Diario della caduta di un regime.

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camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Nel Paese che si sta decomponendo, non poteva mancare questo settore.


17 GIU 2016 17:20
1. “OKAY, BRINDIAMO, FINGIAMO DI ESULTARE, MA SAPPIATE, SAPPIAMO ALMENO TRE COSE. CHE FIN QUI SIAMO L’ONESTA ESPRESSIONE DI UN CALCIO PEZZENTE. CHE, FINO ALL’INVENZIONE DI BONUCCI SU GIACCHERINI, ERAVAMO STATI PENOSI ANCHE CONTRO IL BELGIO. CHE QUESTA ITALIA (E AGGIUNGEREI LA JUVENTUS) ESISTE SOLO PERCHÉ ESISTONO QUEI QUATTRO DIETRO"

2. “IN QUESTA CHE È STATA LA PEGGIOR PARTITA DELL’EUROPEO, ARRIVA QUASI AL 90ESIMO UNO SCARTO BRASILIANO RIBATTEZZATO ITALIANO, EDER, A RIPESCARE DAL SUO ACIDO NUCLEICO UNO SCAMPOLO DI CALCIO NOBILE. SOLITA SOLFA, IL PISELLONE AZZURRO S’IMPENNA AIZZATO DAL VIAGRA DELLE MALE LINGUE E S’AMMOSCIA APPENA PARTONO LE CELEBRAZIONI"


Giancarlo Dotto per Dagospia

Partita brutta e stracca come una vecchia mucca imbottita di sedativi. Antonio Conte ha smesso di sanguinare ma non la smette di miracolare, mentre si capisce da come si sgola che Buffon è pronto alla morte. Che non arriva solo perché lo spauracchio molto racchio di Ibra sibila e soffia come un cobra ma è mansueto come un abbacchio, mentre di là arriva quasi al novantesimo uno scarto brasiliano ribattezzato italiano, Eder, a ripescare dal suo acido nucleico uno scampolo di calcio nobile.

Due squadre inguardabili, con una eclatante differenza, che i gialli sono mediocri e basta, mentre gli azzurri da secolare tradizione nel brutto ci sguazzano e devi solo capire come arriverà il golletto di turno, se d’estro o di culo. A seguire, inevitabile, l’immondo diluvio patriottico dei trombettieri a berciare l’immancabile “diciamolo, ma chi se ne frega se siamo brutti, siamo agli ottavi, avanti così…”. Avanti dove? Se sei brutto, porti avanti solo la tua faccia brutta.

Solita solfa, il pisellone azzurro s’impenna solo se aizzato dal viagra delle male lingue e s’ammoscia appena partono le celebrazioni. In questa che è stata, senza il minimo dubbio, la peggior partita dell’Europeo, l’occhio della tigre s’è trasformato in quello del criceto. L’unico a sbracciarsi da matto restava Antonio Conte che, però, non era più l’Al Pacino di “Ogni maledetta domenica” ma quello claudicante e scorato di “Donnie Brasco”. Che insisteva autolesionisticamente nel suo pallino per Pellè, lasciando in panca uno come Zaza che ne vale dieci di Pellè e, guarda il non caso, arriva propria da un suo furente e rapinoso assist la palla buona per Eder.

’ la Svezia che parte in pressing forsennato, smentendo tutte le opinionesse che ci avevano informato in totale sicumera che sarebbe stata l’Italia a fare la partita, mentre loro, i vichinghi, si sarebbero difesi, salvo poi liberare il contropiede. Succede esattamente il contrario. Sta di fatto che, alla fine del primo tempo, dopo lo zero assoluto e palla sempre sui piedi gialli, sono i tifosi svedesi che ci deridono dagli spalti con la ola.

17 GIU 2016 19:09
COSE DA TERZO MONDO - C'È ITALIA-SVEZIA E ROMA SI FERMA: NESSUNO PIÙ NEGLI UFFICI PUBBLICI, NESSUNO IN STRADA. SEMBRA UNA DOMENICA DI AGOSTO. INVECE È UN VENERDÌ POMERIGGIO FRA LE 15 E LE 17, IN PIENO ORARIO LAVORATIVO - VIDEO
Franco Bechis: Se poi la produttività dell'Italia è quella che è, in questo breve giro in Prati e sul lungotevere deserto si capisce bene perché...
Franco Bechis per Liberoquotidiano.it

ITALIA SVEZIA
link video:https://www.youtube.com/watch?v=8QixYwBNShI
C'è Italia-Svezia agli europei di calcio, e la capitale si ferma come accade solo nei paesi che una volta definivamo del Terzo Mondo. Nessuno più negli uffici pubblici, nessuno in strada. Sembra una domenica di agosto. Invece è un venerdì pomeriggio fra le 15 e le 17, in pieno orario lavorativo. Se poi la produttività dell'Italia è quella che è, in questo breve giro in Prati e suil lungotevere deserto si capisce bene perché...
camillobenso
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LE RIFLESSIONI DI MAZZUCO COMPLICANO NON DI POCO I NOSTRI CONCETTI DI DEMOCRAZIA


Twain: se le elezioni servissero, non ci lascerebbero votare
Scritto il 18/6/16 • nella Categoria: Recensioni Condividi


In tempi di elezioni si sente spesso citare la frase di Mark Twain: «Se le elezioni servissero a qualcosa, non ce le lascerebbero fare». Si può fare però anche il ragionamento opposto: se le elezioni non servissero a nulla, perché mai i politici si dannano in modo disumano per riuscire a vincerle? In realtà, questa è una finta contrapposizione, perché la prima frase è vista dall’ottica dell’elettore, mentre la seconda è vista dall’ottica del candidato politico. Si potrebbe concludere quindi che le elezioni non servono a nulla per quel che riguarda i cittadini, mentre servono moltissimo ai politici che le vincono, perché saranno poi loro a gestire il potere. C’è però un passaggio mancante, ed è questo: se è vero che le elezioni non servono al cittadino, ma servono al politico per arrivare a gestire il potere, perché il cittadino vota quel politico? Anche qui, la risposta è semplice: il cittadino vota quel politico perché crede che quel politico farà qualcosa di buono per lui.Quindi, le elezioni sono un grande inganno nel quale sostanzialmente un piccolo gruppo di teatranti (i politici) chiedono di avere l’autorizzazione da parte dei cittadini (il pubblico pagante) a gestire il loro denaro. Perché ormai è una cosa l’abbiamo capita tutti: governare significa gestire montagne praticamente infinite di denaro pubblico. Nient’altro. Sembrerebbe quindi un inganno perfetto: da una parte si obbligano i cittadini a versare quote sostanziali dei loro guadagni in forma di tasse (con la scusa dei “servizi pubblici”), e dall’altra si ottiene poi l’autorizzazione da parte degli stessi cittadini per gestire il loro denaro a proprio piacimento. Lasciando in più a loro l’illusione di avere scelto. Per dirla con Cioran, «la democrazia è il paradiso e la tomba dei popoli». C’è però un però: che cosa succede se i cittadini comprendono il meccanismo perverso che da sempre li ha portati ad essere legati al palo a cui volevano essere legati? Che cosa succede nel momento in cui si accorgono che negando il proprio voto a chi fino ad oggi gli ha soltanto rubato dei soldi, costui non potrà più continuare a rubarglieli?In fondo, è vero che il ladro sta dall’altra parte, ma sei tu che gli offri le chiavi di casa tua, nel momento in cui lo voti. La questione quindi non è democrazia-sì o democrazia-no, ma è democrazia becera e irrazionale (ingannevole e manipolatoria) contro democrazia critica ed informata (responsabile e partecipata). Lo ha spiegato bene James Madison (uno dei Padri Fondatori americani) quando ha detto: «Nulla potrebbe essere più irragionevole che dare potere al popolo, privandolo tuttavia dell’informazione senza la quale si commettono gli abusi di potere. Un popolo che vuole governarsi da sé deve armarsi del potere che procura l’informazione. Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe». Oppure, come diceva Rathenau, «Democrazia è regime di popolo nelle mani di un popolo politicamente educato; nelle mani di un popolo impolitico e ineducato è cricca di circoli e rigurgito di tavolini da caffè». La stessa cosa l’ha detta de Toqueville, in modo ancora più sintetico: «La democrazia è il potere di un popolo informato». It’s a long way to Tipperary.(Massimo Mazzucco, “A cosa servono le elezioni?”, dal blog “Luogo Comune” dell'8 giugno 2016).
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UN SERVIZIETTO DA NIENTE, CON IL MORTO



Così la Popolare di Vicenza ha rifilato titoli tossici a 58mila azionisti
Per sostenere gli aumenti di capitale la Popolare di Vicenza ha truccato i dati dei risparmiatori. Ecco come li ha riempiti di titoli rischiosi
Sergio Rame - Ven, 17/06/2016 - 10:06
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Prima è stata la volta di Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche. Adesso scoppia il bubbone della Popolare di Vicenza.

In una ispezione, condotta tra il 26 febbraio e il 3 luglio 2015 , la Banca centrale europea si è accorta che l'istituto vicentino ha rifilato a 58mila azionisti, che non erano in linea con la direttiva europea, titoli ad alto rischio. Adesso l'ex presidente Gianni Zonin e l'ex amministratore delegato Samuele Sorato sono indagati per aggiotaggio e ostacolo alle autorità di vigilanza. Ma quanto emerge dalle 103 pagine redatte dalla Bce e riportate oggi da Repubblica è una truffa senza precedenti.
"Gli aumenti di capitale del 2013 e del 2014 - si legge nel documento della Bce - sono stati portati a termine adottando un approccio non in linea con le normative Mifid, poiché la Bpvi non ha stilato il profilo di rischio completo dei clienti attraverso i test prescritti oppure li ha alterati a suo vantaggio". Quello che emerge dal report dell'istituto centrale è agghiacciante. Perché gli azionisti non solo non venivano assistiti correttamente dalla banca, ma venivano addirittura informati con semplici lettere che avrebbero dovuto essere rispedite in filiale dopo essere state firmate. Nella stragrande maggioranza dei casi i risparmiatori contattati non rispondevano, ma l'investimento procedeva ugualmente. Con questi magheggi, fa notareRepubblica, la Popolare di Vicenza riusciva a spingere i risparmiatori a "comprare un titolo che nel giro di un paio di anni è passato da un valore di 62,5 a 0,1 euro".
Dall'ispezione della Bce emerge, infatti, che "i titoli sono sempre stati sovrastimati come dimostra la costante e significativa differenza tra il valore dei titoli della Bpvi e delle altre popolari quotate, utilizzando medesimi modelli di valutazione". Se, per esempio, si considera il rapporto tra il valore di mercato del titolo e il valore di libro, balza subito all'occhio che il coefficiente della Vicenza (1,2) sia quasi il doppio della media di quello delle popolari italiane quotate in Borsa (0,73). "Zonin e i suoi manager hanno finanziato gli acquisti delle azioni e illuso i clienti con la possibilità di rivendere quei titoli alla banca - spiega Walter Galbiati su Repubblica - ma tra gennaio 2013 e dicembre 2014, le richieste di riacquisto sono diventate insostenibili, tanto che la Vicenza si è trovata di fronte 15mila ordini dal valore complessivo di un miliardo di euro: a gennaio 2013 le richieste valevano solo 52,5 milioni di euro e ci volevano 28 giorni per evaderle. Alla fine del 2013 è stato calcolato che servivano 311 giorni".
Anche quando la Popolare di Vicenza riacquistatava i titoli, non lo faceva rispettando l'ordine della priorità temporale. "Tra gennaio 2014 e febbraio 2015 - si legge ancora nel report - almeno 200 ordini sono stati evasi con una priorità che non ha seguito la normale procedura per un controvalore di 21,8 milioni di euro".
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Napoli, 50mila sentenze definitive mai eseguite
E dodicimila arresti sono rimasti lettera morta
La cifra monstre diffusa da Legnini (Csm). Liberi migliaia di condannati per reati che prevedono carcere
o domiciliari. Orlando annuncia ispezione. Il pm Ardituro: “Inutile, la causa è la mancanza di personale”
napoli polizia-pp
Giustizia & Impunità
Cinquantamila sentenze definitive non eseguite. E ben 12mila di queste riguardano persone da arrestare. Il dato monstre riguarda il distretto giudiziario di Napoli ed è stato divulgato dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, che ha parlato con i giornalisti dopo un incontro con i responsabili degli uffici giudiziari del capoluogo campano sulla carenza di personale amministrativo. “Nel Distretto di Napoli restano ineseguite attualmente 50mila sentenze definitive, 30mila delle quali di condanna e 20mila di assoluzione”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... e/2840049/
camillobenso
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Un ko al secondo turno e Renzi perde peso sulla scena mondiale
L'ipotesi del trionfo grillino e l'effetto domino populista preoccupano le cancellerie europee


Adalberto Signore - Sab, 18/06/2016 - 08:30
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Mentre Matteo Renzi sceglie San Pietroburgo per tenersi quanto più possibile lontano da Roma e dalle vicende italiane e cioè dai risultati per lui molto incerti dei ballottaggi di domani la politica internazionale è proprio sulla Capitale e sull'Italia che punta i suoi riflettori, in attesa di capire se e come l'antipolitica grillina conquisterà la città eterna e non solo.


D'altra parte, non è un mistero che Virginia Raggi la candidata al Campidoglio dei Cinque stelle sia stata una sorta di superstar della stampa estera fin dal primo turno, con il Financial Times che ha parlato del voto romano come di un «rimprovero populista a Renzi». È dunque per certi versi nelle cose che il livello di attenzione resti alto, per il valore simbolico di Roma che all'estero non è solo la capitale del Paese ma anche della cristianità. E per il fatto che l'onda grillina potrebbe straripare fino a Torino dove sono in molti a parlare di partita «apertissima» tra Piero Fassino e Chiara Appendino.

Insomma, il timore che dall'Italia domani sera possa arrivare una forte sterzata anti establishment c'è. Anche in vista del voto di giovedì prossimo, quando i cittadini della Gran Bretagna saranno chiamati a votare il referendum sulla Brexit (ovvero dovranno decidere se voglio restare o no nell'Ue). Il rischio, secondo molte cancellerie europee, è quello di una sorta di effetto domino che finisca per paralizzare le istituzioni europee. Uno scenario peraltro prospettato recentemente proprio da Nigel Farage, leader euroscettico dello Ukip. «Il 19 giugno i Cinque stelle eleggono il sindaco di Roma e cambiano l'Italia. Il 23 giugno la Gran Bretagna esce dall'Ue e cambia l'Europa. Così Grillo e io spiegava la scorsa settimana in un'intervista al Corriere della Sera distruggeremo la vecchia Unione europea, perché dopo di noi gli altri Paesi del Nord se ne andranno uno dopo l'altro». Renzi, in verità, pare vederla diversamente. Tanto che al Business forum di San Pietroburgo dice che nel caso di uscita dall'Ue «chi rischia di più sono i cittadini inglesi e non quelli europei». A parole, perché sono mesi che a via XX Settembre il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha predisposto un piano proprio per far fronte alla Brexit.

Insomma, Farage avrà magari peccato di «ottimismo», ma certo il timore di un effetto a catena serpeggia da settimane. Ne sanno qualcosa sia a Palazzo Chigi che alla Farnesina, visto che il tema è all'ordine del giorno dei colloqui informali con le varie diplomazie europee. Per Renzi, insomma, il pericolo è che questa tornata amministrativa lo riconsegni alla scena internazionale con un'immagine ben diversa da quella del giovane e vincente rottamatore. Non solo per la probabile sconfitta a Roma, notizia come detto che farebbe in un attimo il giro del mondo. Ma anche perché dopo oltre due anni di governo sarebbe su di lui che ricadrebbe la responsabilità dell'avanzata grillina. Anche in quest'ottica, dunque, pesa il risultato di Torino. È improbabile, certo, ma se davvero Appendino dovesse spuntarla sull'ultimo segretario dei Ds (quello che nel 2007 li portò a confluire nel Pd) l'uno-due sarebbe pesante. E all'estero quello di parlare un inglese per così dire «poco fluente» non sarebbe più il principale problema di Renzi.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Jeux sont faits


Anche se ha conquistato Milano, il PD targato Mussoloni ha perso Roma, Napoli e Torino.

I commenti delle prossime ore, visto quanto è stato scritto dopo la debacle del primo turno di quindici giorni fa, non sarà che un coro inneggiante al flop della politica renziana.

Ora la strada di Mussoloni è tutta in salita.

I primi a rendersene conto saranno i referenti dei poteri forti di Bruxelles, che avevano permesso il cambio con #Enricostaisereno.

il primo governo della XVII legislatura, quello di Enrico Letta, rimasto in carica dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014, per un totale di 300 giorni, ovvero 9 mesi e 25 giorni.

Quel cambio di cavallo con Mussoloni non è mai stato chiarito da nessuno.

I tricolori si sono accontentati dell’avallo del rappresentante della Loggia “Three Eyes” che ai tempi occupava ufficialmente la sedia del Colle.

Come poteva dare l’incarico ad un pischello senza arte ne parte che veniva dalla provincia e che non aveva nessunissima esperienza parlamentare e di governo sostituendo il più navigato Enrico Letta, se l’ordine non fosse giunto dai rappresentanti dei poteri forti in Europa come la Merkellona???

Adesso anche i poteri forti sono nei guai.

La commedia della finta democrazia, nei fatti etero diretta Oltre Atlantico potrebbe impantanarsi visto che il loro pupillo ha esaurito la credibilità popolare dei merli tricolori.

Quale sarà la loro convenienza, ora, visto che il giochetto è durato due anni, in cui l’illusionista Mussoloni ha cercato con una serie di balle megagalattiche di incantare i tricolori?

La mission finale, quella principale, del cambio della Costituzione, voluta dalla JP Morgan perché riteneva la nostra, e non solo, una Costituzione troppo socialista.

L’appuntamento per il misfatto è per il 2 ottobre p.v., in cui Mussoloni, dopo aver venduto alle multinazionali i tricolori, dopo la cancellazione dell’articolo 18 e l’attuazione del Job act, tenta il colpo gobbo.

Mussoloni per onorare il suo impegno verso i committenti, ha preteso che un referendum Costituzionale diventasse un plebiscito sul suo operato.

Se non vinco smetto di fare politica.

Una scelta abnorme, perché i tricolori capiscono quasi niente di diritto Costituzionale.

E’ da criminali costringere i tricolori a votare un referendum Costituzionale dietro il ricatto sul giudizio sul suo operato politico che non centra niente con la Riforma Costituzionale.

Ma dato che l’impegno con i suoi padroni è quello di abbattere la Costituzione, Mussoloni mette in gioco la sua persona. Anche perché i poteri forti potrebbero fare con lui quello che fecero con Enrico Letta.

Perché quando Mussoloni ha fatto questa bella pensata era convinto della potenzialità dei suoi super poteri sui merli tricolori.

Tanto, sono tutti scemi e io me li bevo come ai tempi mi bevevo gli amici di quando mi chiamavano il Bomba.

Solo che dopo due anni la capacità di condizionare i merli tricolori è venuta meno e questo passaggio delle amministrative sono la prova plastica della perdita dei suoi superpoteri.

CONTINUA
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Re: Diario della caduta di un regime.

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CONTINUA


Le ammiraglie del Cd hanno tutto l’interesse a creare la cortina fumogena sul fallimento epocale della coalizione.

Dopo i risultati della prima tornata, Roma e Milano, Silvietto viene colto da malore e ricoverato al San Raffaele di Milano.

Prima è stato costretto a cambiare cavallo in corsa a Roma, sostituendo Bertolesso con Marchini, mettendo in condizioni la Meloni di non partecipare al ballottaggio.

Arfio, malgrado l’appoggio della Mummia Cinese, non arriva al ballottaggio.

A Milano gli va meglio e punta tutto su Parisi. Che passa il ballottaggio.

Ma ieri è stato battuto da Sim Sala Bim.

Qualche giorno prima dal San Raffaele Silvietto esortava a votare il suo campione Parisi, e lui garantiva per il nuovo sindaco.

Silvietto è proprio alla fine. Nelle grandi città il Cd è letteralmente sparito, e, malgrado la propaganda di Brunetta & C, il Cd si afferma nei piccoli centri, per non dire che è sparito.

Dopo un ventennio trascorso a non preparare il sostituto del Caimano, i risultati si toccano con mano.

A dire il vero ci fu un tempo che Silvietto mise il partito in mano ad Algerino Alfano. Ma poi si accorse che doveva riprendere velocemente le briglie in mano per non affondare.

Adesso prima che si ripresenti un leader ed una nuova classe dirigente ne deve passare di acqua sotto i ponti.

Neppure la coalizione funziona più senza un coagulo d’interessi come rappresentava Silvietto.

Esce con le ossa rotte anche l’altro Matteo che porta sfiga non solo a Roma, ma anche a Milano dove ha più volte sostenuto Parisi.

Tra l’atro ha perso un feudo leghista come Varese e non è passato nella rossa Bologna.

Le solite scuse sono d’obbligo, ma i sogni di diventare il capo della coalizione di Cd, rimane solo un sogno.

Riprendersi i voti malgrado il terreno fertile dell’immigrazione non sarà facile.

D’altra parte, il provetto salumiere della Barona idee politiche costruttive non ne ha.

La sorellina dei Fratelli d’Italia ha avuto un buon successo al primo turno. Ma è all’1° % nel Paese. E Fini continua a ribadire che la ragazzina si è montata la testa.

Il Centrodestra per il momento è al collasso, ma i suoi esponenti, per ragioni evidenti, non lo ammetteranno mai.

CONTINUA
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Batosta grillina su Renzi
Il M5S è trasversale: pesca a destra e a sinistra. E il messaggio per Renzi che corre sull’asse Roma-Torino è eloquente

di Adalberto Signore
3 ore fa



http://blog.ilgiornale.it/signore/2016/ ... -su-renzi/
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Re: Diario della caduta di un regime.

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MASSIMO FRANCO, SUL CORRIERE, INDUCE ALLA RIFLESSIONE SU QUANTO ACCADUTO E SULLA TENUTA DEL PAESE.



L’ANALISI DEL VOTO
Gli errori e le insidie
di Massimo Franco


Sarà difficile minimizzare quanto è successo ieri nelle maggiori città italiane.

E ancora di più catalogare come voto amministrativo ballottaggi che inviano al governo nazionale un segnale univoco.

Per mutuare il verbo crudo scelto da Matteo Renzi all’inizio della sua esperienza, l’elettorato ha «rottamato» il Pd a Roma e Torino, premiando le due candidate del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi e Chiara Appendino; e fino a notte ha tenuto in bilico la sfida a Milano tra Giuseppe Sala, che poi ha vinto, e Stefano Parisi del centrodestra.

Il capoluogo lombardo alla fine ha tenuto, Palazzo Chigi può tirare un sospiro di sollievo.

Relativo, però.

Né basterebbe prendersela con gli avversari interni: le diatribe tra i Democratici interessano poco, ormai.

La sconfitta della sinistra di governo pone un problema di sistema, perché l’alternativa in incubazione ha il profilo di Beppe Grillo.

Il rischio, adesso, è di gettare l’esecutivo in un limbo di paura e di logoramento che il vertice del Pd dovrà affrontare anche psicologicamente.

Va ribadito che non si vede una maggioranza diversa dall’attuale per guidare l’Italia in questa fase.

Ieri, tuttavia, si è aperta una fase di contestazione che cancella qualunque illusione di primato e di posizione di rendita.

Al punto che viene da chiedersi se il Pd riuscirà a prevalere nel referendum di ottobre sulle riforme istituzionali: quello su cui punta tutto.

Se non cambia la strategia, c’è da dubitarne.

Il flop delle Amministrative non avviene per la bontà delle proposte avversarie.

È figlio di errori di sottovalutazione e di un filo di presunzione.

Non è esagerato dire che probabilmente, qualunque candidato del M5S avrebbe dato filo da torcere a Pd e centrodestra.

E non solo perché il movimento di Grillo è una «macchina da ballottaggi» capace di pescare consensi dovunque.

La sua affermazione si alimenta del fallimento delle forze tradizionali: è il sintomo della delusione verso i partiti tradizionali, e di tensioni sociali irrisolte.

Per Renzi lo schiaffo è più doloroso, perché respinge la sua narrativa ottimistica e getta ombre sul referendum.

Due anni e mezzo di segreteria del Pd e oltre due di presidenza del Consiglio dovevano consacrarlo come il leader capace di riplasmare la sinistra e porsi come nuovo baricentro della politica.

Il mandato era di fermare Grillo e di far ripartire l’economia attraverso le riforme.

Alcune riforme ci sono, eppure i loro effetti tardano a vedersi.

Già emergono, invece, i contraccolpi negativi.

Il M5S ha espugnato facilmente il Campidoglio, sospinto da un consenso popolare gonfiatosi sulle macerie del Pd e del centrodestra capitolini.

E a Milano è bastato un candidato moderato come Parisi per mettere in forse fino all’ultimo la vittoria di Sala.

Quanto a Napoli, cuore del Sud, i Dem non sono arrivati nemmeno al ballottaggio.

Insomma, abbiamo alcune delle «capitali» d’Italia non governate dal Pd.

E lo schema del partito che si percepisce così forte da ritenersi autosufficiente deve fare i conti con ballottaggi dispettosi.

I risultati confermano che nessuno si può permettere l’autarchia.

Sono necessarie alleanze.

Gli unici a prescinderne in nome di una controversa purezza sono i grillini: almeno ufficialmente.

Bisogna prendere atto che al secondo turno si formano coalizioni di fatto, micidiali per chi ne è escluso.

Si tratta di una verità che potrebbe portare a una modifica dell’Italicum, ritenuto dal premier un tabù intoccabile.

Bisognerebbe aspettarsi un ripensamento dell’agenda del governo, e del modo in cui il premier ha svolto il suo doppio incarico.

L’insuccesso, tuttavia, non può essere scaricato solo su di lui.

I limiti di leadership si abbinano all’incapacità dell’intero Pd di trasmettere al Paese un messaggio di unità e di credibilità.

Gli elettori hanno tolto a Renzi l’aureola della grande vittoria del Pd alle Europee del 2014.

Ma c’è poco da rallegrarsi.

La fase che si apre presenta molte insidie.

Non c’è un dopo-Renzi in vista.

C’è un partito-perno che di colpo si ritrova indebolito e magari tentato dalla caccia ai capri espiatori: tutte premesse di un periodo di confusione.

Bisogna sperare che, messo di fronte alla responsabilità di governare, il M5S scelga un profilo meno estremista; e riesca a battere le diffidenze verso la sua classe dirigente magari onesta ma inesperta e manichea: anche perché il tripolarismo sta diventando sfida Pd-M5S.

Con la Lega ridimensionata nelle ambizioni, e l’astensione come convitata di pietra.

http://www.corriere.it/amministrative-2 ... ff47.shtml
lucfig
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da lucfig »

Un analisi che condivido di Lucia Annunziata

da http://www.huffingtonpost.it
Con la vittoria di Virginia Raggi e di Chiara Appendino sanato lo strappo del 2013

Il Movimento 5 Stelle vince a Roma e a Torino, con due giovani donne, e la loro vittoria sana uno strappo nella nostra democrazia avvenuto nel 2013.

Il tentativo, cominciato proprio in quella data, da parte dell'establishment italiano di tenere ai margini della politica il M5S, sollevando i fantasmi del populismo e della instabilità, si è infranto tre anni dopo sulla stessa onda e sugli stessi umori di allora da parte degli elettori. Con numeri tali da fare impallidire qualunque scetticismo, e qualunque calcolo di bottega. Al Pd in particolare, tentato in queste ore di salvare il salvabile circoscrivendo lo spazio del successo M5S, va ricordato che l'ora della politica dello struzzo è finita. Con sufficiente sicurezza si può dire che con gli umori che attraversano oggi le urne, il referendum sulle riforme di ottobre è destinato a sicuro insuccesso. E con sicurezza maggiore si può anche azzardare a dire che se si votasse oggi per le politiche, sulla base di questi risultati Palazzo Chigi sarebbe perso per Matteo Renzi.

Per il Premier, insomma, non è stata una buona nottata. Al solito, si aprirà ora dentro e fuori del governo, dentro e fuori del Pd, il solito, lungo, complesso e noioso processo alle colpe e responsabilità. Immaginiamo che sarà, come sempre, un bizantino gioco di altisonanti principi e colpi bassissimi. Ce ne occuperemo anche noi, come è inevitabile che i giornalisti facciano. Ma in questi primi momenti, a risultati ancora caldi, penso sia il caso di mantenere ancora per un poco uno sguardo più largo, tornando di nuovo a quel 2013, anno di inizio della storia che stiamo ancora vivendo.

Nelle politiche di quell'anno nessuno dei due vincitori delle elezioni, né il Pd di Bersani, né il Movimento 5 Stelle ottenne l'incarico di formare il governo. Il successo del Movimento Cinque Stelle, divenuto dal nulla il primo partito italiano, spaventò l'establishment italiano a tal punto da provocare una isterica campagna nazionale contro il populismo, contro il rischio di ingovernabilità per il paese, contro il danno per l'Europa.

Portando, in nome della superiore difesa degli interessi nazionali, a un incarico istituzionale, quello di Enrico Letta, con un forte carattere di "avocazione" delle scelte popolari. Una forzatura politica che se non illegittima certamente ha portato il paese in una fase di incredibile confusione delle sue strategie, dei suoi programmi e dei suoi assetti politici e parlamentari.

Comincia allora la storia che ancora viviamo. Comincia allora il tentativo di contenere i Cinque Stelle, ma comincia allora anche l'agonia ufficiale del Pd inteso come Ditta. Comincia lì' la scalata a Palazzo Chigi di Matteo Renzi, ma anche la liquefazione del parlamento appena votato.

Tre anni dopo, il voto appena concluso, dimostra che il tentativo avviato nel 2013 non ha affatto stabilizzato il Paese. La crisi iniziata allora è ancora tutta qui. La piattaforma antisistema deliM5S ha parlato alla disillusione, alla rabbia, al senso di ingiustizia dei cittadini italiani, soprattutto i giovani, meglio di qualunque altro partito. Partiti che a loro volta in questi tre anni, dal Pd a Forza Italia, alla Lega, hanno continuato a perdere identità e forza. Né riesce a consolidarsi il progetto dell'uomo che meglio di tutti ha provato in questo periodo, in tutti i modi, a catalizzare le nuove energie politiche del paese: Matteo Renzi.

L'Italia insomma è ancora molto lontana dall'aver trovato un diverso approdo. Né l'Italia è sola nella sua condizione. La battaglia al suo interno, il distacco fra cittadini e politica, la rabbia di cui si nutre lo scontro fra sistema e antisistema attraversa tutte le nazioni dell'Occidente, incluse quelle che voteranno in questa stessa settimana, l'Inghilterra sul Brexit e la Spagna sul governo.

Ma un errore c'è stato in Italia che non potrà essere ripetuto - la logica del 2013, quella che ha portato le classi dirigenti a non prestare orecchio a quel che saliva dalle urne. Se questo voto di rottura e cambiamento, se il grido "onestà, onestà" che ha accolto a Roma la Raggi, verranno di nuovo affrontati con la tentazione di derubricarlo come facile estremismo della plebe, il rischio per l'Italia diventerà serio.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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