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Arresti Sicilia, l’ira di Teresi: “Nuova legge distrugge tutto ciò che è stato fatto contro mafia e potere elettorale”
Mafie
Il gip non ha riconosciuto il reato di voto di scambio ai tre politici finiti agli arresti domiciliari a Palermo, ma "solo" quello di corruzione elettorale. Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi: "Non è ammissibile che ogni volta ci si debba chiedere di dimostrare il metodo mafioso. Faremo un esame della vicenda e vedremo se e quali valutazioni del gip impugnare"
di Giuseppe Pipitone | 27 maggio 2015
Un pacchetto di trenta voti venduto per centocinquanta euro: in pratica, 5 euro per ogni preferenza. In tempi di crisi persino il voto di scambio ha subito una pesantissima spending review. Una sforbiciata talmente netta che a Palermo, alle elezioni comunali del 2012, ogni scheda elettorale votata e fotografata veniva scambiata con il costo di un pacchetto di sigarette. Basta ascoltare le intercettazioni telefoniche, agli atti della procura di Palermo, per rendersene conto: preferenze scambiate con pacchi di pasta, pacchetti di voti acquistati a pochi euro e poi girati ad altri candidati.
È uno spaccato di mafia, criminalità e miseria quello che viene fuori dall’ultima indagine del nucleo di Polizia valutaria della Guardia di finanza: agli arresti domiciliari sono finiti tre deputati regionali (due in carica e un ex) dal passato altisonante come Nino Dina, Franco Mineo e Roberto Clemente. I tre politici sono tutti accusati di corruzione elettorale .“Non è stato riconosciuto il voto di scambio politico-mafioso e l’agevolazione ai mafiosi, perché il giudice ha considerato che la legge attuale è più favorevole all’imputato” ha spiegato il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. “La concezione che sta alla base delle norme sul nuovo voto di scambio – ha continuato il pm – distrugge tutto ciò che è stato fatto negli ultimi venti-trenta anni contro la mafia e il suo potere elettorale. Non è ammissibile che ogni volta ci si debba chiedere di dimostrare il metodo mafioso. Faremo un esame della vicenda e vedremo se e quali valutazioni del gip impugnare“.
“Sbaglia chi crede che ci sia una mafia militare e una mafia politica e che queste siano due parti scindibili, indipendenti e autonome dell’organizzazione mafiosa. Non sono la stessa cosa dal punto di vista ideale e operativo, sono la stessa cosa dal punto di vista personale. I criminali mafiosi a cui ci si rivolge” per ottenere voti “sono coloro che commettono i reati più gravi all’interno dell’associazione mafiosa per raggiungere i fini dell’associazione stessa”.
La procura aveva contestato la corruzione elettorale per i tre esponenti politici, e il voto di scambio politico mafioso per l’aspirante consigliere comunale Emanuele Bevilacqua e per altri 23 indagati (tra cui molti presunti uomini d’onore dei clan di Passo di Rigano): richiesta rigettata dal gip Ettorina Contino, che nell’ordinanza di custodia cautelare, fa esplicito cenno alla riforma dell’aprile 2014. “Tale cambiamento – scrive il giudice – apportato nel corso dei lavoro parlamentari dimostra, secondo la Suprema Corte, che il legislatore ha deliberatamente inserito la previsione relativa al metodo di procacciamento dei voti: sulla scorta di questo ragionamento, la Cassazione è pervenuta alla conclusione che il nuovo reato costituisce legge più favorevole all’imputato”
Una guerra tra poveri: soldi, cibo e posti di lavoro in cambio di voti
Il voto di scambio è stato invece contestato al faccendiere che ha dato inizio all’inchiesta: si chiama Giuseppe Bevilacqua, è un dipendente dell’Amat (azienda municipale del trasporto pubblico) ed è finito anche lui agli arresti domiciliari. Bevilacqua aveva un obiettivo: entrare in consiglio comunale alle elezioni palermitane del 2012. Per questo motivo si era candidato nei Popolari d’Italia Domani, il partito creato dall’ex ministro Saverio Romano. E sempre con lo stesso scopo si era rivolto ai boss di Passo di Rigano e Tommaso Natale. Una lotta all’ultimo voto, con Bevilacqua che al telefono parla spesso di voti da acquistare. “Quattrocentocinquanta euro, con tutti i soldi che gli ho dato. Centocinquanta euro per trenta voti”. E per avere quei soldi, Bevilacqua si rende protagonista di un business per nulla onorevole: il cibo destinato agli indigenti, venduto in nero a commercianti. Ma non solo: a quegli stessi indigenti che si recavano al Banco Opere di Carità per ottenere gratis un sacchetto con le derrate alimentari, Bevilacqua chiedeva “un’offerta” di due euro, “o quindici euro per tutto l’anno”. Scene da guerra dei poveri, con qualcuno che minaccia di chiamare i giornalisti. “Io questa volta gliela do (la spesa ndr) – si sente nelle intercettazioni – il prossimo mese lei verrà scartato direttamente”.
Le elezioni però vanno male: nonostante gli oltre mille voti, Bevilacqua non riesce ad entrare in consiglio comunale. Poco male perché arriva il primo dei candidati non eletti. Basterebbe quindi che si dimettesse Roberto Clemente, l’ultimo degli eletti in consiglio, e Bevilacqua potrebbe finalmente entrare a Palazzo delle Aquile. Pochi mesi dopo le comunali, la Sicilia torna al voto per rinnovare il governo regionale dell’isola: Clemente si candida all’Assemblea Regionale Siciliana. E promette di dimettersi dal consiglio, garantendo il seggio a Bevilacqua, in cambio del suo appoggio. “C’è la sua parola”, dice Bevilacqua alla sorella. E invece quella parola non sarà mai mantenuta. “Volevo farti gli auguri, posso stare tranquillo?”, chiede il dipendente dell’Amat, pochi minuti dopo l’elezione di Clemente. “Tu parli assai per ora”, risponde il neo deputato regionale, come se sapesse di essere intercettato. Alla fine non si dimetterà mai, fino alla sospensione decretata stamattina a causa del provvedimento di arresto. Non è stato sospeso invece Franco Mineo, ex braccio destro di Gianfranco Micciché, condannato in primo grado a otto anni di carcere per intestazione fittizia di beni: alle ultime elezioni, infatti, non era riuscito ad essere rieletto all’Ars, nonostante il sostegno di Bevilacqua. “Mi aspetto da te una grande mano – dice Mineo intercettato – e il tuo impegno sarà premiato, con uno dei due incarichi che ti ho detto”.
L’ex cuffariano Dina e i sospetti fuori tempo massimo di Crocetta
Alle regionali dell’ottobre del 2012, però, Bevilacqua gioca anche su altri tavoli. Promette sostegno elettorale anche a Nino Dina, esponente di primo piano dell’Udc, braccio destro dell’ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro (poi condannato per favoreggiamento alla mafia), già indagato per concorso esterno a Cosa Nostra. Dina è uno dei tanti sopravvissuti del vecchio establishment cuffariano che si è trasferito integralmente alla corte di Rosario Crocetta: alle regionali del 2012, infatti, l’Udc sostiene il candidato del Pd. E mentre fa campagna elettorale per Crocetta, Dina si lascia andare ad affettuose telefonate con Bevilacqua. “A che punto siamo gioia mia come stai?”, dice intercettato. “Apposto: ma di quelle cose non mi dai novità? Di mia sorella e di Anna?”. “Quelli sono pronti…subito dopo queste cose, cominciamo”. Il riferimento è per due posti di lavoro che Dina ha promesso di fare avere alla sorella e alla moglie di Bevilacqua: contratti da 15 mila euro all’anno, in un ente pubblico, che non prevedevano una continua presenza sul posto di lavoro.
“Lui mi ha fatto capire – spiegano al telefono – almeno una volta a settimana, non ci sono problemi, si firma e basta”. “Espressi perplessità su Dina quando si candidò, tanto che non andai ai comizi elettorali a Monreale”, dice oggi Crocetta, a tre anni da quella campagna elettorale in cui raccolse anche gli oltre diecimila voti di preferenza portati da Dina. Da allora, l’esponente dell’Udc si è fatto eleggere presidente della commissione Bilancio, approvando tra le polemiche ben tre finanziarie regionali.
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