Re: quo vadis PD ????
Inviato: 14/11/2012, 23:38
Da La Stampa 14.11.12
Addio Berlinguer e Gramsci Ora il pantheon è pop
I padri della sinistra “dimenticati” dai candidati che preferiscono cattolici
La svolta ideologica: Dai pensatori comunisti si è passati a quelli liberali sdoganati da Tony Blair
di Massimiliano Panarari
Dimmi a che pantheon ti rifai, e ti dirò chi sei; quanto meno «a spanne».
L’albero genealogico dei pensatori di riferimento, a sinistra, vale come la carta d’identità.
E ad ascoltare i «magnifici cinque» protagonisti del dibattito di lunedì sera a proposito delle figure ideali cui si ispirano – De Gasperi, Giovanni Marcora, Tina Anselmi, il Cardinal Martini, Papa Giovanni – l’impressione parrebbe quella di una «grande Chiesa – copyright Jovanotti – che parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa».
Solo che il Che non c’è più, e pure Malcolm X non si sente molto bene, mentre rimane Mandela.
E ritornano i «fondamentali del compromesso storico» (Aldo Moro ed Enrico Berlinguer), come ha voluto precisare ieri D’Alema, segnalandone la vistosa assenza dalle dichiarazioni dei candidati alle primarie.
A pagare di più, dunque, nei termini della mancata inclusione nelle gallerie culturali uscite dalla trasmissione di Sky Tg24, sono i protagonisti della «via italiana» al comunismo e al socialismo (anch’esso, da Turati a Pertini, da annoverare decisamente tra i dispersi).
Do you remember, per esempio, Antonio Gramsci? Mentre furoreggia all’estero, sembrano essersene perse le tracce nel Pd, a eccezione delle sue sparute «guardie rosse» Beppe Vacca e il gruppo dei «giovani turchi».
I duellanti della stagione postcomunista, Massimo D’Alema e Walter Veltroni, in disaccordo su tutto (o quasi), si ritrovarono, infatti, sulla rimozione del passato divenuto ingombrante.
E, così, il filosofo dei Quaderni del carcere finì per uscire dai radar dell’elaborazione partitica, a parte qualche omaggio formale.
Fuori il pensiero comunista, dentro il liberalismo, declinato in ogni forma e salsa possibile (ma chissà quanto davvero metabolizzato…), con filosofi come John Rawls e Jürgen Habermas, e un dibattito alimentato, tra gli altri, da Michele Salvati (oggi direttore de il Mulino) e dagli intellettuali riuniti intorno alla rivista Reset.
All’epoca del cosiddetto «Ulivo mondiale», a fine Anni Novanta, quando imperversava la Terza via di Clinton e Blair e si susseguivano i meeting sulla «Progressive Governance», brillavano le stelle del nuovo guru Tony Giddens (il cui livre de chevet venne prefato, nell’edizione italiana, da Romano Prodi) e, in misura minore, di Ulrich Beck.
Prendeva avvio l’esternalizzazione della cultura politica, sull’onda di quanto avvenuto nel mondo anglosassone; e, così, anche nel vocabolario politico italiano faceva il suo ingresso la parola think tank: visto che i partiti della Seconda Repubblica, in tutt’altre faccende affaccendati, snobbavano la produzione di idee, ci pensavano pensatoi e fondazioni come la dalemian-amatiana Italianieuropei.
Cambiano i tempi e va sempre forte nel pantheon progressista, depurato degli accenti più «antagonistici», don Lorenzo Milani, mentre rimangono stabili, ma in un pacchetto inesorabilmente di minoranza, le azioni del socialismo liberale.
A parole si omaggiano gli illustri esponenti di una tradizione che vanta Piero Gobetti e i fratelli Rosselli, via via fino a Norberto Bobbio.
Ma qualcuno continua a ritenere che siano troppo «torinesi» ed elitari, roba da salotti buoni e da borghesia illuminata, che mal si sposa con un partitone «dalle solide radici popolari».
Ci aveva allora pensato Walter Veltroni, nel suo mix postmoderno, a ospitarli, insieme ai suoi must importati dagli States, i Kennedy (JFK, ma soprattutto Bob) e Martin Luther King.
E, oggi, se due esponenti di spicco della componente liberal, Enrico Morando e Giorgio Tonini, chiedono di farla finita con Gramsci e Dossetti, il blocco neo-socialdemocratico che sostiene Bersani (autore di una tesi di laurea, ormai divenuta proverbiale, su Gregorio Magno) appare percorso da tendenze differenti.
Così, dalle parti dei supporter del segretario può capitare di sentire un’incredibile apologia del «Migliore» (a volte ritornano…) nel nome del «primato del Partito», e, al tempo stesso, di assistere ai convegni di filosofi del Centro studi Pd presieduto dal deputato Gianni Cuperlo (già organizzatore, l’anno passato, di un ciclo di iniziative sul Centocinquantesimo dell’Unità d’Italia).
Addio Berlinguer e Gramsci Ora il pantheon è pop
I padri della sinistra “dimenticati” dai candidati che preferiscono cattolici
La svolta ideologica: Dai pensatori comunisti si è passati a quelli liberali sdoganati da Tony Blair
di Massimiliano Panarari
Dimmi a che pantheon ti rifai, e ti dirò chi sei; quanto meno «a spanne».
L’albero genealogico dei pensatori di riferimento, a sinistra, vale come la carta d’identità.
E ad ascoltare i «magnifici cinque» protagonisti del dibattito di lunedì sera a proposito delle figure ideali cui si ispirano – De Gasperi, Giovanni Marcora, Tina Anselmi, il Cardinal Martini, Papa Giovanni – l’impressione parrebbe quella di una «grande Chiesa – copyright Jovanotti – che parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa».
Solo che il Che non c’è più, e pure Malcolm X non si sente molto bene, mentre rimane Mandela.
E ritornano i «fondamentali del compromesso storico» (Aldo Moro ed Enrico Berlinguer), come ha voluto precisare ieri D’Alema, segnalandone la vistosa assenza dalle dichiarazioni dei candidati alle primarie.
A pagare di più, dunque, nei termini della mancata inclusione nelle gallerie culturali uscite dalla trasmissione di Sky Tg24, sono i protagonisti della «via italiana» al comunismo e al socialismo (anch’esso, da Turati a Pertini, da annoverare decisamente tra i dispersi).
Do you remember, per esempio, Antonio Gramsci? Mentre furoreggia all’estero, sembrano essersene perse le tracce nel Pd, a eccezione delle sue sparute «guardie rosse» Beppe Vacca e il gruppo dei «giovani turchi».
I duellanti della stagione postcomunista, Massimo D’Alema e Walter Veltroni, in disaccordo su tutto (o quasi), si ritrovarono, infatti, sulla rimozione del passato divenuto ingombrante.
E, così, il filosofo dei Quaderni del carcere finì per uscire dai radar dell’elaborazione partitica, a parte qualche omaggio formale.
Fuori il pensiero comunista, dentro il liberalismo, declinato in ogni forma e salsa possibile (ma chissà quanto davvero metabolizzato…), con filosofi come John Rawls e Jürgen Habermas, e un dibattito alimentato, tra gli altri, da Michele Salvati (oggi direttore de il Mulino) e dagli intellettuali riuniti intorno alla rivista Reset.
All’epoca del cosiddetto «Ulivo mondiale», a fine Anni Novanta, quando imperversava la Terza via di Clinton e Blair e si susseguivano i meeting sulla «Progressive Governance», brillavano le stelle del nuovo guru Tony Giddens (il cui livre de chevet venne prefato, nell’edizione italiana, da Romano Prodi) e, in misura minore, di Ulrich Beck.
Prendeva avvio l’esternalizzazione della cultura politica, sull’onda di quanto avvenuto nel mondo anglosassone; e, così, anche nel vocabolario politico italiano faceva il suo ingresso la parola think tank: visto che i partiti della Seconda Repubblica, in tutt’altre faccende affaccendati, snobbavano la produzione di idee, ci pensavano pensatoi e fondazioni come la dalemian-amatiana Italianieuropei.
Cambiano i tempi e va sempre forte nel pantheon progressista, depurato degli accenti più «antagonistici», don Lorenzo Milani, mentre rimangono stabili, ma in un pacchetto inesorabilmente di minoranza, le azioni del socialismo liberale.
A parole si omaggiano gli illustri esponenti di una tradizione che vanta Piero Gobetti e i fratelli Rosselli, via via fino a Norberto Bobbio.
Ma qualcuno continua a ritenere che siano troppo «torinesi» ed elitari, roba da salotti buoni e da borghesia illuminata, che mal si sposa con un partitone «dalle solide radici popolari».
Ci aveva allora pensato Walter Veltroni, nel suo mix postmoderno, a ospitarli, insieme ai suoi must importati dagli States, i Kennedy (JFK, ma soprattutto Bob) e Martin Luther King.
E, oggi, se due esponenti di spicco della componente liberal, Enrico Morando e Giorgio Tonini, chiedono di farla finita con Gramsci e Dossetti, il blocco neo-socialdemocratico che sostiene Bersani (autore di una tesi di laurea, ormai divenuta proverbiale, su Gregorio Magno) appare percorso da tendenze differenti.
Così, dalle parti dei supporter del segretario può capitare di sentire un’incredibile apologia del «Migliore» (a volte ritornano…) nel nome del «primato del Partito», e, al tempo stesso, di assistere ai convegni di filosofi del Centro studi Pd presieduto dal deputato Gianni Cuperlo (già organizzatore, l’anno passato, di un ciclo di iniziative sul Centocinquantesimo dell’Unità d’Italia).