La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
FARE IL PAPA DI QUESTI TEMPI, TEMPI DI GUERRA, NON E' CERTAMENTE COSA FACILE PER NESSUNO.
IL MONDO CHE STA ANDANDO A RAMENGO, E A QUANTO SEMBRA, DA QUESTO SERVIZIO DELL'ESPRESSO, ANCHE LA CHIESA CATTOLICA NON STA MOLTO BENE, SE I VESCOVI LA PENSANO IN QUESTO MODO.
AVERE NEMICI ESTERNI PER QUELLO CHE DICI, MA ANCHE E SOPRATTUTTO NEMICI INTERNI CHE NON CONDIVIDONO IL TUO MODO DI OPERARE.
TRA I LAICI ABBIAMO VISTO I CATTOLICI DI DESTRA, CHE CON SALLUSTI NON ESITANO AD ATTACCARGLI L'ETICHETTA DI PENSATORE MARXISTA.
E I VESCOVI CHE FANNO LA LORO PARTE.
Settimo Cielo
di Sandro Magister
27 lug
Cosa dicono i vescovi italiani del papa. Anche i più ben disposti lo bocciano
Mercoledì 27 luglio, nella sua prima giornata in Polonia, papa Francesco ha incontrato a porte chiuse, nella cattedrale di Cracovia, i 130 vescovi di quel paese (vedi foto), scambiando con loro domande e risposte.
I vescovi polacchi, si sa, non sono in buona sintonia con l'attuale papa. Lo si è visto al sinodo sulla famiglia, dove erano compattamente schierati contro le innovazioni poi entrate in circolo con la "Amoris laetitia".
E in questo assomigliano un po' agli italiani. Anche questi in gran parte a disagio col papa, che non ha esitato a commissariare la conferenza episcopale imponendole come segretario un vescovo che ha ulteriormente aggravato il disagio, Nunzio Galantino.
È un disagio, quello di tanti vescovi italiani nei confronti di Francesco, che cova sotto la cenere, raramente espresso "apertis verbis".
Ma ecco che in questi giorni un osservatore al di sopra di ogni sospetto ha sollevato il velo. È Luigi Accattoli, vaticanista "senior" del "Corriere della Sera", che ha pubblicato su "Il Regno" un'antologia di giudizi sul papa personalmente raccolti dalla viva voce di un buon numero di vescovi da lui incontrati durante il suo peregrinare per l'Italia di conferenza in conferenza.
Dei vescovi Accattoli non dà i nomi. Ma garantisce che le citazioni sono testuali.
Eccole riportate qui di seguito. Con l'avvertenza – fornita dallo stesso Accattoli – che si tratta di vescovi "tra i più disponibili nell'ammirare l'audacia apostolica bergogliana" e nel "simpatizzare per il papa argentino".
Se questi sono i giudizi e i timori dei favorevoli, immaginiamo quelli dei contrari.
*
«Ammiro la sua generosità. C’era in giro tanta demotivazione, il suo arrivo è stato un riscatto psicologico. Ma perché tanta inquietudine, qual è il suo disegno?».
«Rimprovera, spinge a muoversi: ma dove ci vuole portare?».
«Ho l’impressione che abbia un giudizio negativo su noi vescovi e non capisco da dove gli venga. L’Italia è pur sempre lo zoccolo duro della Chiesa cattolica. Perché ci bastona?».
«Ammiro la capacità del papa di porre gesti di misericordia "in uscita", poniamo verso i diseredati, verso i non credenti; ma mi chiedo che ne sia di tutto il resto: del catechismo, del Codice, dei seminari, delle parrocchie, delle leggi sempre più lontane dal sentimento cristiano. Che dire, che fare?».
«Ma che vuol dire "uscita"? È facile dirlo, ma farlo? In una situazione data, nella mia diocesi, che cosa comporta?».
«Ha bloccato il tormentone dei valori non negoziabili ma con che cosa l’ha sostituito? Con una mezza parola. Perché è una mezza parola, o no?».
«Accenna ai padrini di battesimo e cresima, dice che non è giusto escludere chi è in situazione matrimoniale irregolare, ma poi non modifica le regole esistenti e così ci mette in difficoltà di fronte al popolo».
«I fedeli continuamente ci obiettano che “il papa ha detto”. Per lo più hanno capito male ma vai a convincerli. Lui fa presto a parlare e purtroppo non tiene conto di noi che siamo in trincea. Sembra che non sia stato vescovo».
«Nella "Amoris laetitia", al paragrafo 300, ha scritto che il discernimento delle situazioni personali va condotto nel dialogo con il confessore “secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del vescovo”: li devo dare io – vescovo – questi orientamenti? Non li ha dati il papa, immagino perché non li aveva; e come posso darli io?».
«L’ultimo sinodo gli aveva posto la domanda su quali servizi ecclesiali potessero essere affidati a chi è in situazione matrimoniale irregolare e lui al paragrafo 299, invece di onorare quella richiesta, riaffida la questione a noi, che siamo incalzati dall’attesa della gente».
«Al paragrafo 122 della "Amoris laetitia" afferma che “non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa”: la considero un’affermazione imprudente. Facciamo un paragone con il clero: diremo che non si deve gettare sul prete il peso di doversi porre come figura del buon pastore?».
«Nella riforma del processo per le nullità ha posto il vescovo come giudice unico e ora vengono da me – povero – come se io potessi affrontare ogni caso: è lei il giudice, l’ha detto il papa. E tutti vogliono il processo breve».
«Quello che interessa ai fedeli è la comunione. Se il discernimento arriva ad autorizzare l’accesso ai sacramenti, del riconoscimento della nullità non importa più».
«Sulle nomine non segue la prassi, fa di testa sua. Si capisce che vuole contraddire il carrierismo e le filiere, ma la prassi era un salvagente per evitare errori. Procedendo senza rete che garanzia ha di non sbagliare?».
«Si prende una libertà che mette in imbarazzo i collaboratori di curia e i responsabili della CEI. Per tanti è come se fosse venuto meno il rapporto di fiducia».
«Non solo bastona preti e vescovi ma ora è arrivato a minacciare la rimozione dei vescovi che non s’adoperano per contrastare la pedofilia del clero. Quest’uscita proprio non l’ho capita: è un terreno delicato, il vescovo è un padre e deve anche trovare il modo d’essere un padre misericordioso, o no?».
«Capisco che voglia apparire povero ma portare una veste trasparente che mostra il nero dei pantaloni non è trascuratezza? Quando noi vescovi veniamo nominati ci danno istruzioni severe sull’abbigliamento, di presentarci sempre in ordine, guai! Per il papa non vale?».
«Parla tanto della sinodalità ma poi decide da solo. Dice che bisogna decentrare ma un accentramento personale del governo così forte non si era mai visto».
<<< >>>
NOTA BENE !
Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.
Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":
26.7.2016
> Un "pontificato d’eccezione". Il mistero di papa Benedetto
Contro gli Anticristi che insidiano la Chiesa. Le teorie del filosofo della politica Carl Schmitt applicate al pontificato di Joseph Ratzinger e alla sua rinuncia
22.7.2016
> Un papa che non s'era mai visto. Un po' protestante
L'idillio tra Francesco e i seguaci di Lutero. L'allarme di cardinali e vescovi contro la "protestantizzazione" della Chiesa cattolica. Ma anche la diffidenza di autorevoli teologi luterani
18.7.2016
> Brandmüller: "La rinuncia del papa è possibile, ma è da sperare che non succeda mai più"
Il cardinale tedesco, autorevole storico del cristianesimo, interviene sulla questione sempre più incandescente delle dimissioni di Benedetto XVI. Che a suo giudizio non hanno fatto bene alla Chiesa
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
FARE IL PAPA DI QUESTI TEMPI, TEMPI DI GUERRA, NON E' CERTAMENTE COSA FACILE PER NESSUNO.
IL MONDO CHE STA ANDANDO A RAMENGO, E A QUANTO SEMBRA, DA QUESTO SERVIZIO DELL'ESPRESSO, ANCHE LA CHIESA CATTOLICA NON STA MOLTO BENE, SE I VESCOVI LA PENSANO IN QUESTO MODO.
AVERE NEMICI ESTERNI PER QUELLO CHE DICI, MA ANCHE E SOPRATTUTTO NEMICI INTERNI CHE NON CONDIVIDONO IL TUO MODO DI OPERARE.
TRA I LAICI ABBIAMO VISTO I CATTOLICI DI DESTRA, CHE CON SALLUSTI NON ESITANO AD ATTACCARGLI L'ETICHETTA DI PENSATORE MARXISTA.
E I VESCOVI CHE FANNO LA LORO PARTE.
Settimo Cielo
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27 lug
Cosa dicono i vescovi italiani del papa. Anche i più ben disposti lo bocciano
Mercoledì 27 luglio, nella sua prima giornata in Polonia, papa Francesco ha incontrato a porte chiuse, nella cattedrale di Cracovia, i 130 vescovi di quel paese (vedi foto), scambiando con loro domande e risposte.
I vescovi polacchi, si sa, non sono in buona sintonia con l'attuale papa. Lo si è visto al sinodo sulla famiglia, dove erano compattamente schierati contro le innovazioni poi entrate in circolo con la "Amoris laetitia".
E in questo assomigliano un po' agli italiani. Anche questi in gran parte a disagio col papa, che non ha esitato a commissariare la conferenza episcopale imponendole come segretario un vescovo che ha ulteriormente aggravato il disagio, Nunzio Galantino.
È un disagio, quello di tanti vescovi italiani nei confronti di Francesco, che cova sotto la cenere, raramente espresso "apertis verbis".
Ma ecco che in questi giorni un osservatore al di sopra di ogni sospetto ha sollevato il velo. È Luigi Accattoli, vaticanista "senior" del "Corriere della Sera", che ha pubblicato su "Il Regno" un'antologia di giudizi sul papa personalmente raccolti dalla viva voce di un buon numero di vescovi da lui incontrati durante il suo peregrinare per l'Italia di conferenza in conferenza.
Dei vescovi Accattoli non dà i nomi. Ma garantisce che le citazioni sono testuali.
Eccole riportate qui di seguito. Con l'avvertenza – fornita dallo stesso Accattoli – che si tratta di vescovi "tra i più disponibili nell'ammirare l'audacia apostolica bergogliana" e nel "simpatizzare per il papa argentino".
Se questi sono i giudizi e i timori dei favorevoli, immaginiamo quelli dei contrari.
*
«Ammiro la sua generosità. C’era in giro tanta demotivazione, il suo arrivo è stato un riscatto psicologico. Ma perché tanta inquietudine, qual è il suo disegno?».
«Rimprovera, spinge a muoversi: ma dove ci vuole portare?».
«Ho l’impressione che abbia un giudizio negativo su noi vescovi e non capisco da dove gli venga. L’Italia è pur sempre lo zoccolo duro della Chiesa cattolica. Perché ci bastona?».
«Ammiro la capacità del papa di porre gesti di misericordia "in uscita", poniamo verso i diseredati, verso i non credenti; ma mi chiedo che ne sia di tutto il resto: del catechismo, del Codice, dei seminari, delle parrocchie, delle leggi sempre più lontane dal sentimento cristiano. Che dire, che fare?».
«Ma che vuol dire "uscita"? È facile dirlo, ma farlo? In una situazione data, nella mia diocesi, che cosa comporta?».
«Ha bloccato il tormentone dei valori non negoziabili ma con che cosa l’ha sostituito? Con una mezza parola. Perché è una mezza parola, o no?».
«Accenna ai padrini di battesimo e cresima, dice che non è giusto escludere chi è in situazione matrimoniale irregolare, ma poi non modifica le regole esistenti e così ci mette in difficoltà di fronte al popolo».
«I fedeli continuamente ci obiettano che “il papa ha detto”. Per lo più hanno capito male ma vai a convincerli. Lui fa presto a parlare e purtroppo non tiene conto di noi che siamo in trincea. Sembra che non sia stato vescovo».
«Nella "Amoris laetitia", al paragrafo 300, ha scritto che il discernimento delle situazioni personali va condotto nel dialogo con il confessore “secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del vescovo”: li devo dare io – vescovo – questi orientamenti? Non li ha dati il papa, immagino perché non li aveva; e come posso darli io?».
«L’ultimo sinodo gli aveva posto la domanda su quali servizi ecclesiali potessero essere affidati a chi è in situazione matrimoniale irregolare e lui al paragrafo 299, invece di onorare quella richiesta, riaffida la questione a noi, che siamo incalzati dall’attesa della gente».
«Al paragrafo 122 della "Amoris laetitia" afferma che “non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa”: la considero un’affermazione imprudente. Facciamo un paragone con il clero: diremo che non si deve gettare sul prete il peso di doversi porre come figura del buon pastore?».
«Nella riforma del processo per le nullità ha posto il vescovo come giudice unico e ora vengono da me – povero – come se io potessi affrontare ogni caso: è lei il giudice, l’ha detto il papa. E tutti vogliono il processo breve».
«Quello che interessa ai fedeli è la comunione. Se il discernimento arriva ad autorizzare l’accesso ai sacramenti, del riconoscimento della nullità non importa più».
«Sulle nomine non segue la prassi, fa di testa sua. Si capisce che vuole contraddire il carrierismo e le filiere, ma la prassi era un salvagente per evitare errori. Procedendo senza rete che garanzia ha di non sbagliare?».
«Si prende una libertà che mette in imbarazzo i collaboratori di curia e i responsabili della CEI. Per tanti è come se fosse venuto meno il rapporto di fiducia».
«Non solo bastona preti e vescovi ma ora è arrivato a minacciare la rimozione dei vescovi che non s’adoperano per contrastare la pedofilia del clero. Quest’uscita proprio non l’ho capita: è un terreno delicato, il vescovo è un padre e deve anche trovare il modo d’essere un padre misericordioso, o no?».
«Capisco che voglia apparire povero ma portare una veste trasparente che mostra il nero dei pantaloni non è trascuratezza? Quando noi vescovi veniamo nominati ci danno istruzioni severe sull’abbigliamento, di presentarci sempre in ordine, guai! Per il papa non vale?».
«Parla tanto della sinodalità ma poi decide da solo. Dice che bisogna decentrare ma un accentramento personale del governo così forte non si era mai visto».
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26.7.2016
> Un "pontificato d’eccezione". Il mistero di papa Benedetto
Contro gli Anticristi che insidiano la Chiesa. Le teorie del filosofo della politica Carl Schmitt applicate al pontificato di Joseph Ratzinger e alla sua rinuncia
22.7.2016
> Un papa che non s'era mai visto. Un po' protestante
L'idillio tra Francesco e i seguaci di Lutero. L'allarme di cardinali e vescovi contro la "protestantizzazione" della Chiesa cattolica. Ma anche la diffidenza di autorevoli teologi luterani
18.7.2016
> Brandmüller: "La rinuncia del papa è possibile, ma è da sperare che non succeda mai più"
Il cardinale tedesco, autorevole storico del cristianesimo, interviene sulla questione sempre più incandescente delle dimissioni di Benedetto XVI. Che a suo giudizio non hanno fatto bene alla Chiesa
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
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FARE IL PAPA DI QUESTI TEMPI, TEMPI DI GUERRA, NON E' CERTAMENTE COSA FACILE PER NESSUNO.
IL MONDO CHE STA ANDANDO A RAMENGO, E A QUANTO SEMBRA, DA QUESTO SERVIZIO DELL'ESPRESSO, ANCHE LA CHIESA CATTOLICA NON STA MOLTO BENE, SE I VESCOVI LA PENSANO IN QUESTO MODO.
AVERE NEMICI ESTERNI PER QUELLO CHE DICI, MA ANCHE E SOPRATTUTTO NEMICI INTERNI CHE NON CONDIVIDONO IL TUO MODO DI OPERARE.
TRA I LAICI ABBIAMO VISTO I CATTOLICI DI DESTRA, CHE CON SALLUSTI NON ESITANO AD ATTACCARGLI L'ETICHETTA DI PENSATORE MARXISTA.
E I VESCOVI CHE FANNO LA LORO PARTE.
Settimo Cielo
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27 lug
Cosa dicono i vescovi italiani del papa. Anche i più ben disposti lo bocciano
Mercoledì 27 luglio, nella sua prima giornata in Polonia, papa Francesco ha incontrato a porte chiuse, nella cattedrale di Cracovia, i 130 vescovi di quel paese (vedi foto), scambiando con loro domande e risposte.
I vescovi polacchi, si sa, non sono in buona sintonia con l'attuale papa. Lo si è visto al sinodo sulla famiglia, dove erano compattamente schierati contro le innovazioni poi entrate in circolo con la "Amoris laetitia".
E in questo assomigliano un po' agli italiani. Anche questi in gran parte a disagio col papa, che non ha esitato a commissariare la conferenza episcopale imponendole come segretario un vescovo che ha ulteriormente aggravato il disagio, Nunzio Galantino.
È un disagio, quello di tanti vescovi italiani nei confronti di Francesco, che cova sotto la cenere, raramente espresso "apertis verbis".
Ma ecco che in questi giorni un osservatore al di sopra di ogni sospetto ha sollevato il velo. È Luigi Accattoli, vaticanista "senior" del "Corriere della Sera", che ha pubblicato su "Il Regno" un'antologia di giudizi sul papa personalmente raccolti dalla viva voce di un buon numero di vescovi da lui incontrati durante il suo peregrinare per l'Italia di conferenza in conferenza.
Dei vescovi Accattoli non dà i nomi. Ma garantisce che le citazioni sono testuali.
Eccole riportate qui di seguito. Con l'avvertenza – fornita dallo stesso Accattoli – che si tratta di vescovi "tra i più disponibili nell'ammirare l'audacia apostolica bergogliana" e nel "simpatizzare per il papa argentino".
Se questi sono i giudizi e i timori dei favorevoli, immaginiamo quelli dei contrari.
*
«Ammiro la sua generosità. C’era in giro tanta demotivazione, il suo arrivo è stato un riscatto psicologico. Ma perché tanta inquietudine, qual è il suo disegno?».
«Rimprovera, spinge a muoversi: ma dove ci vuole portare?».
«Ho l’impressione che abbia un giudizio negativo su noi vescovi e non capisco da dove gli venga. L’Italia è pur sempre lo zoccolo duro della Chiesa cattolica. Perché ci bastona?».
«Ammiro la capacità del papa di porre gesti di misericordia "in uscita", poniamo verso i diseredati, verso i non credenti; ma mi chiedo che ne sia di tutto il resto: del catechismo, del Codice, dei seminari, delle parrocchie, delle leggi sempre più lontane dal sentimento cristiano. Che dire, che fare?».
«Ma che vuol dire "uscita"? È facile dirlo, ma farlo? In una situazione data, nella mia diocesi, che cosa comporta?».
«Ha bloccato il tormentone dei valori non negoziabili ma con che cosa l’ha sostituito? Con una mezza parola. Perché è una mezza parola, o no?».
«Accenna ai padrini di battesimo e cresima, dice che non è giusto escludere chi è in situazione matrimoniale irregolare, ma poi non modifica le regole esistenti e così ci mette in difficoltà di fronte al popolo».
«I fedeli continuamente ci obiettano che “il papa ha detto”. Per lo più hanno capito male ma vai a convincerli. Lui fa presto a parlare e purtroppo non tiene conto di noi che siamo in trincea. Sembra che non sia stato vescovo».
«Nella "Amoris laetitia", al paragrafo 300, ha scritto che il discernimento delle situazioni personali va condotto nel dialogo con il confessore “secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del vescovo”: li devo dare io – vescovo – questi orientamenti? Non li ha dati il papa, immagino perché non li aveva; e come posso darli io?».
«L’ultimo sinodo gli aveva posto la domanda su quali servizi ecclesiali potessero essere affidati a chi è in situazione matrimoniale irregolare e lui al paragrafo 299, invece di onorare quella richiesta, riaffida la questione a noi, che siamo incalzati dall’attesa della gente».
«Al paragrafo 122 della "Amoris laetitia" afferma che “non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa”: la considero un’affermazione imprudente. Facciamo un paragone con il clero: diremo che non si deve gettare sul prete il peso di doversi porre come figura del buon pastore?».
«Nella riforma del processo per le nullità ha posto il vescovo come giudice unico e ora vengono da me – povero – come se io potessi affrontare ogni caso: è lei il giudice, l’ha detto il papa. E tutti vogliono il processo breve».
«Quello che interessa ai fedeli è la comunione. Se il discernimento arriva ad autorizzare l’accesso ai sacramenti, del riconoscimento della nullità non importa più».
«Sulle nomine non segue la prassi, fa di testa sua. Si capisce che vuole contraddire il carrierismo e le filiere, ma la prassi era un salvagente per evitare errori. Procedendo senza rete che garanzia ha di non sbagliare?».
«Si prende una libertà che mette in imbarazzo i collaboratori di curia e i responsabili della CEI. Per tanti è come se fosse venuto meno il rapporto di fiducia».
«Non solo bastona preti e vescovi ma ora è arrivato a minacciare la rimozione dei vescovi che non s’adoperano per contrastare la pedofilia del clero. Quest’uscita proprio non l’ho capita: è un terreno delicato, il vescovo è un padre e deve anche trovare il modo d’essere un padre misericordioso, o no?».
«Capisco che voglia apparire povero ma portare una veste trasparente che mostra il nero dei pantaloni non è trascuratezza? Quando noi vescovi veniamo nominati ci danno istruzioni severe sull’abbigliamento, di presentarci sempre in ordine, guai! Per il papa non vale?».
«Parla tanto della sinodalità ma poi decide da solo. Dice che bisogna decentrare ma un accentramento personale del governo così forte non si era mai visto».
<<< >>>
NOTA BENE !
Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.
Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":
26.7.2016
> Un "pontificato d’eccezione". Il mistero di papa Benedetto
Contro gli Anticristi che insidiano la Chiesa. Le teorie del filosofo della politica Carl Schmitt applicate al pontificato di Joseph Ratzinger e alla sua rinuncia
22.7.2016
> Un papa che non s'era mai visto. Un po' protestante
L'idillio tra Francesco e i seguaci di Lutero. L'allarme di cardinali e vescovi contro la "protestantizzazione" della Chiesa cattolica. Ma anche la diffidenza di autorevoli teologi luterani
18.7.2016
> Brandmüller: "La rinuncia del papa è possibile, ma è da sperare che non succeda mai più"
Il cardinale tedesco, autorevole storico del cristianesimo, interviene sulla questione sempre più incandescente delle dimissioni di Benedetto XVI. Che a suo giudizio non hanno fatto bene alla Chiesa
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
FARE IL PAPA DI QUESTI TEMPI, TEMPI DI GUERRA, NON E' CERTAMENTE COSA FACILE PER NESSUNO.
IL MONDO CHE STA ANDANDO A RAMENGO, E A QUANTO SEMBRA, DA QUESTO SERVIZIO DELL'ESPRESSO, ANCHE LA CHIESA CATTOLICA NON STA MOLTO BENE, SE I VESCOVI LA PENSANO IN QUESTO MODO.
AVERE NEMICI ESTERNI PER QUELLO CHE DICI, MA ANCHE E SOPRATTUTTO NEMICI INTERNI CHE NON CONDIVIDONO IL TUO MODO DI OPERARE.
TRA I LAICI ABBIAMO VISTO I CATTOLICI DI DESTRA, CHE CON SALLUSTI NON ESITANO AD ATTACCARGLI L'ETICHETTA DI PENSATORE MARXISTA.
E I VESCOVI CHE FANNO LA LORO PARTE.
Settimo Cielo
di Sandro Magister
27 lug
Cosa dicono i vescovi italiani del papa. Anche i più ben disposti lo bocciano
Mercoledì 27 luglio, nella sua prima giornata in Polonia, papa Francesco ha incontrato a porte chiuse, nella cattedrale di Cracovia, i 130 vescovi di quel paese (vedi foto), scambiando con loro domande e risposte.
I vescovi polacchi, si sa, non sono in buona sintonia con l'attuale papa. Lo si è visto al sinodo sulla famiglia, dove erano compattamente schierati contro le innovazioni poi entrate in circolo con la "Amoris laetitia".
E in questo assomigliano un po' agli italiani. Anche questi in gran parte a disagio col papa, che non ha esitato a commissariare la conferenza episcopale imponendole come segretario un vescovo che ha ulteriormente aggravato il disagio, Nunzio Galantino.
È un disagio, quello di tanti vescovi italiani nei confronti di Francesco, che cova sotto la cenere, raramente espresso "apertis verbis".
Ma ecco che in questi giorni un osservatore al di sopra di ogni sospetto ha sollevato il velo. È Luigi Accattoli, vaticanista "senior" del "Corriere della Sera", che ha pubblicato su "Il Regno" un'antologia di giudizi sul papa personalmente raccolti dalla viva voce di un buon numero di vescovi da lui incontrati durante il suo peregrinare per l'Italia di conferenza in conferenza.
Dei vescovi Accattoli non dà i nomi. Ma garantisce che le citazioni sono testuali.
Eccole riportate qui di seguito. Con l'avvertenza – fornita dallo stesso Accattoli – che si tratta di vescovi "tra i più disponibili nell'ammirare l'audacia apostolica bergogliana" e nel "simpatizzare per il papa argentino".
Se questi sono i giudizi e i timori dei favorevoli, immaginiamo quelli dei contrari.
*
«Ammiro la sua generosità. C’era in giro tanta demotivazione, il suo arrivo è stato un riscatto psicologico. Ma perché tanta inquietudine, qual è il suo disegno?».
«Rimprovera, spinge a muoversi: ma dove ci vuole portare?».
«Ho l’impressione che abbia un giudizio negativo su noi vescovi e non capisco da dove gli venga. L’Italia è pur sempre lo zoccolo duro della Chiesa cattolica. Perché ci bastona?».
«Ammiro la capacità del papa di porre gesti di misericordia "in uscita", poniamo verso i diseredati, verso i non credenti; ma mi chiedo che ne sia di tutto il resto: del catechismo, del Codice, dei seminari, delle parrocchie, delle leggi sempre più lontane dal sentimento cristiano. Che dire, che fare?».
«Ma che vuol dire "uscita"? È facile dirlo, ma farlo? In una situazione data, nella mia diocesi, che cosa comporta?».
«Ha bloccato il tormentone dei valori non negoziabili ma con che cosa l’ha sostituito? Con una mezza parola. Perché è una mezza parola, o no?».
«Accenna ai padrini di battesimo e cresima, dice che non è giusto escludere chi è in situazione matrimoniale irregolare, ma poi non modifica le regole esistenti e così ci mette in difficoltà di fronte al popolo».
«I fedeli continuamente ci obiettano che “il papa ha detto”. Per lo più hanno capito male ma vai a convincerli. Lui fa presto a parlare e purtroppo non tiene conto di noi che siamo in trincea. Sembra che non sia stato vescovo».
«Nella "Amoris laetitia", al paragrafo 300, ha scritto che il discernimento delle situazioni personali va condotto nel dialogo con il confessore “secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del vescovo”: li devo dare io – vescovo – questi orientamenti? Non li ha dati il papa, immagino perché non li aveva; e come posso darli io?».
«L’ultimo sinodo gli aveva posto la domanda su quali servizi ecclesiali potessero essere affidati a chi è in situazione matrimoniale irregolare e lui al paragrafo 299, invece di onorare quella richiesta, riaffida la questione a noi, che siamo incalzati dall’attesa della gente».
«Al paragrafo 122 della "Amoris laetitia" afferma che “non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa”: la considero un’affermazione imprudente. Facciamo un paragone con il clero: diremo che non si deve gettare sul prete il peso di doversi porre come figura del buon pastore?».
«Nella riforma del processo per le nullità ha posto il vescovo come giudice unico e ora vengono da me – povero – come se io potessi affrontare ogni caso: è lei il giudice, l’ha detto il papa. E tutti vogliono il processo breve».
«Quello che interessa ai fedeli è la comunione. Se il discernimento arriva ad autorizzare l’accesso ai sacramenti, del riconoscimento della nullità non importa più».
«Sulle nomine non segue la prassi, fa di testa sua. Si capisce che vuole contraddire il carrierismo e le filiere, ma la prassi era un salvagente per evitare errori. Procedendo senza rete che garanzia ha di non sbagliare?».
«Si prende una libertà che mette in imbarazzo i collaboratori di curia e i responsabili della CEI. Per tanti è come se fosse venuto meno il rapporto di fiducia».
«Non solo bastona preti e vescovi ma ora è arrivato a minacciare la rimozione dei vescovi che non s’adoperano per contrastare la pedofilia del clero. Quest’uscita proprio non l’ho capita: è un terreno delicato, il vescovo è un padre e deve anche trovare il modo d’essere un padre misericordioso, o no?».
«Capisco che voglia apparire povero ma portare una veste trasparente che mostra il nero dei pantaloni non è trascuratezza? Quando noi vescovi veniamo nominati ci danno istruzioni severe sull’abbigliamento, di presentarci sempre in ordine, guai! Per il papa non vale?».
«Parla tanto della sinodalità ma poi decide da solo. Dice che bisogna decentrare ma un accentramento personale del governo così forte non si era mai visto».
<<< >>>
NOTA BENE !
Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.
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26.7.2016
> Un "pontificato d’eccezione". Il mistero di papa Benedetto
Contro gli Anticristi che insidiano la Chiesa. Le teorie del filosofo della politica Carl Schmitt applicate al pontificato di Joseph Ratzinger e alla sua rinuncia
22.7.2016
> Un papa che non s'era mai visto. Un po' protestante
L'idillio tra Francesco e i seguaci di Lutero. L'allarme di cardinali e vescovi contro la "protestantizzazione" della Chiesa cattolica. Ma anche la diffidenza di autorevoli teologi luterani
18.7.2016
> Brandmüller: "La rinuncia del papa è possibile, ma è da sperare che non succeda mai più"
Il cardinale tedesco, autorevole storico del cristianesimo, interviene sulla questione sempre più incandescente delle dimissioni di Benedetto XVI. Che a suo giudizio non hanno fatto bene alla Chiesa
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LIBRE news
La crisi dei rifugiati, miniera d’oro per l’industria delle armi
Scritto il 29/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Lo rivela il rapporto “Border Wars: The Arms Dealers profiting from Europe’s Refugee Tragedy” (Frontiera di guerra.
Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa) promosso dalla Ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute con rilancio italiano da parte della Rete Italiana per il Disarmo.
Ciò conferma il sentimento diffuso, e reso palese dal recente voto di protesta nel Regno Unito riguardo alla permanenza nell’Ue (Brexit), che a Bruxelles il potere corporativo delle aziende sta pervertendo le politiche dell’Ue.
Per riconquistare la fiducia dei cittadini l’Ue deve mettere in campo una risposta seria alla crisi dei rifugiati invece di continuare a promuovere i profitti delle industrie del settore militare.
Il rapporto analizza il fiorente mercato della sicurezza delle frontiere che ha saputo sfruttare gli annunci del programma di “contrasto all’immigrazione clandestina”.
Annunci che sono andati crescendo con l’arrivo di migliaia di profughi dalla Siria dilaniata dalla guerra.
Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede supererà i 29 miliardi di euro nel 2022.
Tra i big player del settore della sicurezza dei confini dell’Europa figurano aziende che producono sistemi militari come Airbus, Finmeccanica (che di recente ha assunto il nome Leonardo), Thales e Safran ed il gigante del settore tecnologico Indra.
Tre di queste imprese (cioè Airbus, Finmeccanica e Thales) sono anche tra le prime quattro aziende europee esportatrici di sistemi militari: tutte sono attive nel vendere i propri sistemi ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, alimentando i conflitti che sono all’origine della fuga di intere popolazioni in cerca di rifugio.
Tra il 2005 e il 2014, gli Stati membri dell’Ue hanno autorizzato a queste ed altre aziende oltre 82 miliardi di euro di licenze per esportazioni verso Medio Oriente e Nord Africa.
La risposta delle politiche dell’Ue per i rifugiati, che si è concentrata sul contrasto ai trafficanti e nel rafforzare le frontiere esterne (anche in paesi al di fuori dell’Unione Europea), ha portato a consistenti aumenti di bilancio a tutto vantaggio dell’industria degli armamenti.
Il finanziamento complessivo dell’Ue per le misure di sicurezza dei confini degli Stati membri attraverso i principali programmi di finanziamento nel periodo tra il 2004 e il 2020 è di 4,5 miliardi di euro. Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere, ha visto accrescere il proprio bilancio del 3.688% tra il 2005 e il 2016 portandolo da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro.
L’industria degli armamenti e della sicurezza ha ottenuto anche gran parte dei finanziamenti di 316 milioni di euro forniti dall’Ue per la ricerca in materia di sicurezza.
«E’ perverso e immorale – commenta Mark Akkerman, autore del rapporto e membro di Stop Wapenhandel – che le aziende che hanno contribuito ad alimentare la crisi traggano adesso profitto dal difendere i confini dell’Europa.
Questo certamente garantisce la sicurezza degli amministratori delegati e degli azionisti delle imprese di armamenti, ma sta di fatto accrescendo l’insicurezza collettiva e la sofferenza per i rifugiati».
«Purtroppo non è stupefacente vedere anche Finmeccanica-Leonardo tra i principali destinatari di questa enorme massa di fondi – aggiunge Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – grazie ai quali l’azienda controllata dallo Stato italiano può accrescere il proprio fatturato.
Mentre, al contrario, sarebbero necessari investimenti di tutt’altra natura per ottenere soluzioni vere alle dinamiche migratorie attuali.
Fin da subito la nostra Rete ha commentato negativamente la crescita dei fondi per una risposta meramente muscolare e di controllo (comunque impossibile) delle frontiere.
Una scelta che è ancora più miope ed insensata se si va a considerare l’enorme numero di profughi che stanno scappando dalle guerre alimentate dalle armi prodotte e vendute da queste stesse industrie militari».
Oltre a rivelare le aziende che traggono profitti dalla crisi dei rifugiati, il rapporto mostra anche come l’industria della sicurezza e degli armamenti abbia contribuito a determinare la politica europea di sicurezza delle frontiere con attività di lobby e per mezzo delle regolari interazioni con le istituzioni dell’Ue per le frontiere e anche delineando le politiche di ricerca.
L’Organizzazione europea per la Sicurezza (Eos), che comprende Thales, Finmecannica e Airbus, ha fatto pressioni per una maggiore sicurezza delle frontiere.
Inoltre, molte delle sue proposte, come ad esempio la spinta ad istituire un’agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, sono diventate politiche europee: è il caso, ad esempio, della trasformazione di Frontex in “Guardia costiera e di frontiera europea” (European Border and Coast Guard – Ebcg).
«Mentre l’Ue chiude l’ingresso a persone disperate che fuggono dalla guerra, spalanca le porte ai produttori di armamenti che commerciano morte e che ora presidiano i nostri confini», commenta Nick Buxton del Transnational Institute, co-editore del rapporto.
«Per affrontare davvero la crisi dei rifugiati, dobbiamo innanzitutto smettere di alimentare i conflitti e investire il denaro speso a favore delle aziende della sicurezza e della difesa per fornire un passaggio sicuro e un equo trattamento dei rifugiati».
(“Le aziende europee di armamenti fanno profitti con la crisi dei rifugiati”, da “Il Cambiamento” del 20 luglio 2016).
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LIBRE news
La crisi dei rifugiati, miniera d’oro per l’industria delle armi
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Lo rivela il rapporto “Border Wars: The Arms Dealers profiting from Europe’s Refugee Tragedy” (Frontiera di guerra.
Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa) promosso dalla Ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute con rilancio italiano da parte della Rete Italiana per il Disarmo.
Ciò conferma il sentimento diffuso, e reso palese dal recente voto di protesta nel Regno Unito riguardo alla permanenza nell’Ue (Brexit), che a Bruxelles il potere corporativo delle aziende sta pervertendo le politiche dell’Ue.
Per riconquistare la fiducia dei cittadini l’Ue deve mettere in campo una risposta seria alla crisi dei rifugiati invece di continuare a promuovere i profitti delle industrie del settore militare.
Il rapporto analizza il fiorente mercato della sicurezza delle frontiere che ha saputo sfruttare gli annunci del programma di “contrasto all’immigrazione clandestina”.
Annunci che sono andati crescendo con l’arrivo di migliaia di profughi dalla Siria dilaniata dalla guerra.
Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede supererà i 29 miliardi di euro nel 2022.
Tra i big player del settore della sicurezza dei confini dell’Europa figurano aziende che producono sistemi militari come Airbus, Finmeccanica (che di recente ha assunto il nome Leonardo), Thales e Safran ed il gigante del settore tecnologico Indra.
Tre di queste imprese (cioè Airbus, Finmeccanica e Thales) sono anche tra le prime quattro aziende europee esportatrici di sistemi militari: tutte sono attive nel vendere i propri sistemi ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, alimentando i conflitti che sono all’origine della fuga di intere popolazioni in cerca di rifugio.
Tra il 2005 e il 2014, gli Stati membri dell’Ue hanno autorizzato a queste ed altre aziende oltre 82 miliardi di euro di licenze per esportazioni verso Medio Oriente e Nord Africa.
La risposta delle politiche dell’Ue per i rifugiati, che si è concentrata sul contrasto ai trafficanti e nel rafforzare le frontiere esterne (anche in paesi al di fuori dell’Unione Europea), ha portato a consistenti aumenti di bilancio a tutto vantaggio dell’industria degli armamenti.
Il finanziamento complessivo dell’Ue per le misure di sicurezza dei confini degli Stati membri attraverso i principali programmi di finanziamento nel periodo tra il 2004 e il 2020 è di 4,5 miliardi di euro. Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere, ha visto accrescere il proprio bilancio del 3.688% tra il 2005 e il 2016 portandolo da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro.
L’industria degli armamenti e della sicurezza ha ottenuto anche gran parte dei finanziamenti di 316 milioni di euro forniti dall’Ue per la ricerca in materia di sicurezza.
«E’ perverso e immorale – commenta Mark Akkerman, autore del rapporto e membro di Stop Wapenhandel – che le aziende che hanno contribuito ad alimentare la crisi traggano adesso profitto dal difendere i confini dell’Europa.
Questo certamente garantisce la sicurezza degli amministratori delegati e degli azionisti delle imprese di armamenti, ma sta di fatto accrescendo l’insicurezza collettiva e la sofferenza per i rifugiati».
«Purtroppo non è stupefacente vedere anche Finmeccanica-Leonardo tra i principali destinatari di questa enorme massa di fondi – aggiunge Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – grazie ai quali l’azienda controllata dallo Stato italiano può accrescere il proprio fatturato.
Mentre, al contrario, sarebbero necessari investimenti di tutt’altra natura per ottenere soluzioni vere alle dinamiche migratorie attuali.
Fin da subito la nostra Rete ha commentato negativamente la crescita dei fondi per una risposta meramente muscolare e di controllo (comunque impossibile) delle frontiere.
Una scelta che è ancora più miope ed insensata se si va a considerare l’enorme numero di profughi che stanno scappando dalle guerre alimentate dalle armi prodotte e vendute da queste stesse industrie militari».
Oltre a rivelare le aziende che traggono profitti dalla crisi dei rifugiati, il rapporto mostra anche come l’industria della sicurezza e degli armamenti abbia contribuito a determinare la politica europea di sicurezza delle frontiere con attività di lobby e per mezzo delle regolari interazioni con le istituzioni dell’Ue per le frontiere e anche delineando le politiche di ricerca.
L’Organizzazione europea per la Sicurezza (Eos), che comprende Thales, Finmecannica e Airbus, ha fatto pressioni per una maggiore sicurezza delle frontiere.
Inoltre, molte delle sue proposte, come ad esempio la spinta ad istituire un’agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, sono diventate politiche europee: è il caso, ad esempio, della trasformazione di Frontex in “Guardia costiera e di frontiera europea” (European Border and Coast Guard – Ebcg).
«Mentre l’Ue chiude l’ingresso a persone disperate che fuggono dalla guerra, spalanca le porte ai produttori di armamenti che commerciano morte e che ora presidiano i nostri confini», commenta Nick Buxton del Transnational Institute, co-editore del rapporto.
«Per affrontare davvero la crisi dei rifugiati, dobbiamo innanzitutto smettere di alimentare i conflitti e investire il denaro speso a favore delle aziende della sicurezza e della difesa per fornire un passaggio sicuro e un equo trattamento dei rifugiati».
(“Le aziende europee di armamenti fanno profitti con la crisi dei rifugiati”, da “Il Cambiamento” del 20 luglio 2016).
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Re: La Terza Guerra Mondiale
camillobenso ha scritto:LA CALDA ESTATE DEL 2016
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Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa) promosso dalla Ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute con rilancio italiano da parte della Rete Italiana per il Disarmo.
Ciò conferma il sentimento diffuso, e reso palese dal recente voto di protesta nel Regno Unito riguardo alla permanenza nell’Ue (Brexit), che a Bruxelles il potere corporativo delle aziende sta pervertendo le politiche dell’Ue.
Per riconquistare la fiducia dei cittadini l’Ue deve mettere in campo una risposta seria alla crisi dei rifugiati invece di continuare a promuovere i profitti delle industrie del settore militare.
Il rapporto analizza il fiorente mercato della sicurezza delle frontiere che ha saputo sfruttare gli annunci del programma di “contrasto all’immigrazione clandestina”.
Annunci che sono andati crescendo con l’arrivo di migliaia di profughi dalla Siria dilaniata dalla guerra.
Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede supererà i 29 miliardi di euro nel 2022.
Tra i big player del settore della sicurezza dei confini dell’Europa figurano aziende che producono sistemi militari come Airbus, Finmeccanica (che di recente ha assunto il nome Leonardo), Thales e Safran ed il gigante del settore tecnologico Indra.
Tre di queste imprese (cioè Airbus, Finmeccanica e Thales) sono anche tra le prime quattro aziende europee esportatrici di sistemi militari: tutte sono attive nel vendere i propri sistemi ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, alimentando i conflitti che sono all’origine della fuga di intere popolazioni in cerca di rifugio.
Tra il 2005 e il 2014, gli Stati membri dell’Ue hanno autorizzato a queste ed altre aziende oltre 82 miliardi di euro di licenze per esportazioni verso Medio Oriente e Nord Africa.
La risposta delle politiche dell’Ue per i rifugiati, che si è concentrata sul contrasto ai trafficanti e nel rafforzare le frontiere esterne (anche in paesi al di fuori dell’Unione Europea), ha portato a consistenti aumenti di bilancio a tutto vantaggio dell’industria degli armamenti.
Il finanziamento complessivo dell’Ue per le misure di sicurezza dei confini degli Stati membri attraverso i principali programmi di finanziamento nel periodo tra il 2004 e il 2020 è di 4,5 miliardi di euro. Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere, ha visto accrescere il proprio bilancio del 3.688% tra il 2005 e il 2016 portandolo da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro.
L’industria degli armamenti e della sicurezza ha ottenuto anche gran parte dei finanziamenti di 316 milioni di euro forniti dall’Ue per la ricerca in materia di sicurezza.
«E’ perverso e immorale – commenta Mark Akkerman, autore del rapporto e membro di Stop Wapenhandel – che le aziende che hanno contribuito ad alimentare la crisi traggano adesso profitto dal difendere i confini dell’Europa.
Questo certamente garantisce la sicurezza degli amministratori delegati e degli azionisti delle imprese di armamenti, ma sta di fatto accrescendo l’insicurezza collettiva e la sofferenza per i rifugiati».
«Purtroppo non è stupefacente vedere anche Finmeccanica-Leonardo tra i principali destinatari di questa enorme massa di fondi – aggiunge Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo – grazie ai quali l’azienda controllata dallo Stato italiano può accrescere il proprio fatturato.
Mentre, al contrario, sarebbero necessari investimenti di tutt’altra natura per ottenere soluzioni vere alle dinamiche migratorie attuali.
Fin da subito la nostra Rete ha commentato negativamente la crescita dei fondi per una risposta meramente muscolare e di controllo (comunque impossibile) delle frontiere.
Una scelta che è ancora più miope ed insensata se si va a considerare l’enorme numero di profughi che stanno scappando dalle guerre alimentate dalle armi prodotte e vendute da queste stesse industrie militari».
Oltre a rivelare le aziende che traggono profitti dalla crisi dei rifugiati, il rapporto mostra anche come l’industria della sicurezza e degli armamenti abbia contribuito a determinare la politica europea di sicurezza delle frontiere con attività di lobby e per mezzo delle regolari interazioni con le istituzioni dell’Ue per le frontiere e anche delineando le politiche di ricerca.
L’Organizzazione europea per la Sicurezza (Eos), che comprende Thales, Finmecannica e Airbus, ha fatto pressioni per una maggiore sicurezza delle frontiere.
Inoltre, molte delle sue proposte, come ad esempio la spinta ad istituire un’agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, sono diventate politiche europee: è il caso, ad esempio, della trasformazione di Frontex in “Guardia costiera e di frontiera europea” (European Border and Coast Guard – Ebcg).
«Mentre l’Ue chiude l’ingresso a persone disperate che fuggono dalla guerra, spalanca le porte ai produttori di armamenti che commerciano morte e che ora presidiano i nostri confini», commenta Nick Buxton del Transnational Institute, co-editore del rapporto.
«Per affrontare davvero la crisi dei rifugiati, dobbiamo innanzitutto smettere di alimentare i conflitti e investire il denaro speso a favore delle aziende della sicurezza e della difesa per fornire un passaggio sicuro e un equo trattamento dei rifugiati».
(“Le aziende europee di armamenti fanno profitti con la crisi dei rifugiati”, da “Il Cambiamento” del 20 luglio 2016).
Se i media non affiancano la descrizione della realtà, le parole di Francesco rischiano di cadere nel vuoto.
«Quando parlo di guerra parlo di guerra sul serio, no di guerre di religione. Non c'è guerra di religione»,
ha aggiunto, «c'è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli».
Il business dei rifugiati
http://www.libreidee.org/2016/07/la-cri ... ifiugiati/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Illuminati, agenti del Mossad e “coincidenze”
Complotti sulle stragi di Parigi, Bruxelles e Nizza
Tante in rete le teorie cospirazioniste, basate su interpretazioni personali e sedicenti segni anticipatori
La prof francese: “Così le smontiamo in classe”. Polidoro (Cicap): “Bisogna affidarsi a chi è competente”
FQ Magazine
Parigi, Bruxelles, Nizza. Tre città europee accomunate da stragi nel segno dell’estremismo islamico, un filo rosso che lega il 13 novembre 2015 – e prima ancora Charlie Hebdo – al 22 marzo 2016 e alla tragedia sulla Promenade des Anglais del 15 luglio. Il sangue scorre, mentre sul web affiorano versioni alternative che parlano di cospirazioni, complotti. Di false flag, di operazioni condotte sotto copertura da governi o servizi segreti e attribuite ad altri gruppi. Supposizioni, interpretazioni numerologiche intrecciate. E così i feriti del Bataclan diventano comparse, i sopravvissuti di Bruxelles partecipanti di un’esercitazione militare. E i morti di Nizza “manichini” di Eleonora Bianchini
^^^^^
AVANTI » 1/10
Stragi in Europa, le teorie del complotto. Illuminati, feriti “comparse” e “false flag”
13 novembre 2015, 22 marzo e 15 luglio 2016. Parigi, Bruxelles e Nizza. Tre città europee vittime di attacchi terroristici con decine di morti. Ma in rete nascono video e pagine dedicati al complotto mediatico, alle trame dei governi tese a destabilizzare la popolazione. Tutto accompagnato da deduzioni fondate su interpretazioni personali, combinazioni esoteriche e sedicenti segni anticipatori. Eppure nulla è supportato da fact checking e prove concrete
di Eleonora Bianchini | 29 luglio 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... g/2689270/
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Illuminati, agenti del Mossad e “coincidenze”
Complotti sulle stragi di Parigi, Bruxelles e Nizza
Tante in rete le teorie cospirazioniste, basate su interpretazioni personali e sedicenti segni anticipatori
La prof francese: “Così le smontiamo in classe”. Polidoro (Cicap): “Bisogna affidarsi a chi è competente”
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Parigi, Bruxelles, Nizza. Tre città europee accomunate da stragi nel segno dell’estremismo islamico, un filo rosso che lega il 13 novembre 2015 – e prima ancora Charlie Hebdo – al 22 marzo 2016 e alla tragedia sulla Promenade des Anglais del 15 luglio. Il sangue scorre, mentre sul web affiorano versioni alternative che parlano di cospirazioni, complotti. Di false flag, di operazioni condotte sotto copertura da governi o servizi segreti e attribuite ad altri gruppi. Supposizioni, interpretazioni numerologiche intrecciate. E così i feriti del Bataclan diventano comparse, i sopravvissuti di Bruxelles partecipanti di un’esercitazione militare. E i morti di Nizza “manichini” di Eleonora Bianchini
^^^^^
AVANTI » 1/10
Stragi in Europa, le teorie del complotto. Illuminati, feriti “comparse” e “false flag”
13 novembre 2015, 22 marzo e 15 luglio 2016. Parigi, Bruxelles e Nizza. Tre città europee vittime di attacchi terroristici con decine di morti. Ma in rete nascono video e pagine dedicati al complotto mediatico, alle trame dei governi tese a destabilizzare la popolazione. Tutto accompagnato da deduzioni fondate su interpretazioni personali, combinazioni esoteriche e sedicenti segni anticipatori. Eppure nulla è supportato da fact checking e prove concrete
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
29 LUG 2016 16:36
DITE A FELTRI CHE L’ISLAM MODERATO VIVE E LOTTA IN MEZZO A NOI
- GLI IMAM FRANCESI LANCIANO LA PROPOSTA DI DISTENSIONE: “I MUSULMANI DOMENICA VADANO IN CHIESA”
- ESULTA IL QUOTIDIANO DEI VESCOVI "AVVENIRE": "SAREBBE DAVVERO UNA COSA GRANDE...” - -
Gianluca Mercuri per “corriere.it”
«Sarebbe una cosa grande. Se anche solo uno su dieci dei cinque milioni di islamici che vivono in Francia rispondesse all’appello del Consiglio francese per il culto musulmano e domenica si recasse in una chiesa, nell’ora della Messa, in segno di solidarietà dopo Rouen, sarebbe davvero una cosa grande. Tanto grande che, abituati come siamo al cinismo e al pessimismo, quasi fatichiamo a crederci».
Così Avvenire accoglie, in un editoriale firmato da Martina Corradi, l’iniziativa lanciata venerdì dall’organismo ufficiale dell’Islam francese, che chiede ai fedeli di esprimere «solidarietà e compassione» ai cattolici e a padre Jacques Hamel, il sacerdote massacrato martedì 26 luglio da due terroristi islamici nella sua chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray.
«Il rispetto delle altre fedi»
L’appello invita «i responsabili delle moschee, gli imam e i fedeli a rendere visita alle chiese a loro più vicine in occasione della messa di domenica mattina». Significativa anche la richiesta alle 2.500 moschee di Francia di «cogliere l’occasione della preghiera del venerdì per ribadire il ruolo preponderante che occupa nella religione musulmana il rispetto delle altre fedi, così come degli uomini che le rappresentano». Già martedì il Consiglio aveva definito l’attentato «un atto orribile e terrificante».
La posizione di Papa Francesco
L’iniziativa della massima istanza dell’islam francese è un gesto senza precedenti, che rappresenta una prima risposta importante alle richieste che da tempo le comunità musulmane europee si vedono rivolgere da istituzioni e media affinché condannino senza ombre e senza distinzioni il terrorismo che agisce in nome della loro fede.
L’editoriale di Avvenire, da questo punto di vista, è un’ottima sintesi della posizione — culturale e spirituale — espressa dall’attuale pontificato sulla «guerra mondiale» in corso, che non è, afferma il Papa, una guerra di religione o tra religioni, ma una guerra dichiarata da organizzazioni di assassini in nome di un’interpretazione assassina dell’Islam.
Il no ad «accostamenti sommari»
La mossa degli imam francesi scalda dunque il cuore della Chiesa, perché — scrive il quotidiano dei vescovi — «si può dire che già questo appello, dall’organismo che rappresenta in maniera ufficiale le 2.500 moschee del Paese, è ciò che si sperava, uno dei segni che si attendevano.
Non solo la presa di posizione di un imam o di un altro, ma l’invito a un gesto corale». Il Papa — accusato anche oggi dalla stampa di destra di immobilismo e di «non chiamare le cose con il loro nome» — si conferma leader concreto che guarda ai fatti e nemmeno nel frangente più drammatico rinuncia al dialogo, convinto che identificare un’intera comunità con il terrorismo sia il più grande assist possibile agli assassini.
L’editoriale ne esprime il pensiero con chiarezza: «Bisognerà vedere se i musulmani di Francia raccoglieranno l’appello: se condividono la nostra volontà di pace o se già, sentendosi sommariamente accostati agli estremisti, non hanno maturato una posizione ostile o timorosa.
Bisognerà vedere e bisogna pregare per questa domenica francese. Quale respiro buono verrebbe a tutti noi, se davvero accadesse, da una domenica francese di solidarietà e di pace». La Chiesa aspetta i musulmani ma non accuserà chi non verrà: sarà colpa dell’«accostamento sommario» tra gli assassini e un miliardo e mezzo di persone.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
29 LUG 2016 16:36
DITE A FELTRI CHE L’ISLAM MODERATO VIVE E LOTTA IN MEZZO A NOI
- GLI IMAM FRANCESI LANCIANO LA PROPOSTA DI DISTENSIONE: “I MUSULMANI DOMENICA VADANO IN CHIESA”
- ESULTA IL QUOTIDIANO DEI VESCOVI "AVVENIRE": "SAREBBE DAVVERO UNA COSA GRANDE...” - -
Gianluca Mercuri per “corriere.it”
«Sarebbe una cosa grande. Se anche solo uno su dieci dei cinque milioni di islamici che vivono in Francia rispondesse all’appello del Consiglio francese per il culto musulmano e domenica si recasse in una chiesa, nell’ora della Messa, in segno di solidarietà dopo Rouen, sarebbe davvero una cosa grande. Tanto grande che, abituati come siamo al cinismo e al pessimismo, quasi fatichiamo a crederci».
Così Avvenire accoglie, in un editoriale firmato da Martina Corradi, l’iniziativa lanciata venerdì dall’organismo ufficiale dell’Islam francese, che chiede ai fedeli di esprimere «solidarietà e compassione» ai cattolici e a padre Jacques Hamel, il sacerdote massacrato martedì 26 luglio da due terroristi islamici nella sua chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray.
«Il rispetto delle altre fedi»
L’appello invita «i responsabili delle moschee, gli imam e i fedeli a rendere visita alle chiese a loro più vicine in occasione della messa di domenica mattina». Significativa anche la richiesta alle 2.500 moschee di Francia di «cogliere l’occasione della preghiera del venerdì per ribadire il ruolo preponderante che occupa nella religione musulmana il rispetto delle altre fedi, così come degli uomini che le rappresentano». Già martedì il Consiglio aveva definito l’attentato «un atto orribile e terrificante».
La posizione di Papa Francesco
L’iniziativa della massima istanza dell’islam francese è un gesto senza precedenti, che rappresenta una prima risposta importante alle richieste che da tempo le comunità musulmane europee si vedono rivolgere da istituzioni e media affinché condannino senza ombre e senza distinzioni il terrorismo che agisce in nome della loro fede.
L’editoriale di Avvenire, da questo punto di vista, è un’ottima sintesi della posizione — culturale e spirituale — espressa dall’attuale pontificato sulla «guerra mondiale» in corso, che non è, afferma il Papa, una guerra di religione o tra religioni, ma una guerra dichiarata da organizzazioni di assassini in nome di un’interpretazione assassina dell’Islam.
Il no ad «accostamenti sommari»
La mossa degli imam francesi scalda dunque il cuore della Chiesa, perché — scrive il quotidiano dei vescovi — «si può dire che già questo appello, dall’organismo che rappresenta in maniera ufficiale le 2.500 moschee del Paese, è ciò che si sperava, uno dei segni che si attendevano.
Non solo la presa di posizione di un imam o di un altro, ma l’invito a un gesto corale». Il Papa — accusato anche oggi dalla stampa di destra di immobilismo e di «non chiamare le cose con il loro nome» — si conferma leader concreto che guarda ai fatti e nemmeno nel frangente più drammatico rinuncia al dialogo, convinto che identificare un’intera comunità con il terrorismo sia il più grande assist possibile agli assassini.
L’editoriale ne esprime il pensiero con chiarezza: «Bisognerà vedere se i musulmani di Francia raccoglieranno l’appello: se condividono la nostra volontà di pace o se già, sentendosi sommariamente accostati agli estremisti, non hanno maturato una posizione ostile o timorosa.
Bisognerà vedere e bisogna pregare per questa domenica francese. Quale respiro buono verrebbe a tutti noi, se davvero accadesse, da una domenica francese di solidarietà e di pace». La Chiesa aspetta i musulmani ma non accuserà chi non verrà: sarà colpa dell’«accostamento sommario» tra gli assassini e un miliardo e mezzo di persone.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Il Papa — accusato anche oggi dalla stampa di destra di immobilismo e di «non chiamare le cose con il loro nome»
Martina Corradi
In frangenti come questo bisogna avere sangue freddo e cervello perfettamente funzionante.
E’ quello che ha dimostrato Francesco, al di là della becera propaganda interventista dei Feltri e dei Sallusti, vecchi residuati bellici del vecchio “ARMIAMOCI E PARTITE”, di antica memoria.
Perché i due signorini in camicia nera, sanno che materialmente loro non faranno MAI parte di nessuna armata cattolica, per combattere gli infedeli. Perché hanno superato i limiti di età.
E quindi si divertono ad istigare gli altri alla guerra di religione. Secondo la cultura fascistoide che non è mai venuta meno ai due campioni della penna destra.
Immaginiamoci invece cosa sarebbe successo se Francesco avesse avuto il cervello avariato come quello delle due camicie nere.
Al Califfo sarebbe stata servita su di un piatto d’argento, l’opportunità di arruolare nuovi eserciti per la guerra di religione.
ESATTAMENTE COME INTENDONO LE DUE CAMICIE NERE DELLA CARTA STAMPATA, FALSI CATTOLICI.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Il Papa — accusato anche oggi dalla stampa di destra di immobilismo e di «non chiamare le cose con il loro nome»
Martina Corradi
In frangenti come questo bisogna avere sangue freddo e cervello perfettamente funzionante.
E’ quello che ha dimostrato Francesco, al di là della becera propaganda interventista dei Feltri e dei Sallusti, vecchi residuati bellici del vecchio “ARMIAMOCI E PARTITE”, di antica memoria.
Perché i due signorini in camicia nera, sanno che materialmente loro non faranno MAI parte di nessuna armata cattolica, per combattere gli infedeli. Perché hanno superato i limiti di età.
E quindi si divertono ad istigare gli altri alla guerra di religione. Secondo la cultura fascistoide che non è mai venuta meno ai due campioni della penna destra.
Immaginiamoci invece cosa sarebbe successo se Francesco avesse avuto il cervello avariato come quello delle due camicie nere.
Al Califfo sarebbe stata servita su di un piatto d’argento, l’opportunità di arruolare nuovi eserciti per la guerra di religione.
ESATTAMENTE COME INTENDONO LE DUE CAMICIE NERE DELLA CARTA STAMPATA, FALSI CATTOLICI.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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Terrore fai da te, il mostro sfugge al suo stesso inventore?
Scritto il 30/7/16 • nella Categoria: idee Condividi
Il terrorismo mondiale negli ultimi 15 anni sembra essersi articolato in tre fasi diverse. La prima fase è stata quella in cui si è voluto creare il nuovo brand internazionale del cosiddetto “terrorismo islamico”. L’evento madre ovviamente è stato l’11 Settembre, il quale a sua volta era stato ottimamente preparato dalla “false flag” del primo attentato alle Torri Gemelle, otto anni prima. Una volta che i media mondiali si sono bevuti la messinscena dell’11 Settembre, è stato universalmente stabilito che il terrorismo islamico esisteva, e da quel giorno tutta la geopolitica mondiale ha cominciato a ruotare intorno a questa nuova realtà, con le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq a farla ovviamente da protagoniste. Poi è arrivato l’attentato di Londra del 2005, e con questa terza “false flag” clamorosa è stato stabilito non soltanto che il terrorismo islamico esisteva, ma che avrebbe potuto continuare a colpirci in ogni momento, in ogni parte del mondo. Grazie a questo, i vari governi occidentali hanno ottenuto di poter dare numerosi giri di vite ai diritti civili dei propri cittadini. Questo ha portato alla chiusura della prima fase.Nella seconda fase i grandi burattinai del terrorismo mondiale hanno iniziato a godere dei frutti di ciò che avevano seminato. […] Ogni volta che era necessario, negli Stati Uniti arrivava puntuale un comunicato di Bin Laden, inteso a mantenere viva la paura nella popolazione. E quando non c’era un comunicato di Bin Laden, c’era sempre un imbecille pronto a farsi beccare con le mutande piene di esplosivo mentre si imbarcava su un aereo internazionale. Qualunque attentato succedesse nel mondo – ci veniva detto – era sempre fatto da qualcuno che era in qualche modo “collegato ad Al Qaeda”. E così sono passati gli anni, con una popolazione occidentale alla quale veniva regolarmente ricordato che esiste un “pericolo islamico”. Israele ne ha approfittato per far passare sotto silenzio la sua truculenta repressione nella striscia di Gaza. Staterelli minori magari ne approfittavano per regolare dei conti interni, facendo ricadere il tutto sotto la bandiera del terrorismo. Diversi equilibri nelle nazioni africane venivano alterati con la scusa del terrorismo. E poi naturalmente c’è stata l’Isis, che ha raccolto l’eredità di una Al Qaeda ormai logora e senza più credibilità, rilanciando in Occidente la paura dei tagliagole.E così, da un’operazione all’altra, siamo arrivati all’anno funesto 2015, nel quale sono stati perpetrati i due attentati in Francia (Charlie Hebdo e Bataclàn) che hanno stabilito definitivamente che da oggi anche noi europei dobbiamo avere costantemente paura. E gli attentati di Bruxelles hanno fatto da perfetto corollario ai primi due. Ora però questa seconda fase sembra terminata, o meglio, sembra che sia sfuggita di mano ai suoi creatori, per dare luogo ad un’ondata di attentati fai-da-te che diventa sempre più difficile da catalogare all’interno di categorie ben precise. Talmente poco ortodossi sembrano essere questi terroristi dell’ultima ora, che i media si sono affrettati ad inventare un nuovo termine: il terrorista “radicalizzato rapidamente”. Come se il terrorista fosse una specie di bibita liofilizzata contenuta in bustina, nella quale basta versare un po’ d’acqua per “radicalizzarlo” dalla sera alla mattina.In realtà gli ultimi episodi – quello di Nizza, il treno in Germania, e per ultimo la strage di Monaco – mostrano chiaramente che ormai le redini del controllo sono sfuggite a chi questo terrorismo l’aveva inventato, e gli episodi di emulazione – impossibili per loro stessa natura da catalogare – rischiano di diventare la caratteristica predominante di questa terza fase. Una fase in cui chiunque abbia una pistola si disegna in casa una bandiera dell’Isis e poi esce per massacrare la zia che gli ha rotto i coglioni, oppure per fare fuori una scolaresca solo per fnire il giorno dopo sui giornali. In altre parole, come era già successo in passato, gli americani hanno creato il mostro, e ora il mostro gli sta scappando di mano. Ne saranno felici i neocons, storici fautori del caos totale.
(Massimo Mazzucco, “Terrorismo, è iniziata la terza fase?”, da “Luogo Comune” del 23 luglio 2016).
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LIBRE news
Terrore fai da te, il mostro sfugge al suo stesso inventore?
Scritto il 30/7/16 • nella Categoria: idee Condividi
Il terrorismo mondiale negli ultimi 15 anni sembra essersi articolato in tre fasi diverse. La prima fase è stata quella in cui si è voluto creare il nuovo brand internazionale del cosiddetto “terrorismo islamico”. L’evento madre ovviamente è stato l’11 Settembre, il quale a sua volta era stato ottimamente preparato dalla “false flag” del primo attentato alle Torri Gemelle, otto anni prima. Una volta che i media mondiali si sono bevuti la messinscena dell’11 Settembre, è stato universalmente stabilito che il terrorismo islamico esisteva, e da quel giorno tutta la geopolitica mondiale ha cominciato a ruotare intorno a questa nuova realtà, con le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq a farla ovviamente da protagoniste. Poi è arrivato l’attentato di Londra del 2005, e con questa terza “false flag” clamorosa è stato stabilito non soltanto che il terrorismo islamico esisteva, ma che avrebbe potuto continuare a colpirci in ogni momento, in ogni parte del mondo. Grazie a questo, i vari governi occidentali hanno ottenuto di poter dare numerosi giri di vite ai diritti civili dei propri cittadini. Questo ha portato alla chiusura della prima fase.Nella seconda fase i grandi burattinai del terrorismo mondiale hanno iniziato a godere dei frutti di ciò che avevano seminato. […] Ogni volta che era necessario, negli Stati Uniti arrivava puntuale un comunicato di Bin Laden, inteso a mantenere viva la paura nella popolazione. E quando non c’era un comunicato di Bin Laden, c’era sempre un imbecille pronto a farsi beccare con le mutande piene di esplosivo mentre si imbarcava su un aereo internazionale. Qualunque attentato succedesse nel mondo – ci veniva detto – era sempre fatto da qualcuno che era in qualche modo “collegato ad Al Qaeda”. E così sono passati gli anni, con una popolazione occidentale alla quale veniva regolarmente ricordato che esiste un “pericolo islamico”. Israele ne ha approfittato per far passare sotto silenzio la sua truculenta repressione nella striscia di Gaza. Staterelli minori magari ne approfittavano per regolare dei conti interni, facendo ricadere il tutto sotto la bandiera del terrorismo. Diversi equilibri nelle nazioni africane venivano alterati con la scusa del terrorismo. E poi naturalmente c’è stata l’Isis, che ha raccolto l’eredità di una Al Qaeda ormai logora e senza più credibilità, rilanciando in Occidente la paura dei tagliagole.E così, da un’operazione all’altra, siamo arrivati all’anno funesto 2015, nel quale sono stati perpetrati i due attentati in Francia (Charlie Hebdo e Bataclàn) che hanno stabilito definitivamente che da oggi anche noi europei dobbiamo avere costantemente paura. E gli attentati di Bruxelles hanno fatto da perfetto corollario ai primi due. Ora però questa seconda fase sembra terminata, o meglio, sembra che sia sfuggita di mano ai suoi creatori, per dare luogo ad un’ondata di attentati fai-da-te che diventa sempre più difficile da catalogare all’interno di categorie ben precise. Talmente poco ortodossi sembrano essere questi terroristi dell’ultima ora, che i media si sono affrettati ad inventare un nuovo termine: il terrorista “radicalizzato rapidamente”. Come se il terrorista fosse una specie di bibita liofilizzata contenuta in bustina, nella quale basta versare un po’ d’acqua per “radicalizzarlo” dalla sera alla mattina.In realtà gli ultimi episodi – quello di Nizza, il treno in Germania, e per ultimo la strage di Monaco – mostrano chiaramente che ormai le redini del controllo sono sfuggite a chi questo terrorismo l’aveva inventato, e gli episodi di emulazione – impossibili per loro stessa natura da catalogare – rischiano di diventare la caratteristica predominante di questa terza fase. Una fase in cui chiunque abbia una pistola si disegna in casa una bandiera dell’Isis e poi esce per massacrare la zia che gli ha rotto i coglioni, oppure per fare fuori una scolaresca solo per fnire il giorno dopo sui giornali. In altre parole, come era già successo in passato, gli americani hanno creato il mostro, e ora il mostro gli sta scappando di mano. Ne saranno felici i neocons, storici fautori del caos totale.
(Massimo Mazzucco, “Terrorismo, è iniziata la terza fase?”, da “Luogo Comune” del 23 luglio 2016).
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
La conclusione finale di Massimo Mazzuco, si presta egregiamente al caso italiano:
rischiano di diventare la caratteristica predominante di questa terza fase. Una fase in cui chiunque abbia una pistola si disegna in casa una bandiera dell’Isis e poi esce per massacrare la zia che gli ha rotto i coglioni, oppure per fare fuori una scolaresca solo per fnire il giorno dopo sui giornali. In altre parole, come era già successo in passato, gli americani hanno creato il mostro, e ora il mostro gli sta scappando di mano. Ne saranno felici i neocons, storici fautori del caos totale.
In questi ultimi due anni sono stati in parecchi a chiedersi:
“Perché quello che succede in Francia. in Belgio, ed ora in Germania, non accade anche in Italia???”
Fin’ora per me è stato semplice dare una risposta, in base all’accordo tra ‘ndrangheta e Isis, in base alle denunce di Federico Cafiero De Raho, del 2015.
Il procuratore di Reggio Calabria: "Rischio asse 'ndrangheta-Isis"
Il procuratore di Reggio Calabria lancia l'allarme: "Le cosche potrebbero appoggiare l'Isis in cambio di armi e droga". Ecco cosa rischiamo
Ignazio Stagno - Mar, 24/02/2015 - 16:40
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 98353.html
All’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nel maggio successivo il procuratore Cafiero De Raho, non diceva più “Le cosche potrebbero appoggiare” ma “Le cosche appoggiano”.
Da notare che quel giorno, durante la denuncia pubblica del procuratore Cafiero De Raho, era presente Minniti, l’uomo dei Servizi Segreti nominato da Mussoloni.
Ovviamente tutto rimase com’era.
La ‘ndrangheta non aveva nessun interesse che le forze dell’ordine indagassero su quell’attività, in quanto avrebbero disturbato la fiorente attività mafiosa.
Facile quindi credere che gli accordi ai vertici, tra ‘ndrangheta e Isis, fossero, oltre allo scambio armi e droga con un giro di 2 miliardi di euro, in cambio di protezione nelle campagne calabresi, nessuna attività terroristica all’interno dello Stivalone, per non attirare l’attenzione.
Ma negli ultimi mesi con quello che sta accadendo in Europa, anche da noi potrebbe prendere piede “il fai da te” denunciato da Mazzucco.
Gente non organica all’Isis, ma con una gran voglia di fare.
E questo, dal punto di vista della sicurezza è di gran lunga più difficile da controllare.
Fa sorridere i polli la proposta di Alfano & Romina, di impiegare le forze speciali, quando si può appurare tranquillamente che manca assolutamente il minimo collegamento informativo tra le varie forze di Polizia, comprese quelle locali dislocate in ogni città, che un tempo si chiamavano Vigili urbani, ed oggi Polizia Municipale.
Il pericolo arriva da chi si sente appartenente all’Isis, ma non è organico all’Isis.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
La conclusione finale di Massimo Mazzuco, si presta egregiamente al caso italiano:
rischiano di diventare la caratteristica predominante di questa terza fase. Una fase in cui chiunque abbia una pistola si disegna in casa una bandiera dell’Isis e poi esce per massacrare la zia che gli ha rotto i coglioni, oppure per fare fuori una scolaresca solo per fnire il giorno dopo sui giornali. In altre parole, come era già successo in passato, gli americani hanno creato il mostro, e ora il mostro gli sta scappando di mano. Ne saranno felici i neocons, storici fautori del caos totale.
In questi ultimi due anni sono stati in parecchi a chiedersi:
“Perché quello che succede in Francia. in Belgio, ed ora in Germania, non accade anche in Italia???”
Fin’ora per me è stato semplice dare una risposta, in base all’accordo tra ‘ndrangheta e Isis, in base alle denunce di Federico Cafiero De Raho, del 2015.
Il procuratore di Reggio Calabria: "Rischio asse 'ndrangheta-Isis"
Il procuratore di Reggio Calabria lancia l'allarme: "Le cosche potrebbero appoggiare l'Isis in cambio di armi e droga". Ecco cosa rischiamo
Ignazio Stagno - Mar, 24/02/2015 - 16:40
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 98353.html
All’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nel maggio successivo il procuratore Cafiero De Raho, non diceva più “Le cosche potrebbero appoggiare” ma “Le cosche appoggiano”.
Da notare che quel giorno, durante la denuncia pubblica del procuratore Cafiero De Raho, era presente Minniti, l’uomo dei Servizi Segreti nominato da Mussoloni.
Ovviamente tutto rimase com’era.
La ‘ndrangheta non aveva nessun interesse che le forze dell’ordine indagassero su quell’attività, in quanto avrebbero disturbato la fiorente attività mafiosa.
Facile quindi credere che gli accordi ai vertici, tra ‘ndrangheta e Isis, fossero, oltre allo scambio armi e droga con un giro di 2 miliardi di euro, in cambio di protezione nelle campagne calabresi, nessuna attività terroristica all’interno dello Stivalone, per non attirare l’attenzione.
Ma negli ultimi mesi con quello che sta accadendo in Europa, anche da noi potrebbe prendere piede “il fai da te” denunciato da Mazzucco.
Gente non organica all’Isis, ma con una gran voglia di fare.
E questo, dal punto di vista della sicurezza è di gran lunga più difficile da controllare.
Fa sorridere i polli la proposta di Alfano & Romina, di impiegare le forze speciali, quando si può appurare tranquillamente che manca assolutamente il minimo collegamento informativo tra le varie forze di Polizia, comprese quelle locali dislocate in ogni città, che un tempo si chiamavano Vigili urbani, ed oggi Polizia Municipale.
Il pericolo arriva da chi si sente appartenente all’Isis, ma non è organico all’Isis.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Isis, Fbi: “Una diaspora di terroristi di ritorno verso Europa e America. Sarà come non l’abbiamo mai vista”
Mondo
Sono i cosiddetti "returnees", le persone partite verso Iraq e Siria da oltre centro nazioni per arruolarsi nelle truppe nere di al Baghdadi. 5mila provengono dall'Unione Europea. 110 gli "italiani". Un rischio ancora più imprevedibile dei lupi solitari
di F. Q. | 30 luglio 2016
COMMENTI
Una diaspora di terroristi dell’Isis verso l’Europa e l’America è attesa nel prossimo futuro e sarà “come non l’abbiamo mai vista”. Parole di James Comey, capo dell’Fbi, a proposito dei “returnees”, le persone partite verso la Siria e l’Iraq da oltre centro altre nazioni. Un esercito di ritorno, dovuto ai continui successi contro le truppe del sedicente Califfo al Baghdadi, stimato tra le 18mila e le 22 mila unità. Tra questi, secondo i dati dell’intelligence, 110 combattenti sono legati in qualche modo all’Italia, e sono pronti a tornare.
Ha spiegato Comey che questi soggetti faranno “aumentare sempre di più” la possibilità di attacchi come quelli di Parigi o Bruxelles. Le forze di polizia statunitensi – ricorda – hanno arrestato dai primi del 2014 circa 100 americani sospettati di sostenere l’Isis. Una diaspora di terroristi c’è già stata, ha proseguito il direttore dell’Fbi, a cavallo degli anni ’80-’90, in coincidenza con le guerre che hanno coinvolto l’Afghanistan. “Ma stavolta – ha ammonito – il fenomeno sarà dieci volte più grande e fermarli è persino più difficile di trovare un ago nel pagliaio”.
Secondo diverse stime, tra cui quelle fornite a giugno dal capo della Cia, John Brennan, sarebbero circa 30mila le persone partite alla volta dei territori occupati dal gruppo Stato islamico dall’inizio del conflitto. Il 60% proviene dal Medio Oriente (con Arabia Saudita e Giordania in testa) e dal Nord Africa (principalmente da Tunisia e Marocco), mentre circa 5mila sarebbero quelli partiti dall’Europa. Alcuni sono morti in battaglia ma molti altri sono già tornati nei propri paesi d’origine o, man mano che l’Isis arretra, tenteranno di farlo a breve.
Solo due giorni fa l’Europol ha informato che dei cinquemila partiti dall’Unione Europea, tra i 1.500 e i 1.800 sarebbero già rientrati. “Molti di loro non hanno voglia né capacità di compiere attentati – dicono i funzionari europei – ma restano centinaia di potenziali terroristi che costituiscono un pericolo per la sicurezza dell’Europa”. E quindi per l’Italia. Secondo le ultime informazioni raccolte dei servizi segreti, sono circa 110 gli arruolati dall’Isis che hanno avuto a che fare in qualche modo con la Penisola e, di questi, meno di 20 sono cittadini italiani. Nessuno di loro tuttavia sarebbe già rientrato.
E’ ovviamente altissima l’allerta per intelligence e antiterrorismo che effettuano un monitoraggio costante sui soggetti radicalizzati partiti per i fronti di guerra e sui loro contatti rimasti in Italia. Un’emergenza che si unisce al rischio dei “lupi solitari” ma ancora più imprevedibile. L’Aisi – ha spiegato venerdì 29 al Copasir il direttore Mario Parente – ha “ritarato” il suo dispositivo informativo, potenziando in maniera capillare la rete di “sensori humint”, cioè di informatori sul terreno. Il presidente del Copasir Giacomo Stucchi ha spiegato che gli “internal fighters”potrebbero non solo generare episodi di emulazione, ma far partire una vera e propria competizione tra chi realizza l’attentato con più vittime.
di F. Q. | 30 luglio 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Isis, Fbi: “Una diaspora di terroristi di ritorno verso Europa e America. Sarà come non l’abbiamo mai vista”
Mondo
Sono i cosiddetti "returnees", le persone partite verso Iraq e Siria da oltre centro nazioni per arruolarsi nelle truppe nere di al Baghdadi. 5mila provengono dall'Unione Europea. 110 gli "italiani". Un rischio ancora più imprevedibile dei lupi solitari
di F. Q. | 30 luglio 2016
COMMENTI
Una diaspora di terroristi dell’Isis verso l’Europa e l’America è attesa nel prossimo futuro e sarà “come non l’abbiamo mai vista”. Parole di James Comey, capo dell’Fbi, a proposito dei “returnees”, le persone partite verso la Siria e l’Iraq da oltre centro altre nazioni. Un esercito di ritorno, dovuto ai continui successi contro le truppe del sedicente Califfo al Baghdadi, stimato tra le 18mila e le 22 mila unità. Tra questi, secondo i dati dell’intelligence, 110 combattenti sono legati in qualche modo all’Italia, e sono pronti a tornare.
Ha spiegato Comey che questi soggetti faranno “aumentare sempre di più” la possibilità di attacchi come quelli di Parigi o Bruxelles. Le forze di polizia statunitensi – ricorda – hanno arrestato dai primi del 2014 circa 100 americani sospettati di sostenere l’Isis. Una diaspora di terroristi c’è già stata, ha proseguito il direttore dell’Fbi, a cavallo degli anni ’80-’90, in coincidenza con le guerre che hanno coinvolto l’Afghanistan. “Ma stavolta – ha ammonito – il fenomeno sarà dieci volte più grande e fermarli è persino più difficile di trovare un ago nel pagliaio”.
Secondo diverse stime, tra cui quelle fornite a giugno dal capo della Cia, John Brennan, sarebbero circa 30mila le persone partite alla volta dei territori occupati dal gruppo Stato islamico dall’inizio del conflitto. Il 60% proviene dal Medio Oriente (con Arabia Saudita e Giordania in testa) e dal Nord Africa (principalmente da Tunisia e Marocco), mentre circa 5mila sarebbero quelli partiti dall’Europa. Alcuni sono morti in battaglia ma molti altri sono già tornati nei propri paesi d’origine o, man mano che l’Isis arretra, tenteranno di farlo a breve.
Solo due giorni fa l’Europol ha informato che dei cinquemila partiti dall’Unione Europea, tra i 1.500 e i 1.800 sarebbero già rientrati. “Molti di loro non hanno voglia né capacità di compiere attentati – dicono i funzionari europei – ma restano centinaia di potenziali terroristi che costituiscono un pericolo per la sicurezza dell’Europa”. E quindi per l’Italia. Secondo le ultime informazioni raccolte dei servizi segreti, sono circa 110 gli arruolati dall’Isis che hanno avuto a che fare in qualche modo con la Penisola e, di questi, meno di 20 sono cittadini italiani. Nessuno di loro tuttavia sarebbe già rientrato.
E’ ovviamente altissima l’allerta per intelligence e antiterrorismo che effettuano un monitoraggio costante sui soggetti radicalizzati partiti per i fronti di guerra e sui loro contatti rimasti in Italia. Un’emergenza che si unisce al rischio dei “lupi solitari” ma ancora più imprevedibile. L’Aisi – ha spiegato venerdì 29 al Copasir il direttore Mario Parente – ha “ritarato” il suo dispositivo informativo, potenziando in maniera capillare la rete di “sensori humint”, cioè di informatori sul terreno. Il presidente del Copasir Giacomo Stucchi ha spiegato che gli “internal fighters”potrebbero non solo generare episodi di emulazione, ma far partire una vera e propria competizione tra chi realizza l’attentato con più vittime.
di F. Q. | 30 luglio 2016
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