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C I N A

Inviato: 24/08/2015, 17:32
da iospero
Cina, il Financial Times spiega in 4 grafici perché dobbiamo avere tutti paura della crisi cinese

Gli effetti della crisi cinese sui mercati globali sono sotto gli occhi di tutti, eppure non è facile rendersi conto perché Pechino, da sola, possa far tremare l’economia mondiale. Una strada immediata per rendersene conto è osservare queste quattro tabelle realizzate da FTN Financial, che mostrano chiaramente perché il rallentamento dell’economia cinese spaventa così tanto i mercati di tutto il mondo.

Come spiega sulle colonne del Financial Times l’economista George Magnus, la situazione è ancora più grave se si pensa che il tonfo di Pechino non deriva certo da una perturbazione transitoria, bensì rappresenta l’avvicinarsi della fine del modello cinese per come l’abbiamo conosciuto fino ad ora.

Per quanto riguarda il Pil, il primo grafico mostra come la Cina detenga una fetta del Prodotto Interno Lordo globale paragonabile a quella degli Stati Uniti. Quanto al petrolio, la Cina da sola consuma l’11 per cento del totale mondiale. Infine, gli ultimi due grafici forniscono una fotografia del consumo della Cina di rame (57 per cento) e dell’importazione di ferro (un impressionante 2/3 dell’import globale).
Nel suo editoriale Magnus spiega che le vicende di questo agosto – dal crollo delle borse asiatiche al disastro industriale di Tianjin – simboleggiano “l’epilogo in slow motion del modello politico ed economico cinese”. “Il Paese – scrive l’economista – sta ora attraversando una crisi di transizione senza pari dai tempi di Deng Xiaoping”, considerato il pioniere della riforma economica cinese e l'artefice del socialismo con caratteristiche cinesi.

Secondo Magnus, la centralizzazione del potere operata dal presidente Xi Jinping si sta rivelando un’arma a doppio taglio per le riforme, così come la campagna contro la corruzione sta mettendo degli intoppi allo spirito d’iniziativa e alla crescita. Ma soprattutto – continua Magnus – l’economia non può essere mantenuta su un percorso di espansione irrealistico basato su uno stimolo infinito. È giunto il momento – conclude l’economista – di accettare che si sta avvicinando un tempo in cui il tasso di crescita sarà permanentemente più basso. Sarà questo scenario a mettere alla prova la credibilità e la volontà riformatrice dei leader cinesi in modi che determineranno le prospettive del Paese per gli anni a venire.

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In un mondo globale quello che sta accadendo in Cina ci riguarda direttamente come lo stanno dimostrando i crolli delle borse di tutto il mondo e non solo, anche le valute stanno crollando,( compreso il dollaro rispetto l'euro).
Questo è un segnale per tutti per cui per sopravvivere diventa fondamentale essere in regola coi fondamentali e forti di una unità di paesi con economie dello stesso peso.

Re: C I N A

Inviato: 24/08/2015, 17:43
da camillobenso
camillobenso ha scritto:A FUTURA MEMORIA




SINDROME CINESE, PANICO GLOBALE
Vanno a picco le borse di tutto il mondo
Pechino fa crollare i mercati. Shanghai a -8,49% trascina tutti i listini. Piazza Affari scende fino a -7%
Sospesa metà dei titoli principali. Wall Street apre a -6%. Indici europei tra -7
(Parigi) e -10 (Atene)

Economia & Lobby

Pechino, come si vocifera sui social network, ha un bell’ordinare ai direttori dei giornali di non usare toni catastrofici evitando termini tipo “crisi” e “disastro”: che sia gonfiato o meno, il tracollo è sotto gli occhi di tutto il mondo dove le piazze finanziarie stanno precipitando all’unisono in un lunedì che più nero di così non potrebbe essere. Il primo a cadere è stato l’Asia Pacific Index, che ha perso il 4,6%. Shanghai è crollata dell’8,49%, mentre Shenzhen ha perso il 7,7%. A Hong Kong si è registrato un -5,17%. A Taiwan e Tokyo rispettivamente -4,84 e -4,61 per cento. Da qui il contagio si è sparso a macchia d’olio per tutto il mondo. L’ondata di panico è dapprima planata su un’Europa già in tensione per l’attesa delle elezioni greche per poi spostarsi a Wall Street
http://www.ilfattoquotidiano.it/
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Borse, la sindrome cinese manda a picco le piazze finanziarie di tutto il mondo
A pesare su tutti i mercati, ancora una volta, sono i timori per lo stato di salute dell'economia di Pechino. L'analista: "Sembra che non sappiano cosa devono fare. Il governo cinese è intervenuto in modo frammentario. Non c'è stato uno sforzo costante"
di F. Q. | 24 agosto 2015


Pechino, come si vocifera sui social network, ha un bell’ordinare ai direttori dei giornali di non usare toni catastrofici evitando termini tipo “crisi” e “disastro”: che sia gonfiato o meno, il tracollo è sotto gli occhi di tutto il mondo dove le piazze finanziarie stanno andando giù all’unisono in un lunedì che più nero di così non potrebbe essere. Il primo a cadere, quasi inutile a dirsi, è stato l’indice di riferimento della regione asiatica, l’Asia Pacific Index, che ha perso il 4,6% portando a -20% il saldo dal massimo dello scorso aprile, Shanghai è crollata dell’8,49% a 3.209 punti, mentre Shenzhen ha perso il 7,7%, a Hong Kong si è registrato un -5,17% a Taiwan e Tokyo rispettivamente -4,84 e -4,61 per cento. Da qui il contagio si è sparso a macchia d’olio per tutto il mondo. L’ondata di panico è dapprima planata su un’Europa già in tensione per l’attesa delle elezioni greche. E non ha certo aiutato la discesa del prezzo del petrolio sotto i 45 dollari al barile in scia alla decisione dell’Iran di aumentare la produzione nonostante il surplus. La decisione di Theran è determinata dalla volontà di mantenere le proprie quote di mercato. Ma con il petrolio stanno crollando anche i prezzi delle materie prime, oro escluso.

A pesare sui mercati sono sempre i timori sulla tenuta economica di Pechino, alimentati dalla vana attesa di contromisure forti da parte delle autorità oltre che dall’interpretazione pessimistica delle mosse fatte. Senza contare il rischio più che concreto di un rialzo dei tassi d’interesse da parte della banca centrale Usa, la Fed, che avrebbe reali ripercussioni sul gigante asiatico. La decisione di Pechino di consentire ai fondi pensione di investire un massimo del 30 per cento del patrimonio netto in azioni e titoli azionari stabilita domenica non ha certo frenato la caduta, anche perché gli investitori si aspettavano al contrario che la Banca centrale iniettasse più liquidità sui mercati, tagliando il coefficiente di riserva obbligatoria. E così Shanghai ha spazzato via tutti i guadagni messi a segno nel 2015.

L’orizzonte futuro non promette meglio, dopo che in giornata il segretario delle Finanze di Hong Kong, John Tsang, ha spiegato che le autorità non intendono intervenire sul mercato per sostenerne le quotazioni. Alla base della decisione la constatazione che i fondamentali restano solidi, pur se messi sotto pressione da fattori esterni. Tsang ha inoltre voluto evidenziare come la netta discesa patita dagli indici asiatici nelle ultime settimane al momento non abbia fatto emergere “significative fughe di capitali” dalla Borsa di Hong Kong. Al contrario da Mumbai il governatore della Reserve Bank of India, Raghuram Rajan, ha cercato di placare il nervosismo degli investitori, dicendo che l’India è pronta a usare le proprie riserve di valuta estera per sostenere la rupia in caduta libera sul cambio col dollaro come tutte le valute dei cosiddetti Paesi emergenti. “L’India ha 355 miliardi di dollari di riserve più ulteriori 25 miliardi, dato che le nostre vendite a termine di dollari non scadranno per il prossimo anno; di conseguenza, abbiamo 380 miliardi di dollari da mettere in campo, se ce ne fosse bisogno”, ha detto. I prezzi delle materie prime sono in calo e il governo di Narendra Modi sta gestendo le derrate alimentari in maniera attenta, mentre la valuta indiana è scivolata ai minimi da due anni.

Quanto a Pechino, la più efficace sintesi è quella di Rajiv Biswas dell’Ihs Global Insight che ha dichiarato al Guardian: “Sembra che non sappiano cosa devono fare”, il governo cinese “è intervenuto in modo frammentario. Non c’è stato uno sforzo costante”. Dopo l’iniezione sui mercati di oltre 150 miliardi di yuan, ora la strategia della Banca popolare cinese per aumentare la base monetaria sembra puntare su una forte riduzione dell’acquisto di valuta estera utilizzato in maniera predominante negli ultimi dieci anni e un aumento delle operazioni di mercato aperto.

Fatto sta che l’ennesimo crollo delle Borse cinesi ha fatto scattare le vendite sui mercati azionari di mezzo mondo, inclusa la Borsa di Milano che, insieme alle consorelle europee, ha atteso invano l’apertura di Wall Street per riprendere quota. E così a due ore dalla chiusura il Vecchio Continente viaggia in profondo rosso, a partire da Francoforte (-6,6%) zavorrata dai rapporti commerciali tra la Germania e la Cina. Malissimo anche Madrid (-6,5%), Milano (-5%), Londra (-4,7%) e soprattutto Parigi (-7,2). Discorso a parte per Atene che in scia alle incertezze politiche ha chiuso a -10 per cento. Oltreoceano, invece, dopo un avvio in caduta libera Wall Street sta riducendo le perdite con il Dow Jones che cede il 3,01% e il Nasdaq il 3,68 per cento.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08 ... o/1978190/

Re: C I N A

Inviato: 24/08/2015, 21:31
da cielo 70
Fermo restando che giusto in un sistema demenziale come quello della mondializzazione per gli stati come l'Italia va male sia quando quelli forti vanno bene sia quando hanno queste crisi, da quello che ho capito questa crisi è derivata dalla speculazione senza regole e dalla sovrapproduzione industriale, così come è stato nel 1929. Con quelli stipendi da fame prima o poi doveva succedere. Spero che qualcuno rivedrà questo sistema ma ci credo poco.

Re: C I N A

Inviato: 25/08/2015, 2:19
da camillobenso
A volte la stupidità di Vittorio Feltri è abissale, e quella dei suoi fan de Il Giornale , altrettanto.


La Cina è a fine corsa e ora diventerà molto simile a noi


D'ora in avanti i signori con gli occhi a mandorla si specchieranno sempre più in noi: per assomigliarci completamente manca loro soltanto un bel sindacato guidato
da Landini e da Camusso
Vittorio Feltri - Lun, 24/08/2015 - 13:01


L'economia è una materia incomprensibile, soprattutto per gli economisti che, poveracci, non ne azzeccano mai una benché si diano tante arie.

Economia significa - traducendo pedestremente dal greco - gestione della casa. Un esercizio teoricamente facile, ma praticamente difficile, se non si applica il cosiddetto principio del «conto della serva». Ovvero: se incasso 10 al mese e ne spendo 9, sono in attivo; altrimenti, fallisco. La Grecia è fallita perché sprecava più di quanto producesse.

L'Italia si è salvata, nonostante il debito massiccio poiché si è indebitata soprattutto nei confronti degli italiani. Il che conferma la validità del detto: il convento è povero, ma i frati sono ricchi. Infatti, noi piagnoni e mandolinari siamo detentori di un record mondiale: abitiamo in case di proprietà e abbiamo notevoli risparmi, più di tutti i popoli europei. Siamo anche evasori fiscali incalliti, ma qui il discorso si farebbe lungo; per risolvere questo problema basterebbe controllare i depositi bancari e verificare i prelievi. Se un cittadino sgancia per gli acquisti cifre superiori a quelle che dichiara nella denuncia dei redditi, si vede che non paga le tasse.

Ma nessuno verifica, anzi. Gli esattori controllano a tappeto gli onesti (o quasi) e trascurano i furbacchioni, che in effetti la fanno franca. Vabbè, è una vecchia storia. Quella nuova è che la Cina ha smesso di incrementare i propri affari e ha cominciato a calare. Perché? A occhio e croce, la risposta è una sola: l'economia è un uccello che può volare molto in alto per un periodo, poi scende e trova un punto di equilibrio. In basso. È successo dappertutto, non solo in Oriente.

La Cina comunista ha scoperto tardivamente il mercato e lo ha cavalcato, crescendo a dismisura, per oltre 20 anni. Ha raggiunto il diapason, dopo di che si è adagiata e adesso fatica a rimanere in quota. D'altronde, non è possibile ascendere fino in paradiso. Tutte le economie vanno su e giù. Pechino non fa eccezione. Probabilmente, i cinesi non hanno esaurito la spinta verso l'empireo, ma le energie sì, e sono destinati a darsi una calmata. I consumi di un Paese sono proporzionali al suo reddito complessivo: se si fermano vuol dire che hanno momentaneamente sfondato il tetto della situazione finanziaria contingente.

I provvedimenti assunti dal governo ex maoista sono palliativi. Tamponano le perdite, non le colmano. Le ferree leggi del comunismo sono relativamente efficaci: assicurano disciplina, ma non garantiscono uno sviluppo eterno. Se poi consideriamo che oltre un terzo della popolazione vive malamente in zone agricole e poverissime, si comprende il motivo per cui la Cina è in stallo: o lo sviluppo è omogeneo oppure è fatale che, prima o poi, il meccanismo virtuoso si inceppi.

D'ora in avanti i signori con gli occhi a mandorla si specchieranno sempre più in noi: per assomigliarci completamente - premesso che sono lavoratori indefessi e non lazzaroni come parecchi italiani - manca loro soltanto un bel sindacato guidato da Maurizio Landini e da Susanna Camusso. Quando l'avranno - suppongo presto - andranno in malora alla velocità della luce. Se si doteranno di un welfare mastodontico e oneroso come il nostro, precipiteranno nella miseria, da cui sarà impossibile che riescano a risollevarsi.

I cicli positivi e negativi durano in media un ventennio. Quello favorevole alla Cina sta per concludersi: questo mi sembra chiaro. Gli economisti non sono d'accordo? Segno che abbiamo ragione. In riferimento alla Grecia, che al confronto della Cina è uno sputo, rileviamo che Tsipras non è più l'incendiario degli esordi e si è trasformato in pompiere. Perderà le elezioni e sparirà dalla ribalta, esattamente come coloro che l'hanno preceduto al governo. Anche per gli ellenici pesa l'incapacità di spendere meno di ciò che hanno in tasca. Ed essi hanno le tasche vuote. Sono pieni di debiti e di pretese: le due cose non si conciliano. L'Italia invece se la cava. Sino a quando? Questa è la domanda delle cento pistole. Più una, che si chiama Matteo Renzi.

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 62744.html

Re: C I N A

Inviato: 25/08/2015, 2:39
da camillobenso
Mercati
Cina affossa mercati: Shanghai -8,5% Crollano le Borse europee Listini
La paura sui mercati alimentata dal calo dell’indice manifatturiero cinese ad agosto. Per l’Europa è il calo peggiore dal 2008. In flessione il prezzo del petrolio
di Redazione Online


La paura di una brusca e duratura frenata dell’economia cinese deprime ancora una volta i mercati. Il panico serpeggia tra gli investitori a cominciare dalle contrattazioni dei mercati asiatici che fanno registrare tutti decisi ribassi per terminare con il peggior calo degli ultimi 4 anni. L’indice Nikkei di Tokyo chiude in flessione del 4,61%. La Borsa di Shanghai lascia alla fine sul terreno l’8,5%, sotto il livello della chiusura del 31 dicembre dello scorso anno e dunque azzerando tutti i guadagni del 2015. Male, come detto, anche tutte le altre Borse asiatiche.

Wall Street

Wall Street apre con il segno meno, ma recupera anche grazie al rimbalzo delle azioni Apple. Per poi tornare a calare. Il Dow Jones perde il 3,5%, il Nasdaq cede il 3,8% e lo S&P 500 lascia sul terreno il 3,9%. «L'economia americana è più resistente oggi rispetto al passato e siamo fiduciosi sul fatto che questa tendenza durerà. Ma il Tesoro Usa è vigile e monitora da vicino la situazione dei mercati finanziari»: ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. Il portavoce ha aggiunto che «la Cina deve continuare a perseguire le necessarie riforme finanziarie per arrivare a un sistema di cambi che sia fondato sul mercato». L'aumento della flessibilità dei tassi di cambio, secondo gli Stati Uniti, deve essere più rapido.

Europa

La paura sui mercati asiatici si trasmette inevitabilmente anche a quelli europe facendo segnare per i mercati del vecchio continente il peggior calo dal 2008. Sprofonda in avvio di seduta la Borsa di Milano. Il Ftse Mib in apertura cede subito il 3,62% a 20.936 punti per poi arrivare a lasciare sul terreno il 5,96% . Male anche gli altri principali listini del Vecchio Continente. Parigi perde il 5,35%, Francoforte il 4,70% e Londra il 4,6%. Maglia nera per la Borsa di Atene che cede il 10,54%. Soffrono maggiormente i settori più esposti verso la Cina, vale a dire auto e lusso. Ottimisti Francois Hollande e Angela Merkel, secondo cui la Cina «ha tutte le capacità di stabilizzarsi».

Economia cinese


Come detto, la preoccupazione degli investitori è alimentata dall’incertezza che avvolge il futuro dell’economia cinese. Pechino, motore della crescita globale, ha segnato la crescita più bassa dagli anni Novanta nel 2014 e ha ulteriormente rallentato l’espansione al 7% in ciascuno dei primi due trimestri del 2015. La svalutazione dello yuan è stata letta come la volontà di sostenere l’export mentre il panico è stato alimentato dal crollo dell’indice manifatturiero cinese ad agosto.

Petrolio


La paura del rallentamento dell’economia cinese e il crollo delle borse asiatiche ed europee, mandano a picco il prezzo del petrolio, che già attraversava una congiuntura ribassista per gli eccessi di forniture sui mercati. In Asia i future su Light crude Wti e quelli sul Brent scendono ai minimi da sei anni e mezzo, rispettivamente a 39 dollari e 44,24 dollari al barile.

Spread

E la pesante flessione delle Borse si riflette anche sull’andamento dei nostri titoli di Stato. Dopo il burrascoso avvio dei mercati, lo spread Btp-Bund è sceso a 129,50 punti base, dopo un picco a 137,47, rispetto ai 125 punti di venerdì. Successivamente è tornato sopra i 130 punti.
24 agosto 2015 (modifica il 24 agosto 2015 | 23:32)
© RIPRODUZIONE RISERVATA


http://www.corriere.it/economia/15_agos ... 8093.shtml

Re: C I N A

Inviato: 25/08/2015, 2:44
da camillobenso
l’analisi
La crisi di credibilità del regime
di Pechino che fa precipitare i mercati

L’indice è caduto durante la notte in Europa fino all’8,5%, per poi chiudere in territorio negativo del 7,3%
di Federico Fubini


http://www.corriere.it/economia/15_agos ... 8093.shtml

Re: C I N A

Inviato: 25/08/2015, 2:50
da camillobenso
L’ANALISI
Il Dragone non corre più e sui mercati scoppia la sindrome cinese
Il rallentamento dell’economia originato dalla flessione dell’export. La concausa della bolla immobiliare. La discesa del manifatturiero
di Redazione Economia



Dopo tre decenni di crescita stellare, a doppia cifra, la locomotiva cinese rallenta e ora si parla di «sindrome cinese» sui mercati. Questa è stata decisamente un’estate nera per il Dragone, che rischia seriamente di non raggiungere l’obiettivo del +7% del Pil a fine anno, ben lontano dai grandi numeri del passato, ma ora considerato un target più che auspicabile per le autorità di Pechino. C’è perfino chi sostiene che che quest’anno l’economia cinese non crescerà oltre il 3-4%, sebbene, rumour a parte, le statistiche ufficiali continuino a puntare senza tentennamenti sull’obiettivo del +7%. I ripetuti crolli della borsa di Shanghai, il deprezzamento dello yuan, lo sgonfiamento della bolla immobiliare, lo scivolone dell’8,3% dell’export a luglio, la discesa ai minimi da sei anni dell’attività manifatturiera ad agosto, sono avvisaglie di un’economia che appare sempre più inceppata, appesantita, frenata.

Si è inceppata la locomotiva


La Cina, vista come il motore della crescita mondiale solo fino a pochi mesi fa, dall’inizio dell’estate sta diventando un problema e rischia di non fare più da traino, innescando crisi a catena nelle vicine economie asiatiche, alimentando fughe di capitali dai paesi emergenti e mettendo in forse perfino la crescita Usa, come dimostrano i dubbi della Fed, che adesso frena sul rialzo dei tassi a settembre, intimorita dalla frenata del made in China e dai suoi effetti collaterali. D’altra parte i numeri parlano chiaro: il made in China ha smesso di correre e questo è diventato un problema per tutti. Nel 2008-09, nonostante la crisi della finanza mondiale, il Pil cinese era cresciuto intorno al 9,5%, nel 2010 e nel 2011 ha accelerato a +10%, poi ha iniziato a perdere colpi: +7,8% nel 2012, +7,7% nel 2013 e +7,4% l’anno scorso, il livello più basso da 24 anni a questa parte. Pechino, che è arrivata a produrre un quarto della ricchezza mondiale, ora, con il suo rallentamento rischia mettere una seria ipoteca sulla ripresa globale, come sta già accadendo con i prezzi delle commodity, azzoppati dal calo della domanda di materie prime da parte delle industrie cinesi.

La domanda interna a singhiozzo

Dietro il malessere del Dragone c’è un problema irrisolto: il passaggio, più volte annunciato ma ancora largamente incompleto da un’economia trainata dall’export a un’economia più legata ai consumi interni. Si tratta di un processo lento, complesso, difficile, ma anche inevitabile. Cambiare modello di sviluppo non è uno scherzo, figuriamoci per un paese immenso e con un miliardo e mezzo di abitanti come la Cina. Pechino vuole smettere di dipendere dalla congiuntura internazionale per la sua crescita e per questo ha messo in cantiere una mole imponente di riforme, ancora in larga misura da realizzare. In attesa che questo processo decolli, la Cina deve fare i conti con una ripresa globale incerta, un indebitamento crescente e un’economia che non viaggia più col vento in poppa, anzi zoppica vistosamente. Il paese continua ad attrarre investimenti esteri e può contare su una montagna di riserve valutarie, accumulate negli anni delle vacche grasse. Tuttavia i problemi si stanno aggrovigliando e per Pechino non sarà per niente facile districarsi.

Gli investimenti


Il vero motore dell’economia cinese restano gli investimenti, in larga parte pubblici, che pesano ogni anno per il 52% del Pil. In pratica gli investimenti in Cina hanno lo stesso ruolo di traino dell’economia che hanno i consumi in Europa, negli Usa e in Giappone. Nei primi sette mesi del 2015 gli investimenti fissi cinesi sono cresciuti ai minimi dal 2000, soprattutto a causa della crisi del settore immobiliare. La foto di questa crisi è evidenziata dal fatto che il 20% delle nuove case costruite in Cina sono rimaste invendute, con inevitabili ripercussioni negative sulle vendite immobiliari, in declino da 13 mesi consecutivi. Risultato: la produzione di cemento e acciaio è stagnante. L’occupazione ha registrato la prima contrazione dal 2012 a luglio (dati del Financial Times), nonostante gli stimoli introdotti dal governo per rafforzare le infrastrutture. Lo stessa commissione per lo sviluppo e le riforme, la prima agenzia di pianificazione del paese, ammette di quest’anno gli investimenti subiranno «pressioni al ribasso», soprattutto per problemi legati ai finanziamenti. Altro dilemma sono i consumi. La classe media cinese è molto cresciuta in questi anni, ha conosciuto un vero e proprio boom, ma la middle class del Dragone è ancora composta da meno di un decimo della popolazione totale.

il welfare rinunciatario

Il sistema di welfare, malgrado 60 anni di regime comunista, è largamente deficitario. Il governo vorrebbe invertire questi trend, ma sono processi di lungo corso. Nel frattempo, mentre l’export e il settore manifatturiero mostrano la corda, sul fronte dei consumi le cose non vanno meglio. Quest’anno, per la prima volta, le vendite di smartphone in Cina hanno registrato un calo e quelle di auto a giugno mostrano un preoccupante -3,4% annuale, il primo segnale di declino da 2013. A luglio le vendite al dettaglio hanno registrato un +10,5%, percentuale da urlo ma non per la Cina, dove viene archiviata come la crescita più bassa da un decennio a questa parte. Insomma, la `locomotiva´ cinese non sfreccia più, ma arranca, cigola, sbuffa e la `sindrome cinese´ inizia ora di contagiare pesantemente i mercati internazionali.
24 agosto 2015 (modifica il 24 agosto 2015 | 16:48)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Re: C I N A

Inviato: 25/08/2015, 3:01
da camillobenso
Già a maggio era stata segnalata la Bolla.

Cina: dopo la bolla immobiliare ora potrebbe scoppiare la Borsa ...
http://www.ilghirlandaio.com/copertine/ ... -la-borsa/
Da mesi si susseguivano gli ammonimenti sul fatto che un mercato salito del 110 % in un ... E un ampio pacchetto di misure a sostegno dei corsi di Borsa è stato .

Re: C I N A

Inviato: 01/09/2015, 18:55
da camillobenso
Il fatto TV
Mondo
Cina, “Crollo della borsa è opera mia”. La “confessione” del giornalista è straziante


http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/09/ ... te/409739/

Re: C I N A

Inviato: 07/09/2015, 15:37
da camillobenso
Repubblica 7.9.15
L’economista Linda Yueh
“Quella cinese è crisi di crescita durerà per mesi”

intervista di Eugenio Occorsio


I risparmiatori si sono lanciati negli investimenti azionari senza preparazione Il governo con i suoi interventi li ha illusi che fossero protetti poi è scattato il panico
Linda Yueh insegna a Oxford

CERNOBBIO «I cinesi sono molto sensibili alle critiche internazionali. Quando, il mese scorso, l’Fmi ha detto che lo yuan non può essere inserito fra le valute di riferimento nei diritti speciali di prelievo - euro, dollaro, yen e sterlina – né potrà esserlo almeno per un anno, la reazione è stata brusca: voi avete paura che non sia abbastanza solida, allora vi dimostriamo, hanno detto le autorità, che la moneta è sotto il nostro controllo. Così è partita la svalutazione del 3,5%. Una mossa pratica perché effettivamente la valuta era sopravvalutata, e simbolica». Linda Yueh, docente di economia sia ad Oxford che alla London Business School, considerata la più prestigiosa economista cinese, è venuta al Forum Ambrosetti ad offrire quest’inedita lettura della crisi cinese. «Certo, ci sono altri fattori di debolezza, il rallentamento della crescita e la caduta dell’export dell’8% rispetto ai livelli dell’anno scorso. La combinazione di questi tre fattori ha provocato il crollo del mercato azionario».
La fase più difficile è finita?
«Non credo. Altri fenomeni di aggiustamento verranno per parecchi mesi ancora. La Cina sta attraversando una fase di trasformazione cruciale. Sono anni che le autorità dicono che è urgente passare da un modello basato sull’export a uno fondato sui consumi interni, ma la transizione è lunga. La classe media si è formata in Cina non più di dieci anni fa, e ancora oggi equivale come capacità di spesa al 50% del Pil, una cifra inferiore alle maggiori economie. In Gran Bretagna per esempio si parla di un 60-75%. E se una ristretta cerchia di persone si è lanciata nello shopping in Cina e all’estero, una fetta immensa di popolazione vive con non più di 10mila dollari l’anno».
Si è detto che la crisi della Borsa è stata dovuta al fatto che una gran massa di cinesi si è lanciata negli investimenti azionari.
«C’è una diffusa impreparazione, e una carenza di strumenti d’investimento alternativi. Il governo ha fatto un errore quando all’inizio del crollo è intervenuto con massicce iniezioni di capitale dando l’impressione che l’investimento in Borsa fosse garantito, poi ha smesso, insomma ha accentuato il panico».
Lo yuan svalutato darà concreti vantaggi? Non si era detto che l’export deve diventare meno importante a favore dei consumi interni?
«Il processo è lungo. Uno dei vantaggi è che una valuta debole genera inflazione interna, che in questo momento è benvenuta perché anche in Cina il calo delle aspettative sta generando deflazione. Sono 40 mesi consecutivi che i prezzi sono in discesa per l’indebolimento dell’economia nel suo complesso».
Ma esiste qualche cifra attendibile sull’ammontare della frenata?
«Questo è un altro punto difficile. Le statistiche in Cina non sono molto accurate. Con ogni probabilità non si raggiungerà il 7% promesso, ma è difficile capire a quale livello ci sia oggi, c’è chi dice il 6, chi il 3,5. La verità forse sta nel mezzo».