camillobenso ha scritto:
Craxi e il format dell’uomo solo al comando
di Antonio Padellaro
L’ultima volta che parlai con Bettino Craxi era il 1998 e lavoravo all’Espresso.
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Infine i conti con se stesso e una frase che suona come epitaffio: “Io non conosco la felicità.
La mia vita è stata una corsa a ostacoli, e non mi sono mai fermato per dire a me stesso ora sei un uomo felice. Bettino Craxi”.
Un bell'articolo, di quelli che è capace di scrivere Padellaro.
Basterebbero un paio di questi articoli per riempire un forum come il nostro di pensieri e parole.
La figura di Craxi esce da questo racconto con una drammatica e allo stesso tempo realistica epicità, la stessa che avvolge personaggi di quegli anni, come Luciano Lama e Berlinguer, e del periodo pre e post-bellico, dei quali abbiamo poco più di quella foto in cui siedono a Yalta, per riscrivere la geografia del mondo.
Più che considerazioni politiche o sociologiche in senso stretto, mi viene in mente un fatto di linguaggio: l'importanza del racconto.
Del racconto scritto, lo stile del quale solo un giornalista come Gianni Minà ha saputo raccogliere, traducendolo in linguaggio televisivo.
In questo senso Craxi è stato l'ultimo a poter essere raccontato da un articolo come questo di Padellaro, prima cioè che la politica diventasse uno spettacolo frammentato dai palinsesti televisivi, e assumesse il linguaggio dei talkshow: a paragone dei D'Alema e dei Casini, dei Fini e dei Berlusconi, Bettino Craxi l'abbiamo visto poco o niente in TV - simile, in questo, a certi miti dello sport, compreso il calcio, prima che arrivasse la paytv, i Puskas, i Gento, i Di Stefano, Sivori e Manfredini, Ghiggia e Giggirriva, Bobby Charlton, Tommy Smith, Zatopek, Owens, Piola, Bartali e Anquetil.
E mi viene in mente, molto persuasiva, l'annotazione di Horkheimer, che più o meno dice "c'era un tempo in cui gli intellettuali s'inchinavano al trono, mentre con i loro racconti ne minavano il potere, mentre adesso vanno a pranzo insieme con i potenti e gli danno del tu, e ne diventano servi, rafforzandone il potere".
Eravamo giovani, eravamo arroganti, eravamo ridicoli, eravamo eccessivi, eravamo avventati. Eravamo bandiere rosse. E avevamo ragione.