Ma che EUROPA UNITA è questa?

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

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soloo42001 ha scritto:
camillobenso ha scritto:23 set 2015 00:20
KAPUTT! - IL GOVERNO DI ANGELA MERKEL SAPEVA CHE LA WOLKSWAGEN MANIPOLAVA LE EMISSIONI ATTRAVERSO UN SOFTWARE - ''DIE WELT'' HA RECUPERATO IL TESTO DI UN'INTERROGAZIONE PARLAMENTARE CHE IL PARTITO DEI VERDI AVEVA FATTO AL MINISTRO DEI TRASPORTI LO SCORSO 28 LUGLIO


http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 109116.htm

Beh, se lo sapeva da luglio non puoi aspettarti certo che un governo in 3 mesi faccia scoppiare lo scandalo mettendo in ginocchio la propria industria principale.
Come minimo passano settimane e settimane a investigare, capire, pianificare strategie, ecc.
Tu faresti lo stesso con FIAT.
E gli americani pure se l'EPA avesse beccato la FORD.

Se invece lo sapeva da anni, allora è diverso.

Vedrai poi che adesso viene fuori che anche Opel, FIAT, Renault, Nissan, ... taroccavano.


soloo42001

Nel dibattito di Agorà di stamani è emerso che quel software sia stato venduto ad altre case automobilistiche on the world.
camillobenso
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da camillobenso »

Il Giornale di oggi titola in prima pagina così:


LA MERKEL HA FUSO
I FURBETTI TEDESCHI

Si allarga lo scandalo delle auto truccate. Coinvolti 11milionidi veicoli,l’Italia pensa di bloccare la vendita di Volkswagen e Audi. Il marchio perde il 20%, crollano le Borse. E Berlino sapeva tutto
aaaa42
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

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camillobenso
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

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Il Sole 24.9.15
Germania, la grande frode è un caso politico
Il ministro dei Trasporti tedesco Dobrindt (Csu) sotto accusa per l’interrogazione presentata a luglio dai Verdi

di Alessandro Merli

FRANCOFORTE Lo scandalo Volkswagen sta diventando uno scottante caso politico in Germania.
Il Governo federale è stato costretto ieri a smentire indiscrezioni di stampa secondo cui sarebbe stato al corrente della manipolazione delle emissioni dei motori diesel da parte della casa automobilistica di Wolfsburg ma la vicenda è destinata a creare non pochi grattacapi alla grande coalizione, mentre si è mossa per la prima volta la magistratura.
L’ufficio del procuratore di Braunschweig ha reso noto che sta valutando l’apertura di un’inchiesta formale che riguarderebbe i dipendenti della Volkswagen responsabili per le manipolazioni. Il ministro dei Trasporti, Alexander Dobrindt, ha inviato una commissione ministeriale d’indagine a Wolfsburg, dove anche la Volkswagen ha detto di voler avviare un’inchiesta affidata a esperti esterni. Ma è proprio Dobrindt, astro nascente dei cristiano-sociali bavaresi della Csu, finora noto soprattutto per avere dato del “falsario” al presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e per aver spinto per l’adozione di pedaggi autostradali da applicarsi solo agli stranieri, a trovarsi nel mirino dell’opposizione. Una sua risposta scritta, piuttosto fumosa, a un’interrogazione parlamentare dei Verdi lo scorso mese di luglio sulle discrepanze fra i risultati dei test sulle emissioni condotti in laboratorio e su strada, ha fatto sorgere il dubbio che il Governo sapesse degli interventi di Vw attraverso il software per alterare gli esiti. Anche nei giorni scorsi, al salone dell’auto di Francoforte, pressoché alla vigilia dello scoppio dello scandalo, esponenti dei Verdi avevano fatto riferimento alla questione, seppure senza nessuna indicazione di un coinvolgimento di Volkswagen.
Nella sua risposta, Dobrindt aveva poi rimandato all’azione della Commissione europea, che a sua volta sconta notevoli ritardi sulla materia e che ieri si è fatta sentire invitando tutti gli Stati membri dell’Unione europea a condurre indagini. Bruxelles si propone anche di coordinare le inchieste e favorire lo scambio di informazioni, una iniziativa piuttosto tardiva alla luce di quanto già emerso negli Stati Uniti.
Come sempre, il cancelliere Angela Merkel ha preferito mantenere inizialmente un basso profilo, limitandosi a sollecitare Volkswagen ad agire «il più rapidamente possibile» per ristabilire la fiducia. Il suo vice, e leader del partito socialdemocratico, Sigmar Gabriel, intervenendo a Francoforte ha definito quanto accaduto «inaccettabile» e suscettibile di creare «danni enormi». L’agenzia di rating Fitch, nel declassare a «negativa» la prospettiva del debito di Volkswagen, ha fatto riferimento proprio come fattore principale al «danno alla reputazione» della casa automobilistica che potrebbe pesare sul suo futuro.
I socialdemocratici sono del resto anch’essi in una posizione scomoda. È socialdemocratico il presidente del Land della Bassa Sassonia, Stephan Weil, che attraverso il 20% del capitale di Volkswagen può esercitare una notevole influenza negli affari del gruppo. E sono esponenti della Spd i due sindacalisti con un ruolo chiave nel consiglio di sorveglianza: Berthold Huber, già capo del potente sindacato dei metalmeccanici Ig Metall, che si è ritrovato dall’aprile scorso presidente a interim del consiglio di sorveglianza dopo l’estromissione di Ferdinand Piech, che fu sconfitto nel braccio di ferro con l’amministratore delegato Martin Winterkorn; e Bernd Osterloh, anche lui componente del presidium del consiglio di sorveglianza che ieri ha ricevuto, e probabilmente sollecitato, le dimissioni dello stesso Winterkorn. Del quale sia i sindacalisti, sia il governo regionale erano stati sostenitori nella faida con Piech, una posizione destinata ora a creare non poco imbarazzo.
camillobenso
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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

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2.800.000 le auto diesel truccate in Germania.

TG7- ORE 20,00
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Volkswagen, ministero Trasporti tedesco: “2,8 milioni di auto coinvolte in Germania. Truccati anche furgoni”

Intanto fonti Ue fanno sapere che durante il vertice tra le autorità di omologazione nazionali dei 28 Paesi si deciderà se sono necessarie indagini su altri produttori. Negli Stati Uniti l’Agenzia per la protezione ambientale cambierà i test aggiungendo prove su strada
di F. Q. | 25 settembre 2015

Sono 2,8 milioni i veicoli Volkswagen circolanti in Germania su cui è stata accertata la presenza del software truffaldino che riduce gli inquinanti durante i test. Tra questi ci sono anche vetture di cilindrata 1.200, inferiore a quanto finora pensato, e alcuni furgoni. Lo ha dichiarato il ministro dei Trasporti tedesco, Alexander Dobrindt, aggiungendo che le manomissioni sono senza dubbio “illegali“. “Sulla base delle nostre conoscenze attuali, anche gli autocarri leggeri prodotti da Volkswagen, oltre alle auto, sono interessati dal calcolo improprio delle emissioni dei motori diesel”, ha detto l’esponente della Csu. La commissione istituita dal ministero guidato da Dobrindt sta inoltre valutando se, oltre ai motori EA 189 da 1.6 e 2.0 litri, anche la versione da 1.2 litri sia coinvolta.

La presidenza lussemburghese dell’Ue ha confermato che le implicazioni dello scandalo verranno discusse dai ministri dei 28 al Consiglio competitività del primo ottobre. In agenda ci saranno “i controlli delle emissioni auto”, ha scritto in un tweet il ministro lussemburghese dell’economia Etienne Schneider che presiederà la riunione. Il comitato tecnico composto dalle autorità di omologazione nazionali dei 28 Paesi si riunirà invece il 6 ottobre a Bruxelles. L’incontro servirà per scambiarsi informazioni sulle indagini in corso in diversi Stati, tra cui l’Italia. Dove la procura di Torino ha anche aperto un fascicolo contro ignoti per frode in commercio e disastro ambientale. In base ai risultati delle discussioni verrà deciso “se sono necessarie indagini su altri produttori auto”.

Gli Stati Uniti, invece, hanno deciso che l’Agenzia per la protezione ambientale (Epa) cambierà i test per le emissioni dei diesel aggiungendo prove su strada per verificare l’effettivo rispetto delle norme antismog. L’agenzia ha scritto a tutte le case auto per avvertirle. Intanto iniziano a delinearsi le modalità con cui venivano gestiti i test truccati. Secondo l’agenzia Bloomberg i criteri, i risultati e l’ingegneria delle auto che non rispettavano i target delle emissioni erano supervisionati dai manager di Volkswagen. E quando necessario un team di ingegneri della Audi veniva inviato negli Usa per “sistemare” i veicoli.

In scia all’inchiesta, anche l’agenzia ambientale del Brasile, Ibama, sta indagando su Volkswagen per verificare se la casa tedesca ha violato i limiti sulle emissioni diesel nazionali. Vw rischia una multa di 50 milion di reais (13 milioni di dollari). Altri Paesi, tra cui l’Italia, hanno acceso un faro sui modelli diesel della casa tedesca. L’unico veicolo Volkswagen a gasolio venduto sul mercato brasiliano è il camioncino a quattro cilindri Amarok, di cui sarebbero in circolazione quasi 84mila unità.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... i/2068064/
camillobenso
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Volkswagen, la caduta del mito tedesco che fa scendere Angela Merkel dall’Olimpo.
Se la Grecia ha truccato i conti dei suoi bilanci, la Germania ha truccato le macchine e ha inquinato l’ambiente. L’equazione è a furor di popolo. Anzi di popoli. La reputazione è un valore aggiunto. Se cade, è un macigno che rischia di far traballare un Paese intero. Tanto più che il caso Vw è solo il più clamoroso di una lunga serie
25 settembre 2015



Ah, la sublime arte della manipolazione alemanna! Chissà se Der Spiegel sbatterà in copertina un bel piatto di wurstel e crauti mettendo al posto della senape un gustoso modellino di Volkswagen, o se userà il cliché del Barone di Münchausen, il re dei contaballe, mostrandolo a cavalcioni di una Volkswagen, invece della celebre palla di cannone, mentre viene sparato nientepodimeno che sulla Luna. Lo dovrebbe.

Almeno per coerenza. Nel luglio del 1997 il settimanale di Amburgo volle dire la sua sull’Italia con la choccante foto del piatto di spaghetti condito da una pistola.

Poi toccò alla Spagna, sull’orlo dell’abisso.

E la Grecia, povera derelitta.

Per anni, gli austeri maestrini tedeschi ci hanno bacchettato a noi europei del Sud spendaccioni e furbastri. Cicale e Maggiolini.

Loro onesti, noi furbi.

Loro economicamente corretti.

Noi sempre al di sopra dei nostri mezzi.

Austeritaten über alles!

La severità ed intransigenza luterana contro l’ipocrisia cattolica, prima pecchi e poi tanto c’è il perdono, basta una piccola penitenza…

Beh, qualche affinità con le madornali e mirabolanti avventure raccontate dal Barone di Münchausen la Volkswagen che impersonava la granitica certezza del German engineering – mito dell’indiscutibile primato ingegneristico tedesco molto in voga nel pianeta anglosassone – ce l’ha, eccome ce l’ha.

Per esempio, ha basato per decenni gran parte delle sue campagne promozionali sulla fiducia e la verità, instaurando una sorta di complicità col consumatore, un legame che coinvolgeva cuore e testa.

La Volkswagen “parla chiaro”.

Sottinteso: gli altri no. Ci sono spot che oggi stanno spopolando sul web tanto sono ridicoli, rivisti col senno di poi.

In uno la protagonista è una distinta e anziana signora che cerca di vendere la sua auto a un giovane, prudentemente accompagnato dal padre per evitare – ovviamente, non si sa mai – qualche brutta sorpresa.

I due alla fine la comprano, dopo un intenso scambio di occhiate tipo per un dollaro d’onore con l’anziana donna: “Potete dubitare delle vecchie signore.

Ma potete fidarvi di tutte le Golf”.

Specie quelle a diesel: non ammorbano l’atmosfera perché noi della Volkswagen siamo i migliori. BlueMotion Polo.

Nobody’s perfect, altro slogan per convincere che tuttavia, i prodotti Volkswagen puntano alla perfezione.

E alla possibilità che tu ne possa fruire. Senza fatica. Think small.

Pensa piccolo per avere grande.

La Grande Germania: per la quale l’auto rappresenta il 20 per cento dell’export tedesco e il 14 per cento del Pil.

Rappresenta o rappresentava?

Mai come in queste ultime ore Angela Merkel viene descritta così tanto a disagio, angustiata, preoccupata.


Al vertice di Bruxelles per l’emergenza rifugiati è apparsa stanca, poco incisiva.

Non ha nemmeno replicato alle solite invettive di Viktor Orban che ha detto: “Quello della Merkel è imperialismo morale”.


Gli stessi suoi compatrioti cominciano ad essere delusi da lei, un sondaggio del 23 settembre le dava infatti il 49 per cento di popolarità.

Il minimo, dall’inizio dell’anno.

Lo scandalo – “crepuscolo di un’icona”, titola Le Monde – rimette in causa il modello di cogestione alla tedesca di cui la Vw era l’emblema.


La descrivono pallida, non più sicura e determinata come prima.

Per forza. Proprio all’apice della sua canonizzazione politica ed etica – pensate alla vicenda migranti, agli estenuanti bracci di ferro con Putin – nel giorno stesso in cui avrebbe dovuto festeggiare il decennale della sua vittoria elettorale (il 18 settembre 2005) che le avrebbe fatto conquistare la carica di Cancelliere del Paese più importante d’Europa, le è arrivata dagli Stati Uniti una bordata che dire devastante è minimizzare.


Perché la Volkswagen è più di un grande gruppo industriale, “Volkswagen è la Germania”, ha detto Gitta Connemann, influente deputata Cdu.

Lo ha del resto sottolineato Spiegel online: “Non sono i miliardi di multa che minacciano la Volkswagen, bensì il danno d’immagine (…)


La giustizia americana segue una linea molto dura per combattere la criminalità economica”.

Il vulnus è di proporzioni inaudite (come le avventure del Barone di Münchausen…) che non soltanto colpisce l’azienda di Wolfsburg ma la Germania intera e la sua credibilità planetaria.


Piglia di mira la sua spocchia da prima della classe.

Da imbrogliona come coloro che disprezzava.

Altro che ruolo di “grande accusatore”, come ricorda Angelo Bolaffi.

Adesso la Germania della Vw magliara si ritrova sullo stesso banco degli accusati “nello stesso giorno in cui Tsipras ‘il grande accusato’ (e con lui la Grecia) sembra forse esserne uscito.


Insieme allo sconcerto per la rivelazione quasi epifanica della Grande Truffa, si cela la gioia maligna di chi ha subito gli strali dei supponenti leader germanici…

Persino la cancelliera è indirettamente coinvolta, come ha accusato il quotidiano Frankurter Rundschau, uno dei pochi giornali tedeschi a non avere circoscritto lo scandalo al mondo dell’industria automobilistica: “Angela Merkel da anni si posiziona come la lobbista in capo dei costruttori tedeschi d’auto. Il suo ministro dei Trasporti brilla per la febbrile attività di questi giorni e ciò avviene da anni, il suo ministero deve sapere che i costruttori imbrogliano sistematicamente sulle informazioni tecniche delle loro auto rispetto ai consumi e alle emissioni.


Idem per il ministro-presidente della Bassa Sassonia dove si trova la sede della Vw. Il Land è il secondo azionista del gruppo.

Nulla si fa alla VW senza il suo consenso”.

Se la Grecia ha truccato i conti dei suoi bilanci, la Germania ha truccato le macchine e ha inquinato l’ambiente.

L’equazione è a furor di popolo. Anzi di popoli.


La reputazione è un valore aggiunto.




Adesso che il vaso di Pandora è scoperchiato e che le connivenze mediatiche – la pubblicità delle quattroruote è fondamentale per giornali e tv – sono state smascherate (da anni c’era chi inutilmente denunciava le sopercherie ma veniva ignorato: penso al rapporto “Mind the Gup! Why official car fuel economy figures don’t match up to reality” del 2013 di Transport&Environment, l’organizzazione europea che si occupa di sostenibilità ambientale dei trasporti), abbiamo l’effetto Domino. Vi siete dimenticati del caso Germanwings (gruppo Lufthansa)?

Il 24 marzo scorso un suo Airbus A320 precipitò in Francia, causando la morte di 150 persone.

Per un raptus di follìa suicida del copilota Andreas Lubitz.

Allora furono messi sotto accusa i test della compagnia.

Vogliamo parlare del Berlin Brandenburg Flughafen? Dovevano aprirlo nel 2012.

I tecnici scoprirono che i sistemi antincendio erano insufficienti.

Dopo, fu la volta dei banchi del check-in ad essere insufficienti.

Indi toccò al tetto della sala principale: non in grado di sopportare il peso e le sollecitazioni dei condizionatori.

Comunque, avevano promesso di inaugurarlo a metà del 2016.

Promessa rimangiata.

Sarà aperto nel 2017: forse.

Intanto i costi sono lievitati, passando da 3 a 6 miliardi di Euro. Tra sospetti di corruzione e pessima progettazione: “un aeroporto con 150mila difetti”, hanno scritto i giornali tedeschi. Se lo dicono loro…


I tedeschi. Siemens, Daimler, Rheinmetall – fu Business Insider Uk a fare una rassegna circostanziata dei maggiori casi di corruzione – sono oggetto di inchieste giudiziarie.

Secondo i giudici greci, la Siemens ha dispensato mazzette per 70 milioni di euro.

Il fascicolo che la riguarda conta 2.300 pagine, l’indagine è durata nove anni.

La statunitense CorpWatch – gli americani sono spettatori assai interessati alle vicende tedesche – definì il caso Siemens “il più grande scandalo aziendale della storia greca dal dopoguerra”.

In questo, i tedeschi confermano la loro tendenza al gigantismo.

Vw ha un gito d’affari annuo di oltre 200 miliardi di euro, è il più grande investitore al mondo in ricerca e sviluppo (ci vuole genio per realizzare il software fregone).

Eurointelligence aggiunge che la Vw ha un rapporto consolidato con la politica tedesca.


Allora la Casa Bianca decise che la banca andava salvata perché “troppo grande per fallire” (too big to fail). Analogo destino attenderà la Vw. E‘ la sindrome del cigno nero.

Con qualche postilla, tanto per capire i veleni del contesto.

Intanto, chi acquistava le presunte virtuose vetture diesel taroccate godeva dei bonus statali e europei.

Essendo frutto di truffa, dovrebbero essere rimborsati.

Andateglielo a dire agli acquirenti … Dulcis in fundo, non è che gli americani si sono vendicati dopo che erano stati beccati loro con le mani nella marmellata, per le intercettazioni telefoniche abusive della Nsa (National Security Agency) fatte ai danni di Angela Merkel e di altri 55 politici tedeschi, come rivelò il sito di Julian Assange?


In una telefonata la Merkel criticava il piano del Segretario del Tesoro Usa che aveva posto l’eventualità di sollevare le banche dalla responsabilità per i titoli tossici.

In un’altra sosteneva che la Cina avrebbe dovuto avere maggiore influenza nel Fondo Monetario Internazionale.

È guerra.

Senza esclusione di colpi.

Muoia Sansonen con tutti i Filistei.

Speriamo che noi della Grande Bellezza Mediterranea ce la caviamo


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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

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Volkswagen, presidente Bundesbank: “Compromesso il made in Germany”
La tv americana ha annunciato l'avvio di una indagine sulla violazione delle misure antismog, accuse prese molto seriamente perle potenziali implicazioni sulla salute pubblica. E la Svizzera blocca la vendita dei modelli incriminati
di F. Q. | 25 settembre 2015

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Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

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Dall'Espresso di questa settimana

Bruxelles corrotta
Europa infetta


Tangenti. Sprechi. Inefficienza. Istituzioni al servizio
di lobby potenti e occulte. Ecco tutti i pubblici vizi
della capitale. Che affossano la fiducia nell’Unione

di Gianluca Di Feo da Bruxelles


UN TOUR TRA GLI EDIFICI
più importanti della città:
dalla residenza reale al
museo di belle arti, dagli
uf_ci ministeriali alle carceri,
dall’osservatorio
astronomico al palazzo
di giustizia. Sono maestosi, coperti di marmi e statue a testimoniare
la solidità della virtù pubblica. Eppure per dieci anni a
gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti
non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato
la rete criminale che ha trasformato il cuore del Paese in una
vera Tangentopoli. Non stiamo parlando delle gang romana di
Ma_a Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio
e dell’Europa. E due volte corrotta, nell’intreccio d’affari tra
poteri locali e autorità continentali.
Qui non si decide soltanto la vita di una nazione lacerata
dalle tensioni tra valloni e _amminghi, ma il destino di mezzo
miliardo di persone, cittadini di un’Unione che mai come in
questo momento si mostra debole e inconcludente. Dall’inizio
del millennio la _ducia degli italiani, come evidenzia il sondaggio
Demopolis, è crollata e solo uno su quattro crede ancora
nell’Europa. Bruxelles però è anche il laboratorio in cui la
corruzione si sta evolvendo. La mutazione
genetica delle vecchie bustarelle in un
virus capace di intaccare in profondità la
reputazione delle istituzioni europee,
diffuso silenziosamente da quei soggetti
chiamati lobby. Realtà estranee alla tradizione
democratica dei nostri Stati nazionali
e molto diverse dai modelli statunitensi,
perché qui non ci sono leggi che
le regolino, né sanzioni che le spaventino:
le lobby sono invisibili e allo stesso tempo
appaiono onnipotenti.
LA GIUSTIZIA IMPRIGIONATA
Il simbolo è Place Poelaert, la grande
piazza panoramica affacciata sul centro
storico di Bruxelles. Da un lato c’è il
palazzo di giustizia, con la cupola dorata
che svetta sull’intera città: una muraglia
di impalcature lo imprigiona da cima a
fondo, soffocando le colonne dietro un
gigantesco castello di assi che marciscono
tristemente. Il cantiere dei restauri è
abbandonato da otto anni, da quando i
titolari sono stati arrestati, assieme ad
altri 33 tra imprenditori e funzionari
accusati di avere depredato l’intero patrimonio
immobiliare statale.
Proprio di fronte al palazzo della giustizia
impacchettato c’è uno splendido
complesso rinascimentale, con un giardino
impeccabile. È la sede del Cercle de
Lorraine, “the business club”, come recita
la targa: l’associazione che raccoglie gli industriali più
prestigiosi del Paese, baroni e visconti da sempre padroni del
vapore assieme ai manager rampanti della new economy. Lì,
tra sale affrescate e camerieri in livrea, promuovono i loro interessi.
Insomma, sono una lobby. Una delle oltre seimila che
presidiano la capitale europea, con più di 15 mila dipendenti
censiti mentre altrettanti si muovono nell’oscurità. A Bruxelles
il colore degli affari rispecchia il cielo perennemente coperto:
si va dal grigio al nero. Non a caso, la frase magica della cricca
degli appalti era «bisogna che il sole splenda per tutti»

IL CANTIERE INFINITO
Oggi la città è tutta un cantiere. Sono centinaia. Dall’aeroporto
al quartiere generale della Nato, dalla periferia al
centro storico si vedono ovunque gru e ruspe all’opera. Per
non essere da meno, anche il Parlamento europeo vuole
abbattere l’edificio dedicato a
Paul-Henri Spaak, completato nel
1993 con un miliardo di spesa: il progetto
prevede altri 750 uf_ci per i deputati
del presente e del futuro, rappresentanti
delle nazioni che aderiranno
all’Unione negli anni a venire. Se però
dal Palazzo di Giustizia si va verso il
Parlamento percorrendo la chaussée
d’Ixelles, la frenesia cementizia si mostra
in una luce diversa. La lunga arteria
è stata completamente rifatta nel
2013, solo che al momento dell’inaugurazione
c’è stata una sorpresa: i
marciapiedi erano troppo larghi e gli
autobus _finivano per incastrarsi l’un
contro l’altro. Hanno ricominciato da
capo, di corsa. Appena riaperta al traf-
_co, però, la pavimentazione allargata
non ha retto al peso dei pulmann e si è
riempita di buche, manco fosse Roma.
E giù con la terza ondata di lavori: ora
la strada sembra una chilometrica
sciarpa rattoppata.
Ixelles è un comune autonomo, perché
Bruxelles in realtà è un insieme di

Come crolla il mito
del Continente unito
La fiducia nella Ue
in cinque paesi
Germania
Francia
Spagna
Italia
Regno Unito
Nel 2000 l’Italia era il Paese con il
maggior grado di _ducia nelle istituzioni
comunitarie: 25 punti in più rispetto
al dato odierno rilevato oggi
da Demopolis per l’Espresso

La fiducia degli italiani
nell’Unione Europea 2000-15
Eravamo i più convinti di tutti. Quindici anni
fa, l’alba del nuovo millennio vedeva l’Italia
piena di euro-entusiasti: oltre il 53 per cento
di cittadini. Ci credevamo più dei tedeschi
e molto più dei francesi. Da allora
la _ducia nella Ue si è sgretolata. E i dati
Demopolis dimostrano che non è colpa della
moneta unica. La picchiata del consenso
è cominciata con la recessione economica
internazionale e si è intensi_cata con la crisi
greca, toccando il minimo a giugno: soltanto
il 27 per cento degli italiani dava ancora
credito al sogno europeo.
Adesso il sondaggio, condotto dall’istituto
diretto da Pietro Vento su un campione
di mille persone, mostra una minuscola
ripresa del consenso, ma solo di un punto.
Nota informativa
L’indagine è stata condotta nel settembre
2015 dall’Istituto Demopolis, diretto da
Pietro Vento, su un campione stratificato
di 1.000 intervistati, rappresentativo
dell’universo della popolazione italiana
maggiorenne. Metodologia ed
approfondimenti su: www.demopolis.it

Inchiesta

diciannove piccoli municipi indipendenti, ciascuno con il suo
borgomastro. In questo periodo il meno sereno è il sindaco di
Uccle, che per undici anni è stato pure presidente del Senato
belga. Come avvocato ha difeso una masnada di magnati
kazaki, ottenendone l’assoluzione. In cambio ha ricevuto 800
mila euro. «Compensi professionali», ha spiegato Armand
De Decker. Il sospetto invece è che la scarcerazione degli oligarchi
sia il tassello di un intrigo internazionale: una clausola
clausola
del patto segreto tra il
presidente kazako Nazarbayev
e l’allora collega francese
Sarkozy per la vendita
di elicotteri, in cui era previsto
anche «di fare pressione
sul senato di Bruxelles».
Un’accusa formulata dagli
inquirenti parigini, perché le
procure locali si guardano
bene dall’indagare.
Gli investigatori belgi non
hanno fama di ef_cienza né di indipendenza. La storia recente
del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla,
tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l’Italia sono
forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta
i cittadini a dif_dare della giustizia. L’inchiesta sulla tangentopoli
capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado
ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie
des Batiments, che per un decennio hanno intascato almenoclausola
del patto segreto tra il
presidente kazako Nazarbayev
e l’allora collega francese
Sarkozy per la vendita
di elicotteri, in cui era previsto
anche «di fare pressione
sul senato di Bruxelles».
Un’accusa formulata dagli
inquirenti parigini, perché le
procure locali si guardano
bene dall’indagare.
Gli investigatori belgi non
hanno fama di ef_cienza né di indipendenza. La storia recente
del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla,
tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l’Italia sono
forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta
i cittadini a dif_dare della giustizia. L’inchiesta sulla tangentopoli
capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado
ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie
des Batiments, che per un decennio hanno intascato almenoclausola
del patto segreto tra il
presidente kazako Nazarbayev
e l’allora collega francese
Sarkozy per la vendita
di elicotteri, in cui era previsto
anche «di fare pressione
sul senato di Bruxelles».
Un’accusa formulata dagli
inquirenti parigini, perché le
procure locali si guardano
bene dall’indagare.
Gli investigatori belgi non
hanno fama di ef_cienza né di indipendenza. La storia recente
del Paese è costellata di scandali che si perdono nel nulla,
tra trame occulte e massoneria: i parallelismi con l’Italia sono
forti e anche qui prospera una cultura del sospetto, che porta
i cittadini a dif_dare della giustizia. L’inchiesta sulla tangentopoli
capitale è partita nel 2005, le sentenze di primo grado
ci sono state solo quattro mesi fa. I dieci dirigenti della Régie
des Batiments, che per un decennio hanno intascato almeno
un milione e 700 mila euro, se la sono
cavata con condanne irrisorie. «I fatti
sono gravi, ma ormai antichi», ha riconosciuto
la corte.
IL BAROMETRO DELL’ONESTÀ
Questa giustizia lenta e spesso inef_cace
è anche arbitro di parecchi dei misfatti
che avvengono nei palazzi della Ue. Sono
le magistrature nazionali a procedere penalmente contro
i corrotti, perché le agenzie europee possono minacciare
soltanto sanzioni amministrative: la punizione massima è il
licenziamento, una rarità, mentre più frequenti sono le retrocessioni
di grado e soprattuto le lettere di richiamo. Di certo,
non un grande deterrente per rinsaldare la moralità dei commissari,
dei 751 deputati e dei 43 mila funzionari che gestiscono
ogni anno oltre 140 miliardi di euro e scrivono leggi
vincolanti per 28 Paesi. Mentre anche dalla loro onestà dipende
la credibilità di un organismo sempre meno rispettato.
L’istituto statistico più autorevole, Eurobarometro, due
anni fa ha lanciato l’allarme: il 70 per cento dei cittadini ritiene
che la corruzione sia entrata nelle istituzioni europee.
Lo credono 27.786 persone, selezionate scienti_camente per
rappresentare l’intera popolazione dell’Unione. È un dato
choc. La Commissione ha reagito annunciato una crociata
contro le tangenti in tutto il Continente. Ovunque, tranne che
nei suoi uf_ci: nel 2014 il primo rapporto anti-corruzione
nella storia della Ue ha sezionato i vizi di ogni Paese, senza
però fare cenno ai peccati dentro casa: quella che la Corte dei
Conti europea ha de_nito nero su bianco
«un’infelice e inspiegabile omissione
». D’altronde la presidenza di Jean-
Claude Juncker è cominciata nel
peggiore dei modi. Le rivelazioni di
LuxLeaks - pubblicate in Italia da “l’Espresso”
- hanno messo a nudo il suo
ruolo nel trasformare il Lussemburgo
nel Bengodi delle aziende in cerca di
tasse irrisorie. Per riscattarsi, Juncker ha promesso una sterzata
contro l’iniquità _scale legalizzata. «Ma _nora la Commissione
è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva
Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia, che
ha portato alla sbarra i crimini delle grandi aziende, ed ora è
eurodeputato verde: «La follia è che abbiamo al vertice
dell’Europa l’uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie
alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a
crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione
di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un
mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito
e c’è la volontà di piegare i paradisi _scali: sono convinta
che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall’Unione».
IL GRANDE CIRCO
Quello che Juncker costruito in Lussemburgo, a Malta lo ha
realizzato John Dalli, il ministro che ha fatto dell’isoletta una
piazzaforte _nanziaria, graditissima agli investitori italiani più
spregiudicati e ai miliardi rapidi delle scommesse. Poi nel 2010
Dalli è entrato nel governo dell’Unione: come commissario
camillobenso
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Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: Ma che EUROPA UNITA è questa?

Messaggio da camillobenso »

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quello che li riguarda, biglietti aerei, note
spese, documenti. Possiamo persino
entrare nei loro ufci, guardare nei
cassetti e nei computer».
Le statistiche indicano che in questi
anni la vostra produttività è aumentata
considerevolmente.
«Nel 2012 abbiamo rivisto la nostra
organizzazione. Oggi il numero di
inchieste è raddoppiato mentre si sono
ridotti i tempi medi. C’è stato un
cambiamento di mentalità: cerchiamo di
essere più orientati ai risultati, sempre
nel rispetto delle procedure. Ossia alla
conclusione dell’indagine, che porti
all’archiviazione o a una incriminazione».
Si è parlato spesso di potenziare la
vostra capacità operativa: un rapporto
di Transparency international giudica
insufficiente le vostre risorse.
«Un dirigente dirà sempre che vuole più
risorse, infatti le ho chieste in tutte le
sedi. Credo però che quella che abbiamo
raggiunto in questi anni sia la nostra
“velocità di crociera” e mi chiedo se può
avere un senso aumentarla ancora.
L’Olaf dispone di circa 300 persone per
l’attività investigativa, se anche avessi il
doppio del personale, sarebbe sempre
una goccia rispetto alle dimensioni
dell’Europa».
L’indagine sul commissario Dalli è stata
la più importante. Però dopo questo
successo siete stati voi a finire sotto
accusa. Alcuni deputati hanno chiesto
persino le sue dimissioni.
«Non mi aspettavo certo una simile
reazione. Il dibattito si è spostato dalle
aule del tribunale al parlamento, dove
siamo stati contestati da alcuni settori.
Immagino che possa avere contribuito
il rendersi conto per la prima volta che
l’Olaf è realmente un potere autonomo,
che non si può imbavagliare in alcun
modo e che può avere un ruolo
determinante nella lotta alla corruzione.
Ma in questa vicenda ho notato
l’assenza di un’opinione pubblica
europea che facesse sentire il suo peso.
È stato accertato che Dalli ha avuto
incontri nascosti con i rappresentati
dei produttori di tabacco, vietati
dai codici Ue».

Inchiesta

IL 70 PER CENTO DEGLI ESPERTI
INCARICATI DI VALUTARE LA QUESTIONE
DEL FRACKING, DISCUSSA TECNICA
DI ESTRAZIONE PETROLIFERA, HANNO
RELAZIONI CON AZIENDE DEL SETTORE

per la salute ha avuto in mano dossier fondamentali, incluso il
via libera alle coltivazioni ogm. Finché la sua carriera non si è
trasformata in circo. Letteralmente. Il suo vecchio amico Silvio
Zammit, pizzaiolo e impresario circense part-time, è andato in
giro chiedendo soldi per conto del «boss». Ha prospettato a
una holding svedese la possibilità di spalancare il mercato europeo
a un prodotto che piace molto agli scandinavi: lo snus,
il tabacco da masticare. Una passione da pirati e cowboy, nora
proibita nel resto della Ue, con potenzialità miliardarie:
rimpiazza le sigarette anche dove il fumo è vietato. In cambio
Zammit ha chiesto una somma niente male: 60 milioni di euro,
poco meno della storica tangentona Enimont.
La questione è arrivata sul tavolo dei
detective dell’Olaf, l’unità antifrode europea
guidata dall’italiano Giovanni
Kessler (vedi intervista a pagina 38). Con
investigatori provenienti dalla Guardia
di Finanza, perquisendo di notte l’ufcio
del commissario, sono stati trovati «indizi plurimi» del coinvolgimento
personale di Dalli. Nell’ottobre 2012 l’allora presidente
Barroso ha obbligato il maltese alle dimissioni, rmate
molto controvoglia. Tant’è che quando, dopo la sostituzione
del capo della polizia, l’indagine penale nell’isola è stata archiviata,
Dalli ha cominciato a sparare denunce dichiarandosi
vittima di un’ingiustizia. E il parlamento ha criticato l’azione
dell’Olaf: «Dal rapporto dei supervisori emergono molti dubbi
sui metodi del nostro istituto antifrode più importante, che
nei resoconti manipola le statistiche per presentare risultati
migliori del reale», sancisce l’eurodeputato verde Bart Staes,
membro di spicco del comitato che vigila sul budget, altro caposaldo
del sistema di controllo.
L’Olaf si è trovata ai ferri corti pure
con la Corte dei conti, a cui ha contestato
appalti oscuri. Che a sua volta
ha rimandato le accuse al mittente.
Insomma, un tutti contro tutti, con
esiti abbastanza deprimenti per l’af-
dabilità dei custodi di Bruxelles. Oggi
l’Europa sembra avere tanti cani da
guardia litigiosi. E tutti con la museruola:
abbaiano, ma non mordono. Il
loro compito infatti si limita a suggerire
provvedimenti. Fuori dai palazzi
della Commissione, non hanno poteri
e devono invocare l’aiuto delle polizie
nazionali. Che - tra interessi patronali
e differenze normative - non sempre
collaborano. I detective europei hanno
bisogno di un’autorizzazione pure
per ascoltare i testimoni. All’Olaf ogni
indagine è afdata a una coppia di
ispettori, senza assistenti: si fanno da
soli pure le fotocopie e passano più
tempo a difendersi da tiro incrociato
delle altre autorità che non a investigare.
Il feeling che si respira è negativo,
come se la lotta alla corruzione
interna non fosse una priorità, anzi.
EMENDAMENTI CASH
Eppure i campanelli d’allarme non
mancano, anche in Parlamento. L’ultimo
a essere condannato due mesi fa
è stato un ex deputato inglese, Ashley
Mote, che ha rubato 355 mila euro
grazie a rimborsi gonati. È stato uno

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