Renzi

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UncleTom
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Re: Renzi

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Editoriale
Inchiesta Consip, una domanda a Matteo Renzi: fu tutto a sua insaputa?
L'ex premier, la Toscana, le relazioni pericolose che emergono dai legami tra il padre Tiziano, Verdini e Lotti. L'Espresso le racconta nel numero in edicola da domenica. Ora il politico deve spiegare
di Tommaso Cerno
02 marzo 2017

Matteo Renzi Nemesi vuole che già Dante Alighieri, fiorentino, esiliato per giunta dalla sua città, scrivesse nel Purgatorio che «rade volte risurge per li rami l’umana probitate», cioè che poco spesso le virtù dei padri (di conseguenza i difetti) passano ai figli. E questo perché, nella visione medievale dei destini, spettava solo a Dio diffondere sapienza e virtù. Ecco perché l’inchiesta firmata da Emiliano Fittipaldi e Nello Trocchia , che mette in luce un “sodalizio” e rivela nuovi, importanti elementi nelle relazioni pericolose - in terra di Toscana - fra Tiziano Renzi, padre dell’ex premier ed ex segretario Pd Matteo, Denis Verdini, ex berlusconiano legato ai Renzi da avventure di altri tempi e poi divenuto stampella del governo piddino, e Luca Lotti ci pone di fronte a una questione fondamentale. Quella di sapere, con certezza, cosa Matteo Renzi sapesse, direttamente o indirettamente, rispetto ai fatti ipotizzati nell’inchiesta Consip. Ombre che si stendono su tre figure chiave: il genitore, l’alleato scomodo, l’amico e fedelissimo di governo.

Non si tratta di fare congetture. La partita politica che Renzi sta giocando ha avuto inciampi senza bisogno di passare dal fascicolo di un pm. Non possiamo affermare, perché è una circostanza di cui l’indagine non si occupa, che il Renzi politico, il Renzi premier, il Renzi segretario avesse un qualsiasi tipo di ruolo, ma proprio perché la storia che raccontiamo lascia zone grigie, abbiamo il dovere di porre alcune domande. E chiediamo che sia l’ex presidente del Consiglio a rispondere. Presidente, era al corrente di ciò che avveniva, o tutto è stato fatto a sua insaputa? L’amministratore della Consip, Luigi Marroni, nominato dal suo governo, le aveva mai fatto cenno a presunte sollecitazioni, inviti da parte di persone a lei così vicine? Nel caso in cui qualcosa le fosse giunto all’orecchio, che cosa è stato fatto per porre fine a tutto questo? Per prendere le distanze, politicamente prima di tutto, da qualcosa che somiglia a un groviglio di relazioni che si vuol mutare in “sistema”. E se invece non è così, questo significa che c’è un uomo ai vertici di una società pubblica come la Consip che avrebbe ricostruito di fronte ai magistrati una realtà immaginaria? Perché allora Marroni sta ancora al suo posto?

Alla vigilia delle primarie del Pd, in questo clima surreale di guerra per bande, di militanti che rinfacciano ad altri militanti un primato della sinistra che, se esistesse, avrebbe evitato per sua stessa natura uno scontro di questa portata, è auspicabile che sia Matteo Renzi a spiegarci tutto. A dirci che idea s’è fatto del ruolo del su’ babbo Tiziano, dell’alleato Verdini e dell’amico Lotti nella vicenda Consip. Questo se Renzi intende provare a vincere e governare di nuovo. Come ha ripetuto in ogni occasione con il suo aforisma post-referendario: «Posso rinunciare alla poltrona ma non alla passione per la politica». Ecco. La risposta della magistratura ci interessa, com’è ovvio. E la aspetteremo. Ma oggi interessa prima di tutto la sua risposta politica. A noi, certamente. Ma di più al Paese.
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Re: Renzi

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Inchiesta Consip, una domanda a Matteo Renzi: fu tutto a sua insaputa?
L'ex premier, la Toscana, le relazioni pericolose che emergono dai legami tra il padre Tiziano, Verdini e Lotti. L'Espresso le racconta nel numero in edicola da domenica. Ora il politico deve spiegare
di Tommaso Cerno
02 marzo 2017
Matteo Renzi Nemesi vuole che già Dante Alighieri, fiorentino, esiliato per giunta dalla sua città, scrivesse nel Purgatorio che «rade volte risurge per li rami l’umana probitate», cioè che poco spesso le virtù dei padri (di conseguenza i difetti) passano ai figli. E questo perché, nella visione medievale dei destini, spettava solo a Dio diffondere sapienza e virtù. Ecco perché l’inchiesta firmata da Emiliano Fittipaldi e Nello Trocchia , che mette in luce un “sodalizio” e rivela nuovi, importanti elementi nelle relazioni pericolose - in terra di Toscana - fra Tiziano Renzi, padre dell’ex premier ed ex segretario Pd Matteo, Denis Verdini, ex berlusconiano legato ai Renzi da avventure di altri tempi e poi divenuto stampella del governo piddino, e Luca Lotti ci pone di fronte a una questione fondamentale. Quella di sapere, con certezza, cosa Matteo Renzi sapesse, direttamente o indirettamente, rispetto ai fatti ipotizzati nell’inchiesta Consip. Ombre che si stendono su tre figure chiave: il genitore, l’alleato scomodo, l’amico e fedelissimo di governo.

Non si tratta di fare congetture. La partita politica che Renzi sta giocando ha avuto inciampi senza bisogno di passare dal fascicolo di un pm. Non possiamo affermare, perché è una circostanza di cui l’indagine non si occupa, che il Renzi politico, il Renzi premier, il Renzi segretario avesse un qualsiasi tipo di ruolo, ma proprio perché la storia che raccontiamo lascia zone grigie, abbiamo il dovere di porre alcune domande. E chiediamo che sia l’ex presidente del Consiglio a rispondere. Presidente, era al corrente di ciò che avveniva, o tutto è stato fatto a sua insaputa? L’amministratore della Consip, Luigi Marroni, nominato dal suo governo, le aveva mai fatto cenno a presunte sollecitazioni, inviti da parte di persone a lei così vicine? Nel caso in cui qualcosa le fosse giunto all’orecchio, che cosa è stato fatto per porre fine a tutto questo? Per prendere le distanze, politicamente prima di tutto, da qualcosa che somiglia a un groviglio di relazioni che si vuol mutare in “sistema”. E se invece non è così, questo significa che c’è un uomo ai vertici di una società pubblica come la Consip che avrebbe ricostruito di fronte ai magistrati una realtà immaginaria? Perché allora Marroni sta ancora al suo posto?

Alla vigilia delle primarie del Pd, in questo clima surreale di guerra per bande, di militanti che rinfacciano ad altri militanti un primato della sinistra che, se esistesse, avrebbe evitato per sua stessa natura uno scontro di questa portata, è auspicabile che sia Matteo Renzi a spiegarci tutto. A dirci che idea s’è fatto del ruolo del su’ babbo Tiziano, dell’alleato Verdini e dell’amico Lotti nella vicenda Consip. Questo se Renzi intende provare a vincere e governare di nuovo. Come ha ripetuto in ogni occasione con il suo aforisma post-referendario: «Posso rinunciare alla poltrona ma non alla passione per la politica». Ecco. La risposta della magistratura ci interessa, com’è ovvio. E la aspetteremo. Ma oggi interessa prima di tutto la sua risposta politica. A noi, certamente. Ma di più al Paese.
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Re: Renzi

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IL PUNTO DI VISTA DI MARCO VENTURINI




Politica

Renzi non è cambiato, ed è destinato a scomparire

di Marco Venturini | 5 marzo 2017

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Più informazioni su: Beppe Grillo, Comunicazione Politica, Consip, Matteo Renzi, Tiziano Renzi

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Marco Venturini

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Dal nuovo scontro con Beppe Grillo, all’ultima apparizione televisiva a Otto e mezzo, è chiaro che Renzi non ha capito la lezione del referendum.

La sua comunicazione è rimasta invariata, è la stessa che portandolo alla sconfitta del 4 dicembre l’ha costretto a “dimettersi da tutto”, come dice lui. Ma lui dice anche di aver compreso di aver fatto molti errori. Però non cambia, mentre da uno che ammette di aver sbagliato ci si aspetta questo.

Renzi quindi, dato che non cambia, è destinato a scomparire. La natura su questo non fa sconti: o ti evolvi o ti estingui. Vale in tutto, anche nella comunicazione politica.

Quando oggi critico la sua comunicazione sono obiettivo: sono la stessa persona che prima del voto alle europee, che Renzi ha vinto col 40,8%, scrisse un ebook per dire che era un ottimo comunicatore. Questa è una qualità che gli riconoscevano anche gli avversari.



Ma dove sta sbagliando oggi Renzi? Vediamo la lettera di risposta all’attacco di Grillo sul caso Consip in cui è indagato anche il padre di Renzi, Tiziano. Grillo, in un passaggio del suo post accusa Renzi di essere un “menomato morale” che “dice: ‘per mio padre doppia condanna’, lo esclama così, con l’intensità morale di un’ordinazione al bar del circolo dei compagni di merende. Sono prime pagine che non si possono leggere le uniche cose comprensibili sono schifezze”.

Renzi risponde a Grillo e credo sia molto felice di farlo, perché questo lo riporta ai tempo andati, quando era alla guida del Governo. Renzi ovviamente difende il padre. E’ comprensibile, quindi non mi soffermo su questo, ma su altri dettagli più interessanti a livello comunicativo.






Renzi inizia così: “Caro Beppe Grillo, ti rispondo da blog a blog”. Che vuol dire con “da blog a blog”? Non è che basta aprire un blog e da oggi a domani si diventa, come il M5S, una community online vasta e attiva (ciò che manca al Pd oggi e che Renzi ha sottolineato alcune volte).

E’ lo stesso errore che stanno facendo gli scissionisti del Pd e le formazioni che si stanno creando a destra, decidendo di smettere di chiamarsi partito chiamandosi “movimento”. E’ vero che il M5S è la forza politica più attrattiva, che resta prima nei sondaggi. Ma pensare che copiandolo si diventi attraenti come lui è un errore.

Una delle regole del marketing (che vale anche nel marketing politico) dice che se imiti un concorrente, ma tu non sei il primo della categoria, stai facendo pubblicità a lui. Faccio un esempio: se tu sentissi alla radio lo spot di un’auto che dice “la rossa sportiva”, a quale macchina penseresti? Alla Ferrari, giusto? Quindi, se Audi decidesse di descriversi così, perché “la Ferrari piace a tutti”, coi suoi spot non farebbe altro che far venire in mente a tutti l’originale: la Ferrari.

Nella migliore delle ipotesi quando copi il primo della categoria (il M5S è il “movimento” più famoso d’Italia) si diventa la seconda scelta, mentre a parità di prezzo – come alle elezioni, dove votare non ha un costo economico – le persone scelgono sempre l’originale.

L’abbiamo visto al referendum: Renzi ha copiato i temi del M5S parlando per esempio di taglio dei costi della politica e diminuzione dei parlamentari ma non è stato creduto e gli elettori hanno scelto l’originale, che nella battaglia contro i costi della Casta è, appunto, il M5S.

Andiamo avanti con la risposta di Renzi a Grillo. In un passaggio interessante dice: “Quando è stata indagata Virginia Raggi io ho difeso la sua innocenza che tale rimane fino a sentenza passata in giudicato”. E’ vero e credo abbia fatto bene a difendere la Raggi. Lo dissi subito, ma scrissi anche che si trattava di una strategia “domani, di fronte a un attacco 5 stelle su indagini nel Pd, potrà ricordare questo momento”. E’ ciò che ha fatto nella lettera.


Ma la parte tremenda della lettera arriva più avanti. Renzi difende il “babbo” ricordando: “Mi ha tolto le rotelline dalla bicicletta, mi ha iscritto agli scout, mi ha accompagnato trepidante a fare l’arbitro di calcio, mi ha educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini, mi ha riportato a casa qualche sabato sera dalla città, mi ha insegnato l’amore per i cinque pastori tedeschi che abbiamo avuto, mi ha abbracciato quando con Agnese gli abbiamo detto che sarebbe stato di nuovo nonno…”

E quindi? Basta questo per formare di lui un giudizio positivo? Inoltre tutti i nostri genitori hanno fatto più o meno le stesse cose di cui parla Renzi, come togliere le ruote alla bicicletta, iscriverci per fare sport eccetera. Cosa c’è di eroico? E’ bello, certo, ma cosa c’entra col caso Consip?

Giudicai il peggior discorso del 2015 quello di Maria Elena Boschi che per difendere il padre durante lo scandalo di banca Etruria raccontò: “Mio padre, figlio di contadini, per andare a scuola e diplomarsi ogni giorno faceva 5 chilometri a piedi all’andata, 5 al ritorno e 40 minuti di treno”.

E allora? Oltre a non essere niente di straordinario quello che hanno raccontato dei loro padri – ripeto, sono storie presenti in tutte le famiglie – perché questo dovrebbe convincerci che non c’entrano nulla con gli scandali?

Il problema di base nell’ostinazione comunicativa di Renzi è che in realtà lui è ossessionato da Grillo e dal M5S. Non pensa ad altro. Dalla Gruber ha tirato in mezzo la condanna di Grillo, anche se nessuno aveva ancora nominato il M5S e in ogni suo discorso in piazza o alla direzione Pd parte con l’attacco ai 5 Stelle.

Perché lo fa? Perché il suo piano era quello di soffiare a Grillo il tema del cambiamento della classe politica, che aveva dato al M5S un grande risultato nel 2013. Renzi per un po’ ci è riuscito, con la “rottamazione”. Ma la sua incoerenza, quando invece di rottamare i vecchi arnesi della Casta ha riabilitato Berlusconi, Verdini, Alfano e altri, gli ha fatto perdere credibilità. Così Renzi è apparso più uno del sistema che anti-sistema, ma non l’ha capito e si ostina a interpretare un ruolo al quale nessuno crede più.

Come è possibile che non se ne renda conto? Perché sta facendo la fine di Berlusconi, si fida solo dei suoi yes men, che chiusi sulla torre d’avorio come lui gli dicono che va tutto bene e che deve continuare così.

Il mondo è cambiato, ci sono Trump e la Le Pen, ma lui parla di “più Europa” e di ottimismo. Chiudendosi nei Palazzi e fra i petali del Giglio magico ha perso il contatto con la realtà. Penso che lui creda di averlo vinto quel referendum.





Marco Venturini
circa un mese fa.

Qui Matteo Renzi incassa con eleganza una vittoria morale. Questa sua linea esposta nel post è un investimento per il futuro: domani, di fronte ad un attacco 5 stelle su indagini nel Pd, potrà ricordare questo momento.

La via più facile è attaccare la Raggi per il Pd, quella più utile è quella di Renzi.
Visto che torniamo a parlare di Renzi ne approfitto per dire una cosa su cui invece sta sbagliando: non parta ora con un nuovo tour, in pullman, a piedi o come vuole. Gli ital...

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Matteo Renzi
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Oggi il Sindaco di Roma ha ricevuto un avviso di garanzia. La nostra Costituzione prevede che tutti i cittadini siano innocenti fino a sentenza passata in giudi...

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di Marco Venturini | 5 marzo 2017
UncleTom
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Re: Renzi

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Analisi
Le primarie del Pd sotto il peso delle inchieste
La corsa alla poltrona di segretario dei democratici sarà influenzata dalla magistratura. Ma oltre i possibili reati c'è una questione politica che investe parenti alleati e nominati di Renzi
di Marco Damilano
06 marzo 2017
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Matteo Renzi «Le favole prima o poi finiscono, le persone restano», ha scritto Matteo Renzi nella sua e-news del 27 febbraio. Parlava dell’esonero di Claudio Ranieri, l’allenatore del Leicester passato in un anno dal trionfo della squadra outsider assoluta in Premier League alla cacciata dalla panchina. «Gli stessi che esaltavano l’impresa, hanno maramaldeggiato sul mister romano. Ma chi conosce Ranieri sa che lui tornerà, mentre i giocatori che l’hanno tradito... chissà».

Ma è impossibile non pensare che l’ex premier alluda ad altro: a chi sta scendendo dal suo carro, a chi lo sta sostenendo con scarso entusiasmo, a chi non lo ha tradito oggi perché si prepara a farlo domani. Della prima categoria fanno parte i due contendenti alle primarie del 30 aprile per eleggere il segretario del Pd. Il primo, Michele Emiliano, all’ultimo congresso fu tra i maggiori sponsor della candidatura Renzi: al punto che l’allora sindaco di Firenze decise di lanciare la sua candidatura a Bari, il 12 ottobre 2013, con il collega e padrone di casa Emiliano nelle prime file, in un salone della Fiera del Levante enorme e grigio, come tutto in quel pomeriggio: grigia la platea, grigio il fondale, grigio il cielo, grigio perfino il mare. L’altro competitore, Andrea Orlando, appoggiò la candidatura di Gianni Cuperlo, ma fu il primo ad ammettere la sconfitta e a lanciare la strategia della collaborazione con il nuovo segretario: «La vittoria di Renzi è un segnale molto netto di cambiamento che dobbiamo sapere interpretare e raccogliere».

tre sono avversari, per la guida del Pd frantumato e spezzato dalla scissione di Pier Luigi Bersani. E si ritrovano a gareggiare sul terreno più inatteso e pericoloso, quello della giustizia. Orlando è il ministro di via Arenula da quattro anni, da quando Giorgio Napolitano al Quirinale depennò dalla lista dei ministri del governo che stava per nascere il nome del magistrato Nicola Gratteri e Renzi inserì quello del capo dei giovani turchi Pd.

Emiliano è un magistrato in aspettativa e il Csm dovrà pronunciarsi su di lui per la sua iscrizione a un partito. E Renzi si vede accostato a una importante inchiesta giudiziaria in cui, al di là del profilo penale, rischia di essere messo politicamente sotto accusa l’intero sistema di potere costruito in tre anni di governo: parenti, amici, alleati, nominati.

Il Contesto, lo avrebbe chiamato Leonardo Sciascia, che fa da sfondo al lavoro delle procure di Roma e di Napoli. In cui manca un solo aspetto: il partito. Un pianeta sconosciuto negli anni del renzismo trionfante. Nelle primarie chiamate a scegliere il segretario del Pd irrompe il fattore M, teorizzato dal politologo Mauro Calise: magistratura e media. Come accadde venticinque anni fa, nel 1992 dell’operazione Mani Pulite: torna la proporzionale, tornano le scissioni a sinistra. E tornano anche le inchieste giudiziarie. Con una variante finora inedita. Non si era mai visto, per esempio, un candidato alla segreteria che va in Procura per testimoniare contro il cerchio magico di un altro candidato, per di più segretario uscente e ex premier.

E invece Emiliano è stato chiamato a testimoniare di fronte ai magistrati di Roma sul caso Consip, sugli sms già mostrati al Fatto Quotidiano in cui il ministro Luca Lotti, braccio destro di Renzi, dimostrava di conoscere l’imprenditore Carlo Russo, amico di Tiziano il padre dell’ex premier, e consigliava a Emiliano di incontrarlo (su domanda del presidente pugliese). Il terzo candidato, il ministro della Giustizia, invita a bloccare il fango che potrebbe abbattere tutta la casa, il partito. Ma è un appello che appare rituale e inutile, perché la guerra è appena cominciata. E al centro c’è Matteo Renzi.

La favola si è spezzata, l’ex premier lo sa bene, non il 4 dicembre 2016, il giorno del rovinoso referendum costituzionale, ma esattamente un anno prima, il 13 dicembre 2015. Quando, nel pieno dell’edizione annuale dell’incontro alla stazione Leopolda, che sta ai renziani come il pellegrinaggio alla Mecca ai musulmani, cominciò sul piano politico e mediatico il caso di Banca Etruria: il suicidio di un pensionato, l’attacco di Roberto Saviano, il silenzio del ministro Maria Elena Boschi, assente per quasi tutta la giornata. Nell’intervento finale Renzi affrontò la questione. Ma invece di parlare della Boschi e di suo padre (vice-presidente di Banca Etruria nel periodo sotto inchiesta), il premier preferì mettere in scena una specie di dialogo tra lui e suo padre Tiziano a proposito delle vicende giudiziarie: «Mio padre mi sta accusando di sbagliare strategia contro le insinuazioni e le continue polemiche. Ha ricevuto un avviso di garanzia quindici mesi fa, non ieri. Si è sentito crollare il mondo addosso, lui che un giorno sì e l’altro pure parlava di onestà. Gli abbiamo detto: “nessuno dubita di te”. Lui però risponde: “I giornali, le provocazioni, i comunicati... voglio replicare”. Non è semplicissimo dirgli: “zitto e aspetta”. Ma su questo non dirò mezza parola perché penso che il rispetto tra i poteri sia tra le migliori cose dell’Italia».

Lessico famigliare. Quindici mesi ci fu il dubbio che il dialogo tra padre e figlio interpretato davanti alle telecamere fosse in realtà un artificio retorico, per mettere in scena un contrasto tra il premier e il ministro Boschi, o addirittura tra due spinte interne allo stesso Renzi: quella che lo trascinava allo scontro contro i magistrati e i media e quella che gli consigliava prudenza e rispetto.

Ma oggi lo storytelling di casa Renzi torna di attualità, con l’indagine che coinvolge in prima persona Tiziano, questa volta non come imprenditore dell’azienda di famiglia ma - secondo l’accusa e il supertestimone Luigi Marroni, ad della Consip - come rappresentante di un sistema che non sarebbe stato possibile senza la presenza di Matteo a Palazzo Chigi.

Anche oggi, in prima battuta, prevale in Renzi la linea del rispetto e della prudenza. «Conosco mio padre, ma aspetto i processi e il termine del lavoro dei magistrati: se qualcuno ha sbagliato deve pagare», ha ripetuto Renzi in questi giorni. Nessun attacco ai pm. Ma nell’attesa che l’inchiesta faccia il suo corso e che si arrivi, eventualmente, a un processo, gli ultimi sviluppi smontano in modo definitivo la favola renziana. Quella che recitava più o meno così: c’era una volta un ragazzo di Rignano, outsider senza nessuno alle spalle, che scalò la politica nazionale fino ad arrivare a Palazzo Chigi senza aver fatto un giorno da parlamentare...

La favola si capovolge nel suo opposto. La sana provincia toscana da cui viene il premier appare una ghirlanda, intrecciata e asfissiante, come quella di cui scrisse Luciano Mecacci a proposito del delitto di Giovanni Gentile nel 1944. Prima ancora che un catalogo di reati, da dimostrare e da accertare, ed è il compito della magistratura, le affermazioni dell’ad di Consip raccontano di un’incredibile confusione di ruoli e di livelli, non meno gravi sul piano politico.

All’ombra del giovane premier, impegnato a governare l’Italia, si agitano i petali del Giglio, fin troppo. Si forma una zona grigia in cui si incrociano i beneficiati del nuovo potere: i nominati ai vertici delle partecipate di Stato, i plenipotenziari, le forze di sicurezza e perfino il pater familias che invade ambiti non suoi e che si qualifica pronunciando soltanto il nome, anzi, il cognome. Matteo non viene mai evocato, ma è la causa implicita, innominata, che tutto muove. Perché solo l’aspettativa all’interno degli apparati dello Stato di una lunga stagione di comando renziano, dieci anni come preconizzato dall’allora premier («farò al massimo due mandati e poi mi ritiro») o ancora di più, come temevano gli avversari, spiega questa sovrapposizione dei piani.
L'inchiesta esclusiva su Giglio Nero, ovvero le storture del Giglio magico e i tentativi che avrebbero fatto il padre di Matteo Renzi, Denis Verdini e il faccendiere Carlo Russo per sedersi al tavolo degli appalti. Uno scandalo politico che racconta un sistema di potere che ha dominato il Paese ma che troppo spesso si è infilato in storie poco chiare. Questo è il racconto di Emiliano Fittipaldi e Nello Trocchia in edicola sull'Espresso domenica 5 marzo

Sotto il grande leader ci sono piccoli interessi, rivalità, localismi, familismi. Non è una novità nella politica italiana. Di nuovo c’è che nella stagione della personalizzazione estrema della politica i parenti e gli amici finiscono per sostituire le strutture di partito e perfino di governo. Nell’incapacità di costruire una classe dirigente più ampia, nella creazione di gruppi sempre più chiusi e asfittici, nella mancanza di fiducia verso chi non appartiene ai fedelissimi di sempre, si nascondono le premesse delle reti informali, non legittimate da nessuno, in cui poi diventano possibili gli arbitri e gli abusi di potere. È la lezione degli ultimi mesi, toccata anche al Movimento 5 Stelle: i cerchi, i gigli e i raggi magici finiscono per soffocare il leader che inconsapevole o no li ha prodotti o ne ha fatto uso.

E ora le primarie per Renzi si complicano, così come tutto il resto: il percorso verso le prossime elezioni, il rapporto con il governo Gentiloni, la guerra contro gli scissionisti del Pd, il futuro della sua leadership. E assume un significato diverso la frase dell’ex tesoriere Ds Ugo Sposetti di qualche giorno fa: «Renzi? Chi l’ha detto che alla fine il segretario sarà lui?».
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http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

PER CHI SUONA LA CAMPANA.......




8 mar 2017 14:00

"UN GALLO SU UN MUCCHIO DI MACERIE"


– DE PROFUNDIS DI FOLLI, QUESTO SARA’ RENZI SE VINCE LE PRIMARIE


– IL “SUO” NAZARENO CONDANNATO ALL’ISOLAMENTO COL PROPORZIONALE: NESSUNO COMPRA PIU’ LE SUE PROMESSE E NON RIUSCIREBBE A METTERE IN PIEDI UNA COALIZIONE


– MENTRE ANDREA ORLANDO




NON RICOPIO L'ARTICOLO PERCHE' NON E' POSSIBILE PUBBLICARE LA FOTO ALLEGATA, DEI LOTTATORI DI FUMO (EMILIANO - RENZI)

VEDI PERTANTO:
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 143070.htm
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

SPESSO CAPITA DI SENTIRE NEI DISCORSI CON GLI INDIGENI, CHE GLI ITALIANI SONO UN POPOLO DI COGLIONI.

ODDIO, SE OSSERVIAMO IL PUNTO DI NON RITORNO A CUI SIAMO ARRIVATI NON GLI SI PUO’ DAR TORTO.

SOPRATTUTTO, LEGGENDO IL SONDAGGIO DI PAGNONCELLI DI QUALCHE GIORNO FA, IN CUI RIPORTAVA CHE NELLE PRIMARIE DELLA DC 3.0, PINOCCHIO MUSSOLONI ERA IN VANTAGGIO CON L’85% DEI CONSENSI DEMOCRISTIANI.

IL MASSIMO DEL MASOCHISMO, E DEL TAFAZZISMO PERO’ E’ QUESTA NOTIZIA:


I veri costi dell'aereo di Renzi
L'Air Force voluto dall'ex premier costa 76mila euro al giorno.Inaugurato il 2 febbraio 2016, ha volato solo 13 volte

di Chiara Giannini
33 minuti fa
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

IL NUOVO BANDITISMO, PRESENTATOSI 3 ANNI FA SOTTO LE SPOGLIE DELLA ROTTAMAZIONE







Il politico è sotto inchiesta? Non si deve sapere
Pd, i renziani progettano di secretare gli avvisi

Al tavolo del Lingotto la proposta del consigliere Stefano Graziano, indagato e archiviato per concorso
esterno: “Subii gogna mediatica”. Ma della indagine a suo carico si seppe solo dopo le perquisizioni


Politica
L’avviso di garanzia che rimane segreto fino all’eventuale rinvio a giudizio. È in questo modo che intende combattere la cosiddetta “gogna mediatica” Stefano Graziano, consigliere campano del Pd, indagato e poi archiviato per concorso esterno in associazione camorristica (leggi). E poco importa se la notizia arriva da una proroga indagini o – come nel suo caso – quando gli investigatori ordinano una perquisizione. Per Graziano però la soluzione è chiara: è per questo motivo ha proposto di istituire l’avviso di garanzia top secret al tavolo giudiziario del Lingotto a Torino
di F. Q.
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

Dopo il caso Consip, tra i renziani vince il falso garantismo

di Peter Gomez | 12 marzo 2017

| 11
Dall’esito dell’inchiesta Consip dipende buona parte del futuro della magistratura italiana e della libertà di stampa. Se le indagini sulla fuga di notizie e sul traffico d’influenze, che vedono tra i protagonisti il braccio destro di Matteo Renzi, il ministro Luca Lotti, e suo padre Tiziano, finiranno in un nulla di fatto nella prossima legislatura accadrà di tutto. A raccontarcelo sono gli umori, i comportamenti e le parole utilizzate dal popolo del Lingotto e dal loro leader.

Ormai da settimane crescono le analogie tra i ragionamenti di molti renziani e quelle dei fedeli di Silvio Berlusconi. Principi come l’etica nella gestione della cosa pubblica, la moralità dei partiti e il diritto degli elettori di essere informati vengono o messi in discussione o ignorati. Si finge di non sapere che garantismo deve sempre valere nelle aule di tribunale, dove l’imputato va condannato solo al di là di ogni ragionevole dubbio, ma che in politica valgono invece criteri di elementare prudenza. Perché l’interesse generale da proteggere non è quello degli eletti di restare al loro posto (legge Severino permettendo), ma quello dei cittadini di non rischiare, anche potenzialmente, di essere amministrati dei delinquenti o da dei loro amici.

Proprio per questo, nelle democrazie mature, l’establishment politico ha tra i suoi compiti quello di valutare, caso per caso, chi ha scelto di farne parte: non sempre essere indagati comporta l’obbligo di dimissioni, non sempre non esserlo dà il diritto di sedere su una poltrona importante. Questo concetto era chiaro anche a Renzi fino a qualche tempo fa. Sotto altri governi i seguaci dell’ex premier chiesero giustamente e inutilmente le dimissioni del ministro Angelino Alfano per il caso Shalabayeva, pretesero e ottennero quelle del ministro Josefa Idem e quando il ministro Federica Guidi si fece da parte, senza nemmeno essere sotto inchiesta, plaudirono alla sua “responsabilità istituzionale”.

Ora tutto è cambiato. Vince il falso garantismo. Che, alle prossime elezioni politiche, porterà verosimilmente a contro-riforme condivise tra Pd, Forza Italia, alfaniani e verdiniani (la probabile futura alleanza di governo) per controllare l’attività dei pubblici ministeri e imbavagliare la stampa. Le prove generali le abbiamo già viste: la norma introdotta di nascosto per costringere gli investigatori a riferire in tempo reale e in via gerarchica il contenuto delle indagini ai vertici delle forze di polizia (di nomina governativa), la decisione di non far andare in pensione una serie di alti magistrati (ritenuti particolarmente affidabili) e non tutti gli altri, la futura legge delega sulle intercettazioni con tetto di spesa annuale prefissato.

Molto però, dicevamo, dipende dall’esito dell’inchiesta Consip. Visto che l’affarismo e i fatti fin qui emersi sono difficili da negare, si spera in una soluzione processuale che li faccia dimenticare.

Legittimamente le difese batteranno due strade. Tentare di far dichiarare inutilizzabili per l’ipotesi di traffico d’influenza le intercettazioni concesse per un reato più grave (la legge è nuova è non c’è quasi giurisprudenza) e far sì che Luigi Marroni, il manager renziano testimone chiave contro Lotti, interrogato dagli avvocati dica qualcosa di auto-indiziante. Se finisce indagato le sue parole avranno tutto un altro valore. E l’inchiesta, resa difficilissima dalle fughe di notizie pilotate, finirà per sgonfiarsi. Solo dal punto di vista penale, ovvio. Ma in tempi di etica pubblica gettata all’ortiche questo a Renzi basta e avanza.
UncleTom
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Re: Renzi

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GEPPETTO



12 mar 2017 18:41

TIZIANO RENZI SI ATTACCA ALLA MADONNA DI MEDJUGORJE


- ROSARIO IN MANO E ZAINETTO IN SPALLA, ACCOMPAGNATO DALLA MOGLIE LAURA, CONTABILE DI CASA, TIZIANO SI È DIRETTO ALLA COLLINA DELLE APPARIZIONI MA È COSTRETTO A RIPARTIRE DI GRAN CARRIERA IL GIORNO DOPO INFURIATO PER I CRONISTI CHE LO ASPETTANO -




Massimo Vanni per Repubblica.it



Lontano dalle polemiche, lontano dall' inchiesta Consip. Lontano anche dal Lingotto, dove suo figlio Matteo lancia la sua ripartenza verso la segreteria del Pd. Tiziano Renzi ripara a Medjugorje, in Bosnia Erzegovina. Nella sua amata Medjugorje, dove dal 1989 si reca due volte all' anno.

Stavolta, dopo gli ultimi, difficili giorni trascorsi a Rignano, tra le tensioni figlie dell' inchiesta e quelle politiche con il sindaco Daniele Lorenzini. Solo che riparte di gran carriera il giorno dopo all' ora di pranzo, scaraventando trolley e borse in macchina, infuriato per i cronisti che lo aspettano.

«Troppe polemiche su di me, lascio l' incarico di segretario del circolo e me ne vado per qualche giorno a Medjugorje», aveva detto al parroco don Giovanni Nerbini e al partito rignanese prima di mettersi in viaggio. Così, dopo un lungo viaggio per Trieste, la Slovenia e la Croazia a bordo della Tuareg nera, era arrivato venerdì sera a Medjugorje.


«L'ultimo avamposto cattolico d' Occidente, perché da qui al Giappone non s' incontrano altri cattolici», dice Michele Vasilj, la guida dei pellegrini italiani. E ieri mattina, rosario in mano e zainetto nero in spalla, accompagnato dalla moglie Laura, Tiziano si è diretto senza deviazioni alla collina delle apparizioni, in fondo al paese cresciuto di botto con un florilegio di hotel, pizzerie e negozi di souvenir.


Sì è arrampicato sulle pietre appuntite della collina, come già aveva fatto. Salendo fino alla statua della Madonna che ricorda la prima apparizione, nel lontano 25 giugno 1981. Dieci anni esatti prima dello scoppio della guerra nei Balcani. Una breve preghiera davanti alla statua della Madonna con la mano destra sul petto e la sinistra tesa in avanti. La stessa statua a cui Tiziano voleva ispirarsi per una copia da posare all' ingresso dell' ospedale Meyer e che, secondo quanto raccontato ai magistrati, era il vero oggetto dei suoi incontri con l' ad del Consip Luigi Marroni.


Renzi senior è poi ridisceso con cautela, attento a dove mettere i piedi. Poi, mano nella mano con la moglie, si è incamminato con l' immancabile toscano in bocca ai bordi dell' abitato, per strade sterrate e sentieri di campagna, fino all' hotel Dina, un tre stelle ad appena 100 metri dalla chiesa di Medjugorje, che ogni anno accoglie due milioni di pellegrini, circa la metà italiani.


Per tutto il percorso babbo Renzi non ha voluto dire niente, non una sola parola. Ha solo ostentato un gesto con la mano per significare che non avrebbe detto niente. E poi un altro gesto ancora, per invitare i cronisti ad allontanarsi. Il tempo di infilare un paio di jeans e poco dopo le 13 è riapparso con le valigie in mano. Lui e la moglie hanno disdetto la prenotazione dopo aver pagato 50 euro per la notte e, visibilmente stizziti, sono rimontati in auto lasciandosi Medjugorje alle spalle. Difficilmente sarà presente domani sera all' assemblea del Pd di Rignano.
UncleTom
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

Politica | Di F. Q.


“Legalità e garantismo. Lavoro si crea
L’amarcord non serve ad aiutare deboli”
Renzi glissa su Consip e attacca sinistra


ADESSO, MA ANCHE PRIMA, SI CREDE UN DIO.
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