Caso Cucchi e simili
Inviato: 13/03/2015, 13:33
Come firmatario ho ricevuto il primo messaggio, che giro in questo nuovo argomento.
Ne vorrei fare una bacheca di documentazione, senza interventi e considerazioni personali, per pubblicizzare questi casi.
Lo scopo è arginare l'abuso di potere che spesso porta morti ingiuste e strane assoluzioni da parte di magistrati 'protettivi' verso le 'forze dell'ordine' che però in questi casi sono 'forze del male'.
In attesa che vengano stabilite visite di integrità psicologica periodiche per i portatori di armi, che già fanno le prove di tiro.
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Vogliamo la verità sulla morte di Stefano Cucchi, chi sa parli
da Il Fatto Quotidiano · 172.393 sostenitori
Aggiornamento sulla petizione
Depositato il ricorso in Cassazione
Il Fatto Quotidiano
13 mar 2015 — Cari firmatari,
continua la nostra battaglia per fare luce sulla morte di Stefano Cucchi. Dopo l’assoluzione in secondo grado di tutti gli imputati e la pubblicazione delle motivazioni della sentenza, la Procura generale di Roma - nella persona del sostituto generale Mario Remus (che nel processo di appello ha sostenuto l’accusa) - e i familiari di Stefano - il padre Giovanni e la sorella Ilaria - hanno depositato in Cassazione i loro ricorsi contro il verdetto.
Il procuratore Mario Remus ha definito la sentenza d’appello a più riprese illogica e contraddittoria: nel verdetto "sono state scartate valide e probabili ipotesi di aggressione violenta, prospettando una possibile accidentalità dei fatti", nonostante "due delle tre ipotesi avanzate dalla perizia affermino una vera e propria aggressione fisica". La Procura generale ha insistito inoltre sulla causa della morte, sulla quale in sentenza si è ritenuto mancassero certezze: "v’è da chiedersi in che misura l’asserita mancanza di certezze non dipenda dal comportamento gravemente negligente dei sanitari".
Per la famiglia, invece, ci sono "difetti capitali nella formulazione dell’imputazione che avrebbe dovuto vedere il fatto qualificato come omicidio preterintenzionale" nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria.
Noi continuiamo a portare avanti la nostra campagna perché la verità venga alla luce. E rinnoviamo il nostro appello: chi sa parli, si assuma le proprie responsabilità.
***
Questo l’articolo completo pubblicato sul Fatto quotidiano: http://bit.ly/1MxchBq
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http://www.salernotoday.it/cronaca/mort ... padre.html
Buonabitacolo, morto dopo un fermo dei carabinieri: l'appello del padre Massimo Casalnuovo è morto il 20 agosto del 2011, a 22 anni. Tutto è cominciato dopo che è stato fermato dai carabinieri. Abbiamo intervistato il padre, Osvaldo, che insieme a tutta Buonabitacolo chiede che sia fatta luce sulla vicenda
Selene Cilluffo 14 gennaio 2015
Massimo Casalnuovo ha 22 anni quando il 20 agosto 2011 prende il suo motorino e va dall'officina del padre verso casa. Senza casco percorre la via principale del suo paese, Buonabitacolo in provincia di Salerno. Qualche giorno prima alcuni residenti avevano presentato un esposto al sindaco, per chiedere di effettuare maggiori controlli su motorini rumorosi e "truccati". Così polizia municipale e carabinieri si appostano lì, proprio mentre passa anche Massimo. Quando i carabinieri lo vedono hanno già fermato altri due ragazzi e hanno accostato subito dopo una curva. Massimo invece non li vede e uno dei militari (il maresciallo
Giovanni Cunsolo) si mette in mezzo alla strada, così uscendo dalla curva se lo ritrova davanti. Qualche secondo dopo è a terra, ha sbattuto il petto sullo spigolo di un muretto. Morirà in ambulanza poco dopo.
Dopo l'incidente si diffondono due versioni dei fatti totalmente opposte tra loro: quella dell'Arma secondo cui Massimo è caduto dopo avere cercato di investire il maresciallo e ferendolo a un piede, e quella invece di alcuni testimoni secondo cui Massimo ha sbandato a causa del calcio sferrato allo scooter dal maresciallo Cunsolo. All'ospedale di Polla però arrivava prima il maresciallo di Massimo, che invece moriva in ambulanza. Emilio Risi è uno dei testimoni e la sua ricostruzione è stata questa: "Il maresciallo dei carabinieri è balzato fuori dall'auto dove stava redigendo il verbale e ha cercato di fermare il motorino. Il conducente lo ha evitato, il militare ha sferrato un calcio sul lato sinistro del mezzo, un Beta 50. Il ciclomotore ha percorso ancora alcuni metri sbandando, poi è sbattuto contro un muretto a secco di un ponte che sovrasta il fiume Peglio. Il ragazzo che lo guidava è stato sbalzato a terra, aveva sangue sulla fronte e non appariva cosciente".
Poi c'è la versione del maresciallo che ha detto che ha inseguito il ragazzo nell'intento di leggere da vicino la targa del mezzo e di essere stato quasi investito da Casalnuovo, che ha perso il controllo del motorino dopo essergli passato sul "collo del piede sinistro". Nel processo su quei fatti l'imputato è il maresciallo, con l'accusa di omicidio preterintenzionale con l'aggravante di abuso d'ufficio. Il 5 luglio 2013 è stata emessa la prima sentenza: assoluzione con formula dubitativa.
Nelle motivazioni si leggono che i verbali degli interrogatori non sono completi, con dei riassunti delle dichiarazioni.
Sulla storia di Massimo c'è anche un documentario, diffuso sul web, che ricostruisce la sua storia. Oggi è il padre, Osvaldo, ad essere impegnato a chiedere verità e giustizia: "Per il giudice non c'è una prova certa ma io dico che non c'è stata la volontà di cercarla. La polizia scientifica di Roma ha fatto accertamenti e ha trovato sulle scarpe del carabiniere delle microtracce della vernice del motorino di Massimo. E poi ci sono anche i testimoni".
Osvaldo ha fondato insieme alla gente della sua comunità, Buonabitacolo, un comitato per chiedere verità e giustizia per suo figlio: "Noi siamo parte civile e anche la procura generale ha appellato quella sentenza dopo aver letto le motivazioni. Chiediamo solo che la storia di Massimo venga raccontata e si conosca, come quella di Aldrovandi, Uva e Cucchi. Dobbiamo parlare di queste vicende se vogliamo giustizia". Anche con Massimo si era innescato quel meccanismo di "doppia morte", tentato più volte in altri casi simili a questi: "E' stato definito un teppistello, un centauro che ha sfondato il posto di blocco. Ma poi è stato tutto bloccato:
siamo una piccola comunità, ci conosciamo tutti e chiunque sa che Massimo era una persona rispettosa, timida e introversa. Non era certo un delinquente".
Intorno a Osvaldo l'intera comunità di Buonabitacolo che ha organizzato concerti e manifestazioni per ricordare suo figlio e non dimenticare. Intanto, grazie a un consiglio comunale straordinario, il maresciallo dei carabinieri imputato nel processo presterà servizio in un altro paese, ma pur sempre sotto la stessa Procura.
Osvaldo si è rivolto spesso alle istituzioni: "Ho scritto all'allora ministro degli Interni Roberto Maroni. Lui e il sindaco di Buonabitacolo sono stati gli unici a rispondere ai miei appelli. All'epoca avevo scritto anche alla Cancellieri. Adesso il senatore Luigi Manconi si sta occupando della mia storia".
Osvaldo non è solo ma la sua battaglia è difficile: "Non si capisce perché continuino ad ostacolarci. Se sei un cittadino qualunque la giustizia ti massacra ma se sei dell'arma, indossi un camice bianco o una divisa sembra quasi che tu non debba essere processato. Ma io non smetterò di parlare e otterrò la giustizia che cerco".
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Ne vorrei fare una bacheca di documentazione, senza interventi e considerazioni personali, per pubblicizzare questi casi.
Lo scopo è arginare l'abuso di potere che spesso porta morti ingiuste e strane assoluzioni da parte di magistrati 'protettivi' verso le 'forze dell'ordine' che però in questi casi sono 'forze del male'.
In attesa che vengano stabilite visite di integrità psicologica periodiche per i portatori di armi, che già fanno le prove di tiro.
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Vogliamo la verità sulla morte di Stefano Cucchi, chi sa parli
da Il Fatto Quotidiano · 172.393 sostenitori
Aggiornamento sulla petizione
Depositato il ricorso in Cassazione
Il Fatto Quotidiano
13 mar 2015 — Cari firmatari,
continua la nostra battaglia per fare luce sulla morte di Stefano Cucchi. Dopo l’assoluzione in secondo grado di tutti gli imputati e la pubblicazione delle motivazioni della sentenza, la Procura generale di Roma - nella persona del sostituto generale Mario Remus (che nel processo di appello ha sostenuto l’accusa) - e i familiari di Stefano - il padre Giovanni e la sorella Ilaria - hanno depositato in Cassazione i loro ricorsi contro il verdetto.
Il procuratore Mario Remus ha definito la sentenza d’appello a più riprese illogica e contraddittoria: nel verdetto "sono state scartate valide e probabili ipotesi di aggressione violenta, prospettando una possibile accidentalità dei fatti", nonostante "due delle tre ipotesi avanzate dalla perizia affermino una vera e propria aggressione fisica". La Procura generale ha insistito inoltre sulla causa della morte, sulla quale in sentenza si è ritenuto mancassero certezze: "v’è da chiedersi in che misura l’asserita mancanza di certezze non dipenda dal comportamento gravemente negligente dei sanitari".
Per la famiglia, invece, ci sono "difetti capitali nella formulazione dell’imputazione che avrebbe dovuto vedere il fatto qualificato come omicidio preterintenzionale" nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria.
Noi continuiamo a portare avanti la nostra campagna perché la verità venga alla luce. E rinnoviamo il nostro appello: chi sa parli, si assuma le proprie responsabilità.
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Questo l’articolo completo pubblicato sul Fatto quotidiano: http://bit.ly/1MxchBq
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http://www.salernotoday.it/cronaca/mort ... padre.html
Buonabitacolo, morto dopo un fermo dei carabinieri: l'appello del padre Massimo Casalnuovo è morto il 20 agosto del 2011, a 22 anni. Tutto è cominciato dopo che è stato fermato dai carabinieri. Abbiamo intervistato il padre, Osvaldo, che insieme a tutta Buonabitacolo chiede che sia fatta luce sulla vicenda
Selene Cilluffo 14 gennaio 2015
Massimo Casalnuovo ha 22 anni quando il 20 agosto 2011 prende il suo motorino e va dall'officina del padre verso casa. Senza casco percorre la via principale del suo paese, Buonabitacolo in provincia di Salerno. Qualche giorno prima alcuni residenti avevano presentato un esposto al sindaco, per chiedere di effettuare maggiori controlli su motorini rumorosi e "truccati". Così polizia municipale e carabinieri si appostano lì, proprio mentre passa anche Massimo. Quando i carabinieri lo vedono hanno già fermato altri due ragazzi e hanno accostato subito dopo una curva. Massimo invece non li vede e uno dei militari (il maresciallo
Giovanni Cunsolo) si mette in mezzo alla strada, così uscendo dalla curva se lo ritrova davanti. Qualche secondo dopo è a terra, ha sbattuto il petto sullo spigolo di un muretto. Morirà in ambulanza poco dopo.
Dopo l'incidente si diffondono due versioni dei fatti totalmente opposte tra loro: quella dell'Arma secondo cui Massimo è caduto dopo avere cercato di investire il maresciallo e ferendolo a un piede, e quella invece di alcuni testimoni secondo cui Massimo ha sbandato a causa del calcio sferrato allo scooter dal maresciallo Cunsolo. All'ospedale di Polla però arrivava prima il maresciallo di Massimo, che invece moriva in ambulanza. Emilio Risi è uno dei testimoni e la sua ricostruzione è stata questa: "Il maresciallo dei carabinieri è balzato fuori dall'auto dove stava redigendo il verbale e ha cercato di fermare il motorino. Il conducente lo ha evitato, il militare ha sferrato un calcio sul lato sinistro del mezzo, un Beta 50. Il ciclomotore ha percorso ancora alcuni metri sbandando, poi è sbattuto contro un muretto a secco di un ponte che sovrasta il fiume Peglio. Il ragazzo che lo guidava è stato sbalzato a terra, aveva sangue sulla fronte e non appariva cosciente".
Poi c'è la versione del maresciallo che ha detto che ha inseguito il ragazzo nell'intento di leggere da vicino la targa del mezzo e di essere stato quasi investito da Casalnuovo, che ha perso il controllo del motorino dopo essergli passato sul "collo del piede sinistro". Nel processo su quei fatti l'imputato è il maresciallo, con l'accusa di omicidio preterintenzionale con l'aggravante di abuso d'ufficio. Il 5 luglio 2013 è stata emessa la prima sentenza: assoluzione con formula dubitativa.
Nelle motivazioni si leggono che i verbali degli interrogatori non sono completi, con dei riassunti delle dichiarazioni.
Sulla storia di Massimo c'è anche un documentario, diffuso sul web, che ricostruisce la sua storia. Oggi è il padre, Osvaldo, ad essere impegnato a chiedere verità e giustizia: "Per il giudice non c'è una prova certa ma io dico che non c'è stata la volontà di cercarla. La polizia scientifica di Roma ha fatto accertamenti e ha trovato sulle scarpe del carabiniere delle microtracce della vernice del motorino di Massimo. E poi ci sono anche i testimoni".
Osvaldo ha fondato insieme alla gente della sua comunità, Buonabitacolo, un comitato per chiedere verità e giustizia per suo figlio: "Noi siamo parte civile e anche la procura generale ha appellato quella sentenza dopo aver letto le motivazioni. Chiediamo solo che la storia di Massimo venga raccontata e si conosca, come quella di Aldrovandi, Uva e Cucchi. Dobbiamo parlare di queste vicende se vogliamo giustizia". Anche con Massimo si era innescato quel meccanismo di "doppia morte", tentato più volte in altri casi simili a questi: "E' stato definito un teppistello, un centauro che ha sfondato il posto di blocco. Ma poi è stato tutto bloccato:
siamo una piccola comunità, ci conosciamo tutti e chiunque sa che Massimo era una persona rispettosa, timida e introversa. Non era certo un delinquente".
Intorno a Osvaldo l'intera comunità di Buonabitacolo che ha organizzato concerti e manifestazioni per ricordare suo figlio e non dimenticare. Intanto, grazie a un consiglio comunale straordinario, il maresciallo dei carabinieri imputato nel processo presterà servizio in un altro paese, ma pur sempre sotto la stessa Procura.
Osvaldo si è rivolto spesso alle istituzioni: "Ho scritto all'allora ministro degli Interni Roberto Maroni. Lui e il sindaco di Buonabitacolo sono stati gli unici a rispondere ai miei appelli. All'epoca avevo scritto anche alla Cancellieri. Adesso il senatore Luigi Manconi si sta occupando della mia storia".
Osvaldo non è solo ma la sua battaglia è difficile: "Non si capisce perché continuino ad ostacolarci. Se sei un cittadino qualunque la giustizia ti massacra ma se sei dell'arma, indossi un camice bianco o una divisa sembra quasi che tu non debba essere processato. Ma io non smetterò di parlare e otterrò la giustizia che cerco".
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