Diario della caduta di un regime.

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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LA FINE DELLA SECONDA REPUBBLICA – ULTIMO ATTO



UN ARTICOLO CHE NON POTETE PERMETTERVI DI NON LEGGERE PER LA CHIAREZZA E SEMPLICITA' DI ESPOSIZIONE





GIUSTIZIA & IMPUNITÀ
Se Davigo svela che il re (della corruzione) è nudo

di Alberto Vannucci | 24 aprile 2016
COMMENTI

Alberto Vannucci
Professore di Scienza Politica


Si possono comprendere i toni striduli della polemica politico-istituzionale che ha fatto seguito alle dichiarazioni del consigliere di Cassazione e neo-presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Piercamillo Davigo, ma forse le ragioni di tanta acrimonia non sono quelle addotte ufficialmente. Davigo ha già presentato e discusso innumerevoli volte in sedi pubbliche le tesi dell’intervista senza suscitare particolare sorpresa né scandalo. Evidentemente molti si attendevano, ovvero auspicavano, che assunto il ruolo di vertice dell’Anm il magistrato optasse per la facile strategia della collusione di ceto e si convertisse a più miti consigli, magari ottenendo in cambio il controllo o la promessa di qualche strapuntino di potere. Aspettative che la coerenza e il rigore dimostrate in tutta la sua carriera da Davigo, qualità piuttosto rare tra chi abbia conosciuto equivalenti livelli di popolarità, avrebbero dovuto dissuadere dal coltivare.


Tanto la classe politica – con l’eccezione del M5S e di Sel – che segmenti di vertice della stessa magistratura adesso levano alte le loro voci nell’accusare il magistrato di provocare con le sue denunce di una perdurante corruzione “senza più vergogna” inutili, o peggio ancora pericolose lacerazioni tra i poteri dello Stato. Proviamo però a chiederci: pericolose per chi? Per i cittadini, o per chi nella classe dirigente è riuscito negli ultimi decenni a disinnescare con intese opache, accordi sottobanco, scambi di favori, o magari con leggi ad personam e provvedimenti ad hoc i meccanismi di bilanciamento e di controllo istituzionale formalmente assicurati dallo Stato di diritto? Quegli stessi meccanismi che attribuiscono a una magistratura formalmente indipendente la funzione di rilevare e perseguire la violazione delle leggi, prassi corrente in una quota non irrilevante di quelli che occupano ruoli di vertice, e che dunque pone “fisiologicamente” i giudici benintenzionati in rotta di collisione col potere pubblico corrotto.

Caposaldo dello Stato di diritto è il principio che tutti i cittadini devono essere trattati in modo uguale davanti alla legge, inclusi gli stessi governanti. Ebbene, in Italia tutte le fonti di conoscenza a nostra disposizione – sondaggi, percezioni, inchieste giudiziarie, analisi scientifiche – convergono nel dimostrare che i “colletti bianchi”, inclusa la stessa classe politica, sono coinvolti con frequenza e intensità abnormi rispetto agli altri paesi liberaldemocratici in pratiche illecite, talora apertamente criminali. Nel peggiore dei casi la classe dirigente criminale si fa criminogena, di norma mira comunque alla protezione e all’autoassoluzione, tende ad includere altri attori sociali e istituzionali in reticoli opachi di connivenza e reciprocità, alla separazione preferisce la collusione tra i poteri. Non sorprende che la travolgente ascesa di Davigo nell’associazione di rappresentanza dei magistrati si sia realizzata sparigliando col sostegno della base i giochi delle vecchie correnti, con una sfida aperta al collateralismo politico strisciante dei precedenti vertici associativi.

L’illecito come modello “tollerabile” di condotta per le classi dirigenti – già teorizzato per i partiti da Craxi in un discorso alla Camera il 3 luglio 1992 – produce però costi economici, sociali e persino ambientali insostenibili nel lungo periodo, assai più gravi di quelli della micro-criminalità comune che tanto allarme suscita, restando però sottotraccia. I sintomi dell’anomalia denunciata da Davigo sono molti e concordanti, talora drammatici. Dai prezzi fuori mercato di appalti per lavori, forniture o servizi pubblici spesso di dubbia qualità e discutibile utilità, alle voragini scavate tanto nei bilanci pubblici che nelle casse di aziende e banche, spolpate fino ad azzerare i risparmi di azionisti e obbligazionisti, alla permeabilità alla penetrazione mafiosa di aree del centro-nord (persino nella “civica” Emilia), fino agli sversamenti di liquami tossici e ai disastri ambientali, con le loro ricadute in termini di diffusione di neoplasie e malformazioni infantili. Una zavorra insostenibile, certificata dalle posizioni di coda dell’Italia in tutte le classifiche sulla competitività delle imprese, la crescita economica, la corruzione, l’attrattività per gli investimenti esteri, l’economia sommersa, l’evasione fiscale. Del resto, l’alto status socio-economico può rendere di per sé razionale la scelta di delinquere, visto che la percentuale di “colletti bianchi” in carcere è in Italia un decimo appena della media europea, 0,6 contro il 5,9 per cento. E all’aspettativa d’impunità si accompagnano spesso la generosa tolleranza, quando non la solidarietà omertosa dei pari, che permette a politici, imprenditori, professionisti, funzionari macchiatisi di gravi condotte – non necessariamente reati – di proseguire imperturbabili la proprie carriere, talvolta beneficiando proprio dei propri precedenti penali come “certificazione” di affidabilità nei maneggi illeciti.

Le parole del consigliere Davigo sull’allarmante propensione all’illecito della classe politica e dirigente italiana somigliano allora a quelle del bambino della nota favola di Andersen, che urlando “il re è nudo” osserva una verità sotto gli occhi di tutti, ma che il re (della corruzione) e i suoi molti cortigiani non possono che continuare a negare, nascondendosi sotto il manto invisibile della loro ipocrisia.

di Alberto Vannucci | 24 aprile 2016


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... o/2666419/
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LA FINE DELLA SECONDA REPUBBLICA – ULTIMO ATTO



giovedì 21 aprile 2016
Repubblica 21.4.16
La classifica.
Nella graduatoria di Reporter senza frontiere, l’Italia finisce soltanto al 77esimo posto A penalizzarla il parametro delle aggressioni “fisiche e verbali” ai cronisti. Soprattutto da parte delle mafie
Minacce e processi ai giornalisti ecco perché la stampa è meno libera

diu Cristina Nadotti

ROMA. Giornalisti querelati in maniera pretestuosa, insultati e minacciati, soprattutto dalle mafie. È per questo che l’Italia scivola al 77esimo posto nella classifica stilata da Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa. Il rapporto annuale dell’organizzazione non governativa denuncia un’informazione in pericolo in gran parte del mondo, con pochi segnali di ottimismo e tanta preoccupazione per la crescita di conflitto d’interessi, ideologie ostili alla libera circolazione di idee e leader politici sempre più paranoici nei confronti del quarto potere. In questo quadro generale , l’Italia peggiora la sua posizione rispetto al 2015, quando era 73esima, e nell’Europa dove la libertà di stampa resta comunque un valore fondamentale si colloca tra gli ultimi, davanti soltanto a Cipro, Grecia e Bulgaria, comunque dietro a Moldova, Nicaragua Armenia e Lesotho.
A penalizzare l’Italia sono gli indicatori usati dal World Press Freedom Index, che misura il livello di libertà dei giornalisti in 180 Paesi valutando pluralismo, indipendenza dei media, ambiente in cui si opera e autocensura, provvedimenti di legge in materia, trasparenza, infrastrutture e abusi. Così come accade per la nostra economia, a rallentare l’informazione sono soprattutto la corruzione e il crimine organizzato perché, sottolinea il rapporto, «il livello di violenza contro i giornalisti (incluse violenze verbali, intimidazioni fisiche e minacce di morte) è allarmante ». A sostanziare le argomentazioni di Rfs ci sono i dati di “Ossigeno per l’informazione”, l’osservatorio promosso da Federazione della stampa e Ordine dei giornalisti sui cronisti minacciati, e l’ultimo rapporto della Commissione parlamentare antimafia. Dal 2006, quando Ossigeno ha cominciato a raccogliere i dati, il numero di minacce ai cronisti è cresciuto in maniera costante, con 2763 casi totali, di cui 528 nel 2015 e già 90 nel 2016. Le minacce più frequenti, come indicato anche da Rsf, sono le querele per diffamazione ritenuta poi pretestuosa, gli insulti e abusi del diritto. Ma non mancano le minacce personali (13 nel 2015) e di morte (6 casi lo scorso anno) e le 8 aggressioni gravi. I dati italiani indicano anche che sono i giornalisti della carta stampata a ricevere più minacce, con 119 casi nel 2015, seguiti da chi scrive per il web (80) e per la televisione (51). Ma la situazione potrebbe essere anche peggiore, poiché l’Osservatorio sottolinea che dietro a ogni intimidazione documentata in Italia almeno altre dieci restano ignote, perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche. Una forza, è l’allarme lanciato dal rapporto di Rsf che rischia di venire meno in tutta Europa, dove a minacciare l’indipendenza dei giornalisti c’è spesso il conflitto di interessi, visto che i gruppi editoriali sono spesso di proprietà di imprenditori i cui affari possono essere danneggiati da inchieste e indagini giornalistiche.
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Società
25 aprile, un giorno di festa e insieme di lutto
di Diego Fusaro | 25 aprile 2016
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Il primo compito di un pensiero critico dovrebbe consistere nella restituzione alla libera discussione razionale di ciò che abitualmente le è sottratto per le ragioni più disparate: le quali spaziano dal dogmatismo alla pressione del pensiero unico politicamente corretto. Come disse Hegel, la filosofia ha anche il dovere di rendere conosciuto ciò che è soltanto noto. Ed ecco allora che possiamo provare, sia pure per cenni e impressionisticamente, a operare in questa direzione con il 25 aprile.

Si tratta di una data che viene assunta indiscutibilmente come dì di festa, da magnificare senza se e senza ma. Eppure credo occorra riflettere seriamente, senza pregiudizi e ideologie, su tale data. A una più attenta analisi, non viziata dal dogmatismo cerimoniale, il 25 aprile dovrebbe essere un giorno di festa e, insieme, di lutto: di festa, giacché coincide con la benemerita sconfitta del nazifascismo in Italia, con tutti gli orrori a cui esso si era accompagnato; di lutto, in quanto alla liberazione seguì senza soluzione di continuità una nuova occupazione. La sacrosanta fine del nazifascismo non coincise, come sempre si dice, con ‘la’ liberazione, bensì con il transito da un’occupazione a un’altra: si passò dall’infame occupazione nazifascista all’altrettanto infame occupazione americana del territorio italiano, ridotto a colonia atlantista senza sovranità e con occupazione permanente del suolo nazionale con basi militari statunitensi. Non fine dell’occupazione, ripeto, ma passaggio da un’occupazione a un’altra: o, se preferite, liberazione e immediatamente nuova occupazione. Festa e subito dopo nuovo lutto.


Dal 1945 ad oggi il territorio italiano è colonia americana: occorre chiamare le cose col loro nome, se si vuole – diceva Gramsci – essere rivoluzionari e non meri ‘funzionari delle superstrutture’. Anche oggi, dopo il 1989, finito ingloriosamente il comunismo storico novecentesco, il nostro territorio continua a essere occupato da più di 110 basi militari americane. Se Washington decide di attaccare Baghdad o Belgrado, Roma deve cadavericamente fare altrettanto. Ecco una delle conseguenze della nuova occupazione.

Non può esservi democrazia ove il territorio nazionale è occupato da basi militari straniere e la decisione sovrana del popolo è vanificata aprioricamente: un ateniese del tempo di Pericle si sarebbe messo a ridere se gli si fosse detto che viveva in democrazia con, supponiamo, l’Acropoli occupato da una guarnigione spartana. A noi dal 1945 non viene da ridere: accettiamo un’analoga situazione, come se fosse ovvia e naturale. E chi osa porre il problema è silenziato come ‘estremista’, ‘antiamericanista’, ‘comunista’, ecc. È anche per questo che il 25 aprile è un giorno di festa e insieme di lutto.

Se dovessi spiegarlo a un bambino, impiegherei questa narrativa, semplificante ma, credo, efficace: vi era una casa bella e serena, fintantoché una banda di mascalzoni non la occupò ‘a colpi di revolverate’ (parole di Gramsci). Arrivarono poi dei liberatori che parlavano inglese: i quali cacciarono i mascalzoni. Gli abitanti della casa festeggiarono. E però i liberatori pensarono bene di non andarsene, una volta liberata la casa: si insediarono loro stessi come nuovi occupanti, costringendo i legittimi abitanti a vivere nel sottoscala e amministrando loro la casa. Da liberatori divennero nuovi occupanti: la festa fu breve, perché la liberazione si capovolse subito nel suo contrario.
di Diego Fusaro | 25 aprile 2016


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... o/2667325/
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“Una giustizia che funziona non interessa
Politica e malaffare, le leggi non arrivano mai.

Il procuratore nazionale antimafia Roberti parla dopo lo scontro tra il governo e il presidente Anm Davigo
“Tutti a parole sono d’accordo sui rimedi, ma poi non fanno i provvedimenti per far funzionare i processi”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... i/2669824/
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MEDIA & REGIME
25 aprile, la Repubblica lo dimentica e conferma la sua linea editoriale
di Alex Corlazzoli | 26 aprile 2016
COMMENTI



Twitter
Il suo fondatore, Eugenio Scalfari, non aveva certo scelto la via della Resistenza anzi nel 1942 era stato nominato caporedattore di Roma Fascista ma settant’anni più tardi mi sarei aspettato almeno una riga in prima pagina su La Repubblica in occasione della Festa della Liberazione. E invece no.

la_repubblica-2016-04-25-571d8eaee7e43

Ieri non volevo credere ai miei occhi. Nella mazzetta dei giornali non mi aspettavo certo che il Giornale o Libero dedicassero parole a Sant’Anna di Stazzema, ai martiri di Marzabotto, ma che “Repubblica” preferisse ricordare il quattrocentesimo centenario della morte di Cervantes e Shakespeare piuttosto che le centinaia di partigiani e civili uccisi non può essere considerata una dimenticanza ma una scelta.

Per un attimo ho pensato che l’edicolante mi avesse dato il giornale del giorno precedente. Ma non era così. Sulla “prima” del quotidiano diretto da Mario Calabresi ieri hanno preferito dare spazio a Valentino Rossi, alle 20mila idee di successo finanziate dagli amici del web e alla Juventus. Nemmeno un editoriale, una foto-notizia sul 25 aprile. Meglio parlare (sempre in “prima”) del boom dei viaggi per super ricchi: Vittorio Zucconi, nato quattro giorni prima l’eccidio di Stazzema, grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica, anziché dedicare qualche riga alla Festa della Liberazione, ha preferito raccontarci di quell’uno per cento del mondo che sborsa cifre a sei zeri per servizi riservati.

L’apertura, chiaramente, non poteva che essere destinata a lui, al premier con tanto di intervista su sei colonne alla seconda e terza pagina.

E’ affidato proprio a Matteo Renzi il compito di parlare della Liberazione. Tutto è liquidato in tre righe e quattro parole di risposta alla domanda di Claudio Tito: “Pochi anni fa il centrodestra proponeva di abolire questa Festa. E’ una data che rappresenta il nucleo dei valori della Repubblica. Vede in pericolo quei valori?”. Risposta dell’inquilino di palazzo Chigi: “No. L’antifascismo è elemento costitutivo e irrinunciabile della nostra società. Giusto tenere alta la guardia”. Più di così non potevamo aspettarci o pretendere. L’ex sindaco non è Sandro Pertini o Aldo Moro.
A dire il vero Tito torna sul tema qualche riga sotto ricordando a Renzi che “nel suo partito qualcuno ritiene che la riforma costituzionale sia una mina piazzata proprio sotto gli ideali della Costituzione nata il 25 aprile”.

Un assist per il premier pronto a segnare il goal che Repubblica vuole: “Ma per favore! Un po’ di serietà. La deriva autoritaria è quella che ha portato al fascismo. Qui non cambiamo nemmeno i poteri del governo. Si può essere d’accordo o meno con la riforma ma proprio il rispetto per la Guerra di Liberazione dovrebbe imporre di confrontarci nel merito”.

Stop. Di 25 aprile non si parla più. Anzi, pardon, al 25 aprile La Repubblica dedica una pagina ma all’anniversario del terremoto in Nepal avvenuto lo scorso anno. Sfoglio di nuovo il giornale, cerco nelle pagine culturali ma trovo solo la bella storia della misteriosa collezione di coleotteri dello scrittore Fredrik Sjoberg. Povero illuso: da maestro credevo di poter leggere la recensione di uno dei tanti libri sulla Resistenza scritti per bambini o l’intervista a uno storico o ad un partigiano. Eppure ieri, a parte i giornali di Centrodestra (Libero l’ha fatto a modo suo ma l’ha fatto), nessuno degli altri quotidiani si è dimenticato di citare la festa della Liberazione in prima pagina: la La Stampa, Il Corriere della Sera, L’Unità, Il Secolo XIX ne hanno parlato.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulle scelte editoriali della Repubblica ora ha avuto una conferma.

*aggiornato da redazione web il 26 aprile 2016 alle 14
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Re: Diario della caduta di un regime.

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MEDIA & REGIME
25 aprile, la Repubblica lo dimentica e conferma la sua linea editoriale
di Alex Corlazzoli | 26 aprile 2016
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Il suo fondatore, Eugenio Scalfari, non aveva certo scelto la via della Resistenza anzi nel 1942 era stato nominato caporedattore di Roma Fascista ma settant’anni più tardi mi sarei aspettato almeno una riga in prima pagina su La Repubblica in occasione della Festa della Liberazione. E invece no.

la_repubblica-2016-04-25-571d8eaee7e43

Ieri non volevo credere ai miei occhi. Nella mazzetta dei giornali non mi aspettavo certo che il Giornale o Libero dedicassero parole a Sant’Anna di Stazzema, ai martiri di Marzabotto, ma che “Repubblica” preferisse ricordare il quattrocentesimo centenario della morte di Cervantes e Shakespeare piuttosto che le centinaia di partigiani e civili uccisi non può essere considerata una dimenticanza ma una scelta.

Per un attimo ho pensato che l’edicolante mi avesse dato il giornale del giorno precedente. Ma non era così. Sulla “prima” del quotidiano diretto da Mario Calabresi ieri hanno preferito dare spazio a Valentino Rossi, alle 20mila idee di successo finanziate dagli amici del web e alla Juventus. Nemmeno un editoriale, una foto-notizia sul 25 aprile. Meglio parlare (sempre in “prima”) del boom dei viaggi per super ricchi: Vittorio Zucconi, nato quattro giorni prima l’eccidio di Stazzema, grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica, anziché dedicare qualche riga alla Festa della Liberazione, ha preferito raccontarci di quell’uno per cento del mondo che sborsa cifre a sei zeri per servizi riservati.

L’apertura, chiaramente, non poteva che essere destinata a lui, al premier con tanto di intervista su sei colonne alla seconda e terza pagina.

E’ affidato proprio a Matteo Renzi il compito di parlare della Liberazione. Tutto è liquidato in tre righe e quattro parole di risposta alla domanda di Claudio Tito: “Pochi anni fa il centrodestra proponeva di abolire questa Festa. E’ una data che rappresenta il nucleo dei valori della Repubblica. Vede in pericolo quei valori?”. Risposta dell’inquilino di palazzo Chigi: “No. L’antifascismo è elemento costitutivo e irrinunciabile della nostra società. Giusto tenere alta la guardia”. Più di così non potevamo aspettarci o pretendere. L’ex sindaco non è Sandro Pertini o Aldo Moro.
A dire il vero Tito torna sul tema qualche riga sotto ricordando a Renzi che “nel suo partito qualcuno ritiene che la riforma costituzionale sia una mina piazzata proprio sotto gli ideali della Costituzione nata il 25 aprile”.

Un assist per il premier pronto a segnare il goal che Repubblica vuole: “Ma per favore! Un po’ di serietà. La deriva autoritaria è quella che ha portato al fascismo. Qui non cambiamo nemmeno i poteri del governo. Si può essere d’accordo o meno con la riforma ma proprio il rispetto per la Guerra di Liberazione dovrebbe imporre di confrontarci nel merito”.

Stop. Di 25 aprile non si parla più. Anzi, pardon, al 25 aprile La Repubblica dedica una pagina ma all’anniversario del terremoto in Nepal avvenuto lo scorso anno. Sfoglio di nuovo il giornale, cerco nelle pagine culturali ma trovo solo la bella storia della misteriosa collezione di coleotteri dello scrittore Fredrik Sjoberg. Povero illuso: da maestro credevo di poter leggere la recensione di uno dei tanti libri sulla Resistenza scritti per bambini o l’intervista a uno storico o ad un partigiano. Eppure ieri, a parte i giornali di Centrodestra (Libero l’ha fatto a modo suo ma l’ha fatto), nessuno degli altri quotidiani si è dimenticato di citare la festa della Liberazione in prima pagina: la La Stampa, Il Corriere della Sera, L’Unità, Il Secolo XIX ne hanno parlato.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulle scelte editoriali della Repubblica ora ha avuto una conferma.

*aggiornato da redazione web il 26 aprile 2016 alle 14
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Chi potrà rimettere sui binari questo Paese???????


26 APR 2016 13:20
1. ROMA CRIMINALE "ON THE BEACH", TRA "LE VIETTE" DI OSTIA, SPADRONEGGIA IL CLAN SPADA
2. DUE PENTITI HANNO DECISO DI DENUNCIARE GLI ABUSI DEL GRUPPO DI ZINGARI CHE SI E’ FATTO “CUPOLA”: “VOLEVANO PRENDERSI CASA MIA A TUTTI I COSTI. UNA NOTTE SI SONO PRESENTATI IN VENTI, ALLA LORO TESTA C’ERA MASSIMILIANO SPADA E SUO SUOCERO ENRICO DETTO 'PELÈ', IL PRIMO AVEVA UNA PISTOLA E IL SECONDO UN COLTELLO. PELÈ, CHE E’ SIEROPOSITIVO, FACEVA IL GESTO DI SPUTARMI MINACCIANDOMI DI INFETTARMI. POI CI ARRIVAVANO BOTTE, MINACCE DI MORTE, ATTENTATI. L’ULTIMA PROPOSTA? MEZZO ETTO DI COCA PER IL NOSTRO APPARTAMENTO”
4. QUEL GARAGE IN CENTRO INSONORIZZATO CON LA GOMMA PIUMA USATO PER LE TORTURE

http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 123434.htm




IERI TRUMP HA INCONTRATO SALVINI A FILADELFIA, E GLI HA DETTO:

"PRESTO SARAI PREMIER"

COSE DA SUICIDIO DI MASSA
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA EX SINISTRA COSTRETTA MENDICARE????



27 aprile 2016 | di Gisella Ruccia
Pd, Scanzi vs Barca: “Graziano indagato? Altra prova che Renzi non ha a cuore questione morale”. “Sbagli”

“Caso Graziano? Al momento, le uniche cose che Renzi ha saputo rottamare veramente sono state D’Alema e la sinistra. ll presidente del Consiglio è scarsamente interessato alla questione morale”. Così il giornalista de Il Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, commenta la vicenda di Stefano Graziano, presidente del Pd campano, indagato con l’accusa di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso. Ospite di Otto e Mezzo (La7), Scanzi si confronta con Marco Damilano, vicedirettore dell’Espresso, e Fabrizio Barca, esponente Pd, il quale osserva: “Quello che sta accadendo è una cosa orrenda, e vorrei pure vedere che Graziano non si fosse autosospeso. La questione morale nel Pd? Renzi ce l’ha sicuramente a cuore“. Scanzi puntualizza: “Se Renzi fosse stato interessato alla questione morale, non si sarebbe vantato del Patto per il Sud con De Luca, non avrebbe riscritto la Costituzione con Verdini, non avrebbe fatto la riforma della giustizia con Alfano, non avrebbe tenuto come sottosegretario uno indagato come Vito De Filippo, non avrebbe reagito in quel modo alle parole di Davigo. Renzi ha molte priorità, tra le quali non c’è minimamente la questione morale. Se ci fosse stata, avrebbe fatto qualcosa contro la corruzione combattendo la prescrizione“. Il giornalista poi analizza la scelte del premier nella classe dirigente del Pd e menziona la telefonata-burla de La Zanzara, di cui rimase vittima Barca, a cui chiede: “Lei utilizzò dei toni molto duri nei confronti del governo Renzi, appena insediato. Mi dice cosa ha fatto in questi due anni? Ridirebbe le stesse cose?”. L’esponente del Pd ribadisce: “Io non ho mai pensato, neanche in una telefonata rubata che non voglio commentare, che non ci fosse un’attenzione alla questione morale da parte di Renzi e non ho alcun dubbio in merito. Lui ha corso più di quello che avrebbe voluto, perché in qualche modo voleva che il governo Letta reggesse e io gli ho creduto“. Ma alle espressioni contrariate di Scanzi e Damilano, replica con una battuta: “Fatemi continuare la mia critica, tanto Renzi non ha bisogno di nessuno che lo difenda”

VIDEO

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/04/ ... si/513010/
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Re: Diario della caduta di un regime.

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PIU' VELOCE DELLA LUCE IL VECCHIO ANTONIO


Bassolino tira in ballo Renzi: "Il Pd rischia burrone morale"[ /size]

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 51638.html


DOPO 2 ANNI, ANTONIO PIE' VELOCE SI ACCORGE CHE IL PD "RISCHIA IL BURRONE MORALE".

MA IL PD E' GIA' NEL BURRONE MORALE DA QUANDO E' ARRIVATO RENZIE, PERCHE' IL PROBLEMA MORALE E' PROPRIO LUI. IL PREMIER CAZZONE, COME LO CHIAMA ORDINARIAMENTE ROBERTO DAGOSTINO SU DAGOSPIA.

UN GIOVANE AVVENTURIERO MALATO DI POTERE E NON SOLO, DISPOSTO A TUTTO PUR DI APPARIRE.

L'ALLEANZA CON SUA NULLITA', ANGELINO ALFANO, L'UOMO DELLA MAFIA.

IL PATTO DEL NAZARENO CON SILVIETTO, L'UOMO CHE HA RASO AL SUOLO IL BEL PAESE.

GRAZIE AI BUONI UFFICI DEL PIDUISTA VERDINI. SUO MENTORE DA QUANDO GOVERNAVA LA PROVINCIA DI FIRENZE.

IL CHIUDERE GLI OCCHI SU DE LUCA E LA CAMORRA.

SI FA SENTIRE SOLO QUANDO LA MAGISTRATURA RACCONTA LA VERITA'.

VEDI D'AVIGO.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA CADUTA DELLA SECONDA REPUBBLICA SI FA SENTIRE


Galan, Camera vota la decadenza. Da Publitalia al Veneto e governo: ascesa e caduta del Doge azzurro

Politica
L'aula di Montecitorio ha deciso a larga maggioranza, a quasi due anni dall'arresto per corruzione del 2014. Dagli inizi come venditore alla carriera politica con Berlusconi, i tre mandati da presidente del Veneto e l'esilio voluto da Zaia, ricambiato con un posto da ministro, la storia dell'uomo che diceva: "Il Veneto sono io"
di Giuseppe Pietrobelli | 27 aprile 2016
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Giancarlo Galan, l’uomo che diceva “il Veneto sono io”, l’incontrastato doge berlusconiano di Venezia, il governatore che per tre lustri ha fatto il bello e il cattivo tempo dalle Dolomiti all’Adriatico, adesso non è più nessuno. Politicamente parlando. L’aula di Montecitorio ha votato a grande maggioranza la sua decadenza da deputato: 388 voti a favore, 40 contrari e sette astenuti. La decisione è arrivata quasi due anni dopo l’arresto per corruzione, avvenuto nel luglio 2014, un anno e mezzo dopo il patteggiamento di una pena di due anni e dieci mesi di reclusione che l’ormai ex parlamentare sta scontando ai domiciliari. Epilogo amaro per il venditore di Publitalia che fu tra i primi a seguire l’astro nascente Berlusconi e a mettersi al suo servizio, diventandone plenipotenziario in una terra che al Cavaliere ha dato tante soddisfazioni elettorali.

In sua difesa si è alzata la voce di Gregorio Fontana (Forza Italia), relatore di minoranza, che ha sostenuto la non retroattività della legge Severino. Ma era chiaro che nessuno avrebbe modificato le posizioni cristallizzate un paio di settimane fa nella votazione della giunta delle elezioni e sintetizzate dal relatore Alessandro Pagano. Galan era talmente preparato, che subito ha fatto sapere di voler ricorrere alla Corte di Giustizia europea per ottenere l’annullamento di un provvedimento che ritiene ingiusto. Assistito dagli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, percorrerà le stesse orme di Berlusconi. Sosterrà che la decadenza da parlamentare è atto illegittimo perché costituisce una sanzione per fatti accaduti quando la legge Severino non era ancora stata approvata. Sarebbe, a suo dire, un’applicazione retroattiva, che l’ordinamento giudiziario non consente.

L’interessato non si è allontanato dalla villa sui Colli Euganei dove è in affitto dopo aver ceduto allo Stato, a titolo di risarcimento, la lussuosa Villa Rodella a Cinto Euganeo, condizione necessaria per ottenere il via libera al risarcimento. Ha aspettato nella sua nuova casa la notizia alquanto scontata che è caduta in una giornata per lui nient’affatto propizia. Dopo aver già perso la villa di proprietà ed essersi trovato privo delle guarentigie, ora rischia una nuova mazzata patrimoniale. Davanti alla Corte dei Conti di Venezia è stata discussa proprio ieri una richiesta di sequestro sui suoi beni per un valore di 5 milioni 800mila euro, a ristoro dei danni che lo Stato sostiene di aver subito dai comportamenti illeciti contestati nei capi d’imputazione dell’inchiesta veneziana. Uno dei suoi legali, l’avvocato Franco Zambelli di Mestre, si è opposto alla richiesta della Procura contabile, che riguarda soprattutto i guadagni futuri di Galan. I giudici si sono riservati una decisione.

Esce definitivamente dalla scena politica non solo del Nordest uno dei protagonisti degli ultimi vent’anni. Per tre volte è stato eletto governatore del Veneto, in una partita senza storia con il centrosinistra. Nel 1995 ha battuto l’ex sindaco di Padova Ettore Bentsik, nel 2000 ha distanziato di 17 punti percentuali il sindaco-filosofo Massimo Cacciari, nel 2005 ha superato l’ex vicepresidente degli industriali veneti Massimo Carraro. Chi lo ha messo alle corde, alla fine, è stato solo il leghista Luca Zaia che è riuscito ad ottenere nel 2010 la non ricandidatura del Doge azzurro da parte di Berlusconi, in una coalizione che si avviava a tingersi sempre più di un verde padano. Galan pensava di essere intramontabile, dicendo di essere legatissimo al Veneto. Ma, come hanno dimostrato le inchieste, era anche legatissimo agli affari e al potere di una carica che gestiva con prorompente personalismo. Le nomine a ministro all’Agricoltura (2010-11) e Beni Culturali (2011-2013) furono una specie di risarcimento che gli ha dato visibilità nazionale. Poi è arrivato il colpo da ko della Procura di Venezia per i soldi ricevuti da Giovanni Mazzacurati e dal Consorzio Venezia Nuova.

E pensare che nel 2003, davanti alla Commissione Antimafia a Venezia, in veste istituzionale aveva detto, riferendosi e Mose e Passante di Mestre. “Sono già state poste in essere alcune grandi opere, che porteranno qui investimenti il cui ammontare mi fa rabbrividire, per la responsabilità che ci assegna. Investimenti di questo tipo rappresentano un appeal non indifferente, per leggi più antiche dell’uomo, quindi ci vorrà il massimo della trasparenza, dell’efficienza e della sorveglianza”.

di Giuseppe Pietrobelli | 27 aprile 2016

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