camillobenso ha scritto:
QUELLI CHE VANNO A COMBATTERE CON L’ISIS, PERCHÉ LO FANNO?
di minima&moralia pubblicato domenica, 12 ottobre 2014 · 35
È straordinario come nessuno si soffermi davvero a chiedersi perché tanti giovani che vivono in Europa, Canada, Australia, persino Cina, vadano ad arruolarsi per combattere in Siria e in Iraq con il cosiddetto Stato islamico (Isis), o con altre milizie musulmane.
La domanda è corretta, ma in effetti non è vero che nessuno si sofferma a chiedersi la ragione di questo fenomeno: è vero invece che non sembrano esserci risposte. Non ci sono nemmeno in questo articolo, che si limita a fare un veloce excursus storico sui combattenti che hanno rincorso le "guerre giuste" qua e là per il mondo.
Una risposta valida per tutti - valida per tutte le provenienze, dalla Cina alla Turchia, agli USA, alla GB, all'Italia - può essere soltanto una motivazione psicologica, più che ideologica o etica.
Se, infatti, le ragioni fossero di questa natura, che chiameremmo genericamente "politica", ci sono nel mondo numerose e diverse situazioni in grado di attrarre giovani idealisti, in nome di quei valori di giustizia e libertà che hanno mosso i combattenti ricordati nell'articolo, nel corso dell'800 e del '900.
Questi valori non erano, tuttavia, astrattamente morali, ma avevano un substrato ideologico molto forte, anche se non sempre uguale nel corso dei due secoli precedenti: il nazionalismo, l'irredentismo, l'opposizione al fascismo, la difesa della rivoluzione socialista, per esempio, o anche l'idealità liberale.
Le situazioni che attualmente agitano il mondo - potenzialmente attrattive - sono, diversamente che nel passato, meno chiare dal punto di vista ideologico, o comunque appaiono meno chiare a una platea mondiale di giovani (soprattutto di giovani) che sono stati privati di riferimenti ideologici, o che vivono in un contesto sociale nel quale l'ideologia è stata gravemente depotenziata, ridotta al livello di "opinione", o perfino demonizzata in quanto "divisiva".
Soprattutto, è stato depotenziato il percorso culturale che conduce alla scelta ideologica, intesa come visione del mondo e come scelta di campo, capace di creare un senso di appartenenza forte quanto basta da sostenere una bandiera e, con essa, un senso elementare e individuale di "trascendenza".
E' evidente che questo discorso si ricollega in modo stretto con la crisi - occidentale, e quindi globale - della sinistra progressista, che si è attestata nei limiti del "buon governo" e di un riformismo minimalista, dal punto di vista ideologico e progettuale.
Una sinistra che ha dismesso proprio l'idea stessa della "bandiera" e dell'idealismo, ritirandosi su un'interpretazione dei rapporti sociali ed esistenziali neo-liberali, che sembrano recuperare le ragioni originarie del liberalismo, dimenticando però che in quei contesti originari l'istanza liberale era stata caratterizzata e si era sostenuta su una fortissima carica ideale e aveva avuto una potente identità "eversiva".
In conseguenza di questo depotenziamento ideale, si sviluppano dei surrogati di appartenenza, quali per esempio le tifoserie calcistiche o territoriali, le quali assumono molte caratteristiche un tempo proprie dei partiti politici, complete di un simulacro quasi parodistico di corredo ideologico e soprattutto di simboli, di bandiere, di criteri di esclusione e di inclusione.
In questo senso devono essere interpretati anche i rigurgiti neo-fascisti e neo-nazisti, tradizionalmente ricchi di simbologie carismatiche, che si appigliano in modo meno parodistico, ma altrettanto superficiale e artificioso, a ogni appiglio che sia possibile sventolare come "bandiera" nella quale riconoscersi.
Certamnte, coloro che soggiacciono a questi simulacri ideologici, a queste rappresentazioni che hanno come principio e fine una bandiera purchessìa, sono generalmente i più influenzabili, forse i più deboli psicologicamente e culturalmente. Ma non sono "pazzi": sono semmai un sintomo della pazzia della società alla quale appartengono.
Coloro, tra i giovani e meno giovani, più attrezzati e più forti psicologicamnte o culturalmente, non aderiscono a questi richiami, e tuttavia non hanno vere alternative: il loro potnziale politico rimane inespresso e nella gran parte dei casi si disperde in battaglie di minima portata, ininfluenti e inoffensive, che tutt'al più hanno un risultato "inclusivo" e che non risolve un disagio esistenziale che rimane sottotraccia.
Di fronte a questa situazione, la bandiera dell'ISIS (non a caso una bandiera, osessivamente esibita) finisce per avere un forte potere attrattivo, soprattutto nella fascia debole della platea dei giovani, e in qualcuno dei più attrezzati che rimane fuori dal meccanismo inclusivo o che è talmente attrezzato da non essere soddisfatto da un'inclusione di livello esistenziale e intellettuale troppo basso.
Quello che offre l'ISIS, insomma, è un'appartenenza barbarica e rudimentale, e ribellistica, e una bandiera, che ha una potente forza attrattiva nel momento in cui si abbatte su contesti sociali poveri di idealità, specialmente quando la proposta non chiede di rinunciare ai gadget tecnologici della modernità e non chiede eremitaggi, ma anzi sembra fornire progetto per utilizzare in prima persona le risorse della modernità e per scaricare le pulsioni distruttive, l'energia frustrata della gioventù o della disillusione.
In definitiva, queste adesioni, soprattutto occidentali, all'ISIS non sono numericamente rilevanti: ma generano interrogativi, inquietudine, perché se ne avverte il valore critico verso il contesto sociele e culturale dal quale provengono.
Un'inquitetudine che è certamnte maggiore di quella generata dal razzismo leghista, o dalle risorgenti pulsioni neofasciste, perché la barbarie dell'ISIS è più spettacolare.
Ma faremmo bene ad analizzare e dare più peso a ciò che accomuna questa migrazione di "combattenti" con il neofascismo e il neonazismo.