"Vi spiego perché il Pd di Matteo Renzi è la nuova Forza Italia"
"Non c'è in Italia un'idea politica, c'è solo l'accoglimento acritico delle pulsioni. Ma l’assenza di politica fa male a un paese". Parla Carlo Galli, uno dei maggiori politologi italiani
di Marco Pacini
13 aprile 2017
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Che cosa c’è dietro, sotto, o almeno di fianco a un “ciaone”, uno scambio di tweet che occupa una pagina di giornale, una scissione, una micro scissione, una ricomposizione, una passerella leopolda, le primarie, le comunarie, o un nuovo (chissà mai) predellino...? Nulla o quasi. Al massimo il fantasma della politica, o la politichetta a corta gittata.
Dalla messa in soffitta delle ideologie a quella delle idee e in definitiva del pensiero il passo è stato breve. Il processo di svuotamento rapido, inesorabile, incontrovertibile, agli occhi della scienza politica. Carlo Galli, uno dei maggiori politologi italiani, ha voluto portarlo dentro, il suo sguardo. Nel partito, nell’aula parlamentare. Eletto nelle file del Pd nel 2013 si avvia alla conclusione della sua «prima e ultima» esperienza “dentro” la politica, come indipendente nel gruppo degli scissionisti Pd, dopo un rapido transito in Sinistra italiana.
Oggi, dopo una lunga attività accademica e una produzione scientifica di primo livello, ha consegnato la testimonianza del “divorzio” a un testo in cui la dottrina fa posto anche al racconto personale, autobiografico. Il titolo è “Democrazia senza popolo” (Feltrinelli). Ma sarebbe potuto essere “Politica senza pensiero”. Perché è questo il divorzio che Galli racconta: «La politica non solo non ha più un pensiero che la sorregga e la guidi. Ma ogni pensiero è deliberatamente escluso. La politica è navigare a vista, portare a casa qualcosa per sé e per il proprio gruppo».
Deluso? «No, non proprio deluso perché non mi ero mai illuso; mi porto dentro un grande senso di spaesamento. Ma ho imparato molto ai miei fini. Soprattutto dal punto di vista del comportamento antropologico». Già la politica oggi è antropologia, o psicologia. «È un modo di stare al mondo».
Le categorie del politico vanno allora forse cercate altrove. Nella “stasi frenetica” delle società tardomoderne, come sembra suggerire la più attenta sociologia, per esempio. E uno dei segni più evidenti di questa stasi “stasi frenetica” è l’avanzare di una
politica che, una volta preso congedo dai programmi e dai progetti di lungo respiro, trova la propria “mission” nell’accelerazione verso traguardi non suoi, nella contrazione dei processi decisionali dove il “come” oscura il “che cosa”. Nel “non c’è tempo da perdere”, senza ben sapere per il raggiungimento di quale obiettivo politico. Non perdere il passo con il mutamento è l’imperativo che già denuncia una resa, la riduzione della politica a rincorsa di un “mutamento” di cui si sono perse le redini. La legittimazione che diventa accelerazione, contrazione.
«Mentre la politica ha bisogno di un orizzonte di pensiero, di un tempo del pensiero. Tra chi fa politica oggi tutto questo non c’è», constata Galli, «Quello che è completamente assente è l’attitudine e capire da dove vengono i problemi, che è l’unica via per affrontarli. Per questo vediamo un amalgama indistinto privo di progettualità. Non c’è in Italia un’idea politica c’è solo l’accoglimento acritico delle pulsioni. Ma l’assenza di politica fa male a un paese».
«E i cittadini lo sanno, forse in modo inconsapevole o inconscio, che è necessaria la politica per cambiare le cose», prosegue il professore. «Ma senza un’analisi, un pensiero, le cose non si cambiano. E i cittadini lo vogliono. Chiedono una riflessione rispetto alla chiacchiera. Chiedono un ripensamento radicale... se questo ci fosse calerebbe il vento di quello che chiamiamo populismo».
Verrebbe da dire, con Gaber, che “è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra”, se non fosse che - come sottolinea Carlo Calli - «l’assenza di scontro
di idee, di opzioni politiche alternative, è una pessima cosa per il futuro, perché apre il ventre del Paese a pulsioni irrazionaliste». Che sarebbe serio, riparlarne, insomma
di destra e sinistra.
Eppure anche il politologo bolognese che nel 2010 aveva dato alle stampe “Perché ancora sinistra e destra”, stila una diagnosi netta: «Sinistra e destra oggi non esistono e il Pd renziano si può considerare a tutti gli effetti di centrodestra, perfettamente omogeneo a Forza Italia». La divisione resiste solo sui temi etici e dei diritti individuali. E in qualche modo è pre-politica.
Ma lo riscriverebbe oggi, Galli, sotto questa cappa dal colore indistinto, un libro come “Perché ancora destra e sinistra”? La risposta è affermativa, perché forse aiuterebbe a disseppellire una contrapposizione autenticamente politica, dai detriti
di un’altra: sistema-antisistema. Una contrapposizione - secondo Galli - che si gioca spesso con carte truccate,
«dato che, per restare al caso italiano, il Movimento 5Stelle non è antisistema, ma anticasta, e sono due cose diverse».
«I grillini non hanno né la cultura né la voglia di analizzare
le cose, il sistema», conclude. «L’essenza del loro pensiero politico è semplice: “la politica è facile “. Ma non è vero.
E di anti-sistema in Italia c’è solo la Lega o frange dell’estrema sinistra».
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