colle a proposito delle telefonate di Nicola Mancino, Donadi fa un distinguo: «Io credo che ci siano stati dei comportamenti poco corretti da parte dello staff del presidente Napolitano ». Parole ben diverse da quelle del leader che ha parlato di una «lettera di pressioni» sul pgdella Cassazione «scritta da Napolitano ». E il capogruppo insiste: «La scelta del governo l’abbiamo fatta già nel 1996. Ora il nostro compito è continuare a essere un pilastro insostituibile del centrosinistra».
http://www.unita.it/italia/il-grillismo ... i-1.422406
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Re: Come se ne viene fuori ?
Marcello Sorgi a Linea notte commentando gli ultimi avvenimenti tricolori afferma:
E' iniziata la campagna elettorale e sarà sanguinosa..........
Condivido,........ma in questo caso l'appoggio al governo Monti non può durare a lungo..........
E' iniziata la campagna elettorale e sarà sanguinosa..........
Condivido,........ma in questo caso l'appoggio al governo Monti non può durare a lungo..........
Re: Come se ne viene fuori ?
Per i partiti l’allarme suona ormai invano...
GIOVEDÌ 21 GIUGNO 2012 09:13
di Federico Brusadelli
Continua la scalata del MoVimento 5 Stelle sulle vette del consenso elettorale: gli ultimi sondaggi lo danno stabilmente al 20 per cento. Segno che al centro della prossima campagna elettorale non ci saranno tanto i contenuti (che non permetterebbero a Beppe Grillo di essere leader del secondo partito d’Italia) quanto il senso di “rinnovamento” che le forze in campo sapranno garantire agli italiani.
Su questo - sulle “facce nuove”, più che sulle ricette economiche, sull’Europa o sull’euro - si giocherà buona parte del voto. Continua dunque a suonare l’allarme per un sistema, quello attualmente rappresentato in Parlamento, che rischia seriamente - a causa della sua inscalfibile volontà di autoconservazione - di essere spazzato via dall’“altro” sistema, che sta prendendo forma fuori dal campo parlamentare (Grillo, Montezemolo, le liste civiche, forse anche lo stesso Monti).
Ma suona a vuoto, a quanto pare. Perché al di là di qualche generica promessa - accolta dagli italiani con giusto cinismo e legittima disillusione - nulla si è mosso e nulla si muove. Ci si agita, si dialoga, si parla, e tanto, di fare “cose nuove”. Tutti, dalla Meloni a Bersani, da Alfano a Storace. Difficile però convincere gli italiani che ci si possa riuscire con persone vecchie (e non è questione anagrafica) e con schemi vecchi.
Le geografie della politica attendono di essere riscritte, non restaurate. Per questo serve qualcosa di più di un semplice “ricambio generazionale” (che spesso è il modo elegante di definire l’infornata di qualche portaborse) e di una semplice “formattazione”. Non ci sono più elettorati di riferimento, ma elettori in cerca di riferimenti. E se non li troveranno tra chi oggi siede in Parlamento, ne troveranno di nuovi, delegheranno altre forze a rappresentarli. Per questo o i partiti cambiano, o gli italiani cambieranno i loro partiti. Che sia un bene o un male, è un’opinione. Che stia per accadere, è un fatto.
http://www.ilfuturista.it/il-commento/p ... nvano.html
GIOVEDÌ 21 GIUGNO 2012 09:13
di Federico Brusadelli
Continua la scalata del MoVimento 5 Stelle sulle vette del consenso elettorale: gli ultimi sondaggi lo danno stabilmente al 20 per cento. Segno che al centro della prossima campagna elettorale non ci saranno tanto i contenuti (che non permetterebbero a Beppe Grillo di essere leader del secondo partito d’Italia) quanto il senso di “rinnovamento” che le forze in campo sapranno garantire agli italiani.
Su questo - sulle “facce nuove”, più che sulle ricette economiche, sull’Europa o sull’euro - si giocherà buona parte del voto. Continua dunque a suonare l’allarme per un sistema, quello attualmente rappresentato in Parlamento, che rischia seriamente - a causa della sua inscalfibile volontà di autoconservazione - di essere spazzato via dall’“altro” sistema, che sta prendendo forma fuori dal campo parlamentare (Grillo, Montezemolo, le liste civiche, forse anche lo stesso Monti).
Ma suona a vuoto, a quanto pare. Perché al di là di qualche generica promessa - accolta dagli italiani con giusto cinismo e legittima disillusione - nulla si è mosso e nulla si muove. Ci si agita, si dialoga, si parla, e tanto, di fare “cose nuove”. Tutti, dalla Meloni a Bersani, da Alfano a Storace. Difficile però convincere gli italiani che ci si possa riuscire con persone vecchie (e non è questione anagrafica) e con schemi vecchi.
Le geografie della politica attendono di essere riscritte, non restaurate. Per questo serve qualcosa di più di un semplice “ricambio generazionale” (che spesso è il modo elegante di definire l’infornata di qualche portaborse) e di una semplice “formattazione”. Non ci sono più elettorati di riferimento, ma elettori in cerca di riferimenti. E se non li troveranno tra chi oggi siede in Parlamento, ne troveranno di nuovi, delegheranno altre forze a rappresentarli. Per questo o i partiti cambiano, o gli italiani cambieranno i loro partiti. Che sia un bene o un male, è un’opinione. Che stia per accadere, è un fatto.
http://www.ilfuturista.it/il-commento/p ... nvano.html
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- Iscritto il: 22/02/2012, 14:30
Re: Come se ne viene fuori ?
Care Amiche, cari amici,
ritengo opportuno inviarvi di seguito il sondaggio effettuato da Demos e articolo (che avrete certamente già visto nella nostra rassegna stampa del 19 giugno all’indirizzo http://www.gruppoidvregioneveneto.it/wo ... gna-stampa), per misurare la fiducia dei cittadini nei partiti.
Dallo schema si evince come Italia dei Valori, in quanto a credibilità sia il primo partito del NordEst dopo il Movimento 5 Stelle.
Cari e cordiali saluti,
Gennaro MAROTTA
Segretario Regionale IDV Veneto.
http://www.gazzettino.it/articolo_app.php?id=49450
Ciao
Paolo11
ritengo opportuno inviarvi di seguito il sondaggio effettuato da Demos e articolo (che avrete certamente già visto nella nostra rassegna stampa del 19 giugno all’indirizzo http://www.gruppoidvregioneveneto.it/wo ... gna-stampa), per misurare la fiducia dei cittadini nei partiti.
Dallo schema si evince come Italia dei Valori, in quanto a credibilità sia il primo partito del NordEst dopo il Movimento 5 Stelle.
Cari e cordiali saluti,
Gennaro MAROTTA
Segretario Regionale IDV Veneto.
http://www.gazzettino.it/articolo_app.php?id=49450
Ciao
Paolo11
Chi c’è in linea
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