La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LIBRE news
Quel jet russo abbattuto per anticipare il golpe in Turchia
Scritto il 20/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
I cieli della Turchia, la notte di venerdì, erano affollati di caccia F-16.
I jet si rincorrevano a bassa quota sopra Ankara ed Istanbul illuminandosi reciprocamente con i radar d’attacco, senza però arrivare mai ad aprire il fuoco.
E tra i piloti che, nella notte di venerdì, a bordo dei jet F-16, inseguivano ad altissima velocità gli stessi caccia guidati dagli uomini rimasti fedeli al presidente Recep Tayyip Erdogan, c’erano anche i due piloti che il 24 novembre del 2015, al confine tra Siria e Turchia, abbatterono in volo il Su-24 Fencer russo, impegnato nelle operazioni anti-Isis nel nord della Siria, che per 17 secondi violò lo spazio aereo turco.
Il quotidiano turco “Hurriyet”, infatti, riferisce che i due piloti coinvolti nell’abbattimento del cacciabombardiere russo, sono coinvolti anche nel golpe fallito contro il presidente Erdogan, e che sono stati posti in custodia cautelare per aver preso parte al tentativo di colpo di Stato.
L’abbattimento del velivolo provocò la rottura delle relazioni tra Ankara e Mosca e generò una crisi diplomatica profonda che si è conclusa solo dopo circa otto mesi, nel giugno scorso, quando il Cremlino ha ricevuto le scuse formali per l’abbattimento del jet da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Fino a quel momento, infatti, Ankara aveva sempre rifiutato di assumersi le responsabilità dell’accaduto.
Il fatto, però, che i due piloti che obbedirono all’ordine di abbattere il jet russo, figurino ora tra le file dei militari golpisti e oppositori di Erdogan, spinge a ripensare gli eventi del 24 novembre alla luce degli accadimenti dello scorso fine settimana.
La spaccatura fra Erdogan ed una parte dei militari, del resto, non è cosa nuova, ma vecchia di almeno dieci anni, e il golpe fallito messo in atto nella giornata di venerdì viene considerato da molti analisti solo l’apice di un processo che va avanti da tempo.
C’è quindi chi già pensa che forse, dietro l’abbattimento del caccia di Mosca, impegnato nelle operazioni contro lo Stato Islamico nel nord della Siria, potrebbe non esserci stato un ordine diretto di Erdogan, ma che forse l’iniziativa partì da quegli stessi generali dell’aviazione turca, che risultano, secondo le controverse informazioni a disposizione finora, essere stati alla base dell’organizzazione del tentativo colpo di Stato.
«All’epoca dell’incidente fu l’allora premier Ahmet Davutoglu a prendersi la responsabilità di quello che successe e non Erdogan», spiega a “Gli Occhi della Guerra” Alexander Sotnichenko, professore di relazioni internazionali all’Università di San Pietroburgo ed esperto di relazioni russo-turche, «ora Erdogan sta cercando di dimostrare che non fu lui il colpevole di quella vicenda, ma i sostenitori di Gulen».
In più, il tentativo di golpe, che avrebbe potuto essere messo in atto in diverse occasioni, ultima quella delle contestate elezioni del 2015, avviene proprio in un momento in cui le relazioni tra Ankara e Washington sono ai minimi storici e mentre è iniziato un percorso di normalizzazione delle relazioni con la Russia.
Percorso che ha aperto anche un’ulteriore strada, quella che porta verso una composizione diplomatica della crisi siriana.
Le prime tappe di questo percorso sono state la rimozione delle sanzioni, gli incontri al vertice tra i ministri degli esteri dei due paesi e la ripresa del dialogo in diversi settori.
Un incontro tra Erdogan e Putin è previsto, inoltre, per la prima settimana di agosto, e secondo alcune indiscrezioni, il bilaterale tra i due leader, che si sarebbe dovuto tenere a settembre, al G20 di Guangzhou, in Cina, sarebbe stato anticipato proprio durante una telefonata tra i due, avvenuta a seguito degli eventi degli ultimi giorni, in cui Mosca si è detta preoccupata della instabilità nell’area, augurando ad Erdogan un «veloce ripristino di un robusto ordine costituzionale e della stabilità».
Se le relazioni con la Russia sono tornate buone, quelle tra Washington e Ankara, invece, continuano a precipitare dopo il tentato golpe.
La Turchia sta accusando gli Stati Uniti di proteggere l’imam Fethullah Gulen, considerato da Erdogan la mente del golpe fallito in Turchia.
Ankara sta chiedendo l’estradizione del dissidente turco che da 15 anni risiede negli Stati Uniti, ma Washington non vuole concederla se non a fronte di prove legali e dell’apertura di un processo formale.
Una figura, quella di Gulen, che divide anche gli stessi vertici statunitensi.
All’interno dell’amministrazione Obama, svela infatti il “Wall Street Journal”, c’è chi lo considera un settantenne innocuo, e chi ammette che i “gulenisti” abbiano giocato negli ultimi anni, un ruolo di primo piano nel cercare di indebolire l’esecutivo dell’Akp.
Proprio Gulen, intanto, da oltreoceano, esclude di avere a che fare con gli esecutori del colpo di Stato e, al contrario, accusa Erdogan di essersi organizzato il golpe da solo, per operare la tanto attesa svolta islamista ed autocratica, dichiarandosi, quindi, sicuro, che la richiesta di estradizione della Turchia agli Usa non andrà a buon fine.
Richiesta che Ankara ha inviato nella giornata di martedì.
Forse per questo motivo la Turchia continua ad accusare gli Stati Uniti di aver avuto un ruolo, anche se indiretto nel tentativo da parte dei militari di prendere il potere.
Il comandante della base aerea di Incirlik, quella messa a disposizione dalla Turchia agli Stati Uniti per i raid contro lo Stato Islamico, il generale Bekir Ercan Van, ed altri dieci militari sono stati arrestati domenica per complicità nel colpo di Stato, e le autorità turche hanno eseguito delle perquisizioni nella base aerea nei pressi del confine siriano per raccogliere prove dell’utilizzo della base da parte dei militari golpisti.
I caccia che si sono alzati in volo su Ankara e Istanbul, infatti, si sono riforniti grazie alle 10 cisterne di carburante presenti nel complesso concesso in uso agli americani, che guidano la coalizione internazionale anti-Isis.
La Turchia, paese membro della Nato, ha lanciato così una provocazione neanche troppo velata agli alleati di oltreoceano.
Provocazione che si era già concretizzata nell’accusa diretta del ministro del lavoro di Ankara, Suleyman Soylu, il quale aveva dichiarato lo scorso 16 luglio che “gli istigatori di questo colpo di stato sono gli Stati Uniti”. Accuse subito definite “false” e “dannose” dal Dipartimento di Stato.
(Alessandra Benignetti, “Quel jet russo abbattuto per anticipare il golpe”, da “Il Giornale” del 19 luglio 2016).
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I cieli della Turchia, la notte di venerdì, erano affollati di caccia F-16.
I jet si rincorrevano a bassa quota sopra Ankara ed Istanbul illuminandosi reciprocamente con i radar d’attacco, senza però arrivare mai ad aprire il fuoco.
E tra i piloti che, nella notte di venerdì, a bordo dei jet F-16, inseguivano ad altissima velocità gli stessi caccia guidati dagli uomini rimasti fedeli al presidente Recep Tayyip Erdogan, c’erano anche i due piloti che il 24 novembre del 2015, al confine tra Siria e Turchia, abbatterono in volo il Su-24 Fencer russo, impegnato nelle operazioni anti-Isis nel nord della Siria, che per 17 secondi violò lo spazio aereo turco.
Il quotidiano turco “Hurriyet”, infatti, riferisce che i due piloti coinvolti nell’abbattimento del cacciabombardiere russo, sono coinvolti anche nel golpe fallito contro il presidente Erdogan, e che sono stati posti in custodia cautelare per aver preso parte al tentativo di colpo di Stato.
L’abbattimento del velivolo provocò la rottura delle relazioni tra Ankara e Mosca e generò una crisi diplomatica profonda che si è conclusa solo dopo circa otto mesi, nel giugno scorso, quando il Cremlino ha ricevuto le scuse formali per l’abbattimento del jet da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Fino a quel momento, infatti, Ankara aveva sempre rifiutato di assumersi le responsabilità dell’accaduto.
Il fatto, però, che i due piloti che obbedirono all’ordine di abbattere il jet russo, figurino ora tra le file dei militari golpisti e oppositori di Erdogan, spinge a ripensare gli eventi del 24 novembre alla luce degli accadimenti dello scorso fine settimana.
La spaccatura fra Erdogan ed una parte dei militari, del resto, non è cosa nuova, ma vecchia di almeno dieci anni, e il golpe fallito messo in atto nella giornata di venerdì viene considerato da molti analisti solo l’apice di un processo che va avanti da tempo.
C’è quindi chi già pensa che forse, dietro l’abbattimento del caccia di Mosca, impegnato nelle operazioni contro lo Stato Islamico nel nord della Siria, potrebbe non esserci stato un ordine diretto di Erdogan, ma che forse l’iniziativa partì da quegli stessi generali dell’aviazione turca, che risultano, secondo le controverse informazioni a disposizione finora, essere stati alla base dell’organizzazione del tentativo colpo di Stato.
«All’epoca dell’incidente fu l’allora premier Ahmet Davutoglu a prendersi la responsabilità di quello che successe e non Erdogan», spiega a “Gli Occhi della Guerra” Alexander Sotnichenko, professore di relazioni internazionali all’Università di San Pietroburgo ed esperto di relazioni russo-turche, «ora Erdogan sta cercando di dimostrare che non fu lui il colpevole di quella vicenda, ma i sostenitori di Gulen».
In più, il tentativo di golpe, che avrebbe potuto essere messo in atto in diverse occasioni, ultima quella delle contestate elezioni del 2015, avviene proprio in un momento in cui le relazioni tra Ankara e Washington sono ai minimi storici e mentre è iniziato un percorso di normalizzazione delle relazioni con la Russia.
Percorso che ha aperto anche un’ulteriore strada, quella che porta verso una composizione diplomatica della crisi siriana.
Le prime tappe di questo percorso sono state la rimozione delle sanzioni, gli incontri al vertice tra i ministri degli esteri dei due paesi e la ripresa del dialogo in diversi settori.
Un incontro tra Erdogan e Putin è previsto, inoltre, per la prima settimana di agosto, e secondo alcune indiscrezioni, il bilaterale tra i due leader, che si sarebbe dovuto tenere a settembre, al G20 di Guangzhou, in Cina, sarebbe stato anticipato proprio durante una telefonata tra i due, avvenuta a seguito degli eventi degli ultimi giorni, in cui Mosca si è detta preoccupata della instabilità nell’area, augurando ad Erdogan un «veloce ripristino di un robusto ordine costituzionale e della stabilità».
Se le relazioni con la Russia sono tornate buone, quelle tra Washington e Ankara, invece, continuano a precipitare dopo il tentato golpe.
La Turchia sta accusando gli Stati Uniti di proteggere l’imam Fethullah Gulen, considerato da Erdogan la mente del golpe fallito in Turchia.
Ankara sta chiedendo l’estradizione del dissidente turco che da 15 anni risiede negli Stati Uniti, ma Washington non vuole concederla se non a fronte di prove legali e dell’apertura di un processo formale.
Una figura, quella di Gulen, che divide anche gli stessi vertici statunitensi.
All’interno dell’amministrazione Obama, svela infatti il “Wall Street Journal”, c’è chi lo considera un settantenne innocuo, e chi ammette che i “gulenisti” abbiano giocato negli ultimi anni, un ruolo di primo piano nel cercare di indebolire l’esecutivo dell’Akp.
Proprio Gulen, intanto, da oltreoceano, esclude di avere a che fare con gli esecutori del colpo di Stato e, al contrario, accusa Erdogan di essersi organizzato il golpe da solo, per operare la tanto attesa svolta islamista ed autocratica, dichiarandosi, quindi, sicuro, che la richiesta di estradizione della Turchia agli Usa non andrà a buon fine.
Richiesta che Ankara ha inviato nella giornata di martedì.
Forse per questo motivo la Turchia continua ad accusare gli Stati Uniti di aver avuto un ruolo, anche se indiretto nel tentativo da parte dei militari di prendere il potere.
Il comandante della base aerea di Incirlik, quella messa a disposizione dalla Turchia agli Stati Uniti per i raid contro lo Stato Islamico, il generale Bekir Ercan Van, ed altri dieci militari sono stati arrestati domenica per complicità nel colpo di Stato, e le autorità turche hanno eseguito delle perquisizioni nella base aerea nei pressi del confine siriano per raccogliere prove dell’utilizzo della base da parte dei militari golpisti.
I caccia che si sono alzati in volo su Ankara e Istanbul, infatti, si sono riforniti grazie alle 10 cisterne di carburante presenti nel complesso concesso in uso agli americani, che guidano la coalizione internazionale anti-Isis.
La Turchia, paese membro della Nato, ha lanciato così una provocazione neanche troppo velata agli alleati di oltreoceano.
Provocazione che si era già concretizzata nell’accusa diretta del ministro del lavoro di Ankara, Suleyman Soylu, il quale aveva dichiarato lo scorso 16 luglio che “gli istigatori di questo colpo di stato sono gli Stati Uniti”. Accuse subito definite “false” e “dannose” dal Dipartimento di Stato.
(Alessandra Benignetti, “Quel jet russo abbattuto per anticipare il golpe”, da “Il Giornale” del 19 luglio 2016).
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Ammettendo che Erdogan abbia sfruttato al massimo per i suoi fini il golpe che si preparava contro di lui, la Turchia è sempre un membro della NATO e finché non ne uscirà difficilmente potrà avvicinarsi troppo a Mosca e Damasco.
La possibilità che il paese col secondo esercito per numero venga fatto uscire senza colpo ferire dall'Alleanza atlantica mi sembra poco probabile, quindi si dovrebbe analizzare bene la situazione per capire due cose:
- che cosa vuole veramente fare Erdogan?
- chi c'era dietro il tentativo di Golpe fallito?
In ogni caso il "problema" turco è un'ottima occasione per gli stati membri di ripensare la NATO nei suoi fini e nella sua organizzazione: troppo USA centrica e anti Russia.
Nei prossimi mesi ci attendono tante incognite da districare:
- tensione nei mari del sud della Cina.
- tensione in Donbass.
- tensione in Siria/Iraq
- crescente tensione in Europa per il terrorismo last minute praticamente impossibile da prevenire.
- crescenti problemi economici dovuti al misto fra Brexit, NIRP e diminuzione del potere d'acquisto di milioni di persone che vedono a rischio anche il proprio lavoro per le menzogne raccontate sulla bontà della globalizzazione e del WTO.
- elezioni in USA che daranno la carica di POTUS a uno fra Trump e la Clinton.
- aumento del problema immigrati in Europa dove lo "scontro" secolare fra cultura occidentale e islamica è ben lungi dall'essere risolto e probabilmente lo sarà solo quando una delle due culture riunirà il Mediterraneo sotto il proprio controllo.
Vediamo cosa succede...
La possibilità che il paese col secondo esercito per numero venga fatto uscire senza colpo ferire dall'Alleanza atlantica mi sembra poco probabile, quindi si dovrebbe analizzare bene la situazione per capire due cose:
- che cosa vuole veramente fare Erdogan?
- chi c'era dietro il tentativo di Golpe fallito?
In ogni caso il "problema" turco è un'ottima occasione per gli stati membri di ripensare la NATO nei suoi fini e nella sua organizzazione: troppo USA centrica e anti Russia.
Nei prossimi mesi ci attendono tante incognite da districare:
- tensione nei mari del sud della Cina.
- tensione in Donbass.
- tensione in Siria/Iraq
- crescente tensione in Europa per il terrorismo last minute praticamente impossibile da prevenire.
- crescenti problemi economici dovuti al misto fra Brexit, NIRP e diminuzione del potere d'acquisto di milioni di persone che vedono a rischio anche il proprio lavoro per le menzogne raccontate sulla bontà della globalizzazione e del WTO.
- elezioni in USA che daranno la carica di POTUS a uno fra Trump e la Clinton.
- aumento del problema immigrati in Europa dove lo "scontro" secolare fra cultura occidentale e islamica è ben lungi dall'essere risolto e probabilmente lo sarà solo quando una delle due culture riunirà il Mediterraneo sotto il proprio controllo.
Vediamo cosa succede...
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
PERCHE’ NOI, DEL BEL PAESE, LA GUERRA CON L’ISIS L’ABBIAMO GIA’ PERSA.
Nessuno tocchi angelino
di Marco Travaglio.
C’è da scommettere che chi ci vuol male riproverà a orbarci di Angelino Jolie, nostro idolo e faro.
I gufi che remano contro l’Italia, e soprattutto la commedia all’italiana, presenteranno l’ennesima mozione di sfiducia, arricchendo la sua collezione.
Stavolta si aggrapperanno al fatto che l’altroieri ha annunciato un’operazione di polizia in corso: “Abbiamo svolto verifiche
su un sospetto complice dell’attentatore di Nizza che risulterebbe residente in Puglia”.
Si attaccheranno alla circostanza che il “sospetto complice” era già da tre giorni detenuto in Francia, mentre in Puglia risiedevano due tizi che mesi fa l’avevano ospitato e ora non vi risiedono più, essendo irreperibili.
Strumentalizzeranno le proteste del procuratore antiterrorismo Franco Roberti, che Angelino s’era scordato d’informare.
Via, siamo seri: si può tenere sulla corda un ministro di quel valore facendo il gioco dell’Isis, solo perché parla sempre
quando dovrebbe tacere e tace sempre quando dovrebbe parlare?
Mettiamoci nei suoi panni.
Già guida un partito denominato Nuovo Centro Destra che sostiene un governo di centrosinistra, con frequenti crisi di identità
e ricorrenti attacchi di labirintite (memorabile il suo attacco al “governo Berlusconi che nel 2011 trasformò Lampedusa
in un disastro colossale”, immemore del fatto che ne faceva parte anche lui).
Eppoi, come lui stesso ricorda in una dolente intervista a Libero, “purtroppo noi, a differenza di destra, sinistra e M5S, non abbiamo gruppi editoriali che ci proteggono e quindi siamo sempre i primi a finire nel tritacarne e gli ultimi a cui vengono riconosciuti i risultati”.
Diciamolo: la congiura del silenzio non dipende dai dati elettorali (tutti viziati da brogli) e dai sondaggi (tutti truccati) che danno l’Ncd sotto il 2%, ma da un’occhiuta censura dei poteri forti, che ordinano di non parlare mai di lui per oscurare la “vasta area dei moderati” che è “il partito di maggioranza” e lui sta “a g g r egando” in un “nuovo soggetto p o li t i co ” che sorgerà “dopo il referendum”, salvo nuove retate nel frattempo.
Una marea umana incontenibile si accalca ogni giorno alle edicole a caccia di giornali monografici dedicati ad Alfano, ma invano.
“Ci siamo testati –garantisce Jolie –e posso dire che l’area moderata vale almeno il 10%”.
Le cose sono andate così. L’altra mattina s’è svegliato con una gran voglia di testarsi.
E, sceso al bar, ha notato la presenza di alcuni avventori piuttosto assonnati che alla sua vista han continuato a consumare cappuccio e cornetto senza fare una piega.
SEGUE A PAGINA 24
CONTINUA
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
PERCHE’ NOI, DEL BEL PAESE, LA GUERRA CON L’ISIS L’ABBIAMO GIA’ PERSA.
Nessuno tocchi angelino
di Marco Travaglio.
C’è da scommettere che chi ci vuol male riproverà a orbarci di Angelino Jolie, nostro idolo e faro.
I gufi che remano contro l’Italia, e soprattutto la commedia all’italiana, presenteranno l’ennesima mozione di sfiducia, arricchendo la sua collezione.
Stavolta si aggrapperanno al fatto che l’altroieri ha annunciato un’operazione di polizia in corso: “Abbiamo svolto verifiche
su un sospetto complice dell’attentatore di Nizza che risulterebbe residente in Puglia”.
Si attaccheranno alla circostanza che il “sospetto complice” era già da tre giorni detenuto in Francia, mentre in Puglia risiedevano due tizi che mesi fa l’avevano ospitato e ora non vi risiedono più, essendo irreperibili.
Strumentalizzeranno le proteste del procuratore antiterrorismo Franco Roberti, che Angelino s’era scordato d’informare.
Via, siamo seri: si può tenere sulla corda un ministro di quel valore facendo il gioco dell’Isis, solo perché parla sempre
quando dovrebbe tacere e tace sempre quando dovrebbe parlare?
Mettiamoci nei suoi panni.
Già guida un partito denominato Nuovo Centro Destra che sostiene un governo di centrosinistra, con frequenti crisi di identità
e ricorrenti attacchi di labirintite (memorabile il suo attacco al “governo Berlusconi che nel 2011 trasformò Lampedusa
in un disastro colossale”, immemore del fatto che ne faceva parte anche lui).
Eppoi, come lui stesso ricorda in una dolente intervista a Libero, “purtroppo noi, a differenza di destra, sinistra e M5S, non abbiamo gruppi editoriali che ci proteggono e quindi siamo sempre i primi a finire nel tritacarne e gli ultimi a cui vengono riconosciuti i risultati”.
Diciamolo: la congiura del silenzio non dipende dai dati elettorali (tutti viziati da brogli) e dai sondaggi (tutti truccati) che danno l’Ncd sotto il 2%, ma da un’occhiuta censura dei poteri forti, che ordinano di non parlare mai di lui per oscurare la “vasta area dei moderati” che è “il partito di maggioranza” e lui sta “a g g r egando” in un “nuovo soggetto p o li t i co ” che sorgerà “dopo il referendum”, salvo nuove retate nel frattempo.
Una marea umana incontenibile si accalca ogni giorno alle edicole a caccia di giornali monografici dedicati ad Alfano, ma invano.
“Ci siamo testati –garantisce Jolie –e posso dire che l’area moderata vale almeno il 10%”.
Le cose sono andate così. L’altra mattina s’è svegliato con una gran voglia di testarsi.
E, sceso al bar, ha notato la presenza di alcuni avventori piuttosto assonnati che alla sua vista han continuato a consumare cappuccio e cornetto senza fare una piega.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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“Ecco –ha detto lui tra sé e sé – questi devono essere tutti moderati: fossero estremisti, mi avrebbero già dato un sacco di botte.
Io stesso, al posto loro, mi menerei.
Ottima base di partenza per il nuovo soggetto
politico”.
Non aveva considerato, nel test, la spiegazione più elementare: che gli astanti non l’avessero riconosciuto.
Eppure le avvisaglie non gli mancano.
Quando va al cinema e si accomoda in poltrona, c’è sempre qualcuno che gli si siede sopra e, se lui protesta, risponde piccato:
“Scusi eh, non l’avevo notata: la prossima volta si porti un cartello con scritto ‘oc c up a to ’” .
Quando si reca al Viminale e chiedono di lui, la segretaria risponde invariabilmente “Spiacente, il ministro è fuori stanza”, facendogli fare la figura dell’assenteista, mentre lui c’è sempre anche se nessuno lo nota.
Invece, le rare volte che non c’è, gli uscieri lo salutano con grande trasporto.
E non parliamo dei question time in Parlamento: lui magari sta rispondendo da mezz’ora alle interrogazioni e i commessi, anziché accendergli il microfono, si guardano intorno perplessi: “Mah, doveva esser qui da un pezzo e non s’è ancora visto”.
A volte, mentre parla dai banchi del governo con Poletti in testa e la Madia in spalla, gli vibra il cellulare: è la Boldrini, o Grasso, che lo cazzia: “Ministro, ma dov’è finito?”. Normale che poi, quando capita qualche fattaccio, ci si tuffi a pesce nella speranza che qualcuno si accorga di lui, in preda a una rara forma di meteorismo verbale.
E così è diventato il don Mazzi dell’ordine pubblico, il Taormina dell’antiterrorismo.
Cominciò un mattino a Sky, parlando delle tre sorelline uccise a Lecco: “Non daremo scampo a chi ha compiuto questo gesto efferato e ignobile, inseguiremo l’assassino finché non l’avremo preso”.
Nessuno l’aveva avvertito che era già stata arrestata la madre e il caso era chiuso.
Così, con l’arresto di Massimo Bossetti, li fregò tutti: “Individuato l’assassino di Yara Gambirasio”.
Immediata la protesta del procuratore di Bergamo: il presunto ministro aveva soltanto confuso un provvedimento di fermo (non ancora notificato dalla difesa) con una condanna definitiva.
Poi, sulle ali dell’entusiasmo, comunicò trionfante “la convergenza su Monica Macchioni presidente Rai”: ma era Monica Maggioni.
Gli andò anche peggio quando magnificò il “successo investigativo” dell’arresto di Abdel Majid Touil per la strage di Tunisi: poi, dopo 5 mesi di galera, si scoprì che era uno scambio di persona.
Dettagli. Cose che non accadrebbero se invitassero anche
lui dalla D’Urso, ad Amici, al l’Isola dei famosi o meglio a Chi l’ha visto? per illustrare le sue ultime pensate.
“Stiamo lavorando per creare un nuovo modello di imam che possiamo definire un ‘imam italiano’.
Nelle moschee vogliamo imam formatisi alla cultura italiana”.
Imam cattolici, per dire: li sta creando lui con le sue manine, in laboratorio.
E non basta: “Sto studiando un decreto per una sorta di Daspo che tenga lontano dalle città i criminali con precedenti pericolosi”.
Infatti quelli di Ncd, per precauzione, stanno traslocando tutti in campagna o in periferia.
“Ecco –ha detto lui tra sé e sé – questi devono essere tutti moderati: fossero estremisti, mi avrebbero già dato un sacco di botte.
Io stesso, al posto loro, mi menerei.
Ottima base di partenza per il nuovo soggetto
politico”.
Non aveva considerato, nel test, la spiegazione più elementare: che gli astanti non l’avessero riconosciuto.
Eppure le avvisaglie non gli mancano.
Quando va al cinema e si accomoda in poltrona, c’è sempre qualcuno che gli si siede sopra e, se lui protesta, risponde piccato:
“Scusi eh, non l’avevo notata: la prossima volta si porti un cartello con scritto ‘oc c up a to ’” .
Quando si reca al Viminale e chiedono di lui, la segretaria risponde invariabilmente “Spiacente, il ministro è fuori stanza”, facendogli fare la figura dell’assenteista, mentre lui c’è sempre anche se nessuno lo nota.
Invece, le rare volte che non c’è, gli uscieri lo salutano con grande trasporto.
E non parliamo dei question time in Parlamento: lui magari sta rispondendo da mezz’ora alle interrogazioni e i commessi, anziché accendergli il microfono, si guardano intorno perplessi: “Mah, doveva esser qui da un pezzo e non s’è ancora visto”.
A volte, mentre parla dai banchi del governo con Poletti in testa e la Madia in spalla, gli vibra il cellulare: è la Boldrini, o Grasso, che lo cazzia: “Ministro, ma dov’è finito?”. Normale che poi, quando capita qualche fattaccio, ci si tuffi a pesce nella speranza che qualcuno si accorga di lui, in preda a una rara forma di meteorismo verbale.
E così è diventato il don Mazzi dell’ordine pubblico, il Taormina dell’antiterrorismo.
Cominciò un mattino a Sky, parlando delle tre sorelline uccise a Lecco: “Non daremo scampo a chi ha compiuto questo gesto efferato e ignobile, inseguiremo l’assassino finché non l’avremo preso”.
Nessuno l’aveva avvertito che era già stata arrestata la madre e il caso era chiuso.
Così, con l’arresto di Massimo Bossetti, li fregò tutti: “Individuato l’assassino di Yara Gambirasio”.
Immediata la protesta del procuratore di Bergamo: il presunto ministro aveva soltanto confuso un provvedimento di fermo (non ancora notificato dalla difesa) con una condanna definitiva.
Poi, sulle ali dell’entusiasmo, comunicò trionfante “la convergenza su Monica Macchioni presidente Rai”: ma era Monica Maggioni.
Gli andò anche peggio quando magnificò il “successo investigativo” dell’arresto di Abdel Majid Touil per la strage di Tunisi: poi, dopo 5 mesi di galera, si scoprì che era uno scambio di persona.
Dettagli. Cose che non accadrebbero se invitassero anche
lui dalla D’Urso, ad Amici, al l’Isola dei famosi o meglio a Chi l’ha visto? per illustrare le sue ultime pensate.
“Stiamo lavorando per creare un nuovo modello di imam che possiamo definire un ‘imam italiano’.
Nelle moschee vogliamo imam formatisi alla cultura italiana”.
Imam cattolici, per dire: li sta creando lui con le sue manine, in laboratorio.
E non basta: “Sto studiando un decreto per una sorta di Daspo che tenga lontano dalle città i criminali con precedenti pericolosi”.
Infatti quelli di Ncd, per precauzione, stanno traslocando tutti in campagna o in periferia.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
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Il massone Erdogan, Hathor-Pentalpha e i ragazzi dell’Isis
Scritto il 21/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Si è auto-organizzato un golpe-farsa per liquidare l’opposizione residua? Lo sospettano in molti.
Ma Recep Tayyp Erdogan, leader di un paese che è il bastione della Nato in Medio Oriente nonché la principale “diga” dell’Unione Europea contro l’esodo dei migranti in fuga dalla guerra in Siria, è anche il principale fiancheggiatore dell’Isis: nei mesi scorsi, la Russia ha dimostrato che la Turchia acquistava il petrolio contrabbandato dallo Stato Islamico, dopo aver allestito – di concerto con gli Usa – le retrovie logistiche dei jihadisti impegnati nel tentativo di rovesciare sanguinosamente il regime di Bashar Assad.
Ma c’è altro, che i media non raccontano.
Secondo Gioele Magaldi, autore di “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Erdogan milita da anni nella superloggia internazionale “Hathor Pentalpha”, ritenuta responsabile della strategia della tensione globale innescata dall’11 Settembre. Una “guerra infinita” che ha travolto Afghanistan e Iraq, Yemen, Egitto, Libia, Siria.
La “Hathor Pentalpha”, scrive Magaldi, fu fondata da Bush padre all’indomani della sconfitta subita da Reagan alle primarie repubblicane all’inizio degli anni ‘80.
Definita “loggia del sangue e della vendetta”, avrebbe annoverato trai suoi membri Bush junior e la sua cerchia di potere, gli uomini del Pnac, e poi leader europei come Nicolas Sarkozy e Tony Blair, oggi sotto accusa per la montatura delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam.
E tra gli esponenti di quel circolo ultra-esclusivo figurerebbe lo stesso Erdogan: il leader più vicino all’Isis, al punto da far abbattere un jet russo Sukhoi-24 impegnato nei bombardamenti contro le truppe del Califfo (e le colonne di autocisterne col petrolio jihadista diretto in Turchia).
Sempre Magaldi spiega che Isis, acronimo di “Stato Islamico della Siria e del Levante”, è anche – e soprattutto – un chiaro riferimento alla dea egizia Iside, il cui secondo nome è Hathor.
Un modo per “firmare”, simbolicamente, la nascita dell’armata di tagliagole messa in piedi dall’Occidente con l’aiuto della Turchia.
Analisti geopolitici come Aldo Giannuli sostengono che siamo di fronte a un inizio di terremoto, con clamorosi rivolgimenti in tutta l’area.
Si ipotizza ad esempio che Erdogan, incassato il sostegno popolare e avviato uno spietato giro di vite contro i dissidenti, incluso un vero e proprio bagno di sangue, possa “divorziare” improvvisamente dall’Isis, presentandosi al mondo come garante del nuovo ordine, o al contrario mettersi ufficialmente alla testa del Califfato, riportato però sotto il pieno controllo turco.
Sui media rimbalzano i titoli che raccontano la crisi dei rapporti fra Ankara e Washington, ma è impossibile reperire notizie sulla militanza di Erdogan nella super-massoneria internazionale neo-aristocratica e ultra-conservatrice, quella che lavora per imporre, anche e sopprattutto con il sangue e il terrorismo, la fine della democrazia.
Se il leader turco è ancora inserito in quel circuito, è difficile immaginare che le sue mosse non siano concertate con il vertice-ombra dei grandi architetti del terrore.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LIBRE news
Il massone Erdogan, Hathor-Pentalpha e i ragazzi dell’Isis
Scritto il 21/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Si è auto-organizzato un golpe-farsa per liquidare l’opposizione residua? Lo sospettano in molti.
Ma Recep Tayyp Erdogan, leader di un paese che è il bastione della Nato in Medio Oriente nonché la principale “diga” dell’Unione Europea contro l’esodo dei migranti in fuga dalla guerra in Siria, è anche il principale fiancheggiatore dell’Isis: nei mesi scorsi, la Russia ha dimostrato che la Turchia acquistava il petrolio contrabbandato dallo Stato Islamico, dopo aver allestito – di concerto con gli Usa – le retrovie logistiche dei jihadisti impegnati nel tentativo di rovesciare sanguinosamente il regime di Bashar Assad.
Ma c’è altro, che i media non raccontano.
Secondo Gioele Magaldi, autore di “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Erdogan milita da anni nella superloggia internazionale “Hathor Pentalpha”, ritenuta responsabile della strategia della tensione globale innescata dall’11 Settembre. Una “guerra infinita” che ha travolto Afghanistan e Iraq, Yemen, Egitto, Libia, Siria.
La “Hathor Pentalpha”, scrive Magaldi, fu fondata da Bush padre all’indomani della sconfitta subita da Reagan alle primarie repubblicane all’inizio degli anni ‘80.
Definita “loggia del sangue e della vendetta”, avrebbe annoverato trai suoi membri Bush junior e la sua cerchia di potere, gli uomini del Pnac, e poi leader europei come Nicolas Sarkozy e Tony Blair, oggi sotto accusa per la montatura delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam.
E tra gli esponenti di quel circolo ultra-esclusivo figurerebbe lo stesso Erdogan: il leader più vicino all’Isis, al punto da far abbattere un jet russo Sukhoi-24 impegnato nei bombardamenti contro le truppe del Califfo (e le colonne di autocisterne col petrolio jihadista diretto in Turchia).
Sempre Magaldi spiega che Isis, acronimo di “Stato Islamico della Siria e del Levante”, è anche – e soprattutto – un chiaro riferimento alla dea egizia Iside, il cui secondo nome è Hathor.
Un modo per “firmare”, simbolicamente, la nascita dell’armata di tagliagole messa in piedi dall’Occidente con l’aiuto della Turchia.
Analisti geopolitici come Aldo Giannuli sostengono che siamo di fronte a un inizio di terremoto, con clamorosi rivolgimenti in tutta l’area.
Si ipotizza ad esempio che Erdogan, incassato il sostegno popolare e avviato uno spietato giro di vite contro i dissidenti, incluso un vero e proprio bagno di sangue, possa “divorziare” improvvisamente dall’Isis, presentandosi al mondo come garante del nuovo ordine, o al contrario mettersi ufficialmente alla testa del Califfato, riportato però sotto il pieno controllo turco.
Sui media rimbalzano i titoli che raccontano la crisi dei rapporti fra Ankara e Washington, ma è impossibile reperire notizie sulla militanza di Erdogan nella super-massoneria internazionale neo-aristocratica e ultra-conservatrice, quella che lavora per imporre, anche e sopprattutto con il sangue e il terrorismo, la fine della democrazia.
Se il leader turco è ancora inserito in quel circuito, è difficile immaginare che le sue mosse non siano concertate con il vertice-ombra dei grandi architetti del terrore.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
L'Europol lancia l'allarme: "Pronti nuovi attacchi"
L'agenzia di polizia europea: "Stragi come quella di Parigi si ripeteranno. Isis ha minacciato Spagna, Belgio, Francia e Italia"
Claudio Torre - Mer, 20/07/2016 - 17:06
commenta
Attacchi terroristici con modalità simili a quelle utilizzate a Parigi il 13 novembre 2015 "potrebbero essere effettuati ancora nell'Unione Europea nel prossimo futuro".
E' la previsione dell' Europol, che oggi ha diffuso un rapporto sulle attività terroristiche nell'Ue. "Diversi jihadisti europei - ricorda l' Europol - occupano posizioni prominenti nello Stato Islamico e manterranno probabilmente contatti con le reti terroriste nei rispettivi Paesi di origine.
Gli attacchi del 13 novembre a Parigi hanno inaugurato la tattica dell'Is di utilizzare armi di piccolo calibro con ordigni esplosivi improvvisati portatili per attacchi suicidi, progettati per causare perdite massicce.
Il modo in cui questi attacchi sono stati preparati e attuati (organizzati da persone rientrate in patria, molto probabilmente dirette dalla leadership dell'Is e con l'utilizzo di reclute locali, ci portano alla valutazione" che episodi simili si possano ripetere.
"L'Is ha ripetutamente minacciato la Penisola Iberica e gli Stati membri della coalizione anti-Is nei loro video di propaganda, facendo riferimenti specifici a Belgio, Francia, Italia e Regno Unito".
Ma l'analisi dell'Europol prende in considerazione anche gli ultimi attentati: "Sebbene lo Stato islamico abbia rivendicato la responsabilità degli ultimi attacchi" di Orlando negli Usa, Magnanville e Nizza in Francia, Wuerzburg in Germania, "nessuno di essi sembra essere stato pianificato, sostenuto logisticamente o eseguito direttamente dallo Stato islamico", mentre "l'affiliazione dei perpetratori con il gruppo non è chiara".
Sull'attentato a Nizza, in particolare, "non c'è prova che suggerisca che l'attentatore si considerasse un membro dello Stato islamico".
Il rapporto ricorda che il tunisino "si sarebbe radicalizzato in un periodo molto breve e che avrebbe usato propaganda jihadista nei giorni precedenti l'attacco".
L'agenzia sottolinea "le difficoltà operative dell'individuare e impedire gli attacchi dei lupi solitari", dicendo che questo metodo "resta la tattica preferita dallo Stato islamico e da al-Qaeda".
Il fatto che l'agenzia Amaq abbia detto di aver ricevuto le informazioni sulla responsabilità da fonti non identificate, prosegue Europol, "è in contrasto con la chiara rivendicazione di responsabilità dello Stato islamico per gli attacchi del novembre 2015 a Parigi e marzo 2016 a Bruxelles".
L'agenzia ipotizza che ciò possa "indicare che lo Stato islamico voglia mantenere un'immagine di 'attendibilità', nel caso emergessero notizie che contraddicessero le rivendicazioni".
Infine viene sottolineata un altro aspetto: "Le organizzazioni terroristiche condizionano psicologicamente gli associati, soprattutto i foreign fighters, per poter sferrare attacchi".
Secondo l’agenzia di polizia europea, l’esperienza di formazione e di combattimento acquisita dai foreign fighters, quanti vanno ad arruolarsi dall’estero per poi tornare nei Paesi di origine, "significa che questi individui avranno una maggiore capacità di compiere attentati, sia sotto la direzione o in modo indipendente".
Durante il periodo di addestramento, "alcuni individui sono sottoposti a condizionamento psicologico specifico nei teatri di conflitto come la Siria, consentendo loro di effettuare azioni terroristiche".
Secondo Europol "la maggior parte degli autori degli attacchi 2015 in Francia sono stati rimpatriati da zone di conflitto".
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
L'Europol lancia l'allarme: "Pronti nuovi attacchi"
L'agenzia di polizia europea: "Stragi come quella di Parigi si ripeteranno. Isis ha minacciato Spagna, Belgio, Francia e Italia"
Claudio Torre - Mer, 20/07/2016 - 17:06
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Attacchi terroristici con modalità simili a quelle utilizzate a Parigi il 13 novembre 2015 "potrebbero essere effettuati ancora nell'Unione Europea nel prossimo futuro".
E' la previsione dell' Europol, che oggi ha diffuso un rapporto sulle attività terroristiche nell'Ue. "Diversi jihadisti europei - ricorda l' Europol - occupano posizioni prominenti nello Stato Islamico e manterranno probabilmente contatti con le reti terroriste nei rispettivi Paesi di origine.
Gli attacchi del 13 novembre a Parigi hanno inaugurato la tattica dell'Is di utilizzare armi di piccolo calibro con ordigni esplosivi improvvisati portatili per attacchi suicidi, progettati per causare perdite massicce.
Il modo in cui questi attacchi sono stati preparati e attuati (organizzati da persone rientrate in patria, molto probabilmente dirette dalla leadership dell'Is e con l'utilizzo di reclute locali, ci portano alla valutazione" che episodi simili si possano ripetere.
"L'Is ha ripetutamente minacciato la Penisola Iberica e gli Stati membri della coalizione anti-Is nei loro video di propaganda, facendo riferimenti specifici a Belgio, Francia, Italia e Regno Unito".
Ma l'analisi dell'Europol prende in considerazione anche gli ultimi attentati: "Sebbene lo Stato islamico abbia rivendicato la responsabilità degli ultimi attacchi" di Orlando negli Usa, Magnanville e Nizza in Francia, Wuerzburg in Germania, "nessuno di essi sembra essere stato pianificato, sostenuto logisticamente o eseguito direttamente dallo Stato islamico", mentre "l'affiliazione dei perpetratori con il gruppo non è chiara".
Sull'attentato a Nizza, in particolare, "non c'è prova che suggerisca che l'attentatore si considerasse un membro dello Stato islamico".
Il rapporto ricorda che il tunisino "si sarebbe radicalizzato in un periodo molto breve e che avrebbe usato propaganda jihadista nei giorni precedenti l'attacco".
L'agenzia sottolinea "le difficoltà operative dell'individuare e impedire gli attacchi dei lupi solitari", dicendo che questo metodo "resta la tattica preferita dallo Stato islamico e da al-Qaeda".
Il fatto che l'agenzia Amaq abbia detto di aver ricevuto le informazioni sulla responsabilità da fonti non identificate, prosegue Europol, "è in contrasto con la chiara rivendicazione di responsabilità dello Stato islamico per gli attacchi del novembre 2015 a Parigi e marzo 2016 a Bruxelles".
L'agenzia ipotizza che ciò possa "indicare che lo Stato islamico voglia mantenere un'immagine di 'attendibilità', nel caso emergessero notizie che contraddicessero le rivendicazioni".
Infine viene sottolineata un altro aspetto: "Le organizzazioni terroristiche condizionano psicologicamente gli associati, soprattutto i foreign fighters, per poter sferrare attacchi".
Secondo l’agenzia di polizia europea, l’esperienza di formazione e di combattimento acquisita dai foreign fighters, quanti vanno ad arruolarsi dall’estero per poi tornare nei Paesi di origine, "significa che questi individui avranno una maggiore capacità di compiere attentati, sia sotto la direzione o in modo indipendente".
Durante il periodo di addestramento, "alcuni individui sono sottoposti a condizionamento psicologico specifico nei teatri di conflitto come la Siria, consentendo loro di effettuare azioni terroristiche".
Secondo Europol "la maggior parte degli autori degli attacchi 2015 in Francia sono stati rimpatriati da zone di conflitto".
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Turchia, Mentana contro l'Europa che dorme
Il post di accusa contro l'Europa dopo il golpe fallito e la reazione di Erdogan
Luca Romano - Mer, 20/07/2016 - 18:55
commenta
"Erdogan sta facendo "pulizia" indisturbato. Anche oggi arresti indiscriminati di figure scomode che nulla hanno a che fare col tentato golpe, e misure che schiacciano lo stato di diritto.
Parlo piano perché ho paura di svegliare l'Europa".
Il post di Enrico Mentana prende di mira l'Unione Europea, incapace di reagire contro le nefandezze commesse dal presidente turco Erdogan dopo il golpe fallito.
Non è la prima volta che il direttore del Tg di La7 scaglia la sua rabbia contro l'Europa.
Già qualche giorno fa aveva scritto: "Dal tentato golpe in Turchia possono arrivare solo guai.
Un Erdogan ancor più forte di prima (ipotesi al momento molto probabile) avrebbe mano libera contro i suoi oppositori e contro le minoranze interne, curdi in primis, e in una ambigua politica mediorientale.
E i grandi paesi alleati con la Turchia nella Nato hanno mostrato la loro incertezza, facendo i pesci in barile nelle ore iniziali del golpe e appoggiando Erdogan solo quando è stato chiaro che era tornato in pista".
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Turchia, Mentana contro l'Europa che dorme
Il post di accusa contro l'Europa dopo il golpe fallito e la reazione di Erdogan
Luca Romano - Mer, 20/07/2016 - 18:55
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"Erdogan sta facendo "pulizia" indisturbato. Anche oggi arresti indiscriminati di figure scomode che nulla hanno a che fare col tentato golpe, e misure che schiacciano lo stato di diritto.
Parlo piano perché ho paura di svegliare l'Europa".
Il post di Enrico Mentana prende di mira l'Unione Europea, incapace di reagire contro le nefandezze commesse dal presidente turco Erdogan dopo il golpe fallito.
Non è la prima volta che il direttore del Tg di La7 scaglia la sua rabbia contro l'Europa.
Già qualche giorno fa aveva scritto: "Dal tentato golpe in Turchia possono arrivare solo guai.
Un Erdogan ancor più forte di prima (ipotesi al momento molto probabile) avrebbe mano libera contro i suoi oppositori e contro le minoranze interne, curdi in primis, e in una ambigua politica mediorientale.
E i grandi paesi alleati con la Turchia nella Nato hanno mostrato la loro incertezza, facendo i pesci in barile nelle ore iniziali del golpe e appoggiando Erdogan solo quando è stato chiaro che era tornato in pista".
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Repubblica 20.7.16
Brexit, Nizza e Ankara. La fatica di capire
Un intero universo concettuale sta andando in pezzi Nessuno dei parametri validi nel Novecento funziona più
di Roberto Esposito
L’autore è professore di Filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa
PERCHÉ facciamo così fatica a capire quel che sta accadendo? Forse perché i fatti di queste settimane, dalla Brexit alla Turchia fino al terrore di Nizza e a quello, recentissimo, in Germania, così diversi tra loro, nella portata, negli effetti e nelle cause, hanno un punto in comune: “i fatti” di queste settimane non sono più quelli di una volta. L’idea stessa di “fatto” o di avvenimento è tale perché riusciamo ad inserirla in una cornice di pensiero più o meno consolidata.
Ora quella cornice che ha retto la seconda parte del Novecento non c’è più. L’Inghilterra che ha salvato l’Europa decide di lasciarla, possiamo assistere in Turchia a quello che è stato un golpe democratico contro una democrazia autoritaria, possiamo vedere dei terroristi che non hanno più un rapporto forte con un’ideologia, folle e totalitaria, ma la prendono a prestito, in leasing, per poche settimane, mettendo in gioco il loro corpo, la loro vita.
Ad essere più sotto attacco è quello che abbiamo chiamato a lungo “vecchio mondo” — Europa e Medio Oriente, da Lisbona ad Ankara, passando per Parigi e per Londra. Certo, anche in America il nuovo potrebbe presto annunciarsi con il profilo, non proprio rassicurante, di Trump. Ma finora i sussulti che la scuotono sembrano venire da lontano, dalle viscere del secolo scorso. Dall’Alabama a Dallas, in una storia che ha visto alternarsi Ku-Klux-Klan e Black Panthers, segregazione razziale e Martin Luther King. Sono fantasmi di ritorno di un antico conflitto, apparentemente sopito, ma in realtà sempre strisciante sotto le ceneri dell’integrazione.
In Europa, invece, con la sua propaggine anatolica, il mutamento ha le sembianze di un vero cataclisma. A collassare, prima dei confini geopolitici, sono le categorie che hanno segnato in profondo l’intero orizzonte della modernità fino a ieri. Proviamo a mettere in fila gli eventi: Brexit, Nizza e Turchia sono le tre onde d’urto che, a distanza di qualche giorno, vanno sconquassando il paesaggio storico e mentale che abbiamo a lungo percepito come nostro.
Brexit. È vero che il Regno Unito non è mai stato il Paese più europeista. È vero che la sua opzione atlantica è antica quanto l’opposizione simbolica tra terra mare. È vero, insomma, che la Gran Bretagna non ha mai smesso di sentirsi Isola — fieramente autonoma rispetto al Continente. Ma è anche vero che il vascello che negli anni Quaranta del secolo scorso ha salvato l’Europa dai suoi demoni interni rompe gli ormeggi, salpando verso una destinazione ignota. Ignota per l’Europa, che perde un suo pezzo per molti versi insostituibile, insieme alla sua maggiore potenza militare. E ignota anche al suo equipaggio, che ancora guarda, smarrito, la terra da cui si stacca senza sapere a quale porto approdare.
Nizza. Certo, si è trattato dell’ultimo colpo di una deriva terroristica in atto da almeno quindici anni. Ma anche di un salto di qualità nella furia distruttiva che lascia senza parole. Non solo per la ferocia ottusa del terrorista, ma anche per l’anomalia della sua figura. Inassimilabile sia a quella, ormai scomparsa, del partigiano, sia a quella del soldato della fede. Diversa da l’una e dall’altra, la sua sagoma si perde nell’insensatezza assoluta della morte per la morte. Se si pensa che l’attentatore ha fatto un numero di vittime pari a quelle prodotte dal gruppo di fuoco organizzato al Bataclan con un camion noleggiato per poche centinaia di euro, lo scarto appare netto. L’escalation nichilistica senza paragoni. Tale da rendere ancora più spettrale il panorama che abbiamo di fronte e più indistinto il nemico da combattere.
Infine la Turchia. Nel golpe dell’altra notte — vero o falso che sia: le due cose nella società dei nuovi media si accostano sempre più — va in frantumi una categoria alla quale, almeno in Occidente, eravamo particolarmente affezionati — quella di democrazia liberale. Dobbiamo abituarci a pensare che questi due termini non vanno necessariamente insieme. Che può esistere, a est del Bosforo, una democrazia illiberale e anzi decisamente autoritaria. Non troppo diversa, del resto, da quella russa con cui da tempo è in concorrenza nella stessa area. Dobbiamo constatare che una tale democrazia può inglobare, funzionalizzandolo al potere del suo capo, perfino un putsch militare. Il quale anche, del resto, si è richiamato alla democrazia. Come democratici sono presentati dai seguaci di Erdogan i mezzi repressivi impiegati in queste ore alla luce del sole e nel buio dei sotterranei.
Ce n’è abbastanza per dire che un intero universo concettuale sta andando in pezzi. Nessuno dei parametri validi fino al secondo Novecento funziona più nella globalizzazione e nella politica della vita e della morte. Dove i corpi umani sono usati come bombe esplosive e il web appare l’unico spazio praticabile del confronto pubblico. Tutto ciò non può non allarmare. Ma, se vogliamo rispondere efficacemente alla sfida in atto, dobbiamo attrezzarci a modificare rapidamente il modo di rapportarci al nostro tempo — di affrontare le sue minacce e di adoperare le sue risorse.
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Brexit, Nizza e Ankara. La fatica di capire
Un intero universo concettuale sta andando in pezzi Nessuno dei parametri validi nel Novecento funziona più
di Roberto Esposito
L’autore è professore di Filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa
PERCHÉ facciamo così fatica a capire quel che sta accadendo? Forse perché i fatti di queste settimane, dalla Brexit alla Turchia fino al terrore di Nizza e a quello, recentissimo, in Germania, così diversi tra loro, nella portata, negli effetti e nelle cause, hanno un punto in comune: “i fatti” di queste settimane non sono più quelli di una volta. L’idea stessa di “fatto” o di avvenimento è tale perché riusciamo ad inserirla in una cornice di pensiero più o meno consolidata.
Ora quella cornice che ha retto la seconda parte del Novecento non c’è più. L’Inghilterra che ha salvato l’Europa decide di lasciarla, possiamo assistere in Turchia a quello che è stato un golpe democratico contro una democrazia autoritaria, possiamo vedere dei terroristi che non hanno più un rapporto forte con un’ideologia, folle e totalitaria, ma la prendono a prestito, in leasing, per poche settimane, mettendo in gioco il loro corpo, la loro vita.
Ad essere più sotto attacco è quello che abbiamo chiamato a lungo “vecchio mondo” — Europa e Medio Oriente, da Lisbona ad Ankara, passando per Parigi e per Londra. Certo, anche in America il nuovo potrebbe presto annunciarsi con il profilo, non proprio rassicurante, di Trump. Ma finora i sussulti che la scuotono sembrano venire da lontano, dalle viscere del secolo scorso. Dall’Alabama a Dallas, in una storia che ha visto alternarsi Ku-Klux-Klan e Black Panthers, segregazione razziale e Martin Luther King. Sono fantasmi di ritorno di un antico conflitto, apparentemente sopito, ma in realtà sempre strisciante sotto le ceneri dell’integrazione.
In Europa, invece, con la sua propaggine anatolica, il mutamento ha le sembianze di un vero cataclisma. A collassare, prima dei confini geopolitici, sono le categorie che hanno segnato in profondo l’intero orizzonte della modernità fino a ieri. Proviamo a mettere in fila gli eventi: Brexit, Nizza e Turchia sono le tre onde d’urto che, a distanza di qualche giorno, vanno sconquassando il paesaggio storico e mentale che abbiamo a lungo percepito come nostro.
Brexit. È vero che il Regno Unito non è mai stato il Paese più europeista. È vero che la sua opzione atlantica è antica quanto l’opposizione simbolica tra terra mare. È vero, insomma, che la Gran Bretagna non ha mai smesso di sentirsi Isola — fieramente autonoma rispetto al Continente. Ma è anche vero che il vascello che negli anni Quaranta del secolo scorso ha salvato l’Europa dai suoi demoni interni rompe gli ormeggi, salpando verso una destinazione ignota. Ignota per l’Europa, che perde un suo pezzo per molti versi insostituibile, insieme alla sua maggiore potenza militare. E ignota anche al suo equipaggio, che ancora guarda, smarrito, la terra da cui si stacca senza sapere a quale porto approdare.
Nizza. Certo, si è trattato dell’ultimo colpo di una deriva terroristica in atto da almeno quindici anni. Ma anche di un salto di qualità nella furia distruttiva che lascia senza parole. Non solo per la ferocia ottusa del terrorista, ma anche per l’anomalia della sua figura. Inassimilabile sia a quella, ormai scomparsa, del partigiano, sia a quella del soldato della fede. Diversa da l’una e dall’altra, la sua sagoma si perde nell’insensatezza assoluta della morte per la morte. Se si pensa che l’attentatore ha fatto un numero di vittime pari a quelle prodotte dal gruppo di fuoco organizzato al Bataclan con un camion noleggiato per poche centinaia di euro, lo scarto appare netto. L’escalation nichilistica senza paragoni. Tale da rendere ancora più spettrale il panorama che abbiamo di fronte e più indistinto il nemico da combattere.
Infine la Turchia. Nel golpe dell’altra notte — vero o falso che sia: le due cose nella società dei nuovi media si accostano sempre più — va in frantumi una categoria alla quale, almeno in Occidente, eravamo particolarmente affezionati — quella di democrazia liberale. Dobbiamo abituarci a pensare che questi due termini non vanno necessariamente insieme. Che può esistere, a est del Bosforo, una democrazia illiberale e anzi decisamente autoritaria. Non troppo diversa, del resto, da quella russa con cui da tempo è in concorrenza nella stessa area. Dobbiamo constatare che una tale democrazia può inglobare, funzionalizzandolo al potere del suo capo, perfino un putsch militare. Il quale anche, del resto, si è richiamato alla democrazia. Come democratici sono presentati dai seguaci di Erdogan i mezzi repressivi impiegati in queste ore alla luce del sole e nel buio dei sotterranei.
Ce n’è abbastanza per dire che un intero universo concettuale sta andando in pezzi. Nessuno dei parametri validi fino al secondo Novecento funziona più nella globalizzazione e nella politica della vita e della morte. Dove i corpi umani sono usati come bombe esplosive e il web appare l’unico spazio praticabile del confronto pubblico. Tutto ciò non può non allarmare. Ma, se vogliamo rispondere efficacemente alla sfida in atto, dobbiamo attrezzarci a modificare rapidamente il modo di rapportarci al nostro tempo — di affrontare le sue minacce e di adoperare le sue risorse.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Non sono del tutto d'accordo, sono cambiati i mezzi e i media ma le motivazioni, i conflitti, le contraddizioni sono sempre quelle del secolo scorso e alcune ancor più vecchie.
Sono diventati più veloci i tempi, le immagini, le informazioni (per quanto di dubbia affidabilità) ma tale velocità inficia non poco la qualità delle azioni e la capacità di analisi nel capirne l'effettiva utilità.
Si agisce senza riflettere a sufficienza e spesso il risultato è antitetico a quello che ci si prefiggeva.
Brexit: probabilmente l'UK così come lo conosciamo oggi non sopravviverà e avrà grandi problemi economici mentre l'UE può addirittura avvantaggiarsi della sua uscita.
Attentati fai da te: non portano nulla di positivo alla causa dell'Islamismo e anzi compattano le masse europee dietro a ideologie che potrebbero divenire molto violente contro lo stesso islam scatenando forze difficilmente controllabili una volta attivate.
Turchia: Erdogan sa che finché rimane nella NATO il suo spazio di manovra è limitato e con le ultime decisioni si allontana sine die la possibilità di entrare nella UE, se esce però si squilibrano tutti gli equilibri in Eurasia e la NATO non può tollerarlo quindi rischierebbe di non sopravvivere a un altro Golpe organizzato meglio di quello burletta di pochi giorni fa.
La strada da seguire è rimettere insieme i cocci di una società che si sta liquefando giorno dopo giorno. prendere atto che la globalizzazione ha fatto bene al 5% della popolazione del mondo occidentale e male al resto; per farlo si dovrà ripensare il sistema socio economico riequilibrandolo e questo compito può averlo solo la Politica con la p maiuscola spinta dalla società civile e non la finanza speculativa di quel 5%....
Sono diventati più veloci i tempi, le immagini, le informazioni (per quanto di dubbia affidabilità) ma tale velocità inficia non poco la qualità delle azioni e la capacità di analisi nel capirne l'effettiva utilità.
Si agisce senza riflettere a sufficienza e spesso il risultato è antitetico a quello che ci si prefiggeva.
Brexit: probabilmente l'UK così come lo conosciamo oggi non sopravviverà e avrà grandi problemi economici mentre l'UE può addirittura avvantaggiarsi della sua uscita.
Attentati fai da te: non portano nulla di positivo alla causa dell'Islamismo e anzi compattano le masse europee dietro a ideologie che potrebbero divenire molto violente contro lo stesso islam scatenando forze difficilmente controllabili una volta attivate.
Turchia: Erdogan sa che finché rimane nella NATO il suo spazio di manovra è limitato e con le ultime decisioni si allontana sine die la possibilità di entrare nella UE, se esce però si squilibrano tutti gli equilibri in Eurasia e la NATO non può tollerarlo quindi rischierebbe di non sopravvivere a un altro Golpe organizzato meglio di quello burletta di pochi giorni fa.
La strada da seguire è rimettere insieme i cocci di una società che si sta liquefando giorno dopo giorno. prendere atto che la globalizzazione ha fatto bene al 5% della popolazione del mondo occidentale e male al resto; per farlo si dovrà ripensare il sistema socio economico riequilibrandolo e questo compito può averlo solo la Politica con la p maiuscola spinta dalla società civile e non la finanza speculativa di quel 5%....
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Maucat ha scritto:Non sono del tutto d'accordo, sono cambiati i mezzi e i media ma le motivazioni, i conflitti, le contraddizioni sono sempre quelle del secolo scorso e alcune ancor più vecchie.
Sono diventati più veloci i tempi, le immagini, le informazioni (per quanto di dubbia affidabilità) ma tale velocità inficia non poco la qualità delle azioni e la capacità di analisi nel capirne l'effettiva utilità.
Si agisce senza riflettere a sufficienza e spesso il risultato è antitetico a quello che ci si prefiggeva.
Brexit: probabilmente l'UK così come lo conosciamo oggi non sopravviverà e avrà grandi problemi economici mentre l'UE può addirittura avvantaggiarsi della sua uscita.
Attentati fai da te: non portano nulla di positivo alla causa dell'Islamismo e anzi compattano le masse europee dietro a ideologie che potrebbero divenire molto violente contro lo stesso islam scatenando forze difficilmente controllabili una volta attivate.
Turchia: Erdogan sa che finché rimane nella NATO il suo spazio di manovra è limitato e con le ultime decisioni si allontana sine die la possibilità di entrare nella UE, se esce però si squilibrano tutti gli equilibri in Eurasia e la NATO non può tollerarlo quindi rischierebbe di non sopravvivere a un altro Golpe organizzato meglio di quello burletta di pochi giorni fa.
La strada da seguire è rimettere insieme i cocci di una società che si sta liquefando giorno dopo giorno. prendere atto che la globalizzazione ha fatto bene al 5% della popolazione del mondo occidentale e male al resto; per farlo si dovrà ripensare il sistema socio economico riequilibrandolo e questo compito può averlo solo la Politica con la p maiuscola spinta dalla società civile e non la finanza speculativa di quel 5%....
La strada da seguire è rimettere insieme i cocci di una società che si sta liquefando giorno dopo giorno. prendere atto che la globalizzazione ha fatto bene al 5% della popolazione del mondo occidentale e male al resto; per farlo si dovrà ripensare il sistema socio economico riequilibrandolo e questo compito può averlo solo la Politica con la p maiuscola spinta dalla società civile e non la finanza speculativa di quel 5%....
Nel rimettere insieme i cocci, bisognerà tenere conto anche di questo problema, in forte stato di avanzamento (questo articolo dovrebbe essere prima postato nel 3D dedicato, ma serve qui in questo momento):
20 LUG 2016 15:08
SE IL MAGGIORDOMO E’ UN ROBOT
- L’ISTITUTO DI TECNOLOGIA DI GENOVA LANCIA L’ANDROIDE R1: REALIZZATO IN 16 MESI, COSTERA’ COME UNA TV E POTRA’ AIUTARE ANCHE GLI ANZIANI - CI VORRÀ ANCORA UN ANNO E MEZZO PER VEDERLO COMMERCIALIZZATO - - -
Massimo Malpica per “Il Giornale”
Non può fare le scale, ma ha tutto quello che serve per portarci una birra, controllando prima che sia fredda al punto giusto. Si chiama R1 il primo robot-maggiordomo pensato per la produzione in larga scala, il «personal humanoid» pronto a dare una mano - anzi, due, allungabili - a casa o al lavoro.
L' hanno creato all' Iit di Genova, l' Istituto italiano di tecnologia, fiore all' occhiello della ricerca pubblica del Bel Paese. La gestazione è durata 16 mesi, grazie al lavoro di Giorgio Metta e della squadra di 22 giovani ingegneri da lui coordinata.
Ci vorrà ancora un anno e mezzo per vederlo commercializzato su larga scala grazie al coinvolgimento di investitori privati, che lo renderanno anche più accessibile e, anche se non proprio per tutte le tasche, più calzante alla definizione di «piattaforma umanoide a basso costo».
Al momento R1 costa quanto un' auto, ma il prezzo scenderà in futuro a poche migliaia di euro, come un grosso elettrodomestico. Ma l' androide italiano non è una smart-tv né un aspirapolvere.
È un nuovo passo verso l' interazione tra uomini e robot, un assaggio nella vita reale di scenari da fantascienza, un' interfaccia mobile dell' internet delle cose. Come è fatto e che cosa fa R1? Elegante, nel suo design curvilineo e nei colori bianco e nero, l' androide italico non è altissimo con il suo metro e 25, ma il suo busto può allungarsi di altri venti centimetri, e anche le sue braccia hanno 13 centimetri di estensione supplementare per afferrare oggetti più lontani. Il peso è di appena 50 chili compresa la batteria, contenuto grazie all' uso estensivo di plastiche e fibra di carbonio.
Gli «occhi» sono led blu, che disegnano espressioni sul monitor nero che fa da viso all' umanoide utili, osservano all' Iit, a facilitare la «comunicazione non verbale» con gli umani. Dietro agli occhi-led, però, si nascondono molti «organi sensoriali» di R1: tre giroscopi e altrettanti accelerometri per tenersi in piedi e spostarsi in sicurezza, due telecamere stereo e uno scanner 3D per interagire con il mondo, un microfono e altoparlanti per comunicare.
Al posto delle gambe, R1 ha ruote motorizzate che gli permettono di muoversi alla non vertiginosa ma sufficiente velocità di 2 chilometri l' ora, mentre le mani «a guanto» e gli avambracci sono ricoperti di pelle artificiale, che regala al robot umanoide anche il senso del tatto.
Al momento può sollevare pesi fino a 1,5 kg per mano, quanto basta per bottiglie e bicchieri, e muovere testa, braccia, ruote e busto grazie ai 28 motori (20 dei quali dedicati a braccia e mani) di cui è dotato.
Non ha airbag, ma una frizione che evita danni al padrone umano frenandolo prima di un eventuale impatto. R1 pensa con la pancia, perché è qui che sono nascosti i tre computer che controllano movimenti e sensori del robot, la cui altra caratteristica innovativa è l'«autoconsapevolezza» del suo involucro, perché l' intelligenza artificiale del «personal humanoid» è calzata sul suo vestito, ossia sul corpo che la ospita.
Per quanto appena nato, non gli manca l' esperienza. Grazie alla scheda wifi, R1 si collega a internet, e sul web oltre ad autoaggiornare il proprio software può trovare informazioni e dati necessari a interagire al meglio, rispondere alle domande e risolvere i dubbi dei suoi vicini umani.
Che potrebbero anche aver bisogno di aiuto: tra le prime applicazioni pratiche immaginate, infatti, c' è quella di fare di R1 un assistente per anziani e persone non autosufficienti, a casa o in ospedale.
(con foto del robot)
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 129033.htm
Oltre al fatto che in questa fase di altissima dissoluzione, dove tengono banco sui media la Brexit, l’incidente ferroviario in Puglia, il terrorismo di Nizza, quello turco, notizie come questa, pubblicata a pagina 14 del Fatto Quotidiano di ieri, passano inosservate:
Contratti stabili,
tagliati gli sgravi
un nuovo tonfo: -78%
I dati Inps: nei primi 5 mesi dati peggiori
del 2015 e del 2014 (quando il Pil calava)
E continua l’esplosione dei voucher
Il nostro sistema economico, politico, sociale, occupazionale, ecc, ecc, va completamente rivisto.
Quello che mi chiedo costantemente è:
1) Si può fare adesso usando il cervello
oppure,
2) Dovremo farlo dopo un disastro immane, dopo una guerra, come avvenne dopo la Seconda Guerra Mondiale?????
Chi c’è in linea
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