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UncleTom
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Re: Renzi

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LA STAMPELLA DI RENZI





Credito Fiorentino, Palazzo Chigi chiede 42 milioni di risarcimento

Giustizia & Impunità


Al processo sul crac dell’ex Ccf di cui fu presidente Denis Verdini la presidenza del Consiglio ha chiesto il risarcimento dei danni per la presunta truffa sui fondi all’editoria: il conteggio risulta dai quasi 23 milioni percepiti tra 2005 e 2009 dai giornali dal senatore di Ala, rivalutati con gli interessi a 28 milioni, più un risarcimento danni pari al 50% in più di questa somma

di F. Q. | 13 gennaio 2017

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Più informazioni su: Denis Verdini


La Presidenza del Consiglio, al processo sul crac dell’ex Ccf di cui fu presidente Denis Verdini, ha chiesto il risarcimento dei danni per la presunta truffa sui fondi all’editoria pari a circa 42 milioni di euro: il conteggio risulta dai quasi 23 milioni percepiti tra 2005 e 2009 dai giornali dal senatore di Ala, rivalutati con gli interessi a 28 milioni, più un risarcimento danni pari al 50% in più di questa somma. L’Avvocatura dello Stato ha chiesto il sequestro conservativo di 23 milioni di beni equivalenti già sotto sequestro penale.

Richiesta di risarcimento anche da parte della Banca Mps, nelle sue divisioni Capital Service ed ex Banca Antonveneta, pari a circa oltre 48 milioni di euro ai costruttori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, più altri coimputati. Bankitalia ha chiesto di condannare l’intera governance dell’ex Ccf anche al risarcimento dei danni non patrimoniali – come quelli di immagine – per 176.854 euro.

Per Verdini l’accusa ha chiesto 11 anni: perché secondo i pm di Firenze il Credito Cooperativo Fiorentino fu trasformato dal parlamentare “nel suo bancomat privato” e in un suo riconosciuto centro di “potere e comando”. Il Ccf nel 2010 fallì dopo venti anni di sua incontrastata presidenza e a seguito di dettagliate ispezioni di Bankitalia. Associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, sono le accuse per il senatore Verdini a cui va aggiunta quella della presunta truffa allo Stato sull’ampio capitolo processuale per i fondi per l’editoria tramite società e cooperative a Firenze la cui istituzione e operatività sono ritenute dai pm fittizie e solo strumentali a prendere quei contributi. Le due vicende, banca e giornali, negli anni si sono intrecciate, infatti il processo è uno solo. Ed è per quest’ultimo filone che vengono chiesti i 42 milioni.
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Re: Renzi

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14 gen 2017 15:39

“RENZI NE HA FATTA UNA GIUSTA: HA DISTRUTTO IL PD”

- BELPIETRO: “ISCRITTI CROLLATI AL SUD E NELLE ROCCADORTI ROSSE

- A TORINO, MENO 58 PER CENTO DI TESSERE, ANCHE IN EMILIA ISCRITTI DIMEZZATI

- UN TRISTE DECLINO PER RENZI CHE HA LIQUIDATO IL PIU’ GRANDE PARTITO OCCIDENTALE DELLA SINISTRA”




Maurizio Belpietro per La Verità



Bisogna riconoscere che Matteo Renzi ne ha fatta una giusta. Che non è, come qualche lettore malizioso potrebbe pensare, dimettersi la sera stessa della sconfitta referendaria.

La batosta subita il 4 dicembre non lasciava altra alla scelta all’ex presidente del Consiglio, soprattutto a seguito delle promesse di gettare la spugna che durante la campagna elettorale egli stesso aveva ribadito a più riprese.



No, la cosa giusta dell’ex premier è la distruzione del Pd: operazione che sebbene non sia ancora conclusa, diciamo che ci pare bene avviata. A conforto della tesi di una prematura estinzione di ciò che resta del glorioso partito della sinistra ci sono i dati del tesseramento 2016, che proprio ieri un quotidiano assai vicino al Pd come quello diretto da Mario Calabresi si è incaricato di rendere noti. Secondo Repubblica le iscrizioni al Partito democratico lo scorso anno sono letteralmente crollate.

Se si esclude il caso di Catania, dove ci sarebbe la corsa in massa a iscriversi al Pd, in Sicilia i rinnovi si conterebbero con il contagocce e lo stesso sarebbe accaduto in Calabria, due regioni che, vale la pena di ricordarlo, sono amministrate proprio da uomini del Pd. Ma forse qualcuno potrebbe pensare che nel Mezzogiorno colpito dalla crisi molti non abbiano denaro per permettersi i 40 euro necessari all’iscrizione. Si dà il caso però che anche altrove il fenomeno abbia colpito le fila del partito guidato da Matteo Renzi.


A Torino, provincia tradizionalmente roccaforte della sinistra, i tesserati sono passati da 7.800 a 4.900, con una perdita secca del 37 per cento degli iscritti. Tuttavia in città è andata anche peggio: là dove un tempo la classe operaia combatteva epiche battaglie il Pd è riuscito a mettere insieme solo 1.000 tessere, contro le 2.400 dell' anno precedente, con una perdita di militanti pari al 58 per cento. I numeri non sono più confortanti nel tradizionale bacino del partitone rosso.


Già, perché anche in Emilia Romagna i dati fanno registrare un tracollo. In tre anni i dem si sono praticamente dimezzati, passando dai 76.000 iscritti del 2013 ai 37.000 del dicembre 2016. Da notare, scriveva ieri Repubblica, che il 2013 fu l' annus horribilis del Pd, perché lo scherzet to tirato a Romano Prodi, ovvero il suo impallina mento sulla strada del Quirinale, fu un' operazione che demoralizzò i militanti, convincendone molti a stracciare la tessera.


Ma se tre anni fa le cose per il Pd non andavano bene poi, con Renzi segretario e presidente del Consiglio, sono andate anche peggio, perché il serbatoio di voti e di iscritti si è via via prosciugato. Nel 2014 i militanti registrati uffi cialmente erano scesi a 57.000, lasciando sul campo in un solo anno quasi 20.000 iscritti. Nel 2015 altra limata, da 57 a 48.000, per arrivare poi a 11.000 in meno anche lo scorso anno.


A Largo del Nazareno, quartiere generale dei dem, ovviamente minimizzano, consolandosi con le cifre in arrivo dalla Toscana e da Milano. L' effetto Renzi a Firenze e dintorni nel 2016 avrebbe consentito di frenare l' emorragia, conservando all' incirca gli stessi iscritti. E la vittoria di Beppe Sala nel capoluogo lombardo avrebbe più o meno permesso di arginare la disaffezione dei vecchi tesserati. Anzi, a Milano sarebbero stati aperti quattro nuovi circoli del Pd che avrebbero avuto l' effetto di compensare l' andamento in discesa delle iscrizioni.


Tuttavia, se la campagna per la riforma elettorale non pare aver scaldato i cuori dei compagni spingendoli a tesserarsi in massa, ma al contrario li avrebbe raffreddati, convincendo molti militanti ad allontanarsi, un' altra spia segnala lo stato di malessere del Pd ed è la situazione agonizzante dell' Unità, il giornale di partito che Matteo Renzi ha voluto far tornare in edicola un paio d' anni fa per avere uno strumento direttamente a sua disposizione.


Risultato, l' altro ieri in redazione si è presentato l' amministratore del gruppo di costruttori che aveva finanziato l' operazione e ha annunciato una dozzina di licenziamenti, preavvisando che L' Unità finirà online, cioè sparirà dalle edicole. Un triste declino quello di Renzi, tra tessere che mancano e copie che non si vendono. Una sola soddisfazione: ancora un piccolo sforzo e presto potrà appuntarsi sul petto la medaglia di aver liquidato il più grande partito occidentale della sinistra. Onore al merito. Neppure Bersani era riuscito nell' opera.
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Re: Renzi

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LE DISGRAZIE DELL'ITALIA NON FINISCONO MAI



Renzi dopo il flop al referendum: "Ho pensato all'addio, ora cambio il Pd"



L'ex premier si rimangia la parole e non lascia la politica: "Solo un vigliacco scappa nei momenti di difficoltà". Ora ripartirà dal Pd: "Lancerò una nuova classe dirigente"



Sergio Rame - Dom, 15/01/2017 - 09:11

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La sconfitta al referendum "brucia, eccome se brucia". Tanto che il vero dubbio è stato se continuare o lasciare.

"Ma poi uno ritrova la voglia di ripartire". Nell'intervista rilasciata al direttore di Repubblica, Ezio Mauro, Matteo Renzi lo mette in chiaro subito. Non ci sarà alcun passo indietro. Altro che addio alla politica. L'ex premier resta e tira dritto. Eppure, durante la campagna elettorale in vista del referendum sulle riforme costituzionali, lo aveva ripetuto fino allo sfinimento. "In caso di vittoria del No - aveva detto - non c'è ragione perché io continui a fare il politico". Ora, dopo la batosta del 4 dicembre, si rimangia tutto e trama per tornare al governo.

È la prima intervista che rilascia dopo l'amara sconfitta al referendum. Sulle riforme costituzionali Renzi ci aveva scommesso tutto. Insieme al Jobs Act, che sinistra radicale e sindacati ora vorrebbero abbattare, il ddl Boschi era sicuramento la riforma più importante del passato governo. Si è frantumata contro il "no" degli italiani. Il risultato della consultazione referendaria del mese scorso è stato netto. Tanto che a Renzi non è restato altro che dimettersi. "Nei primi giorni" dopo la sconfitta, racconta lui stesso a Mauro, era tentato di uscire dalla politica. "Ma poi ho pensato che solo il vigliacco scappa nei momenti di difficoltà". E ora è pronto a ributtarsi nella mischia. Per il momento le elezioni non sono all'ordine del giornio. E a lui importa prima "cambiare" e ristrutturare il Pd.


"La nostra battaglia è appena cominciata", dice. Ma assicura anche che non vuole né rivincite né vendette. "Riorganizzo la struttura del partito", sottolinea Renzi spiegando che "uno dei miei limiti" è stato dire troppi 'io' e pochi 'noi'". "L'errore 'clamoroso' è stato "non aver colto il valore politico del referendum - continua nel mea culpa - mi sono illuso che si votasse su province, Cnel, regioni. In questo clima la parola riforma è suonata vuota, meccanica, artificiale. Tre anni dopo avrei dovuto metterci più cuore, più valori, più ideali. Insomma meno efficienza e più qualità". L'ex premier respinge l'accusa di aver scelto i più fedeli a Firenze anziché i più bravi in Italia. Adesso, "lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e in largo l'Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti - conclude - ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno".
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Re: Renzi

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LE DISGRAZIE DELL'ITALIA NON FINISCONO MAI. SONO COME LE CILIEGE. UNA TIRA L'ALTRA.






15 gen 2017 11:33

1. EZIOLO MAURO DUELLA CON L’EX PREMIER RENZI CHE, NELLA SUA PRIMA INTERVISTA DOPO LA DISFATTA DEL REFERENDUM, CONTINUA A NON COMPRENDERE CHE IL SUO VERO PROBLEMA POLITICO È IL CARATTERE ANTI-POLITICO (IO SO’ IO E VOI NON SIETE UN caXXo)


2. IL BULLETTO DI RIGNANO SULL'ARNO AMMETTE ERRORI DI FORMA MA NON DI SOSTANZA. L'INTERVISTA È UN AVVISO AI NAVIGANTI CHE È TORNATO E VUOLE RIVINCERE E TORNARE A PALAZZO CHIGI. QUANDO ALLA FINE DICE: HO LASCIATO IL CAMPANELLO A GENTILONI E HO VISTO ENTRARE TANTI AMICI, AVVERTE CHE IL CAPO È ANCORA LUI, PIU' TRACOTANTE DI PRIA



NB. CONSIGLIO AI NAVIGANTI.

NON LEGGERE QUESTO ARTICOLO SE NON SI HA A FIANCO UN BIDONE DI MAALOX
PLUS




Ezio Mauro per la Repubblica



Segretario Renzi, la sua prima intervista dopo il referendum si può incominciare solo così: che sventola! Quanto le brucia?

«E deve domandarmelo, non se lo immagina? Brucia, eccome se brucia. Tanto che il vero dubbio è stato se continuare o lasciare. Ma poi uno ritrova la voglia e riparte».


Davvero ha pensato di uscire dalla politica?

«Sì, nei primi giorni. Mi tentava: e devo dirle, un po’ per curiosità, un po’ per arroganza».

Poi?

«Poi ho pensato che solo il vigliacco scappa nei momenti di difficoltà. Ho ripensato alle migliaia di lettere ricevute, al desiderio di futuro espresso da milioni di persone. La nostra battaglia è appena incominciata».


Una rivincita o una vendetta?

«Nessuna delle due: sono parole che pensano al passato. Noi guardiamo avanti, non indietro».



Non è anche questo un modo per scappare dalla sconfitta?

«Se uno nasconde la testa sotto la sabbia e fa finita di niente, sì. Ma vorrei ricordarle che io mi sono dimesso, in un Paese dove di solito le dimissioni si annunciano».

Era difficile resistere dopo aver perso 41 a 59, lo ammette?


«Sarei andato via anche con il 49 per cento. In realtà mi sono dimesso tre volte».


Perché tre?


«La prima appena usciti risultati, domenica sera. La seconda davanti a Mattarella, lunedì. Poi il Presidente mi ha chiesto di portare a casa la legge di bilancio, l’abbiamo fatta in 48 ore. E con 173 voti a favore presi al Senato mi sono dimesso per la terza volta. Adesso c’è il presidente Gentiloni cui va tutto il nostro sostegno».



E lei cosa sta facendo?

«Rifletto, leggo, sto in famiglia. Vado al ricevimento professori dei genitori dei miei figli. Ho ripreso a usare la bici. Riorganizzo la struttura del partito. Uso gli occhi e le orecchie più che la bocca. C’era tempo solo per correre, prima. Adesso mi sono fermato: avrei preferito non farlo ma non è così male».

Ma non ha appena detto che le brucia?

«Umanamente è una grande lezione, come tutte le sconfitte. Sa cosa mi spiace soprattutto? Non essere riuscito a far capire quanto fosse importante per l’Italia questa riforma. Abbiamo perso un’occasione che per decenni non ricapiterà. Ma nessuno ci toglierà i mille giorni che abbiamo fatto, straordinari. E soprattutto nessuno può toglierci il futuro. Abbiamo il tempo, l’energia, la passione per imparare dalla sconfitta e ripartire ».



Improvvisamente lei parla al plurale dopo una vita politica vissuta al singolare. E’ il momento di dire “noi”, dopo troppi “io”?


«E’ stato uno dei miei limiti. Ma l’Italia che abbiamo trovato nel 2014, con il pil al meno due per cento, aveva bisogno di una scossa. Dire io e metterci la faccia è stato necessario ».



Insomma, “noi” non riesce a dirlo fino in fondo?

«Sto imparando, vorrei ci provassimo tutti. Vede, il Pd potrebbe vantarsi di un Jobs act votato dalla sinistra, di unioni civili votate dai cattolici, della legge sul caporalato e del miliardo e otto stanziato per la povertà, degli oltre 17 miliardi di recupero dalla lotta all’evasione, dell’abbassamento delle tasse. Invece i nostri votano in Parlamento, e tacciono nel Paese, anche sulle cose più positive».



Non starà qui a snocciolare la propaganda, visto che lo ha fatto ad ogni ora del giorno e della notte in tv e non le è servito, non le pare?


«Quella che lei chiama propaganda sono riforme che hanno aiutato un pezzo di Paese a vivere meglio. Non ci hanno fatto vincere? Ok, ma sono fiero di averle fatte e quei 13 milioni di voti raccolti al referendum sono un patrimonio di speranza per il futuro».

Alt, lei non può annettersi quel 41 per cento in automatico: non è un voto politico per Renzi, è un voto referendario. Diverso, no?

«Diverso quanto vuole. Ma non è che il 59 per cento è un voto politico e il 41 no. O siamo al paradosso per cui Renzi conta solo nei voti contrari e non in quelli a favore? Il 59 per cento è molto diviso al proprio interno, il 41 no. Temo che qualcuno faccia i conti senza l’oste».



Vediamo gli errori dell’oste, prima: qual è stato il più grave?

«Non aver colto il valore politico del referendum. Mi sono illuso che si votasse su province, Cnel, regioni. Errore clamoroso. In questo clima la parola riforma è suonata vuota, meccanica, artificiale. Nel 2014 il Paese sapeva di essere a rischio Grecia, l’efficienza aveva presa, funzionava perché serviva. Tre anni dopo avrei dovuto metterci più cuore, più valori, più ideali. Insomma, meno efficienza e più qualità».


Prima diceva che ha corso troppo, ora aggiunge addirittura che vuole più cuore. In questi tre anni abbiamo scritto tante volte che lei sostituiva il performer al politico, l’acrobata al leader. Non tutto è prassi, dunque?


«Un leader è sempre un po’ acrobata, altrimenti vivacchia ma quelli che vivacchiano non sono leader. Poi talvolta cade, ma preferisco rischiare piuttosto che vivere nell’immobilismo. Ma se vuole andare più a fondo, ci sto: ho agito spesso senza riuscire a fare una teoria di quel che facevamo, senza “ideologizzare” la rotta del governo, senza raccontare la profondità culturale di quel che proponevamo al Paese. Abbiamo fatto la più grande redistribuzione di reddito della storia fiscale italiana - gli 80 euro - ma abbiamo accettato che fosse presentata come una mancia. Ma almeno noi lo abbiamo fatto, dopo anni di chiacchiere».


Più cultura, dunque, non solo politique d’abord?

«Se cerca uno slogan ne ho uno migliore: meno slide, più cuore».



E magari meno Giglio Magico, no? Non crede sia una mancanza di ambizione scegliere i più fedeli a Firenze invece che i più bravi in Italia?

«Dissento radicalmente: io ho sempre cercato di scegliere i più bravi. Ogni leader nel mondo ha un gruppo di collaboratori storici, anche del proprio territorio. E se lei si riferisce a Boschi e Lotti le dico che sono due persone straordinarie, professionisti eccellenti».


E la Manzione, capo dei vigili urbani a Firenze che diventa responsabile del dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi?


«Talmente brava che è stata confermata anche da Gentiloni. Tutto qui questo mitico Giglio Magico?».

E il suo amico Carrai candidato per settimane a guidare la cyber security?

«E poi non lo abbiamo nominato. Forse avrebbe fatto comodo la sua competenza, sa? ».



Ma ci sarà pure un ufficiale dei carabinieri laureato all’Mit che è altrettanto competente e in più ha giurato fedeltà alla Repubblica e non a lei, no?

«Adesso ascolti me: all’Eni dopo un lungo colloquio ho nominato De Scalzi, che non conoscevo, all’Enel Starace che non avevo mai visto, alle Ferrovie Mazzoncini che non è certo fiorentino, a Finmeccanica Moretti, alla Cdp Costamagna. Vogliamo parlare delle nomine nelle forze dell’ordine o ai servizi? Vogliamo discutere di Guerra e Piacentini che hanno accettato di rinunciare a stipendi milionari per lavorare con me? Vogliamo dire che col mio governo Fabiola Gianotti è arrivata a dirigere il CERN e Filippo Grandi l’Alto Commissariato per i rifugiati? Sono orgoglioso di queste scelte, altro che gigli e magie».



E alla Rai?

«Alla Rai cosa? Ho scelto un capo azienda del mestiere e l’ho lasciato lavorare».

Ma quel capo azienda lo ha scelto nel bouquet della Leopolda o sbaglio? E due nomi per lei scomodi come Berlinguer e Giannini non sono stati sostituiti?

«Non mi pare che partecipare a un convegno alla Leopolda sia un reato. L’amministratore delegato l’ho scelto per il mestiere, gli ho dato i poteri con la legge e i soldi con il canone in bolletta. Per il resto sfido chiunque a dire che ho messo bocca in una sola nomina. L’unica cosa che è veramente figlia di una mia proposta è stata la cancellazione della pubblicità dalla tv dei bambini. Sul resto io devo solo cercare il meglio per il futuro delle aziende. E lo farò anche per il Pd».



Cioè?


«Il Pd deve riflettere: a cosa serve un partito oggi? Come può la sinistra rispondere alla crisi? Come dobbiamo cambiare? Si guardi in giro: in Francia i socialisti non stanno benissimo. In Spagna per il Psoe abbiamo visto com’è finita, in Inghilterra con Corbyn il Labour non vince, in Germania la Merkel va al 42,9 per cento, superata solo da Adenauer, negli Usa Obama raccoglie risultati positivi nell’occupazione per 75 mesi e il Paese vota Trump. Non le dice niente?».



Sta pensando che la famiglia socialista appartiene al passato?

«Niente affatto, si ricordi che ho portato io il Pd nei socialisti europei, cosa che quelli di prima non erano riusciti a fare. Anni fa, quando qualcuno mi consigliava di fare un partito nuovo, ho sempre risposto che se fosse capitato un giorno di andare a palazzo Chigi un conto sarebbe stato andarci come capo della sinistra italiana, e tutt’altro conto come un passante che ha vinto alla lotteria. Io credo che la sinistra possa vincere e convincere. Ma deve entrare nel nuovo secolo, tenere insieme le tradizioni e il futuro ».



Come?

«Le nuove polarità sono esclusi e inclusi, innovazione e identità, paura e speranza. Gli esclusi sono la vera nuova faccia delle disuguaglianze, dobbiamo farli sentire rappresentati. L’identità è ciò che noi siamo, senza muri e barriere, e non dobbiamo lasciarla alla destra. Quanto all’innovazione, è indispensabile per non finire ai margini, ma ne ho parlato in termini troppo entusiastici, bisogna pensare anche ai posti di lavoro che fa saltare. Insomma, c’è un gran da fare per la sinistra».



E come può farcela un Pd diviso, negletto, ridotto ai minimi termini?

«Non so di quale Pd parli lei. Quello che conosco io ha preso il 40,8 per cento alle Europee, miglior risultato di un partito politico in Italia dalla Dc del 1959. Sono convinto che se il 4 dicembre si fosse votato per i partiti, saremmo risultati nettamente primi. Certo, adesso c’è da fare. Lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e largo l’Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti. Ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno».



Per questo vuole andare a votare subito senza far finire la legislatura?


«Mi è assolutamente indifferente. Io non ho fretta, decidiamo quel che serve all’Italia, senza ansie ma anche senza replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità del Pd. Forse alcuni parlamentari - specie dei nuovi partiti - sono terrorizzati dalle elezioni perché sanno che non avrebbero i voti neanche per un’assemblea di condominio. Ma noi no. Noi faremo ciò che serve al Paese ».



Ma lei è sicuro che le piaccia il mestiere di segretario del Pd ed è sicuro di saperlo fare?

«Vedremo se sarò capace, le rispondo tra qualche mese. Perché me lo chiede? ».


Perché ha dato l’impressione spesso di usare il partito come un taxi per arrivare a palazzo Chigi.

«Io credo nel Pd, credo nell’intuizione veltroniana del partito maggioritario, credo possa essere la spina dorsale del sistema, soprattutto in un quadro bipolare come piace a me».

Quindi rimane favorevole al ballottaggio, anche con Grillo in campo?

«Sì, è il modo per evitare inciuci, governissimi, larghe intese tra noi e Forza Italia che non servono al Paese e aprono un’autostrada al grillini. Ballottaggio, o se no Mattarellum. Se poi dalla Corte verrà fuori un sistema diverso ci confronteremo con gli altri. Col maggioritario il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana.

DA ANTONELLO TROMADORI A MATTEO TROMBATUTTI(ndt)

Con il proporzionale torniamo a un sistema più simile alla democrazia cristiana. Ma il Pd sarà decisivo comunque. Il futuro dell’Italia passa da noi, dai nostri sindaci, dalla comunità di valori della nostra gente. Che non ne può più di chi tutti i giorni spara contro il quartier generale ».

Scusi, anche a me non piacciono gli inciuci e le large intese, ma si ricorda che lei ha scelto di governare con Verdini?

«Scelto? Sono io che ricordo a lei che alle ultime elezioni politiche il Pd – non guidato da me – aveva preso il 25 per cento, non il 40. Senza Verdini lei oggi non avrebbe le unioni civili».

E se nel Pd si preparasse una scissione a sinistra?

«Non mi sembra l’aria. Una parte del gruppo dirigente ha votato “no” con Lega, Grillo e Berlusconi, ma il 91 per cento degli elettori del Pd ha votato sì. La scissione la farebbero i parlamentari, non gli iscritti. Nonostante le leggende nere, abbiamo perso a destra, non tra i compagni».

Dica ai compagni che non lascerà morire l’Unità: può dirlo?

«Faremo di tutto. Vedrò Staino e gli editori la settimana prossima. Ma se il giornale vende poco davvero pensiamo che la colpa sia del segretario del partito? Lavoreremo a una soluzione con umiltà e buon senso».


Da segretario lei è sembrato credere nell’Anno Zero, nel renzismo, accontentandosi di rappresentare solo metà partito, non tutto. E’ così?

«Se ho dato questa impressione, ho sbagliato. Ma non c’è stato giorno senza che una parte della vecchia guardia mi abbia attaccato, anche in modo sgradevole a livello personale, quasi fosse stata lesa maestà sconfiggerli al congresso. Perché non dice che sono stato circondato nel Pd da un vero e proprio pregiudizio, secondo cui non ero degno di rappresentare la sinistra? ».

Lei sente di rappresentarla?

«Certo, secondo la sua storia e le mie convinzioni. Per me essere di sinistra è anche innovare: essere garantisti sulla giustizia, abbassare le tasse, non andare necessariamente a rimorchio del sindacato che contesta ideologicamente i voucher e poi li usa. Lo farò. L’ho fatto. La battaglia sull’accoglienza agli immigrati in Europa l’abbiamo fatta noi. E anche quella contro l’austerità come ideologia, non come necessità. Io ricordo benissimo il primo vertice europeo a Ypres nel giugno 2014, siamo finiti 2 contro 26 nel voto. Poi la nostra linea ha camminato. Troppo poco? Può darsi. Risultati parziali? Non c’è dubbio. Ma da dove eravamo partiti? »
Lo dica lei.

«Crede davvero che se non fossimo stati sul bordo della palude avrebbero dato la guida del governo a uno di 39 anni, senza quarti di nobiltà e senza padrini politici?».

Non avrà sangue blu, ma ha un’indubbia attrazione per il potere economico e imprenditoriale: non è eccessivo?

«Rivendico gli incontri con chi salva un pezzo di produzione industriale in questo Paese. Ma non è vero che cerco solo gli imprenditori. Vado a Torino vado alla Fiat, certo, dove riparte Mirafiori, ma vado anche al Cottolengo. Colpa mia se per voi Marchionne fa notizia e don Andrea no? Dove non mi troverà mai è nei salotti, soprattutto a Roma».



Nelle banche però vi hanno trovati, da Etruria a Mps: non crede che vi sia costato molto elettoralmente?

«Sì. Ma è una clamorosa menzogna. E non vedo l’ora che parta la commissione di inchiesta per fare chiarezza sulle vere responsabilità, dai politici ai manager ai controllori istituzionali».

Ma lei come ha fatto a dire che “Mps è un bell’affare, un brand su cui investire” mentre andava a rotoli?

«Ho detto in pubblico quel che ho ripetuto a tutti gli investitori stranieri. Avevamo creato le condizioni per un investimento estero importante - il fondo del Qatar - che ha detto no il giorno dopo il referendum per l’instabilità politica. Non ci sarebbe stata operazione pubblica da venti miliardi con la vittoria sulle riforme».



E perché ha voluto far fuori Viola per far posto a Morelli gradito a Jp Morgan?

«Sfido chiunque a dimostrare che ho preso posizione contro Viola o a favore di Morelli. Piuttosto, sulle banche abbiamo perso con Monti la vera occasione di fare la bad bank come la Merkel. Ci sono responsabilità politiche decennali. E sul Monte prima o poi qualcuno racconterà la vera storia, da Banca 121 a Antonveneta. A proposito, vediamo cosa dirà la commissione di inchiesta sulle popolari venete ».

maria elena boschi gentiloni renzi
maria elena boschi gentiloni renzi




E Etruria quanto vi è costata, col padre della Boschi in Consiglio?

«Molto. Ma abbiamo fatto tutto quello che andava fatto. Abbiamo commissariato la banca, mandato a casa gli amministratori compreso il padre della Boschi, Etruria è l’unica banca sanzionata due volte, ci sono indagini della magistratura e ci saranno processi: vedremo chi sarà condannato e chi no. Ma noi siamo stati di una trasparenza cristallina. In tempi di post verità è di bufale virali posso sperare che ci sia ancora qualcuno che legge le carte e non i tweet preparati in modo scientifico dalla Casaleggio e associati?

abbraccio tra maria elena boschi e matteo renzi
abbraccio tra maria elena boschi e matteo renzi


Mi colpisce molto che Arezzo e Siena siano tra le poche città in cui il Sì ha vinto: segno che chi sta sul territorio conosce la verità e non crede alle rappresentazioni di comodo ».



C’è ancora la Consip, i cui dirigenti sono stati avvertiti delle “cimici” disposte dalla Procura di Napoli e le hanno tolte prima che funzionassero. La soffiata, dice l’amministratore delegato, viene dal ministro Lotti, dal comandante dei Carabinieri Del Sette e dal comandante della Toscana Saltalamacchia. Non è grave? Non è giglio? Non è logico pensare che anche lei potesse sapere, visto che suo padre ha legami con l’imprenditore Romeo, indagato nell’inchiesta?

«La mia linea è sempre una sola: bene le indagini, si vada a sentenza. Noi chiediamo ai giudici di fare presto, sempre. Abbiamo visto polveroni su Tempa Rossa, Penati, Errani, Graziano e non c’è stata condanna. Notizie sparate in prima pagina per le richieste e nascoste per le assoluzioni. Aspetto di vedere la sentenza. Qualcuno ha violato la legge? Si dimostri con gli articoli del codice penale, non con gli articoli dei giornali. E chi ha sbagliato, se ha sbagliato, paghi ».



C’è un fatto già certo: quelli le cimici le hanno tolte perché qualcuno li ha avvertiti, e i suoi uomini sono sospettati della soffiata. Non è già questo gravissimo?

«Mi interessano le sentenze, non i sospetti. Ovviamente non ho alcun dubbio sulla totale correttezza dei carabinieri e dei membri del governo in questa vicenda. Ma del resto basta aspettare per averne certezza».



Nel frattempo, mi scusi, non sarebbe bene che i vostri familiari si astenessero da affari che riguardano il settore pubblico, per il periodo temporaneo in cui avete l’onore di guidare la sinistra o il Paese?

«Condivido il principio e non mi risultano affari di mio padre con il pubblico. Si è preso un avviso di garanzia appena io sono andato a Palazzo Chigi. Quando è accaduto io sono andato in tv, da premier, e ho dato solidarietà, ma ai magistrati, non a mio padre. Alla fine è stato archiviato. Male non fare, paura non avere».



Non crede che il Pd abbia bisogno di aria fresca, troppi indagati, troppi notabili, troppe compromissioni come denunciava Saviano?

«Il mancato rinnovo della classe dirigente è stato un mio limite. Saviano lo ha detto con un tono discutibile, ma nel merito aveva ragione. Non si cambia il Sud poggiando solo sul notabilato. Idee nuove e amministratori vecchi? Sbagliato, non funziona. Togliere le ecoballe è importante, ci mancherebbe. Ma più ancora aprire il Pd a facce nuove. Voglio farlo».



Rimpiange di essere salito a palazzo Chigi dall’ascensore di servizio e non dallo scalone d’onore, con il voto?


«No. Per la mia immagine è stato un errore, ma serviva al Paese e l’Italia vale di più della mia immagine. Ma lei ricorda quei momenti? Eravamo bloccati e impauriti, la disoccupazione cresceva, il Pil crollava. Ora l’Italia ha qualche diritto in più e qualche tassa in meno. Ancora non andiamo bene, ma andiamo meglio di prima. Dobbiamo stringere i denti e fare di più».



Non sente oggi come suona male quella continua polemica coi gufi e i rosiconi?


«Bisognava dar l’idea della svolta. Forse non dovevo usare quelle parole, va bene: ma l’ottimismo fa parte della politica. Detto questo adesso posso confessarlo: a me i gufi stanno simpatici. Gli animali, intendo».



Grillo punta invece sul catastrofismo: conviene?

«Sì. Lui vince se denuncia il male. Non se prova a cambiare. Quei ragazzi sono già divisi, si odiano tra gruppi dirigenti, fanno carte e firme false per farsi la guerra. Ma sono un algoritmo, non un partito. Lui è il Capo di un sistema che ripete ai seguaci solo quello che vogliono sentirsi dire, raccogliendo la schiuma dell’onda del web.



Dovremmo fare una colletta per liberare la Raggi e i parlamentari europei dalle orrende manette incostituzionali che multano l’infedeltà al partito, ogni ribellione o autonomia. Ma quelli che vedevano la deriva autoritaria nella riforma costituzionale, su questo tacciono. Se l’immagina una misura del genere nel Pd? Io non voglio una sinistra dell’algoritmo: la voglio libera, capace di pensare con la sua testa, coi suoi valori, la sua cultura, i suoi ideali».


Meglio tardi che mai, segretario, la strada è lunga. E se alla fine non dovesse portarla a palazzo Chigi, se non ci tornasse più?


«Chissà, vedremo. In ogni caso che male c’è? Ho lasciato il campanello a Paolo e ho visto i miei amici entrare in sala Consiglio mentre io me ne andavo. Penso che sia giusto così. Quando si perde deve pagare il capo, non un capro espiatorio a caso.



Mentre camminavo sulla guida rossa, col drappello militare che rendeva gli onori al Capo del governo uscente, inchinandomi alla bandiera, ho pensato che in questi tre anni ho cercato di fare il mio dovere con disciplina e onore come dice la Costituzione. Se torneremo a Chigi, faremo tesoro degli errori e proveremo a fare ancora meglio. Se non ci torneremo, abbiamo servito il Paese più bello del mondo per mille giorni. Dica lei: che posso volere di più?».
erding
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Re: Renzi

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Un requiem per Matteo Renzi politico
Corradino Mineo·Domenica 15 gennaio 2017
“Non si scappa nei momenti di difficoltà”. Matteo Renzi rassicura Ezio Mauro: “Ero stato tentato di lasciare la politica. Un p0’ per curiosità un po’ per arroganza”. La sconfitta “brucia”, perché “abbiamo ancora un occasione storica” ma “nessuno ci toglierà i mille giorni che abbiamo fatto, straordinari. E soprattutto nessuno potrà toglierci il futuro”. Un futuro fotocopia del passato. Perché il passato, secondo Renzi, è stato un grande successo, per l’Italia una vera rivoluzione: Anche se il Pd, partito di cui è segretario, non sembra averlo compreso: “Vede, il Pd potrebbe vantarsi di un Jobs act votato dalla sinistra, di unioni civili votate dai cattolici, della legge sul caporalato e del miliardo e otto stanziato per la povertà, degli oltre 17 miiliardi di recupero dalla lotta all’evasione, dell’abbassamento delle tasse. Invece i nostri votano in Parlamento, e tacciono nel Paese, anche sulle cose più positive”.
Ora il Pd dovrà cambiare. “Lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e largo l’Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti. Ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno”. Da divertirsi ai danni della minoranza interna: “Una parte del gruppo dirigente ha votato “no” con Lega, Grillo e Berlusconi, ma il 91 per cento degli elettori del Pd ha votato sì. La scissione la farebbero i parlamentari, non gli iscritti. Nonostante le leggende nere, abbiamo perso a destra, non tra i compagni”. Io sono la sinistra, sostiene il nostro, e ricorda: “ho portato io il Pd nei socialisti europei, cosa che quelli di prima non erano riusciti a fare. Io credo che la sinistra possa vincere e convincere. Ma deve entrare nel nuovo secolo, tenere insieme le tradizioni e il futuro”, rappresentare “gli esclusi, l’identita, l’innovazione e la speranza”. Per questo bisogna tornare alla “intuizione veltroniana del partito maggioritario. Credo possa essere la spina dorsale del sistema, soprattutto in un quadro bipolare come piace a me”.
Quindi rimane favorevole al ballottaggio, gli chiede Ezio Mauro, anche con Grillo in campo? “Sì, è il modo per evitare inciuci, governissimi, larghe intese tra noi e Forza Italia che non servono al Paese e aprono un’autostrada al grillini. Ballottaggio, o se no Mattarellum. Se poi dalla Corte verrà fuori un sistema diverso ci confronteremo con gli altri. Col maggioritario il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Con il proporzionale torniamo a un sistema più simile alla democrazia cristiana. Ma il Pd sarà decisivo comunque. Il futuro dell’Italia passa da noi, dai nostri sindaci, dalla comunità di valori della nostra gente. Che non ne può più di chi tutti i giorni spara contro il quartier generale”. Così Matteo Renzi su Repubblica. 2 pagine fitte e titolone un prima: “Io, i miei errori, così cambierò il partto”, Dimenticavo, gli errori! “Non essere riuscito a far capire quanto fosse importante per l’Italia questa riforma. Non aver colto il valore politico del referendum. Mi sono illuso che si votasse su province, Cnel, regioni. Errore clamoroso!”
Piuttosto, clamorosa bugia. Perché fin dall’inizio Matteo Renzi, il giglio magico e il Pd di complemento, hanno spiegato in mille modi, hanno detto ogni giorno e mille volte al giorno, su ogni canale televisivo e con milioni di twitter o di post Facebook, con interviste e interventi su giornali locali e nazionali che il 4 dicembre si sarebbe votato non tanto su un testo (perfettibile, sostenevano) di riforma costituzionale ma sul modello Renzi, sulle leggi imposte al parlamento e sul modo(decisionista) con cui erano state imposte, sulla idea (renziana) della democrazia in cui uno solo (“il sindaco d’Italia”) vince e piglia tutto, sulla rottamazione degli avversari, rappresentati come il vecchio che minaccia il futuro, come il lato oscuro della forza, Dark Vader e l’impero del male. Questo hanno detto agli italiani e hanno perso. Non perché non si fossero spiegati o perché quasi 20 milioni di italiani o si fossero distratti. Avevano inteso e hanno votato No. Sei settimane dopo, quel voto viene cancellato. Renzi ritorna e la sua autocritica somiglia a un atto d’accusa, la sua assenza da (temporanea) da Palazzo Chigi, a una minaccia. Che delusione! Quest’uomo mi sembra un violino a cui è resta una corda sola. Uno sconfitto che si agiterà come prima, farà la faccia feroce e chiederà obbedienza. Per conquistare presto la sua Waterloo, la sconfitta finale.
UncleTom
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Re: Renzi

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.......ma “nessuno ci toglierà i mille giorni che abbiamo fatto, straordinari.
Pinocchio Mussoloni



Ma di che tipo di allucinogeni abusa??????
erding
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Re: Renzi

Messaggio da erding »

UncleTom ha scritto:.......ma “nessuno ci toglierà i mille giorni che abbiamo fatto, straordinari.
Pinocchio Mussoloni



Ma di che tipo di allucinogeni abusa??????
È vero. PURTROPPO! Nessuno li toglierà!
Occorrerà una bonifica!
UncleTom
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Re: Renzi

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LA SFIGA. A RIECCOLO..........................





Renzi riparte dal nuovo blog «Il futuro prima o poi torna»

Corriere della Sera

Redazione Online

3 ore fa

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Matteo Renzi si rimette in cammino e lo fa, come primo passo, lanciando il suo nuovo blog. L'ex premier, a quasi due mesi dalla conclusione della sua esperienza a Palazzo Chigi, torna a farsi sentire in pubblico. Con il mezzo che più gli è congegnale: la Rete e il blog.

Il post: «Ci sono molti modi per ricominciare»

«Il futuro prima o poi torna» scrive Renzi sulla sua pagina Facebook. E il rimando è diretto a un nuovo blog, una pagina bianca su cui spiccano le parole del segretario del Pd. «Ci sono molti modi di cominciare. E di ricominciare» scrive Renzi parlando di un cammino fisico, fatto di vecchi amici, ma anche di un «cammino virtuale e condiviso di una comunità». Ed è proprio a questa comunità che si rivolge l'ex premier guardando al futuro: «Ci sono milioni di italiani che hanno un’idea chiara e bella del futuro dell’Italia. Con tutte le difficoltà che nessuno vuole negare. Questi milioni di italiani non si arrendono alla rassegnazione. Io voglio camminare con loro».

Il ritorno di Renzi alla vita pubblica

Frasi che annunciano un ritorno alla vita pubblica di Matteo Renzi. Nel post, l'ex premier ricorda i mille giorni di lavoro al Governo, i risultati raggiunti, gli errori fatti. E poi rilancia cercando un contatto diretto con il suo pubblico. «Questo Blog non è pensato per i reduci. É un luogo dove camminare verso il futuro. Insieme, in tanti» scrive il segretario Pd parlando del referendum Costituzionale («La sconfitta al referendum ci ha fatto male, vorrei vedere il contrario» confida) che - dice - «appartiene al passato». Quindi ecco il futuro e la proposta di rendere il nuovo spazio virtuale una piattaforma di dialogo per chi h votato sì, ma anche per chi ha sostenuto il no e vuole confrontarsi.


I punti per ripartire

Accantonato il vecchio blog con il «Ciao a tutti e grazie» di mercoledì 7 dicembre, Renzi riparte quindi dalla discussione sul ruolo dell'Europa e dell'idea nata a Ventotene dal documento originale del 1941 firmato da Altiero Spinelli per la promozione dell'unità europea e ribadita con Angela Merkel e Francois Hollande lo scorso agosto proprio sull'isola simbolo dell'europeismo. E, come secondo punto, dà spazio al centrosinistra per trovare una soluzione sul taglio delle tasse, combattere la povertà, usare l'innovazione per rendere competitiva l'Italia e tanti altri aspetti. «Vi aspetto in giro per l'Italia. Ma vi aspetto anche qui, con i vostri commenti, contributi, idee. Il futuro, prima o poi, torna. A noi il compito di costruirlo, non solo di aspettarlo».
UncleTom
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Re: Renzi

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BUNGA-BUNGA,…..ORA E SIEMPRE…..




Il ritorno al futuro di Renzi: gli stessi slogan di sempre

Dopo poche settimane dall'addio a Palazzo Chigi Renzi torna a occupare le scene della politica italiana lanciando un nuovo blog. E spiega la sua linea: "Nel tempo dell’insulto e dello scontro, è bello dialogare. Noi siamo quelli che fanno politica per qualcosa, non contro qualcuno"
Raffaello Binelli - Mer, 25/01/2017 - 12:45
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Se c'è una cosa cui Matteo Renzi ci ha abituato è che gli piace parlare (e apparire). Sempre e comunque. Con interviste sui giornali e in tv, tweet, newsletter e chi più ne ha più ne metta.

Da quando si è dimesso da Palazzo Chigi, però, è tornato (un po' in ombra), anche se non ha mai smesso di twittare. E ricordare, a tutti, che lui c'è sempre. Lo ha fatto, ad esempio, quando Gentiloni ha inaugurato la fine dei lavori della Salerno-Reggio Calabria. Lui, che a quell'opera teneva tanto (ne parlava da mesi), quando è arrivato il momento buono non poteva esserci. E così si è limitato a un tweet: "Felice per #SalernoReggioCalabria ringrazio i lavoratori che hanno fatto impresa. Un abbraccio affettuoso ai giornalisti della stampa estera".
Tornato a occuparsi a tempo pieno del suo partito, il Pd, oggi Renzi inizia una nuova avventura: apre un blog. E ovviamente twitta: "Ricominciamo. Anche con un blog". E aggiunge il titolo del primo post. "Il futuro prima o poi, torna".
A leggere il primo post Renzi la prende un po' alla larga: "Ci sono molti modi di cominciare. E di ricominciare. Chi è cresciuto con l’esperienza scout sa che il modo più bello è mettersi in cammino. Un cammino fisico, fatto di passi, incontri, sguardi. Con vecchi amici che non vedi da tempo, perché finalmente hai più tempo per te e per loro. Con nuovi luoghi da osservare, scrutare, toccare per la prima volta, come mi è accaduto a Scampia (anche questo lo aveva scritto su Twitter, ndr) qualche giorno fa. Ma è anche il cammino virtuale e condiviso di una comunità. Ci sono milioni di italiani che hanno un’idea chiara e bella del futuro dell’Italia. Con tutte le difficoltà che nessuno vuole negare. Ma sempre con un’idea chiara e bella del futuro dell’Italia. Perché questi milioni di italiani non si arrendono alla rassegnazione. Io voglio camminare con loro".
L'ex premier si toglie poi un sassolino dalle scarpe, lanciando una stoccata durissima contro l'Europa. "A cosa serve l'idea dell'Europa nata a Ventotene? A inviare letterine ridicole per chiedere assurde correzioni sul deficit, come quelle che ci hanno inviato senza risultati per tre anni? Davanti a 45mila scosse di terremoto e all'inadempienza dell'Unione Europea sugli immigrati, come rispondiamo non alle regole — che rispettiamo — ma alle miopi interpretazioni delle regole fatte da qualche euro burocrate?".
Ma Renzi può essere davvero Renzi se non ricorda quello che ha fatto? Ovviamente no. E snocciola, uno ad uno, tutto ciò che ha fatto: "Abbiamo fatto passi in avanti per noi e per il Paese. Oggi l’Italia ha qualche diritto in più e qualche tassa in meno: dal Cantiere sociale ai diritti civili fino agli 80 euro o all’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Ha attraversato, indenne dal terrorismo, eventi come Expo e Giubileo mentre in altre zone d’Europa le cose andavano diversamente. Ha recuperato in tre anni 600mila posti di lavoro, di cui tre quarti a tempo indeterminato ed è passata dal meno due per cento del PIL 2013 al più uno per cento di oggi. Ha sbloccato opere pubbliche ferme da decenni e ha iniziato l’operazione banda larga che cambierà il volto delle città. Ha investito nelle periferie, nello sport, nelle scuole, nelle imprese, nei musei e nei teatri perché con la cultura si definisce l’identità di un popolo".
Noi siamo fieri dei nostri mille giorni. Ma, ragazzi, anche basta. Quello è il passato, ormai. E annuncia cosa ha in mente: "Questo Blog non è pensato per i reduci. È un luogo dove camminare verso il futuro. Insieme, in tanti"... e lancia la sua nuova sfida: "Nel tempo dell’insulto e dello scontro, è bello dialogare. È bello essere civili, senza sciacallaggi, polemiche, odio ad personam. Noi siamo quelli che fanno politica per qualcosa, non contro qualcuno".
Intenzioni più che lodevoli quelle del segretario del Pd. Che ha il sacrosanto diritto di discutere, parlare e fare politica. Come meglio crede. Anche se forse un altro po' di silenzio (e di ascolto) non gli avrebbe fatto male. Un suo grande amico, Oscar Farinetti (Eataly), dalle colonne del Corriere gli aveva consigliato di andare (un po') all'estero, per togliersi dalla presenza continua sotto i riflettori. Renzi, però, ha deciso di fare l'esatto contrario. E contemporaneamente al lancio del suo nuovo blog saluta la vecchia squadra al Nazareno e annuncia la nuova segreteria del Pd: "Riorganizzeremo il partito, continueremo a combattere insieme". Altro che sparire...
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Re: Renzi

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Italicum azzoppato, Renzi soddisfatto. Ma non era la legge che ci invidiavano tutti?


di Daniela Gaudenzi | 26 gennaio 2017

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La Corte costituzionale ha deciso sull’Italicum secondo quanto era stato in buona parte previsto e anticipato: ha detto no al ballottaggio, in mancanza di una soglia per accedervi, e ha operato “una riduzione del danno” riguardo le candidature multiple impedendo con il sorteggio al pluricandidato di scegliere il collegio con l’effetto di attutire lo strapotere delle segreterie partitiche. Segreterie, che secondo l’impianto originale, potevano garantirsi dappertutto anche i primi dei non eletti.

Non è intervenuta in modo stringente, come invece sarebbe stato auspicabile, sui capilista bloccati e non ha toccato il premio di maggioranza previsto dall’Italicum per chi raggiunge il fatidico 40%: quello che Renzi si era ritagliato sulla vittoria delle Europee, ora tanto remota da suggerirgli la riesumazione del Mattarellum.

Naturalmente nei commenti politici a caldo si dichiarano tutti contenti della “parziale” incostituzionalità sancita dalla Consulta, quasi che l’Italicum fosse piovuto dal cielo.
Ed in casa Pd, come se l’Italicum non venisse archiviato in modo simile al Porcellum, come se non fosse stato imposto dal governo a colpi di fiducia, come se non fosse stato blindato quando faceva comodo in quanto “legge meravigliosa invidiata da tutti”, prevale incredibilmente un sentimento di “orgogliosa soddisfazione”.

Matteo Renzi, appena raggiunto dalle notizie di agenzia si è dichiarato “molto soddisfatto” perché la sentenza “ha confermato” l’impianto della legge, travolgendo “solo” il ballottaggio che, magnificato nel 2015 come la super-garanzia di sapere chi avrebbe governato la stessa notte dello spoglio, è diventato un incubo dopo le vittorie schiaccianti del Movimento cinque stelle al secondo turno delle amministrative.

Pur se con i capilista bloccati e con un premio di maggioranza confermato, benché oggi appaia quasi irraggiungibile tanto più per quelli che lo avevano confezionato sull’onda di un consenso effimero, la legge per cui si era speso in prima persona Giorgio Napolitano esce sostanzialmente azzoppata e trasformata da un meccanismo che doveva produrre un forte effetto maggioritario in un sistema proporzionale.

E questo nuovo Italicum “emendato” o Legalicum, come lo definisce il M5S che paradossalmente viene additato come il più strenuo difensore del pasticcio targato Renzi-Napolitano, oltre ad avere mutato sostanzialmente natura ha la “dirompente” anche se prevedibile caratteristica di poter essere “utilizzabile” subito.

Infatti la Corte Costituzionale attenta a non creare vuoti normativi ha ritenuto di precisare che “all’esito della sentenza la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione“. Ed immediate sono scattate le dichiarazioni per battere i concorrenti sulla gara, a parole, per andare al voto subito: naturalmente Renzi non ha voluto lasciare il primato a Grillo, Salvini e la Meloni. Sia Lorenzo Guerini che il capogruppo alla Camera Ettore Rosato hanno ribadito che “Il Pd non ha paura del voto” e che l’alternativa è solo tra la riesumazione del Mattarellum, da definire entro un ventina di giorni, oppure il ritorno al voto, quanto prima, con l’ex Italicum alla Camera ed il Consultellum al Senato, in quanto considerate leggi “omogenee” e “armonizzate” dal comune denominatore proporzionale.

Al di là delle valutazioni sulla sentenza della Corte che secondo Alessandro Di Battista “ha seppellito” l’Italicum mentre per Renzi ed i suoi ha apportato solo correzioni marginali al loro capolavoro, sembrerebbe meno remota la possibilità di poter esercitare il diritto di votare.

Ma il prossimo “ritorno al futuro” annunciato dall’ex presidente del Consiglio potrebbe prendere delle strade molto più tortuose: senza contare il dettaglio non irrilevante che in Parlamento gli unici “peones” disposti a lasciare lo scranno prima del fatidico 16 settembre, data in cui maturano i contributi pensionistici, sono quelli del M5S e forse della Lega.
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