Re: Renzi
Inviato: 19/03/2017, 13:38
CONTINUA
2. «SONO UN SERVITORE DELLO STATO L' ESCLUSIONE? MI HA FERITO»
Andrea Ducci per il ''Corriere della Sera''
«Sono in Sabina a occuparmi della potatura degli olivi».
A Mompeo, paesino in provincia di Rieti, Mauro Moretti è stato sindaco. Qui, in veste di novello Cincinnato, trascorre la giornata clou delle nomine ai vertici delle grandi aziende di Stato. Il suo nome non è nella lista del Tesoro. Dopo anni alla guida prima di Ferrovie e, da ultimo, di Leonardo-Finmeccanica, Moretti è obbligato a fare i conti con le spietate regole imposte a chi interpreta il ruolo di civil servant . La condanna per la strage ferroviaria di Viareggio del 2009 ha innescato un meccanismo ineludibile: niente rinnovo per la guida di Leonardo.
Sebbene la condanna sia in primo grado e sia riconducibile a un incarico, quello di numero uno di Rfi che, al momento dell' incidente, non ricopriva più da anni, per «ragioni di opportunità politica» è stato sostituito con Alessandro Profumo, «una persona molto intelligente e capace». Duro da digerire per chi ritiene di essersi sempre prestato e proposto come un servitore della pubblica amministrazione. Moretti si sente ferito, ma non si permette di giudicare «quelle ragioni riconducibili all' opportunità politica». In via riservata rivendica i risultati di una gestione apprezzata dall' azionista pubblico e dal mercato.
Tanto da non escludere la possibilità di assumere nuovi incarichi nel settore privato. Intanto l' ex Finmeccanica ha cambiato pelle, oltre che nome, in Leonardo. Le commesse ora generano buone marginalità, e insieme al patrimonio industriale è stato ristrutturato quello valoriale.
3. LA RABBIA DELL' AD DI POSTE: "NON SO QUALI COLPE AVREI"
Francesco Manacorda per ''La Repubblica''
Era una poltrona che scotta, adesso è una poltrona che sbotta. «Non so quale presunta colpa dovrei pagare - spiega ieri a chi gli parla l' amministratore delegato uscente di Poste Francesco Caio -. Mi hanno detto di un' impuntatura dell' ex premier, ma non ho avuto modo di capire perché».
Ufficialmente è proprio così.
Da tempo l' uomo che Renzi mise nel 2014 alla guida delle Poste per dare il calcio d' avvio alla privatizzazione aveva capito che con la nuova tornata di nomine il suo destino era in bilico senza che dal punto di vista dei risultati aziendali gli si potesse imputare alcunché. Ma fino alle ultime ore Caio si è rifiutato di accettare la decisione come presa, opponendo alle valutazioni e alle mediazioni politiche i numeri della sua azienda che il mercato aveva premiato.
Eppure il tam tam tra i palazzi del potere politico ed economico raccontava già da tempo di un Caio poco attento alle esigenze «di sistema» spesso calorosamente illustrate da Matteo Renzi quando era ancora premier: tetragono, il manager, alle pressioni su Poste perché rilevasse ad ogni costo il risparmio gestito targato Pioneer da Unicredit in modo da evitare - come poi è accaduto - che andasse in mano ai francesi di Amundi per la bella somma di 3,5 miliardi di euro, «anche perché il nostro mestiere non è fare i banchieri »; ritroso nell' avvicinarsi al dossier Mps quando il governo Renzi avrebbe voluto una mano forte e una tasca profonda per cercare di risolvere il pasticcio senese.
Operazioni che le Poste a guida Caio non hanno mai fatto - «ma a quei prezzi lo considero una medaglia al valore» - e che molto difficilmente i suoi azionisti, i grandi fondi come i piccoli risparmiatori, rimpiangeranno.
I numeri, appunto, che ancora in queste ore Caio ha contrapposto al giudizio della politica.
Numeri che quattro giorni fa si sono concretizzati in 622 milioni di utile netto consolidato, in crescita di quasi il 13% rispetto allo scorso anno. Così, anche quando l' altro giorno lo ha chiamato il ministro dell' Economia, Pier Carlo Padoan, non era per annunciagli la defenestrazione «ma perché era molto soddisfatto del lavoro fatto. In un Paese normale queste parole sarebbero state seguite dalla riconferma. Questo però è un Paese strano ».
Con Renzi, l' uomo che oggi da azionista di maggioranza del governo ha chiesto e voluto la sua testa, «fino a qualche mese fa rapporti strepitosi». E del resto la privatizzazione della prima e finora unica tranche di Poste, un 38% messo sul mercato nell' ottobre di due anni fa, era stato un successo: 3 miliardi di incasso per il Tesoro e un prezzo dell' azione che ha resistito, con soddisfazione del suo amministratore delegato: «In un anno e mezzo il settore degli operatori finanziari diversificati, al quale Poste viene comparata da molti analisti, ha perso circa il 40%, mentre noi abbiamo tenuto ».
Caio aveva anche dovuto districarsi nella doppia missione di Poste: da una parte soggetto di mercato che doveva accontentare tutti i suoi azionisti e non più solo quello pubblico; dall' altra attore «sociale» per il servizio di consegna di lettere e pacchi che non poteva di certo rispondere solo a pure logiche finanziarie. Due obiettivi che paiono inconciliabili. «Ho mantenuto quell' input di azienda sociale e di mercato - spiegava ancora qualche giorno fa - mantenendo una presenza capillare e prendendo anche l' impegno a non chiudere gli uffici nei comuni sotto cinquemila abitanti».
Nei piccoli comuni avranno ancora lettere e pacchi, ma l' uomo alla guida di tutti i postini d' Italia no non sarà più lo stesso.
A Mompeo, paesino in provincia di Rieti, Mauro Moretti è stato sindaco. Qui, in veste di novello Cincinnato, trascorre la giornata clou delle nomine ai vertici delle grandi aziende di Stato. Il suo nome non è nella lista del Tesoro. Dopo anni alla guida prima di Ferrovie e, da ultimo, di Leonardo-Finmeccanica, Moretti è obbligato a fare i conti con le spietate regole imposte a chi interpreta il ruolo di civil servant . La condanna per la strage ferroviaria di Viareggio del 2009 ha innescato un meccanismo ineludibile: niente rinnovo per la guida di Leonardo.
Sebbene la condanna sia in primo grado e sia riconducibile a un incarico, quello di numero uno di Rfi che, al momento dell' incidente, non ricopriva più da anni, per «ragioni di opportunità politica» è stato sostituito con Alessandro Profumo, «una persona molto intelligente e capace». Duro da digerire per chi ritiene di essersi sempre prestato e proposto come un servitore della pubblica amministrazione. Moretti si sente ferito, ma non si permette di giudicare «quelle ragioni riconducibili all' opportunità politica». In via riservata rivendica i risultati di una gestione apprezzata dall' azionista pubblico e dal mercato.
Tanto da non escludere la possibilità di assumere nuovi incarichi nel settore privato. Intanto l' ex Finmeccanica ha cambiato pelle, oltre che nome, in Leonardo. Le commesse ora generano buone marginalità, e insieme al patrimonio industriale è stato ristrutturato quello valoriale.
Tanto da non escludere la possibilità di assumere nuovi incarichi nel settore privato. Intanto l' ex Finmeccanica ha cambiato pelle, oltre che nome, in Leonardo. Le commesse ora generano buone marginalità, e insieme al patrimonio industriale è stato ristrutturato quello valoriale.
2. «SONO UN SERVITORE DELLO STATO L' ESCLUSIONE? MI HA FERITO»
Andrea Ducci per il ''Corriere della Sera''
«Sono in Sabina a occuparmi della potatura degli olivi».
A Mompeo, paesino in provincia di Rieti, Mauro Moretti è stato sindaco. Qui, in veste di novello Cincinnato, trascorre la giornata clou delle nomine ai vertici delle grandi aziende di Stato. Il suo nome non è nella lista del Tesoro. Dopo anni alla guida prima di Ferrovie e, da ultimo, di Leonardo-Finmeccanica, Moretti è obbligato a fare i conti con le spietate regole imposte a chi interpreta il ruolo di civil servant . La condanna per la strage ferroviaria di Viareggio del 2009 ha innescato un meccanismo ineludibile: niente rinnovo per la guida di Leonardo.
Sebbene la condanna sia in primo grado e sia riconducibile a un incarico, quello di numero uno di Rfi che, al momento dell' incidente, non ricopriva più da anni, per «ragioni di opportunità politica» è stato sostituito con Alessandro Profumo, «una persona molto intelligente e capace». Duro da digerire per chi ritiene di essersi sempre prestato e proposto come un servitore della pubblica amministrazione. Moretti si sente ferito, ma non si permette di giudicare «quelle ragioni riconducibili all' opportunità politica». In via riservata rivendica i risultati di una gestione apprezzata dall' azionista pubblico e dal mercato.
Tanto da non escludere la possibilità di assumere nuovi incarichi nel settore privato. Intanto l' ex Finmeccanica ha cambiato pelle, oltre che nome, in Leonardo. Le commesse ora generano buone marginalità, e insieme al patrimonio industriale è stato ristrutturato quello valoriale.
3. LA RABBIA DELL' AD DI POSTE: "NON SO QUALI COLPE AVREI"
Francesco Manacorda per ''La Repubblica''
Era una poltrona che scotta, adesso è una poltrona che sbotta. «Non so quale presunta colpa dovrei pagare - spiega ieri a chi gli parla l' amministratore delegato uscente di Poste Francesco Caio -. Mi hanno detto di un' impuntatura dell' ex premier, ma non ho avuto modo di capire perché».
Ufficialmente è proprio così.
Da tempo l' uomo che Renzi mise nel 2014 alla guida delle Poste per dare il calcio d' avvio alla privatizzazione aveva capito che con la nuova tornata di nomine il suo destino era in bilico senza che dal punto di vista dei risultati aziendali gli si potesse imputare alcunché. Ma fino alle ultime ore Caio si è rifiutato di accettare la decisione come presa, opponendo alle valutazioni e alle mediazioni politiche i numeri della sua azienda che il mercato aveva premiato.
Eppure il tam tam tra i palazzi del potere politico ed economico raccontava già da tempo di un Caio poco attento alle esigenze «di sistema» spesso calorosamente illustrate da Matteo Renzi quando era ancora premier: tetragono, il manager, alle pressioni su Poste perché rilevasse ad ogni costo il risparmio gestito targato Pioneer da Unicredit in modo da evitare - come poi è accaduto - che andasse in mano ai francesi di Amundi per la bella somma di 3,5 miliardi di euro, «anche perché il nostro mestiere non è fare i banchieri »; ritroso nell' avvicinarsi al dossier Mps quando il governo Renzi avrebbe voluto una mano forte e una tasca profonda per cercare di risolvere il pasticcio senese.
Operazioni che le Poste a guida Caio non hanno mai fatto - «ma a quei prezzi lo considero una medaglia al valore» - e che molto difficilmente i suoi azionisti, i grandi fondi come i piccoli risparmiatori, rimpiangeranno.
I numeri, appunto, che ancora in queste ore Caio ha contrapposto al giudizio della politica.
Numeri che quattro giorni fa si sono concretizzati in 622 milioni di utile netto consolidato, in crescita di quasi il 13% rispetto allo scorso anno. Così, anche quando l' altro giorno lo ha chiamato il ministro dell' Economia, Pier Carlo Padoan, non era per annunciagli la defenestrazione «ma perché era molto soddisfatto del lavoro fatto. In un Paese normale queste parole sarebbero state seguite dalla riconferma. Questo però è un Paese strano ».
Con Renzi, l' uomo che oggi da azionista di maggioranza del governo ha chiesto e voluto la sua testa, «fino a qualche mese fa rapporti strepitosi». E del resto la privatizzazione della prima e finora unica tranche di Poste, un 38% messo sul mercato nell' ottobre di due anni fa, era stato un successo: 3 miliardi di incasso per il Tesoro e un prezzo dell' azione che ha resistito, con soddisfazione del suo amministratore delegato: «In un anno e mezzo il settore degli operatori finanziari diversificati, al quale Poste viene comparata da molti analisti, ha perso circa il 40%, mentre noi abbiamo tenuto ».
Caio aveva anche dovuto districarsi nella doppia missione di Poste: da una parte soggetto di mercato che doveva accontentare tutti i suoi azionisti e non più solo quello pubblico; dall' altra attore «sociale» per il servizio di consegna di lettere e pacchi che non poteva di certo rispondere solo a pure logiche finanziarie. Due obiettivi che paiono inconciliabili. «Ho mantenuto quell' input di azienda sociale e di mercato - spiegava ancora qualche giorno fa - mantenendo una presenza capillare e prendendo anche l' impegno a non chiudere gli uffici nei comuni sotto cinquemila abitanti».
Nei piccoli comuni avranno ancora lettere e pacchi, ma l' uomo alla guida di tutti i postini d' Italia no non sarà più lo stesso.
A Mompeo, paesino in provincia di Rieti, Mauro Moretti è stato sindaco. Qui, in veste di novello Cincinnato, trascorre la giornata clou delle nomine ai vertici delle grandi aziende di Stato. Il suo nome non è nella lista del Tesoro. Dopo anni alla guida prima di Ferrovie e, da ultimo, di Leonardo-Finmeccanica, Moretti è obbligato a fare i conti con le spietate regole imposte a chi interpreta il ruolo di civil servant . La condanna per la strage ferroviaria di Viareggio del 2009 ha innescato un meccanismo ineludibile: niente rinnovo per la guida di Leonardo.
Sebbene la condanna sia in primo grado e sia riconducibile a un incarico, quello di numero uno di Rfi che, al momento dell' incidente, non ricopriva più da anni, per «ragioni di opportunità politica» è stato sostituito con Alessandro Profumo, «una persona molto intelligente e capace». Duro da digerire per chi ritiene di essersi sempre prestato e proposto come un servitore della pubblica amministrazione. Moretti si sente ferito, ma non si permette di giudicare «quelle ragioni riconducibili all' opportunità politica». In via riservata rivendica i risultati di una gestione apprezzata dall' azionista pubblico e dal mercato.
Tanto da non escludere la possibilità di assumere nuovi incarichi nel settore privato. Intanto l' ex Finmeccanica ha cambiato pelle, oltre che nome, in Leonardo. Le commesse ora generano buone marginalità, e insieme al patrimonio industriale è stato ristrutturato quello valoriale.
Tanto da non escludere la possibilità di assumere nuovi incarichi nel settore privato. Intanto l' ex Finmeccanica ha cambiato pelle, oltre che nome, in Leonardo. Le commesse ora generano buone marginalità, e insieme al patrimonio industriale è stato ristrutturato quello valoriale.