Renzi
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Re: Renzi
Pseudologia fantastica
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Per pseudologia fantastica (o mitomania o bugia patologica) si intende un'elaborazione intenzionale e dimostrativa di esperienze o eventi molto poco probabili e facilmente confutabili[1]. In un lavoro del 2012 Katie Elizabeth Treanor la definisce «l'abituale, prolungata e ripetuta produzione di mistificazioni, spesso di natura complessa e fantasiosa (...), bugie facilmente mascherabili che non vengono utilizzate per ottenere un tornaconto materiale o qualsivoglia vantaggio sociale, quanto per accrescere la propria autostima o proteggersi dal giudizio altrui»[2].
Spesso il paziente fa sue, come vissute, le esperienze che inventa di sana pianta. Il suo cervello elabora ricordi come se fossero momenti realmente vissuti.
Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]
La pseudologia fantastica è una categoria nosografica ancora discussa in psichiatria[3][4], descritta per la prima volta da Anton Delbrück nel 1891[5], caratterizzata dal ricorso abituale alla bugia. Si ritrova in soggetti istrionici o psicopatici (i cosiddetti "bugiardi patologici") e può riguardare i più disparati eventi o argomenti (per esempio: luoghi diversi, avventure galanti, situazioni improbabili, ecc.), talora amplificati parossisticamente fino a raggiungere gradi altissimi di inverosimiglianza. Viene giudicata un prodotto diretto dell'immaginazione: non dipende pertanto dai deficit di memoria e non deve quindi essere confusa con le confabulazioni.[1]
Caratteristiche principali della pseudologia fantastica sono le seguenti:[senza fonte]
Le storie raccontate sono di solito avvincenti e fantasiose, ma non vanno mai oltre la realtà. La possibilità di verità è la chiave di sopravvivenza del bugiardo patologico. Non sono dovute a manifestazioni di depressione o ad una psicosi più ampia: durante il confronto il bugiardo patologico può ammettere che le storie non sono vere, anche se controvoglia.
La tendenza ad inventare storie è cronica; non è provocata dalla situazione immediata o da pressioni sociali, ma più da un innato tratto della personalità.
Un motivo totalmente personale, e non esterno, serve a discernere la patologia clinicamente: es., situazioni pericolose o di stress possono indurre una persona a mentire ripetutamente, senza evidenza di un reale sintomo patologico.
Le storie raccontate tendono a dipingere come positiva la persona del narratore. Il bugiardo "decora la sua stessa persona" raccontando storie che lo presentano come eroe o come vittima. Per esempio, la persona si presenta nelle storie come estremamente coraggiosa, dice di conoscere persone importanti e famose, o dice di guadagnare più soldi di quanti ne guadagni in realtà.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Per pseudologia fantastica (o mitomania o bugia patologica) si intende un'elaborazione intenzionale e dimostrativa di esperienze o eventi molto poco probabili e facilmente confutabili[1]. In un lavoro del 2012 Katie Elizabeth Treanor la definisce «l'abituale, prolungata e ripetuta produzione di mistificazioni, spesso di natura complessa e fantasiosa (...), bugie facilmente mascherabili che non vengono utilizzate per ottenere un tornaconto materiale o qualsivoglia vantaggio sociale, quanto per accrescere la propria autostima o proteggersi dal giudizio altrui»[2].
Spesso il paziente fa sue, come vissute, le esperienze che inventa di sana pianta. Il suo cervello elabora ricordi come se fossero momenti realmente vissuti.
Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]
La pseudologia fantastica è una categoria nosografica ancora discussa in psichiatria[3][4], descritta per la prima volta da Anton Delbrück nel 1891[5], caratterizzata dal ricorso abituale alla bugia. Si ritrova in soggetti istrionici o psicopatici (i cosiddetti "bugiardi patologici") e può riguardare i più disparati eventi o argomenti (per esempio: luoghi diversi, avventure galanti, situazioni improbabili, ecc.), talora amplificati parossisticamente fino a raggiungere gradi altissimi di inverosimiglianza. Viene giudicata un prodotto diretto dell'immaginazione: non dipende pertanto dai deficit di memoria e non deve quindi essere confusa con le confabulazioni.[1]
Caratteristiche principali della pseudologia fantastica sono le seguenti:[senza fonte]
Le storie raccontate sono di solito avvincenti e fantasiose, ma non vanno mai oltre la realtà. La possibilità di verità è la chiave di sopravvivenza del bugiardo patologico. Non sono dovute a manifestazioni di depressione o ad una psicosi più ampia: durante il confronto il bugiardo patologico può ammettere che le storie non sono vere, anche se controvoglia.
La tendenza ad inventare storie è cronica; non è provocata dalla situazione immediata o da pressioni sociali, ma più da un innato tratto della personalità.
Un motivo totalmente personale, e non esterno, serve a discernere la patologia clinicamente: es., situazioni pericolose o di stress possono indurre una persona a mentire ripetutamente, senza evidenza di un reale sintomo patologico.
Le storie raccontate tendono a dipingere come positiva la persona del narratore. Il bugiardo "decora la sua stessa persona" raccontando storie che lo presentano come eroe o come vittima. Per esempio, la persona si presenta nelle storie come estremamente coraggiosa, dice di conoscere persone importanti e famose, o dice di guadagnare più soldi di quanti ne guadagni in realtà.
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Re: Renzi
Io riesco a comprendere, ed ammettere, che in natura possano essere presenti soggetti istrionici e psicopatici inclini alla mitomania alla bugia patologica.
Il primo ad evidenziarlo sulla stampa fu a suo tempo Indro Montanelli con Berlusconi.
Non scese mai in particolari clinici, ma si limitò a raccontare la sua breve esperienza con l’ex cavaliere, evidenziando solo che Silvietto “credeva alle balle che raccontava.”
Vent’anni dopo, è comparso sulla scena politica il toscanissimo Pinocchio Mussoloni che ha surclassato la vecchia mummia cinese, con un volume di palle ben superiore, e non distribuite a piccole dosi nel tempo.
Quello che non riesco a comprendere è perché dopo la sonora batosta del 4 dicembre 2016 abbia ancora un seguito così numeroso.
Parlando con amici, della performance di Torino, spiegavo la mia mancanza di comprensione delle reazioni del pubblico in platea.
Posso sforzarmi di ammettere che Chiamparino potesse applaudire alla nuova edizione delle Balle di Pinocchio Mussoloni. Oppure il ministro Martina. Sono due signor NESSUNO.
Posso capire Gentiloni che con la sua presenza mette al riparo la sua prima (ed ultima) esperienza di governo.
Ma Fassino, tra l’altro ex segretario dei Ds di formazione Pci, è inspiegabile.
Mi è stato risposto che è l’interesse a spingerli ad applaudire al Lingotto.
L’interesse per la poltrona con annessi e connessi riesco a comprenderlo.
Dopo De Gasperi, nella Dc 1.0, funzionava così. E ha funzionato così anche nella Dc 2.0 e funziona così anche nella Dc 3.0.
Ma i personaggi erano diversi.
Raccontavano balle anche loro ma in minima parte. In dose leggera.
Qui, invece al Lingotto, sono ripartiti con il secondo tempo della balle massicce da Pseudologia Fantastica.
Qui la accettazione incondizionata delle BALLE, per interesse della poltrona non regge più.
La ricerca scientifica sulla Pseudologia Fantastica si limita ai soggetti che la praticano.
Ma non spiega i soggetti che la subiscono.
Nella vita di tutti i giorni si può sempre incontrare un soggetto che pratica la Pseudologia Fantastica.
Ma solitamente non vanno più in là di tanto nel contrasto.
Contento lui delle balle che racconta, contenti tutti. Perché non produce nessun danno alla società.
Non sposta niente.
Ma le balle 2.0 del Lingotto influiscono sulla politica italiana già allo sbando totale.
Anche coloro che non devono elemosinare una poltrona per vivere, perché sono ultra pensionati in questi giorni hanno rialzato la cresta.
Non riesco a vedere il loro tornaconto personale quando affermano:
“E’ IL MIGLIOR STATISTA CHE ABBIAMO”
E’ necessario a questo punto che la comunità della ricerca scientifica si occupi seriamente degli effetti che la Pseudologia Fantastica producono, sui soggetti umani.
Pinocchio Mussoloni in Italia, Donald Adolf Trump, negli Usa.
Il primo ad evidenziarlo sulla stampa fu a suo tempo Indro Montanelli con Berlusconi.
Non scese mai in particolari clinici, ma si limitò a raccontare la sua breve esperienza con l’ex cavaliere, evidenziando solo che Silvietto “credeva alle balle che raccontava.”
Vent’anni dopo, è comparso sulla scena politica il toscanissimo Pinocchio Mussoloni che ha surclassato la vecchia mummia cinese, con un volume di palle ben superiore, e non distribuite a piccole dosi nel tempo.
Quello che non riesco a comprendere è perché dopo la sonora batosta del 4 dicembre 2016 abbia ancora un seguito così numeroso.
Parlando con amici, della performance di Torino, spiegavo la mia mancanza di comprensione delle reazioni del pubblico in platea.
Posso sforzarmi di ammettere che Chiamparino potesse applaudire alla nuova edizione delle Balle di Pinocchio Mussoloni. Oppure il ministro Martina. Sono due signor NESSUNO.
Posso capire Gentiloni che con la sua presenza mette al riparo la sua prima (ed ultima) esperienza di governo.
Ma Fassino, tra l’altro ex segretario dei Ds di formazione Pci, è inspiegabile.
Mi è stato risposto che è l’interesse a spingerli ad applaudire al Lingotto.
L’interesse per la poltrona con annessi e connessi riesco a comprenderlo.
Dopo De Gasperi, nella Dc 1.0, funzionava così. E ha funzionato così anche nella Dc 2.0 e funziona così anche nella Dc 3.0.
Ma i personaggi erano diversi.
Raccontavano balle anche loro ma in minima parte. In dose leggera.
Qui, invece al Lingotto, sono ripartiti con il secondo tempo della balle massicce da Pseudologia Fantastica.
Qui la accettazione incondizionata delle BALLE, per interesse della poltrona non regge più.
La ricerca scientifica sulla Pseudologia Fantastica si limita ai soggetti che la praticano.
Ma non spiega i soggetti che la subiscono.
Nella vita di tutti i giorni si può sempre incontrare un soggetto che pratica la Pseudologia Fantastica.
Ma solitamente non vanno più in là di tanto nel contrasto.
Contento lui delle balle che racconta, contenti tutti. Perché non produce nessun danno alla società.
Non sposta niente.
Ma le balle 2.0 del Lingotto influiscono sulla politica italiana già allo sbando totale.
Anche coloro che non devono elemosinare una poltrona per vivere, perché sono ultra pensionati in questi giorni hanno rialzato la cresta.
Non riesco a vedere il loro tornaconto personale quando affermano:
“E’ IL MIGLIOR STATISTA CHE ABBIAMO”
E’ necessario a questo punto che la comunità della ricerca scientifica si occupi seriamente degli effetti che la Pseudologia Fantastica producono, sui soggetti umani.
Pinocchio Mussoloni in Italia, Donald Adolf Trump, negli Usa.
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Re: Renzi
UncleTom ha scritto:"Io", "noi" o nessuno
Sempre tutti contro uno
Non è cambiato nulla. Matteo Renzi è tornato ed è sempre lo stesso Renzi, soltanto con un ego un po' più grasso
di Vittorio Macioce
poco fa
"Io", "noi" o nessuno Sempre tutti contro uno
Non è cambiato nulla. Matteo Renzi è tornato ed è sempre lo stesso Renzi, soltanto con un ego un po' più grasso
Vittorio Macioce - Mar, 14/03/2017 - 21:55
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Non dice più solo «io», adesso allarga le braccia e sorride con un «noi», ma è un plurale maiestatis, come un sovrano, un re, un papa o uno che chiama gli altri solo per fare numero.
Per il resto non è cambiato nulla. L'apparizione al Lingotto non è una discontinuità, non è una rinascita, non è la maturazione dopo la sconfitta, non è un viaggio nel deserto. Matteo Renzi è tornato ed è sempre Renzi, solo con un ego un po' più grasso. Non è però colpa sua. Renzi è un «noi» in mezzo al nulla.
Il Pd, con quello che resta e con quello che è andato via, è una scatola di cianfrusaglie e vecchi cimeli, di slogan da consumare in fretta e promesse tanto al chilo. Non è una casa. È una roulotte, anzi un trolley, dove ci sono le cose essenziali per acchiappare voti. Matteo infatti non parla di programmi e neppure di alleanze, quelle con il proporzionale si fanno dopo. Tanto, lui lo sa, anche le prossime elezioni avranno lo stesso schema: non si vota per il futuro ma per le poltrone. Per chi comanda. Si voterà pro o contro qualcuno. Contro Renzi o contro Grillo. Si vota da tifosi, per non far vincere l'altro. E infatti alla fine si pareggia, perché la palude rassicura tutti.
La politica in Italia è sempre Montecchi e Capuleti. Il piacere è brindare alla sconfitta dell'altro. Le idee sono fuffa. È per questo che Renzi è tornato uguale a se stesso. Ha perso il referendum perché ha personalizzato troppo? Pazienza, la rivincita se la gioca ancora a nome suo. Altrimenti che gusto c'è. È la faida il senso più profondo del voto. È nettare e fiele, con una raccomandazione: chi perde se la rigioca
Per il resto non è cambiato nulla. L'apparizione al Lingotto non è una discontinuità, non è una rinascita, non è la maturazione dopo la sconfitta, non è un viaggio nel deserto. Matteo Renzi è tornato ed è sempre Renzi, solo con un ego un po' più grasso. Non è però colpa sua. Renzi è un «noi» in mezzo al nulla.
L'importante è sopravvivere, tanto che c'è chi da una vita galleggia sopra il tre per cento. Le uniche sconfitte irrimediabili, salvo miracoli, sono quelle giudiziarie. Quando vuoi davvero ammazzare politicamente qualcuno allora metti mano alla giustizia.
Se c'è qualcuno che ha raccontato l'Italia degli eterni guelfi e ghibellini è un architetto che vive a New York. Si chiama Francesco Marocco. Non con un saggio, ma con un romanzo, che in copertina ha una mano rossa che fa le corna. Il titolo è Cronache della discordia (Mondadori). Ci sono, tra i personaggi, anche un leader tradito dai sondaggisti che assomiglia parecchio a Matteo e una giovane ministra che conosce tutti i trucchi per vincere a Candy Crush. Sono teneri.
Immaginate ora un sistema elettorale un po' all'americana, dove saranno i sindaci a scegliere chi governa. Pensate ad un testa a testa con un'Italia spezzata in due, cinquanta e cinquanta e a definire la sorte è un paesino della Basilicata, anzi due paesini costretti a unirsi per la legge sui piccoli comuni. Tutto è in mano ai cittadini di Fiumesecco, metà sono di Paludazzo e il resto di Montesole. Gli uni e gli altri si detestano dai tempi dei Borboni, per questioni di donne. Destra e sinistra sono solo una scusa. Non esistono. Quello che conta è la paura di ritrovarsi sottomessi alla fazione rivale.
È la differenza antropologica l'unica e costante chiave politica. «A Paludazzo e Montesole non si poteva guardare al futuro con una visione progressista e conservatrice, laica o cattolica, perché l'idea di futuro da quelle parti non esisteva, né mai nessuno lo aveva invocato. Le elezioni erano un rituale tutto interno fatto di pacchi di pasta e caffè e buoni di benzina». I pacchi di pasta poi puoi chiamarli appalti e la storia non cambia. Questo vale per tutti e più urlano che lo fanno per tutelare deboli e disgraziati e più l'affare puzza. E quando si passa dall'io al noi non sempre è un bene. Il noi, ingrassa. «L'Italia è un posto unito solo sulla pelle di uno stivale, una mappa di conflitti tra regioni, città, paesini, quartieri, vicini di casa. Questo è un posto dove l'unica cosa che conta è odiarsi. E noi italiani ci odiamo da sempre». È quello che Renzi non aveva calcolato il 4 dicembre. Ora si è fatto più furbo.
È per questo che le prossime elezioni saranno ancora un referendum su Renzi, solo con una legge elettorale non basata su un sì o un no. Matteo si lascia un paracadute in Parlamento. Il pareggio questa volta vale una rivincita. Ma non sarà a costo zero.
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Re: Renzi
LIBRE news
Recensioni
segnalazioni.
Il bluff degli 80 euro, 2 milioni di italiani li devono restituire
Scritto il 15/3/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Flop 80 euro. Quasi un milione di italiani, tra i 12 milioni che hanno ricevuto il “bonus” renziano, lo hanno dovuto restituire integralmente. Altri 765.000 cittadini, invece, lo hanno dovuto restituire solo in parte. Ecco i dati ufficiali appena pubblicati dal dipartimento delle finanze del ministero dell’economia. Ed è già bufera. Di nuovo. Matteo Renzi la definisce ancora sul suo blog come «la più grande opera di redistribuzione salariale mai fatta in Italia». Ma i media parlano di “flop 80 euro” e taluni non esitano ad apostrofarla “mancetta elettorale”. In qualunque modo la si voglia chiamare, però, la manovra renziana è stata un fallimento de facto. In primis perché doveva servire a rilanciare i consumi nazionali sostenendo l’economia reale e coadiuvando la ripresa. E questo non è avvenuto. Poi perché per quasi due milioni di italiani il “bonus” promesso si è rivelato un “bluff”. Un bonus o un prestito statale? Secondo i dati appena pubblicati dal dipartimento delle finanze del ministero dell’economia, infatti, circa un milione di cittadini, tra i 12 milioni che hanno ricevuto i famosi 80 euro in più in busta paga, hanno dovuto restituire integralmente la somma di denaro, per giunta in un’unica soluzione da 950 euro. E altri 765.000 italiani ne hanno dovuta restituire una parte. Si tratta del 14,5% dei beneficiari.
Il che, di per sé, è un paradosso visto che un “bonus” per definizione dovrebbe essere un emolumento non restituibile. Più che comprensibile, dunque, l’irritazione di quelle famiglie che avendo speso, assai ingenuamente, l’intera somma senza cogliere prontamente l’inganno nascosto dietro l’ossimoro in questione – il bonus-prestito – si sono trovate in difficoltà economica al momento di dover restituire l’importo. Ma tant’è. Il problema principale della questione è che il governo Renzi ha introdotto questo “bonus” con un’erogazione mensile da 80 euro, ma avrebbe dovuto scegliere la via di un’unica erogazione annuale a fine anno, così da permettere ai tecnici dell’Agenzia delle Entrate di definire esattamente importi e idoneità. In molti casi, invece, è accaduto che l’agenzia si è trovata a dover correggere in negativo o in positivo (più raramente) il saldo dei bonus dopo aver esaminato la dichiarazione dei redditi dei contribuenti. Così ha richiesto indietro il denaro anche a quelli che l’avevano già speso.
Una “mancia” a fini elettorali? Ma perché scegliere di erogare il bonus mensilmente andando incontro a tutti questi problemi e mettendo in difficoltà intere famiglie che, de facto, in questo modo si sono viste trasformare un bonus in un prestito statale? Probabilmente per accelerare i tempi della «mancetta elettorale» (come la definisce Giulio Cavalli su “Left”) e renderla maggiormente «visibile» in busta paga (un conguaglio di fine anno non avrebbe avuto lo stesso effetto sull’umore degli elettori). Vale anche la pena ricordare che il “bonus” in questione escludeva a priori le fasce più deboli della popolazione, cioè tutti coloro che guadagnavano meno di 7.500 euro, considerandoli evidentemente troppo poco interessanti dal punto di vista elettorale.
(Giulia Ugazio, “Bonus 80 euro, perché è un bluff da restituire per quasi 2 milioni di italiani”, da “Diario del Web” del 3 marzo 2017).
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Il bluff degli 80 euro, 2 milioni di italiani li devono restituire
Scritto il 15/3/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Flop 80 euro. Quasi un milione di italiani, tra i 12 milioni che hanno ricevuto il “bonus” renziano, lo hanno dovuto restituire integralmente. Altri 765.000 cittadini, invece, lo hanno dovuto restituire solo in parte. Ecco i dati ufficiali appena pubblicati dal dipartimento delle finanze del ministero dell’economia. Ed è già bufera. Di nuovo. Matteo Renzi la definisce ancora sul suo blog come «la più grande opera di redistribuzione salariale mai fatta in Italia». Ma i media parlano di “flop 80 euro” e taluni non esitano ad apostrofarla “mancetta elettorale”. In qualunque modo la si voglia chiamare, però, la manovra renziana è stata un fallimento de facto. In primis perché doveva servire a rilanciare i consumi nazionali sostenendo l’economia reale e coadiuvando la ripresa. E questo non è avvenuto. Poi perché per quasi due milioni di italiani il “bonus” promesso si è rivelato un “bluff”. Un bonus o un prestito statale? Secondo i dati appena pubblicati dal dipartimento delle finanze del ministero dell’economia, infatti, circa un milione di cittadini, tra i 12 milioni che hanno ricevuto i famosi 80 euro in più in busta paga, hanno dovuto restituire integralmente la somma di denaro, per giunta in un’unica soluzione da 950 euro. E altri 765.000 italiani ne hanno dovuta restituire una parte. Si tratta del 14,5% dei beneficiari.
Il che, di per sé, è un paradosso visto che un “bonus” per definizione dovrebbe essere un emolumento non restituibile. Più che comprensibile, dunque, l’irritazione di quelle famiglie che avendo speso, assai ingenuamente, l’intera somma senza cogliere prontamente l’inganno nascosto dietro l’ossimoro in questione – il bonus-prestito – si sono trovate in difficoltà economica al momento di dover restituire l’importo. Ma tant’è. Il problema principale della questione è che il governo Renzi ha introdotto questo “bonus” con un’erogazione mensile da 80 euro, ma avrebbe dovuto scegliere la via di un’unica erogazione annuale a fine anno, così da permettere ai tecnici dell’Agenzia delle Entrate di definire esattamente importi e idoneità. In molti casi, invece, è accaduto che l’agenzia si è trovata a dover correggere in negativo o in positivo (più raramente) il saldo dei bonus dopo aver esaminato la dichiarazione dei redditi dei contribuenti. Così ha richiesto indietro il denaro anche a quelli che l’avevano già speso.
Una “mancia” a fini elettorali? Ma perché scegliere di erogare il bonus mensilmente andando incontro a tutti questi problemi e mettendo in difficoltà intere famiglie che, de facto, in questo modo si sono viste trasformare un bonus in un prestito statale? Probabilmente per accelerare i tempi della «mancetta elettorale» (come la definisce Giulio Cavalli su “Left”) e renderla maggiormente «visibile» in busta paga (un conguaglio di fine anno non avrebbe avuto lo stesso effetto sull’umore degli elettori). Vale anche la pena ricordare che il “bonus” in questione escludeva a priori le fasce più deboli della popolazione, cioè tutti coloro che guadagnavano meno di 7.500 euro, considerandoli evidentemente troppo poco interessanti dal punto di vista elettorale.
(Giulia Ugazio, “Bonus 80 euro, perché è un bluff da restituire per quasi 2 milioni di italiani”, da “Diario del Web” del 3 marzo 2017).
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Re: Renzi
Commenti:
42
La missione di Renzi negli Usa: "Ma Trump lo ha respinto"
Renzi, attraverso Marco Carrai, avrebbe cercato di ottenere un incontro con Donald Trump. Ma sarebbe andata male
Luca Romano - Mer, 15/03/2017 - 12:42
commenta
La richiesta sarebbe stata respinta direttamente al mittente. Secondo quanto scrive il Fatto Quotidiano, Matteo Renzi nella sua recente missione negli Stati Uniti avrebbe cercato di ottenere un incontro con il neo presidente degli Usa, Donald Trump.
Non si sa bene il motivo, forse per riaccreditarsi sulla scena politica internazionale. Fatto sta che "The Donald" avrebbe risposto picche.
Il rifiuto di Trump a Renzi
Nel suo blog l'ex premier ha presentato il suo viaggio americano come un modo per trovare idee "contro i populismi". E infatti è andato alla Silicon Valley e altri posti bellissimi, ma lontati dal centro della politica Usa. A quanto scrive il Fatto, per cercare di occupare un buco nell'agenda di Trump, Renzi si sarebbe affidato all'amico Marco Carrai. Il quale avrebbe contattato alcuni personaggi, come il diplomatico Usa Michael Ledeen, Lenny Caglio (vicino alle ambasciate), Flavio Briatore, alcuni insigni abitanti del Vaticano e pure Edward Luttwak. L'esperto di strategie internazionali avrebbe allora invitato Carrai o chi per lui a chiamare Guido Lombardi, imprenditore vicino di casa di Donald alla Trump Tower. Purtroppo l'incontro sarebbe stato negato.
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La missione di Renzi negli Usa: "Ma Trump lo ha respinto"
Renzi, attraverso Marco Carrai, avrebbe cercato di ottenere un incontro con Donald Trump. Ma sarebbe andata male
Luca Romano - Mer, 15/03/2017 - 12:42
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La richiesta sarebbe stata respinta direttamente al mittente. Secondo quanto scrive il Fatto Quotidiano, Matteo Renzi nella sua recente missione negli Stati Uniti avrebbe cercato di ottenere un incontro con il neo presidente degli Usa, Donald Trump.
Non si sa bene il motivo, forse per riaccreditarsi sulla scena politica internazionale. Fatto sta che "The Donald" avrebbe risposto picche.
Il rifiuto di Trump a Renzi
Nel suo blog l'ex premier ha presentato il suo viaggio americano come un modo per trovare idee "contro i populismi". E infatti è andato alla Silicon Valley e altri posti bellissimi, ma lontati dal centro della politica Usa. A quanto scrive il Fatto, per cercare di occupare un buco nell'agenda di Trump, Renzi si sarebbe affidato all'amico Marco Carrai. Il quale avrebbe contattato alcuni personaggi, come il diplomatico Usa Michael Ledeen, Lenny Caglio (vicino alle ambasciate), Flavio Briatore, alcuni insigni abitanti del Vaticano e pure Edward Luttwak. L'esperto di strategie internazionali avrebbe allora invitato Carrai o chi per lui a chiamare Guido Lombardi, imprenditore vicino di casa di Donald alla Trump Tower. Purtroppo l'incontro sarebbe stato negato.
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Re: Renzi
Renzi non è più premier. E i fan adesso lo mollano
L'ex premier torna ad usare i social per sedurre gli elettori in vista del congresso dem. Ma il ritorno è un flop
Franco Grilli - Sab, 18/03/2017 - 13:12
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"Matteo Risponde" è una delle "rubriche" che l'ex premier ha lanciato sulla sua pagina Facebook da qualche tempo.
Un botta e risposta grazie alle dirette social tra Renzi e gli utenti sui diversi temi che riguardano la politica di casa nostra. Ma adesso, a quanto pare, Matteo è un po' più solo. Non ha più la bandiera italiana e quella Ue dietro le spalle come nello studio di Palazzo Chigi. Si mostra in video con una scenografia mesta, un pannello a righe dietro e un'ambiente più da ufficio che da palazzo istituzionale. Già, perché da quando ha rinunciato alla poltrona dopo la batosta al referndum, Renzi ha provato a dosare l'uso dei social. E così qualche sera fa è tornato con un "Matteo Risponde", il primo dopo le dimissioni. E così dopo la scissione dem, Renzi deve fare i conti con la scissione social. Lo share per le sue dirette si è abbassato e ad ascoltare l'ex premier con giacca blu, camicia bianca e qualche chilo in più sono rimasti solo i fedelissimi. Siamo ben lontani dalle 500mila visualizzazioni del primo "Matteo risponde" del 5 aprile 2016. È il primo appuntamento live di cui si ha traccia sul profilo Facebook di Renzi. Il referendum era ancora lontano e l'allora premier nelle sue apparizioni social sentiva ancora il vento in poppa. E da quel luglio è un crescendo. Renzi ripete il faccia a faccia diverse volte e in qualche occasione si fa prendere da una sorta di "bulimia social" che lo porta addirittura a ripetere le apparizioni una dietro l'altra nello spazio di 24 ore. E la media di ascolto resta sempre tra le 400mila e le 500mila visualizzazioni. L'apice viene raggiunto il 29 novembre del 2016, a 5 giorni dal referendum costituzionale: 1 milione di visualizzazioni. Renzi "risponde" e consiglia a chi lo segue di "dire sì al cambiamento". Sono giorni caldi a palazzo Chigi e seguno altri due appuntamenti prima della data "X" del 4 dicembre: l'ex premier torna in video su Facebook l'1 dicembre e il 2 dicembre arrivando a 600mila visualizzazioni in totale. Ma adesso pare che anche su Facebook il vento sia cambiato. Per il ritorno del "Matteo risponde" a seguire la prerformance di Renzi ci sono circa 200 mila utenti. Ben sotto la media del periodo di governo. Un segnale? Di certo nemmeno la convention del Lingotto ha scaldato il cuore dei renziani. La scena in quel week end l'hanno rubata Salvini e De Magistris con la bagarre per le strade di Napoli. Renzi prova nuovamente a battere le stesse strade comunicative che lo portarono a palazzo Chigi a spese di Letta più di due anni fa. Ma c'è una differenza: la maggioranza degli italiani ha detto no alle sue riforme e con quel voto ha invitato il premier a lasciare il governo. L'unica poltroncina che gli resta è quella del "Matteo risponde" e guardando l'emorragia di visualizzazioni, Renzi adesso rischia pure quella...
L'ex premier torna ad usare i social per sedurre gli elettori in vista del congresso dem. Ma il ritorno è un flop
Franco Grilli - Sab, 18/03/2017 - 13:12
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"Matteo Risponde" è una delle "rubriche" che l'ex premier ha lanciato sulla sua pagina Facebook da qualche tempo.
Un botta e risposta grazie alle dirette social tra Renzi e gli utenti sui diversi temi che riguardano la politica di casa nostra. Ma adesso, a quanto pare, Matteo è un po' più solo. Non ha più la bandiera italiana e quella Ue dietro le spalle come nello studio di Palazzo Chigi. Si mostra in video con una scenografia mesta, un pannello a righe dietro e un'ambiente più da ufficio che da palazzo istituzionale. Già, perché da quando ha rinunciato alla poltrona dopo la batosta al referndum, Renzi ha provato a dosare l'uso dei social. E così qualche sera fa è tornato con un "Matteo Risponde", il primo dopo le dimissioni. E così dopo la scissione dem, Renzi deve fare i conti con la scissione social. Lo share per le sue dirette si è abbassato e ad ascoltare l'ex premier con giacca blu, camicia bianca e qualche chilo in più sono rimasti solo i fedelissimi. Siamo ben lontani dalle 500mila visualizzazioni del primo "Matteo risponde" del 5 aprile 2016. È il primo appuntamento live di cui si ha traccia sul profilo Facebook di Renzi. Il referendum era ancora lontano e l'allora premier nelle sue apparizioni social sentiva ancora il vento in poppa. E da quel luglio è un crescendo. Renzi ripete il faccia a faccia diverse volte e in qualche occasione si fa prendere da una sorta di "bulimia social" che lo porta addirittura a ripetere le apparizioni una dietro l'altra nello spazio di 24 ore. E la media di ascolto resta sempre tra le 400mila e le 500mila visualizzazioni. L'apice viene raggiunto il 29 novembre del 2016, a 5 giorni dal referendum costituzionale: 1 milione di visualizzazioni. Renzi "risponde" e consiglia a chi lo segue di "dire sì al cambiamento". Sono giorni caldi a palazzo Chigi e seguno altri due appuntamenti prima della data "X" del 4 dicembre: l'ex premier torna in video su Facebook l'1 dicembre e il 2 dicembre arrivando a 600mila visualizzazioni in totale. Ma adesso pare che anche su Facebook il vento sia cambiato. Per il ritorno del "Matteo risponde" a seguire la prerformance di Renzi ci sono circa 200 mila utenti. Ben sotto la media del periodo di governo. Un segnale? Di certo nemmeno la convention del Lingotto ha scaldato il cuore dei renziani. La scena in quel week end l'hanno rubata Salvini e De Magistris con la bagarre per le strade di Napoli. Renzi prova nuovamente a battere le stesse strade comunicative che lo portarono a palazzo Chigi a spese di Letta più di due anni fa. Ma c'è una differenza: la maggioranza degli italiani ha detto no alle sue riforme e con quel voto ha invitato il premier a lasciare il governo. L'unica poltroncina che gli resta è quella del "Matteo risponde" e guardando l'emorragia di visualizzazioni, Renzi adesso rischia pure quella...
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Re: Renzi
Marco Carrai tra Cia, Mossad, CL e Giglio Magico
‘Durante Tangentopoli fondai club di Forza Italia’
Intervista all’imprenditore che Matteo Renzi voleva capo della cybersicurezza: “Giornali scrissero che non ero competente, forse lo ero anche troppo. I miei miti erano Falcone e Borsellino, poi arrivò Berlusconi”
Marco Carrai, imprenditore che Matteo Renzi voleva mettere a capo della cybersicurezza, si racconta tra l’amicizia con il premier, i rapporti con Israele, quelli con Comunione e Liberazione e Opus Dei, l’agente segreto Michel Ledeen, e le origini della sua passione per la politica: “Erano gli anni di Tangentopoli. I miei miti erano Falcone e Borsellino. Però dopo l’arresto di una persona che conoscevo benissimo e sulla cui moralità avrei potuto giurare, successe un fatto strano. Il mio amico fu trattato da reietto da molti e la cosa mi indignò. Arrivò Berlusconi che prometteva una nuova Italia e noi fondammo uno dei primi club di Forza Italia. L’avventura fu breve”
di Carlo Tecce
sabato 18/03/2017
Parla Carrai: “Io, Renzi, il Mossad e quando fondai un club Forza Italia”
Marco Carrai - L’imprenditore: “Soldi all’ex premier da Israele? Chiedete ai tesorieri”
di Carlo Tecce | 18 marzo 2017
| 42
Quand’è che Marco Carrai, il ragazzo di provincia da Greve in Chianti, diventa l’uomo d’affari Marco Carrai con relazioni dagli Stati Uniti a Israele?
“La mia vita è in due atti. Il primo da giovane appassionato di politica, assessore a Greve e consigliere comunale a Firenze, oltreché nel Partito Popolare e nella Margherita. Poi ho scoperto che non faceva per me e ho alimentato la mia passione: creare impresa”.
Perché non ha seguito l’ascesa politica di Renzi?
Ognuno ha una aspirazione, La mia non era quella politica. Mi dava troppo stress.
È sempre il migliore amico di Renzi?
Perché me lo chiede?
Anche le amicizie cambiano.
Quando sono sincere e solide, no. Le circostanze non interferiscono, altrimenti che amicizie sarebbero.
Ascolta i suoi consigli?
Questo lo deve chiedere a lui. Non sono il suo consigliori.
Qual è l’ultimo?
Andare in giro in Italia a scovare uomini e idee. E poi gli ho suggerito l’attenzione a coloro che da soli non ce la fanno e la cui rabbia aumenta. Tutte cose che già sa bene.
Perché non l’ha portata nel governo?
Io avevo deciso di fare altro.
Ma poi ha pensato di affidarle la struttura di cyber security. Chi ha bloccato la nomina?
Non mi interessa sapere. Era per un ruolo tecnico, non politico. È una cosa che non cercavo e che, se fosse andata a buon fine, avrebbe comportato di fare un trust (credo di essere l’unico in Italia a porsi il problema di un possibile conflitto) e di dimettermi da tutte le mie cariche sociali e diminuire le mie entrate economiche. Non è successo e ne sono sollevato. È stato scritto che non ero competente. Forse lo ero anche troppo.
Chi dai servizi segreti americani e italiani fino al Quirinale – che sembrava perplesso – ha impedito il suo arrivo a Chigi?
Dubito che su di me si sia scatenato un complotto internazionale.
Renzi ha insistito parecchio. Perché? Temeva di essere spiato?
Chi spia il presidente commette un reato. Quello che mi era stato proposto, non era in alcun modo di andare a occuparmi di servizi segreti o di intercettazioni o di altri aspetti che stanno in capo (e bene) al Dipartimento per l’informazione e la sicurezza e ai due servizi operativi. Io non dovevo entrare nei servizi segreti, per intenderci, ma coordinare la parte “civile” della cyber, allora frammentata. C’era un’urgenza per i continui attacchi alle strutture sensibili dell’Italia, Renzi se ne rendeva conto.
Luigi Bisignani ha scritto un articolo in cui faceva riferimento a sua figlia e le sconsigliava di guidare la sicurezza cibernetica.
Questo è un bel Paese frequentato a volte da brutte persone. Mi sono chiesto perché, ma non ho voluto scoprirlo. A me non piace nuotare in acque melmose. Mi piace nuotare in quelle sconosciute e scoprire cose quando ho chiare le regole del gioco.
Qualche anno fa, Naor Gilon, ambasciatore di Israele in Italia, presentò un ospite ai suoi commensali romani: “Non sapete neanche il suo nome, ma vi assicuro che è tra gli uomini più importanti del vostro Paese”. E apparve lei. Quali interessi ha in Israele, perché viene accostato al Mossad?
Sono molto legato a Israele e mi riconosco nella sua storia e identità. È un luogo sempre sull’orlo di una guerra, dove però si riesce a creare innovazione come solo in California. Le mie società trovano lì larga parte del loro sapere. Non sono purtroppo il primo né sarò l’ultimo che, essendo vicino a Israele, viene dipinto come vicino al Mossad. Preferisco essere accostato impropriamente al Mossad piuttosto che al Ku Klux Klan. E quindi me ne faccio una ragione.
Investitori israeliani hanno finanziato le campagne elettorali di Renzi?
Io non gli ho mai presentato israeliani per le donazioni. La domanda è da rivolgere ai tesorieri.
Però gli ha presentato il premier Netanyahu.
No. Renzi ha conosciuto Netanyahu durante un incontro con alcuni sindaci a Gerusalemme. Era sindaco di Firenze.
E c’era anche lei?
No, era un appuntamento istituzionale. C’ero in quel viaggio perché Matteo voleva capire a fondo Israele e gli organizzai degli incontri.
Che bisogno aveva Renzi di un’abitazione a Firenze, peraltro affittata a suo nome?
Io non ho mai affittato la casa a Renzi. Quella era la casa che io avevo affittato per me, a volte ospitavo Matteo. Rispettando il codice civile, lì ha preso la residenza. È stato detto che in cambio mi ha nominato Ad di Firenze Parcheggi. Peccato che lo fossi già tempo, indicato dai privati per sanare l’azienda.
I renziani – il Giglio magico – hanno danneggiato Renzi?
Credo che la narrazione dei giornali l’abbia fatto.
Ma Carrai è un petalo del Giglio magico?
Ho da sempre in tasca solo una tessera: quella dell’Azione cattolica italiana.
Ha apprezzato la promozione a sottosegretario di Palazzo Chigi di Maria Elena Boschi dopo la bocciatura della “sua” riforma.
È competente, tuttavia non commento faccende politiche.
Il renzismo assomiglia al Castello dei destini incrociati. Alberto Bianchi, presidente della renziana Fondazione Open, è anche consulente legale di Ferrovie e Consip. Non è un conflitto di interessi di sistema?
Bianchi è legale di questi due soggetti giuridici da prima dell’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi. Una democrazia non deve impedire a professionisti di contribuire con il proprio impegno a un’idea di Paese.
Assieme a Bianchi è in Open e assieme avete fondato una società.
Con Bianchi e altri abbiamo creato una società che mirava a valorizzare dei brevetti farmaceutici. Questa società, però, non è mai partita. È in liquidazione.
Il capo di Consip, Luigi Marroni, le ha chiesto di aiutare la sua compagna Frati Gucci o l’ha fatto tramite Bianchi?
È barbaro rispondere alle domande basate su intercettazioni pubblicate sui giornali. Quello che Laura Frati Gucci voleva – secondo Marroni – non l’ha ottenuto. Io conosco Laura, questa vicenda non ne dovrebbe minare le aspirazioni. Al plauso della folla preferisco il fattore umano. A Barabba, Gesù.
Quali ambizioni coltivava Frati Gucci?
Laura è uno storico socio dell’ente Cassa di Risparmio di Firenze – di cui sono socio e consigliere in Cda – ben prima di conoscere Marroni. Voleva entrare nel Cda. Frati Gucci – non Bianchi – ha fatto presente la sua volontà a molti soci e membri dei vari organi per capire come provarci. Nelle elezioni di cariche associative, funziona così: ti candidi e devi raccogliere consenso.
È amico di Marroni?
Lo conosco bene.
Conosce il presunto faccendiere Carlo Russo? Aveva aperto un centro estetico in una palestra di sua proprietà.
Ho appreso dell’esistenza di Russo dai giornali. Io sono azionista di una società che gestisce alcune palestre e un albergo in centro a Firenze. Ignoravo che la sua compagna, che non conosco, fosse stata affittuaria per un brevissimo periodo di un locale di una palestra. Dopo due o tre mesi, è stata sfrattata per morosità.
L’indagine coinvolge pure Tiziano Renzi. Avete mai parlato di affari o di imprese?
Mi spiace molto, provo dolore. Non abbiamo mai fatto impresa.
I renziani sostengono che la stagione di governo di Renzi sia sotto attacco della magistratura.
Non commento. Le racconto, però, una storia. Io mi sono avvicinato alla politica nel ‘94. A 19 anni. Una mattina di febbraio arrestarono il padre di uno dei miei migliori amici per una presunta tangente in una azienda pubblica dove era amministratore. Erano gli anni di Tangentopoli, anche a me ripugnava la corruzione. I miei miti erano Falcone e Borsellino. Però dopo l’arresto di una persona che conoscevo benissimo e sulla cui moralità avrei potuto giurare, successe un fatto strano. Il mio amico fu trattato da reietto da molti e la cosa mi indignò. Arrivò Berlusconi che prometteva una nuova Italia e noi fondammo uno dei primi club di Forza Italia. L’avventura fu breve, la mia estrazione era un’altra. Il padre del mio amico fu assolto su richiesta dei magistrati perché il fatto non sussisteva.
Anche lei vorrebbe secretare gli avvisi di garanzia?
L’Italia è affetta dal malaffare, ma tante volte la giustizia è arrivata troppo tardi per chi per sbaglio era stato ingiustamente colpito. Va trovato il giusto equilibrio tra la sacrosanta azione repressiva e il diritto delle persone a essere tutelate di fronte al linciaggio pubblico. Si chiama avviso di garanzia perché è una garanzia nei confronti dell’indagato e non una condanna preventiva.
È ancora in società con Luigi Berlusconi?
Sì. Si tratta di una società di analisi dei dati del web.
Il Paese dei poteri – mi dica lei se forti – ha già rinnegato Renzi?
Io credo nelle idee forti, più che nei poteri forti. Quando uno è al potere è più adulato. I poteri forti, se mai ci fossero, sono dei follower e non dei following. Ti seguono, non devi seguirli.
Quando ha conosciuto l’ex agente segreto Michael Ledeen?
Ho conosciuto Michael anni fa, lo invitai a un convegno. Non ricordo se la prima volta fosse per la presentazione di un libro su Machiavelli di cui lui in America è un cultore oppure per un convegno sulle grandi ideologie degli anni Duemila. Lo organizzai con la fondazione Eunomia che si occupa della formazione politica, ai tempi del comune di Firenze. A quel convegno portai Michael, Richard Perle e Massimo D’Alema. Erano i tempi dei neocon da una parte e della terza via blairiana dall’altra.
Tutto qui?
Ledeen per me è un intellettuale, un amante di Napoli (di recente ci ha scritto un libro). Ciascuno ha le sue idee. Comunque, a Michael voglio bene e non ho mai esplorato il suo lato oscuro ammesso che esista.
Pensa che l’amicizia con Ledeen l’abbia penalizzata?
Quando è vera, l’amicizia non penalizza mai.
Di quante aziende si occupa?
Una decina.
Quanti dipendenti ha?
Circa cento, e non calcolo i collaboratori.
Le sue società lavorano per aziende pubbliche?
Per mio espresso ordine, non lavoriamo e non accettiamo contratti con aziende interamente pubbliche. Semmai lavoriamo per quelle che sono partecipate dallo Stato o quotate.
Ha ricevuto commesse da Enel?
È quotata. Sì, abbiamo fatto dei lavori per Enel.
Che lavoro ha svolto?
Di innovazione tecnologica. Penso sia stato molto gradito.
In una sua antica biografia si parlava di un giovane scapolo che viaggiava in Punto.
Mi sono sposato e ho messo su famiglia. La Punto non basta più. Se viene a Firenze molto spesso mi trova in Panda (l’unica mia macchina) e fino a poco tempo fa su una Fiat 500, benefit di una mia azienda e che ora ho cambiato con una piccola Jeep. In garage ho una Audi, il benefit che ricevo come presidente di Toscana Aeroporto.
Una volta ha detto: “I pesci muoiono dalla bocca”. E cioè che parlare troppo è letale.
Scherzavo con un giornalista. Mi venne in mente questa battuta perché l’avevo sentita da una bocca ben più importante della mia e mi aveva impressionato.
Chi era il proprietario di tale bocca?
Un ex direttore della Cia. Ero a un matrimonio.
Quanto incide la massoneria in Italia?
Non so dire se abbia un ruolo. Io non ne faccio parte. Non minimizzo la questione, sono consapevole dei danni che in passato le logge deviate hanno arrecato al Paese. Conosco alcuni massoni che fanno della loro filosofia un motivo di crescita ed elevazione personale. Studiano sui testi sacri e su Réné Guenon. Ho fatto lunghi dibattiti con massoni cattolici ai quali chiedevo come conciliano l’essere credenti con l’adesione alla massoneria.
Anche lei venera la Madonna di Medjugorje come la famiglia Renzi?
Non ci sono mai andato. Cerco Dio come Elia, che lo incontrò sul monte Oreb. Non nel frastuono. Nel silenzio. Non disprezzo, però, chi usa altri modi. Ed è scandaloso che Tiziano Renzi sia stato seguito anche lì.
Opus Dei o Cielle, quale sceglie?
Ho frequentato e talvolta frequento Comunione e Liberazione, dove ho alcuni cugini membri attivi della fraternità. Non sono un esperto di Opus. Ho partecipato anni fa a un ritiro perché mi invitò un professore, che si era intestardito a farmi finire Economia.
Ha trascorso sei anni in ospedale. Cosa le resta?
Mi manca molto non aver fatto la maturità con i miei amici. Mi mancano tutte le cose che uno fa dai 17 ai 23 anni. Mi resta il forte attaccamento all’amicizia e alla famiglia che mi hanno restituito la gioia di vivere. A un certo punto si era affievolita. Per distrarmi, dal letto giocavo in Borsa guardando le azioni sul televideo.
Dove sarà Renzi fra dieci anni?
Lontano dalla politica. E non per un fallimento, ma perché avrà terminato la missione.
E dove sarà Carrai?
Con mia moglie e i miei figli in giro per il mondo. Loro sono il mio presente e il mio futuro. Fino a qualche tempo fa guardavo soltanto indietro.
‘Durante Tangentopoli fondai club di Forza Italia’
Intervista all’imprenditore che Matteo Renzi voleva capo della cybersicurezza: “Giornali scrissero che non ero competente, forse lo ero anche troppo. I miei miti erano Falcone e Borsellino, poi arrivò Berlusconi”
Marco Carrai, imprenditore che Matteo Renzi voleva mettere a capo della cybersicurezza, si racconta tra l’amicizia con il premier, i rapporti con Israele, quelli con Comunione e Liberazione e Opus Dei, l’agente segreto Michel Ledeen, e le origini della sua passione per la politica: “Erano gli anni di Tangentopoli. I miei miti erano Falcone e Borsellino. Però dopo l’arresto di una persona che conoscevo benissimo e sulla cui moralità avrei potuto giurare, successe un fatto strano. Il mio amico fu trattato da reietto da molti e la cosa mi indignò. Arrivò Berlusconi che prometteva una nuova Italia e noi fondammo uno dei primi club di Forza Italia. L’avventura fu breve”
di Carlo Tecce
sabato 18/03/2017
Parla Carrai: “Io, Renzi, il Mossad e quando fondai un club Forza Italia”
Marco Carrai - L’imprenditore: “Soldi all’ex premier da Israele? Chiedete ai tesorieri”
di Carlo Tecce | 18 marzo 2017
| 42
Quand’è che Marco Carrai, il ragazzo di provincia da Greve in Chianti, diventa l’uomo d’affari Marco Carrai con relazioni dagli Stati Uniti a Israele?
“La mia vita è in due atti. Il primo da giovane appassionato di politica, assessore a Greve e consigliere comunale a Firenze, oltreché nel Partito Popolare e nella Margherita. Poi ho scoperto che non faceva per me e ho alimentato la mia passione: creare impresa”.
Perché non ha seguito l’ascesa politica di Renzi?
Ognuno ha una aspirazione, La mia non era quella politica. Mi dava troppo stress.
È sempre il migliore amico di Renzi?
Perché me lo chiede?
Anche le amicizie cambiano.
Quando sono sincere e solide, no. Le circostanze non interferiscono, altrimenti che amicizie sarebbero.
Ascolta i suoi consigli?
Questo lo deve chiedere a lui. Non sono il suo consigliori.
Qual è l’ultimo?
Andare in giro in Italia a scovare uomini e idee. E poi gli ho suggerito l’attenzione a coloro che da soli non ce la fanno e la cui rabbia aumenta. Tutte cose che già sa bene.
Perché non l’ha portata nel governo?
Io avevo deciso di fare altro.
Ma poi ha pensato di affidarle la struttura di cyber security. Chi ha bloccato la nomina?
Non mi interessa sapere. Era per un ruolo tecnico, non politico. È una cosa che non cercavo e che, se fosse andata a buon fine, avrebbe comportato di fare un trust (credo di essere l’unico in Italia a porsi il problema di un possibile conflitto) e di dimettermi da tutte le mie cariche sociali e diminuire le mie entrate economiche. Non è successo e ne sono sollevato. È stato scritto che non ero competente. Forse lo ero anche troppo.
Chi dai servizi segreti americani e italiani fino al Quirinale – che sembrava perplesso – ha impedito il suo arrivo a Chigi?
Dubito che su di me si sia scatenato un complotto internazionale.
Renzi ha insistito parecchio. Perché? Temeva di essere spiato?
Chi spia il presidente commette un reato. Quello che mi era stato proposto, non era in alcun modo di andare a occuparmi di servizi segreti o di intercettazioni o di altri aspetti che stanno in capo (e bene) al Dipartimento per l’informazione e la sicurezza e ai due servizi operativi. Io non dovevo entrare nei servizi segreti, per intenderci, ma coordinare la parte “civile” della cyber, allora frammentata. C’era un’urgenza per i continui attacchi alle strutture sensibili dell’Italia, Renzi se ne rendeva conto.
Luigi Bisignani ha scritto un articolo in cui faceva riferimento a sua figlia e le sconsigliava di guidare la sicurezza cibernetica.
Questo è un bel Paese frequentato a volte da brutte persone. Mi sono chiesto perché, ma non ho voluto scoprirlo. A me non piace nuotare in acque melmose. Mi piace nuotare in quelle sconosciute e scoprire cose quando ho chiare le regole del gioco.
Qualche anno fa, Naor Gilon, ambasciatore di Israele in Italia, presentò un ospite ai suoi commensali romani: “Non sapete neanche il suo nome, ma vi assicuro che è tra gli uomini più importanti del vostro Paese”. E apparve lei. Quali interessi ha in Israele, perché viene accostato al Mossad?
Sono molto legato a Israele e mi riconosco nella sua storia e identità. È un luogo sempre sull’orlo di una guerra, dove però si riesce a creare innovazione come solo in California. Le mie società trovano lì larga parte del loro sapere. Non sono purtroppo il primo né sarò l’ultimo che, essendo vicino a Israele, viene dipinto come vicino al Mossad. Preferisco essere accostato impropriamente al Mossad piuttosto che al Ku Klux Klan. E quindi me ne faccio una ragione.
Investitori israeliani hanno finanziato le campagne elettorali di Renzi?
Io non gli ho mai presentato israeliani per le donazioni. La domanda è da rivolgere ai tesorieri.
Però gli ha presentato il premier Netanyahu.
No. Renzi ha conosciuto Netanyahu durante un incontro con alcuni sindaci a Gerusalemme. Era sindaco di Firenze.
E c’era anche lei?
No, era un appuntamento istituzionale. C’ero in quel viaggio perché Matteo voleva capire a fondo Israele e gli organizzai degli incontri.
Che bisogno aveva Renzi di un’abitazione a Firenze, peraltro affittata a suo nome?
Io non ho mai affittato la casa a Renzi. Quella era la casa che io avevo affittato per me, a volte ospitavo Matteo. Rispettando il codice civile, lì ha preso la residenza. È stato detto che in cambio mi ha nominato Ad di Firenze Parcheggi. Peccato che lo fossi già tempo, indicato dai privati per sanare l’azienda.
I renziani – il Giglio magico – hanno danneggiato Renzi?
Credo che la narrazione dei giornali l’abbia fatto.
Ma Carrai è un petalo del Giglio magico?
Ho da sempre in tasca solo una tessera: quella dell’Azione cattolica italiana.
Ha apprezzato la promozione a sottosegretario di Palazzo Chigi di Maria Elena Boschi dopo la bocciatura della “sua” riforma.
È competente, tuttavia non commento faccende politiche.
Il renzismo assomiglia al Castello dei destini incrociati. Alberto Bianchi, presidente della renziana Fondazione Open, è anche consulente legale di Ferrovie e Consip. Non è un conflitto di interessi di sistema?
Bianchi è legale di questi due soggetti giuridici da prima dell’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi. Una democrazia non deve impedire a professionisti di contribuire con il proprio impegno a un’idea di Paese.
Assieme a Bianchi è in Open e assieme avete fondato una società.
Con Bianchi e altri abbiamo creato una società che mirava a valorizzare dei brevetti farmaceutici. Questa società, però, non è mai partita. È in liquidazione.
Il capo di Consip, Luigi Marroni, le ha chiesto di aiutare la sua compagna Frati Gucci o l’ha fatto tramite Bianchi?
È barbaro rispondere alle domande basate su intercettazioni pubblicate sui giornali. Quello che Laura Frati Gucci voleva – secondo Marroni – non l’ha ottenuto. Io conosco Laura, questa vicenda non ne dovrebbe minare le aspirazioni. Al plauso della folla preferisco il fattore umano. A Barabba, Gesù.
Quali ambizioni coltivava Frati Gucci?
Laura è uno storico socio dell’ente Cassa di Risparmio di Firenze – di cui sono socio e consigliere in Cda – ben prima di conoscere Marroni. Voleva entrare nel Cda. Frati Gucci – non Bianchi – ha fatto presente la sua volontà a molti soci e membri dei vari organi per capire come provarci. Nelle elezioni di cariche associative, funziona così: ti candidi e devi raccogliere consenso.
È amico di Marroni?
Lo conosco bene.
Conosce il presunto faccendiere Carlo Russo? Aveva aperto un centro estetico in una palestra di sua proprietà.
Ho appreso dell’esistenza di Russo dai giornali. Io sono azionista di una società che gestisce alcune palestre e un albergo in centro a Firenze. Ignoravo che la sua compagna, che non conosco, fosse stata affittuaria per un brevissimo periodo di un locale di una palestra. Dopo due o tre mesi, è stata sfrattata per morosità.
L’indagine coinvolge pure Tiziano Renzi. Avete mai parlato di affari o di imprese?
Mi spiace molto, provo dolore. Non abbiamo mai fatto impresa.
I renziani sostengono che la stagione di governo di Renzi sia sotto attacco della magistratura.
Non commento. Le racconto, però, una storia. Io mi sono avvicinato alla politica nel ‘94. A 19 anni. Una mattina di febbraio arrestarono il padre di uno dei miei migliori amici per una presunta tangente in una azienda pubblica dove era amministratore. Erano gli anni di Tangentopoli, anche a me ripugnava la corruzione. I miei miti erano Falcone e Borsellino. Però dopo l’arresto di una persona che conoscevo benissimo e sulla cui moralità avrei potuto giurare, successe un fatto strano. Il mio amico fu trattato da reietto da molti e la cosa mi indignò. Arrivò Berlusconi che prometteva una nuova Italia e noi fondammo uno dei primi club di Forza Italia. L’avventura fu breve, la mia estrazione era un’altra. Il padre del mio amico fu assolto su richiesta dei magistrati perché il fatto non sussisteva.
Anche lei vorrebbe secretare gli avvisi di garanzia?
L’Italia è affetta dal malaffare, ma tante volte la giustizia è arrivata troppo tardi per chi per sbaglio era stato ingiustamente colpito. Va trovato il giusto equilibrio tra la sacrosanta azione repressiva e il diritto delle persone a essere tutelate di fronte al linciaggio pubblico. Si chiama avviso di garanzia perché è una garanzia nei confronti dell’indagato e non una condanna preventiva.
È ancora in società con Luigi Berlusconi?
Sì. Si tratta di una società di analisi dei dati del web.
Il Paese dei poteri – mi dica lei se forti – ha già rinnegato Renzi?
Io credo nelle idee forti, più che nei poteri forti. Quando uno è al potere è più adulato. I poteri forti, se mai ci fossero, sono dei follower e non dei following. Ti seguono, non devi seguirli.
Quando ha conosciuto l’ex agente segreto Michael Ledeen?
Ho conosciuto Michael anni fa, lo invitai a un convegno. Non ricordo se la prima volta fosse per la presentazione di un libro su Machiavelli di cui lui in America è un cultore oppure per un convegno sulle grandi ideologie degli anni Duemila. Lo organizzai con la fondazione Eunomia che si occupa della formazione politica, ai tempi del comune di Firenze. A quel convegno portai Michael, Richard Perle e Massimo D’Alema. Erano i tempi dei neocon da una parte e della terza via blairiana dall’altra.
Tutto qui?
Ledeen per me è un intellettuale, un amante di Napoli (di recente ci ha scritto un libro). Ciascuno ha le sue idee. Comunque, a Michael voglio bene e non ho mai esplorato il suo lato oscuro ammesso che esista.
Pensa che l’amicizia con Ledeen l’abbia penalizzata?
Quando è vera, l’amicizia non penalizza mai.
Di quante aziende si occupa?
Una decina.
Quanti dipendenti ha?
Circa cento, e non calcolo i collaboratori.
Le sue società lavorano per aziende pubbliche?
Per mio espresso ordine, non lavoriamo e non accettiamo contratti con aziende interamente pubbliche. Semmai lavoriamo per quelle che sono partecipate dallo Stato o quotate.
Ha ricevuto commesse da Enel?
È quotata. Sì, abbiamo fatto dei lavori per Enel.
Che lavoro ha svolto?
Di innovazione tecnologica. Penso sia stato molto gradito.
In una sua antica biografia si parlava di un giovane scapolo che viaggiava in Punto.
Mi sono sposato e ho messo su famiglia. La Punto non basta più. Se viene a Firenze molto spesso mi trova in Panda (l’unica mia macchina) e fino a poco tempo fa su una Fiat 500, benefit di una mia azienda e che ora ho cambiato con una piccola Jeep. In garage ho una Audi, il benefit che ricevo come presidente di Toscana Aeroporto.
Una volta ha detto: “I pesci muoiono dalla bocca”. E cioè che parlare troppo è letale.
Scherzavo con un giornalista. Mi venne in mente questa battuta perché l’avevo sentita da una bocca ben più importante della mia e mi aveva impressionato.
Chi era il proprietario di tale bocca?
Un ex direttore della Cia. Ero a un matrimonio.
Quanto incide la massoneria in Italia?
Non so dire se abbia un ruolo. Io non ne faccio parte. Non minimizzo la questione, sono consapevole dei danni che in passato le logge deviate hanno arrecato al Paese. Conosco alcuni massoni che fanno della loro filosofia un motivo di crescita ed elevazione personale. Studiano sui testi sacri e su Réné Guenon. Ho fatto lunghi dibattiti con massoni cattolici ai quali chiedevo come conciliano l’essere credenti con l’adesione alla massoneria.
Anche lei venera la Madonna di Medjugorje come la famiglia Renzi?
Non ci sono mai andato. Cerco Dio come Elia, che lo incontrò sul monte Oreb. Non nel frastuono. Nel silenzio. Non disprezzo, però, chi usa altri modi. Ed è scandaloso che Tiziano Renzi sia stato seguito anche lì.
Opus Dei o Cielle, quale sceglie?
Ho frequentato e talvolta frequento Comunione e Liberazione, dove ho alcuni cugini membri attivi della fraternità. Non sono un esperto di Opus. Ho partecipato anni fa a un ritiro perché mi invitò un professore, che si era intestardito a farmi finire Economia.
Ha trascorso sei anni in ospedale. Cosa le resta?
Mi manca molto non aver fatto la maturità con i miei amici. Mi mancano tutte le cose che uno fa dai 17 ai 23 anni. Mi resta il forte attaccamento all’amicizia e alla famiglia che mi hanno restituito la gioia di vivere. A un certo punto si era affievolita. Per distrarmi, dal letto giocavo in Borsa guardando le azioni sul televideo.
Dove sarà Renzi fra dieci anni?
Lontano dalla politica. E non per un fallimento, ma perché avrà terminato la missione.
E dove sarà Carrai?
Con mia moglie e i miei figli in giro per il mondo. Loro sono il mio presente e il mio futuro. Fino a qualche tempo fa guardavo soltanto indietro.
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Re: Renzi
NELLA MELMA, SUL FONDO DEL POZZO NERO, IN PUNTA DI PIEDI RIPETENDO A GRAN VOCE: “OCIO L’UNDA(OCCHIO NON FATE L’ONDA-IN ITALIANO).
COSA DOBBIAMO PENSARE???????????????????????????????????
19 mar 2017 11:14
1. IL PRIVATO CITTADINO MATTEO RENZI DECIDE I VERTICI DELLE CONTROLLATE DI STATO: LA RABBIA DI CAIO E MORETTI, MANAGER ESCLUSI PER FAR POSTO AI VASSALLI DEL GIGLIO MAGICO
2. IL FIORENTINO DEL FANTE, GRANDE AMICO DI CARRAI E DAVIDE SERRA, SOFFIA LA POLTRONA A CAIO, CHE SBOTTA: ''NON SO QUALE COLPA DOVREI PAGARE. MI HANNO DETTO DI UN'IMPUNTATURA DI RENZI, MA NON HO AVUTO CAPITO PERCHÉ''. LA SCUSA RIDICOLA SU PIONEER
3. ''ARROGANCE'' PROFUMO DOVRÀ SPEZZETTARE LEONARDO-FINMECCANICA AL POSTO DI MORETTI, CHE SMORZA: ''L'ESCLUSIONE MI HA FERITO, RAGIONI DI OPPORTUNITÀ POLITICA''
4. GENTILONI PIAZZA UNO DEI SUOI, MA NON TOCCA PALLA. CALENDA SCONFITTO, E PADOAN...
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COSA DOBBIAMO PENSARE???????????????????????????????????
19 mar 2017 11:14
1. IL PRIVATO CITTADINO MATTEO RENZI DECIDE I VERTICI DELLE CONTROLLATE DI STATO: LA RABBIA DI CAIO E MORETTI, MANAGER ESCLUSI PER FAR POSTO AI VASSALLI DEL GIGLIO MAGICO
2. IL FIORENTINO DEL FANTE, GRANDE AMICO DI CARRAI E DAVIDE SERRA, SOFFIA LA POLTRONA A CAIO, CHE SBOTTA: ''NON SO QUALE COLPA DOVREI PAGARE. MI HANNO DETTO DI UN'IMPUNTATURA DI RENZI, MA NON HO AVUTO CAPITO PERCHÉ''. LA SCUSA RIDICOLA SU PIONEER
3. ''ARROGANCE'' PROFUMO DOVRÀ SPEZZETTARE LEONARDO-FINMECCANICA AL POSTO DI MORETTI, CHE SMORZA: ''L'ESCLUSIONE MI HA FERITO, RAGIONI DI OPPORTUNITÀ POLITICA''
4. GENTILONI PIAZZA UNO DEI SUOI, MA NON TOCCA PALLA. CALENDA SCONFITTO, E PADOAN...
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Re: Renzi
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1. ALTRO CHE PASSO INDIETRO: RENZI FA IL PIENO DI NOMINE
Pasquale Napolitano per il Giornale
Paolo Gentiloni non tocca palla. La partita delle nomine ai vertici delle società partecipate si chiude con un vincitore: Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio, il ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda e gli alleati di governo ne escono sconfitti. L' ex premier impone la propria linea nella scelta dei manager di Stato. L' impianto renziano è confermato. L' autonomia di Palazzo Chigi un po' meno. Il potere del giglio magico, all' indomani del rinnovo dei cda delle aziende controllate dal ministero del Tesoro, è rafforzato.
E il rottamatore fiorentino più che un leader al tramonto appare come un politico di razza capace di lottizzare i posti chiave dello Stato italiano. Il renzismo non è morto, almeno per quanto concerne poltrone e incarichi. Fallisce il tentativo di Gentiloni, sostenuto da Calenda, di ridimensionare il peso dei toscani nelle stanze del potere.
L' asse tra Renzi e Orfini regge anche nel puzzle delle nomine: al vertice di Leonardo, la vecchia Finmeccanica, arriva Alessandro Profumo per sostituire Mauro Moretti per la poltrona di amministratore delegato.
Sul nome del banchiere c' è il placet di Matteo Orfini: il presidente del Partito democratico e Profumo si conoscono dai tempi della Fondazione ItalianiEuropei di Massimo D' Alema.
Ma il colpo di coda Renzi lo mette a segno ai vertici di Poste italiane: Marco Del Fante e Bianca Maria Farina sostituiranno Francesco Caio e Luisa Todini nei ruoli di amministratore delegato e presidente.
Nomi dal pedigree renziano: Del Fante, fiorentino come l' ex premier, è stato direttore generale della Cassa depositi e Prestiti e amministratore delegato di Terna, ma soprattutto vanta un legame di amicizia con Marco Carrai e con il finanziatore renziano Davide Serra. I nomi di Del Fante e Profumo non sono passati inosservati.
«Nomine che presentano luci e ombre», dice il presidente della commissione Attività produttive della Camera Guglielmo Epifani, del gruppo Articolo 1 - Movimento democratico e progressista.
«Giusto confermare i vertici di aziende che hanno fatto bene in questi anni e che oggi presentano buoni risultati di bilancio e di strategia - prosegue Epifani- Per lo stesso motivo è incomprensibile la sostituzione di Francesco Caio al vertice delle Poste. Interrogativi pone a sua volta la scelta del governo per Leonardo-Finmeccanica, dove c' era bisogno di maggiore continuità dopo tutti i cambiamenti degli ultimi anni e una competenza industriale e tecnologica che Alessandro Profumo ottimo manager e banchiere, probabilmente non possiede». Mentre Stefano Fassina di Sinistra italiana chiede al ministro Padoan di riferire in Parlamento.
Renzi vince dunque il braccio di ferro con Calenda che spingeva per un cambio ai vertici di Enel, Eni ed Enav. Alla guida della società elettrica il leader del Pd ottiene le riconferme di Patrizia Grieco e Francesco Starace, mentre a Eni restano Emma Marcegaglia e Claudio Descalzi. A Enav il Tesoro indica Roberta Neri, che è l' attuale ad, e Roberto Scaramella come presidente.
Ma come si diceva, il giro di nomine segna un brusco risveglio anche per Gentiloni che sperava far sentire il peso di Palazzo Chigi. E soprattutto ha provato a piazzare una sua fedelissima, Elisabetta Belloni, alla presidenza di Leonardo dove è stato confermato Gianni De Gennaro. Il riassetto della governance delle società partecipate riconsegnano il potere nelle mani di Renzi. Con buona pace di Gentiloni e degli alleati.
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1. ALTRO CHE PASSO INDIETRO: RENZI FA IL PIENO DI NOMINE
Pasquale Napolitano per il Giornale
Paolo Gentiloni non tocca palla. La partita delle nomine ai vertici delle società partecipate si chiude con un vincitore: Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio, il ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda e gli alleati di governo ne escono sconfitti. L' ex premier impone la propria linea nella scelta dei manager di Stato. L' impianto renziano è confermato. L' autonomia di Palazzo Chigi un po' meno. Il potere del giglio magico, all' indomani del rinnovo dei cda delle aziende controllate dal ministero del Tesoro, è rafforzato.
E il rottamatore fiorentino più che un leader al tramonto appare come un politico di razza capace di lottizzare i posti chiave dello Stato italiano. Il renzismo non è morto, almeno per quanto concerne poltrone e incarichi. Fallisce il tentativo di Gentiloni, sostenuto da Calenda, di ridimensionare il peso dei toscani nelle stanze del potere.
L' asse tra Renzi e Orfini regge anche nel puzzle delle nomine: al vertice di Leonardo, la vecchia Finmeccanica, arriva Alessandro Profumo per sostituire Mauro Moretti per la poltrona di amministratore delegato.
Sul nome del banchiere c' è il placet di Matteo Orfini: il presidente del Partito democratico e Profumo si conoscono dai tempi della Fondazione ItalianiEuropei di Massimo D' Alema.
Ma il colpo di coda Renzi lo mette a segno ai vertici di Poste italiane: Marco Del Fante e Bianca Maria Farina sostituiranno Francesco Caio e Luisa Todini nei ruoli di amministratore delegato e presidente.
Nomi dal pedigree renziano: Del Fante, fiorentino come l' ex premier, è stato direttore generale della Cassa depositi e Prestiti e amministratore delegato di Terna, ma soprattutto vanta un legame di amicizia con Marco Carrai e con il finanziatore renziano Davide Serra. I nomi di Del Fante e Profumo non sono passati inosservati.
«Nomine che presentano luci e ombre», dice il presidente della commissione Attività produttive della Camera Guglielmo Epifani, del gruppo Articolo 1 - Movimento democratico e progressista.
«Giusto confermare i vertici di aziende che hanno fatto bene in questi anni e che oggi presentano buoni risultati di bilancio e di strategia - prosegue Epifani- Per lo stesso motivo è incomprensibile la sostituzione di Francesco Caio al vertice delle Poste. Interrogativi pone a sua volta la scelta del governo per Leonardo-Finmeccanica, dove c' era bisogno di maggiore continuità dopo tutti i cambiamenti degli ultimi anni e una competenza industriale e tecnologica che Alessandro Profumo ottimo manager e banchiere, probabilmente non possiede». Mentre Stefano Fassina di Sinistra italiana chiede al ministro Padoan di riferire in Parlamento.
Renzi vince dunque il braccio di ferro con Calenda che spingeva per un cambio ai vertici di Enel, Eni ed Enav. Alla guida della società elettrica il leader del Pd ottiene le riconferme di Patrizia Grieco e Francesco Starace, mentre a Eni restano Emma Marcegaglia e Claudio Descalzi. A Enav il Tesoro indica Roberta Neri, che è l' attuale ad, e Roberto Scaramella come presidente.
Ma come si diceva, il giro di nomine segna un brusco risveglio anche per Gentiloni che sperava far sentire il peso di Palazzo Chigi. E soprattutto ha provato a piazzare una sua fedelissima, Elisabetta Belloni, alla presidenza di Leonardo dove è stato confermato Gianni De Gennaro. Il riassetto della governance delle società partecipate riconsegnano il potere nelle mani di Renzi. Con buona pace di Gentiloni e degli alleati.
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